domenica 20 marzo 2011

SIMENON. COME TI COSTRUISCO UN PERSONAGGIO

Pensate ad una di quelle inchieste che iniziano con un povero diavolo, che passa una notte d'interrogatorio nell'ufficio di Maigret. Il commissario è famoso per la sua aria sorniona mentre sbuffa cortine di fumo dalla sua pipa, per i suoi lunghi  silenzi, quando ravviva il fuoco della stufa o beve lentamente una birra ordinata alla brasserie Dauphine. Ma sono note anche le sue sfuriate improvvise, quelle che in un uomo calmo e tranquillo fanno sempre più effetto. Ecco, sì, immaginate i due faccia a faccia. Questo povero diavolo che magari si è rovinato per una donna, che ha passato, come diceva Simenon, la linea e, per esempio, da piccolo impiegato onesto e modesto era divenuto un ladro e magari, inesperto com'era, ha combinato il "pasticcio" e così per puro caso c'è scappato il morto. Sappiamo bene che Maigret, e Simenon dietro di lui, non è affatto appagato di provare che quel poveraccio sia il colpevole. Lui vuole capire il perchè... perchè è stato attratto da quella donna, perchè ha trascurato la moglie, perchè da mite passacarte si è messo in testa di fare un colpo, neanche fosse un gangster incallito. E ora se lo vede lì, seduto davanti a sè, con gli occhi persi, come fosse rientrato in sé stesso. Come se alla fine avesse preso coscienza di tutto quello che aveva combinato e.... E il personaggio si costruisce da solo, così almeno ci spiega Simenon ne Il romancier (1945) "...I miei personaggi, se sono verosimili, hanno una loro logica contro la quale la mia logica di autore non può nulla..." E ancora. "D'altronde se inizio con dei personaggi inverosimili, me ne accorgo automaticamente. Non credo che, se i miei personaggi fossero falsi potrebbero andar avanti fino alla fine del romanzo... - spiegava Simenon nella famosa intervista a Médicine et hygiène (1968) - E' una cosa che mi ha sempre incuriosito e intrigato...".
Questa costante di creare dei personaggi "veri" e che poi seguano una sorte che lo scrittore può solo assecondare, è un concetto che Simenon ha espresso più volte. Ma chi sono per Simenon i personaggi veri? Gli uomini e le donne qualsiasi che vanno dritti alle conseguenze estreme dei loro gesti e delle loro scelte di vita. Ma é la gente semplice, gente del popolo, quella che non ha maschere e pesanti convenzioni sociali dei ricchi borghesi, dei facoltosi uomini d'affari o dei nobili più o meno decaduti.  "...Ecco perché nella gran parte dei casi scelgo delle persone di origine modesta e di intelligenza media - dichiarava lo scrittore in un'intervista del '70 - Queste vivono molto più liberamente i sentimenti, le emozioni proprio per quello che sono... Credo che non più del 10% dei miei libri raccontino di ambienti socialmente elevati. Ci ho pensato molto verso il 1930-1940. In quel periodo non troverete né ministri, né presidenti, né presidenti di consigli d'amministrazione, né banchieri. Questo è successo in seguito, ma è stato voluto...".
E poi c'è il famoso declic simenoniano, cioé un qualsiasi avvenimento o un incidente, anche di trascurabile importanza, che cambia vite tranquille, a volte monotone, così all'improvviso. "Può trattarsi di qualsiasi cosa che succede al mio protagonista, una lettera che non aspettava e che sconvolge la routine della vita alla quale si era rassegnato" (intervista ad A. Parinaud - 1955) 

sabato 19 marzo 2011

SIMENON: OGGI FUGA DALL'AMERICA

Esattamente cinquantasei anni fa', Georges partiva definitivamente dagli Stati Uniti per far rientro in Francia. Ne abbiamo già parlato, ma questa volta sentiamo la versione che ne dà Tigy, la sua prima moglie, che lo aveva seguito, con il figlio Marc e la Boule, praticamente in tutti i suoi spostamenti e i suoi insediamenti dal nord al sud degli Usa (in Souvenirs - edito postumo da Gallimard nel 2004).
Racconta quindi Tigy che, nemmeno un paio di settimane prima, Georges l'era andata a trovare per dirle che voleva tornare a vivere in Francia, lamentandosi del fisco americano, facendole notare: "Ero più benestante in Francia quando avevo trent'anni che adesso qui che ne ho cinquanta".
Evidentemente Simenon alludeva al fatto che in quel momento era molto più famoso, guadagnava molto di più, ma sia per le sue entrate in valuta francese (che si era svalutata rispeto al dollaro nel '47-'48) che per il regime fiscale made in Usa il suo standard di vita non era cresciuto (altro tassello sulla spiegazione del perché poi si stablirà in Svizzera).
Tigy ricorda nei suoi Souvenirs "....Partirà il 19 di questo mese. Deve partire rapidamente, prima della dichiarazione dei redditi. Non ha il denaro per pagare la cauzione... Mi chiede di non dire a nessuno che sta lasciando gli Usa. Questo gli creerebbe dei fastidi. Porterà con sé Marc, perchè secondo lui è assolutamente necessario che inizi a frequentare una scuola francese, appena dopo le vacanze di Pasqua. Ma questo è assolutamente falso, sono le solite scuse. La realtà è che non vuole rientrare in Francia senza suo figlio... si preoccupa di che cosa penserebbe la gente... Quanto a me, consiglia di aspettare fino a giugno prima di vendere la mia casa e di partire..."
Insomma, da come ce la racconta Tigy, una vera e propria fuga. Tutti dovevano far finta di effettuare un tour europeo da cui poi sarebbero rientrati, come avevano già fatto in precedenti occasioni. Invece era l'addio agli Stati Uniti.
Ma é possibile che Simenon stesse fuggendo come un ladro e che non avesse nemmeno i soldi per pagare le tasse? La realtà era ben più complessa. Ad esempio entrava in ballo anche una certa insoddisfazione sulle sue quotazioni come scrittore negli Usa. Non era riuscito a conquistare gli americani, critica e pubblico, come avrebbe voluto. E non è nemmeno da trascurare il fatto che non si sentiva a suo agio perché la mentalità puritana degli americani mal sopportava il fatto che se ne andasse su e giù per gli States con una carovana familiare atipica formata da una moglie, due figli, una ex-moglie, un'altro figlio e una femme de chambre molto particolare. Ed era mal sopportata anche la sua reputazione non proprio irreprensibile in merito ai comportamenti sessuali.
Insomma una serie di fattori che erano maturati lentamente, ma che ad un certo punto avevano creato in Simenon quello stato d'impellenza di fuggire, proprio così come una decina d'anni prima (anche se per motivi del tutto diversi) era scappato dalla Francia.

venerdì 18 marzo 2011

SIMENON. L'AMICO D'INFANZIA DI MAIGRET

Da qualche giorno è arivato nelle librerie un nuovo titolo delle inchieste del commissario simenoniano, L'amico d'infanzia di Maigret (L'ami d'enface de Maigret). Fu scritto da Simenon nel 1968, ad Epalinges, in Svizzera, e pubblicato nello stesso anno da Presses de La Citè. Era l'anno in cui Simenon si sottopose alla famosa intervista psicanalitica da parte degli psichiatri del periodico Mèdicine et Hygiene, in cui si pose su una "graticola analitica" che poi sarebbe divenuta pubblica. Anche in questa inchiesta il commissario Maigret, scava nel suo passato. Quello suo e di un certo Léon, vecchio compagno di liceo, che si vede piombare al 36 Quai des Orfèvres. C'è di mezzo l'omicidio della sua amante, Josée. Ma nella vita della donna ci sono altri uomini. Tre erano ricchi e rispettabili uomini d'affari che godevano delle sue grazie pagando, ma esisteva anche un misterioso quarto uomo che invece aveva con Josée un rapporto sentimentale e che non doveva certo pagarla. Léon assicura di esser all'oscuro di tutto, ma... Ma Maigret non si fida di lui, l'aveva perso di vista da molto tempo, ma ricorda benissimo come al liceo fosse il burlone della compagnia e di quanto fosse poco affidabile... e i ricordi gli danno ragione. Lèon ne combina di tutti i colori e dà il via ad una intricata vicenda di ricatti e colpi di scena.
Una notazione va fatta in merito al titolo, anche quello originale, che fà pensare ad compagno di giochi del piccolo Jules, quando viveva a Moulins. E invece Léon era un adolescente troppo estroverso e furbetto per aver qualcosa da spartire con il timido e riservato giovane Maigret. Insomma non era affatto amici. E il commissario, ora furbo e smaliziato, non si farà ingannare e vedrà lungo, aldilà delle apparenze, riuscendo a capire la vera indole attuale di Léon e di come si è arrivati all'omicidio.
Dal romanzo sono stati tratti due sceneggiati televisivi francesi, uno con Jean Richard (1984) e uno con Bruno Crèmer (2002), e un telefilm inglese con il Maigret britannico interpretato da Michael Gambon (Maigret's Boyhood Firend - 1993).

sabato 12 marzo 2011

SIMENON, GLI INGLESI E GLI AMERICANI

Da alcuni articoli di Simenon che riguardavano gli anglosassoni risultava che la propria opinone su di loro non era delle migliori. Ma in un 'intervista fiume nel '65 a Francis Lacassin smentì e corresse questa impressione.
" ...ho cambiato opinione su questo argomento. perchè sono andato spesso in Inghilterra, quasi ogni anno prima della guerra,  e in seguito ho abitato per undici anni negli Stati Uniti dove ho incontrato anche molti anglosassoni che mi sono piaciuti molto. Ce ne sono di due tipi. quelli che appartengono all'etablishment, sapete di cosa si tratta... D'altronde li si riconsce subito dall'accento appena aprono bocca. Hanno un modo di apire al bocca diverso dagli altri. Questo non mi piace, come non mi piace l'alta borghesia  e nemmeno la media; sono delle classi che mi sembrano divenute superflue nel mondo in cui viviamo, delle classi parassitarie - allo stesso mondo dei grandi capitalisti d'altronde - sono loro i proprietarie delle grandi società... Invece il semplice americano ha, al contrario, un vantaggio, è quello di essere naturale: assolutamente diretto. Voi he siete stato in America, penso, sì insomma che vi siate potuto rendere conto di quanto siano diretti..."
E poi Simenon continua a raccontare le sue esperienze di vita con gli americani. "... In America c'è un grande senso dell'ospitalità. Qualsiasi casa, anche la più modesta ha una camera per gli ospiti.... Ma mi piace molto anche un'altra cosa, nonostante siano individualisti - ma io lo sono più di loro - è che per essere a posto dovete appartenere a qualcosa. Non importa a cosa, che sia il Rotary o il comitato d'assistenza della vostra cittadina, o il club delle madri e degli alunni della scuola  dei vostri figli, ma dovete appartenere ad un gruppo. Non si riesce in America ad immaginare ad un uomo che non appartenga a niente. D'altronde quando entrate negli Stati Uniti c'è una domanda nel questionario: quale religione?  Ebbene non bisogna mai rispondere: nessuna. Io avrei voluto farlo, ma fortunatamente un amico che era con me, che era stato nei servizi segreti, e aveva vissuto  lungo a Parigi, mi dissse: Inventate una parola qualsiasi, ma non rispondete "alcuna". Si ammette qualsisi religione, ma "senza religione" è male acettato, meglio dire che avete una vostra religione, che credete alle stelle, ma non "alcuna"...".
Simenon in fondo si era trovato bene con gli americani, soprattutto perchè le sconfinate distese di terra gli consentivano una privacy che in Francia non era nemmeno pensabile. Immaginate che  visse per ben tre anni e mezzo in Arizona, vicino a Tucson, praticamente nel deserto. Poi però, soprattutto con la seconda moglie Denyse,  faceva dei viaggi a New York dove si rituffava nellasocietà mondano-culturale din cui era sempre ben accolto e dove poteva riprendere le sue avventure con l'altro sesso.

venerdì 11 marzo 2011

SIMENON, QUANDO PREPARAVA I MAIGRET E I SUOI... CLIENTI

Non c'é dubbio che Simenon man mano che scriveva le indagini di Maigret, abbia voluto ambientare le vicende nei luoghi più disparati e negli ambienti più differenti. In questo modo, nelle oltre cento inchieste, lo ha messo a confronto con un'infinità di tipologie umane, dai ministri e i nobili, ai barboni e i derelitti. In questa schiera appaiono i delinquenti incalliti (che diverranno poi sue vecchie conoscenze) e poveri diavoli travolti da tragiche circostanze che li hanno portati a rubare o a uccidere. E tra tutti questi ci sono i tipi che piacciono al commissario (anche un certo tipo di delinquenti abituali), quelli che gli fanno pena (le sprovvedute vittime del destino) e quelli che non sopporta (quelli per cui la facciata e le apparenze sono tutto, dietro succeda quel che succeda, basta non si sappia).
Qui si potrebbe addirittura fare, anche se un po' tirata per i capelli, un po' di sociologia spicciola e considerare che nelle classi dominanti, tra nobili, politici e finanzieri, Maigret incontra in genere una certa propensione alla doppia morale: pubblicamente irreprensibili e rispettati, corrotti e depravanti nel privato. E anche nell'alta borghesia  trova una certa tendenza a far di tutto, anche l'illecito, per salvare la propria rispettabilità. Nella classe media, quella che vive del proprio lavoro quotidiano, quella che fatica che non ha grilli per la testa, il commissario incontra coloro che qualche volta non ce la fanno e "passano la linea" (ricorrente concetto simenoniano), lasciandosi alle spalle una vita onesta, dignitosa e andando incontro ad una spirale involutiva che li porterà inevitabilmente alla degradazione sociale, alla solitudine e quindi alla delinquenza. E poi ci sono i recidivi che vivono al confine tra legalità e crimine, sempre in bilico tra la galera e la libertà, piccoli furfanti che sono ospiti di 36, Quai des Orfévres come fossero affezionati clienti di un albergo. Infine i professionisti del crimine, quelli che conoscono quali sono le regole nel gioco guardia-e-ladri, sanno fino dove possono spingersi e accettano le conseguenze quando vengono presi con le mani nella marmellata.
Questa d'altronde è una fotografia, per quanto tratteggiata sommariamente, della Parigi e della Francia degli anni '30/'40 (ma non solo), le simpatie e le antipatie di Maigret sono ovviamente quelle di Simenon, in una società in gran fermento e in veloce cambiamento.
E anche in questa visione, le inchieste del commissario non differiscono granché dai romanzi. E' vero che una volta, in un'intervista del '56, dichiarò "Maigret non può entrare nella pelle di un personaggio. Egli arriverà, spiegherà, e capirà, ma non attribuirà al quel personaggio il peso che avrebbe in un altro dei miei romanzi...". Ma poi lo scrittore cade in contraddizione. "...verso la fine (della serie delle inchieste) ho confuso un po' i Maigret con gli altri romanzi - spiegava a Bernard Pivot nell'81 - con i suoi personaggi andavo sempre più a fondo... E poi è faticoso.... In due ore e mezza completare un capitolo di venti pagine dattiloscritte di un "roman dur" è stancante come per un Maigret ". E infine basterebbe leggere il seguente aneddoto per capire davvero l'impegno che Simenon metteva anche nei Maigret, pure se aveva più volte affermato che scrivere i Maigret, soprattutto i primi, era soprattutto stato un divertimento.
"Volete sapere cosa mi è successo esattamente un mese e mezzo fa'? - racconta nel 1970 il romanziere a Gilbert Sigaux e a Bernard de Fallois - Avevo iniziato a pensare durante le vacanze a La Baule al prossimo romanzo, doveva essere un roman dur, come io generalmente scrivo in autunno. Avevo già un'idea della vicenda, una idea un po' vaga, ma già una linea musicale e anche un colore. Ma ogni volta che volevo approfondire i personaggi o che volevo saggiarli, questi sparivano. Mi dicevo: non é possibile, perchè non riesco a tenere insieme i questi personaggi e a integrarli in un'azione? Niente da fare. Poi una mattina, dopo più di tre settimane, alzandomi dal letto, e prima di toccare il pavimento con i piedi, mi sono detto: ma è così semplice, non devo far altro che scrivere un Maigret! Ed è quello che ho fatto. E' stato un Maigret pensato e in qualche modo preparato e  sentito non come un Maigret, ma come un altro romanzo e, per l'ultima volta nella mia vita, partendo da un roman dur sono arrivato ad un Maigret".
Siamo tentati di credere che Simenon si riferisse a La folle de Maigret, finito di scrivere ad Epalinges il 7 maggio del 1970 (d'altronde l'unico Maigret scritto in quell'anno)
Ma sarà stata davvero la prima e l'ultima volta?

giovedì 10 marzo 2011

SIMENON E L'ANTISEMITISMO

Ben diciassette articoli tra giugno e ottobre, più di uno a settimana. Una sorta di rubrica apparsa sulla Gazette de Liège dal titolo Le péril Juif! Sono firmati Georges Sim che, in questa serie di scritti, dà fondo alle più consumate e trite teorie e tesi sulla presunta pericolosità ebraica. Siamo lontani, almeno cronologicamente, dall'antisemitismo di stampo hitleriano, siamo nel 1921, quindi quasi una ventina d'anni prima. Ma questo testimonia come allora in Belgio, ma non solo in Belgio, questi preconcetti fossero un bagaglio di una destra molto conservatrice, ma anche del più radicale cattolicesimo, o meglio dei cattolici più radicali. Insomma, non per sminuire le responsabilità di Simenon, ma l'antisemitismo allora permeava la società nel forme più diverse. Quello che può suonare a parziale discolpa dello scrittore, allora redattore del quotidiano belga, è che in quell'anno compiva appena diciotto anni. Ecco qualche estratto da uno di quegli articoli.
"...Non è meno urgente conoscere le mosse israelite, anche in modo incompleto, proprio ora che gli Ebrei sembra approfittino del caos economico e politico  per aumentare il loro controllo sugli affari del mondo....".
E poi ancora sulla questione della famosa bufala dei Protocolli dei Savii di Sion, prodotta ad arte dai servizi segreti zaristi, per far credere ad una cospirazione ebrea a livello mondiale, ma poi definitivamente sconfessata in una serie di articoli del Times nel 1903.
E quasi vent'anni dopo Georges Sim scrive ancora:
"...Ho scordato di segnalare la polemica prodotta in merito ai Protocolli dei Savii di Sion. Non si dovrebbe essere lontani dal dimostrare che questi documenti siano apocrifi. Si tratta di un argomento di tale scarsa importanza tanto che non ho scritto né di Ebrei né di pro-Ebrei, non essendo una gran tema..... Però costituiscono un documento prezioso... perchè ci forniscono la migliore visuale della dottrina e dei continui sforzi degli Ebrei...".
Ma il tempo passa, Simenon evidentemente cambia, durante la seconda guerra mondiale ricopre anche l'incarico di Alto Commissario per gli sfollati belgi in Francia, in fuga dai nazisti, e vive l'occupazione delle truppe di Hitler. Nel 1985, ormai vecchio e lontano dai clamori del mondo, in una lettera a Jean Christophe Camus, scrive"...vi segnalo poi una cosa che può avere una certa importanza. Si tratta di due o tre saggi che scrissi sui Savii di Sion. Questi articoli, in effetti, non riflettono il mio pensiero d'allora né di oggi. Era un'ordine e io ero tenuto ad eseguirlo. Nello stesso periodo, tra gli affittuari polacchi e russi di mia madre, più della metà erano ebrei con cui io andavo perfettamente d'accordo. In tutta la mia vita ho avuto degli amici ebrei, compreso il più intimo di tutti, Pierre Lazareff. Quindi non sono affatto anti-semita come quegli articoli commissionati potrebbero far pensare...". 
Non crediamo ci sia bisogno di alcun commento.

SIMENON. FESTE E FESTINI CHEZ SIM

Un gran lavoratore. Su questo non ci sono dubbi. Soprattutto il giovane Simenon si sottoponeva a dei tour de force notevoli per produrre articoli, racconti, romanzi brevi e a puntate, che in quell'epoca erano fonte di un più che discerto guadagno. Se pensiamo che in un giorno era capace di iniziare e terminare un romanzo breve e che quotidianamente doveva, come diceva lui stesso, fare le consegne ai suoi clienti (gli editori Ferenczy, Merle, Tallandier, Fayard che si dividevano il mercato dei libri e dei giornali popolari).
Nel 1924 Georges e Tigy si trasferirono nella signorile Place des Vosges, al 21, affittando però un locale di una camera e mezza a pianterreno. Ma era solo l'inizio, un paio d' anni dopo si liberò un appartamento ben più spazioso al secondo piano che Simenon non si fece sfuggire. Secondo piano e pianterreno. Ormai i coniugi Simenon erano sistemati alla grande e arredarono il loro appartamento, con vista sulla bella place des Vosges, con mobili dal design molto moderno. Nel salone troneggiava un grande mobile bar, con degli sgabelli d'un giallo sgargiante, dotato di un ampio bancone di vetro smerigliato illuminato da sotto. E poi quadri in stile cubista alle pareti e una sorta di riflettore a luci colorate. Sulla porta campeggiava una grande scritta "Sim", lo pseudonio con cui era più conosciuto. Lì Georges si divertiva a fare il barman durante le feste. Già infatti in quel periodo era frequente che a casa Simenon si facessero delle serate, faremmo meglio a dire nottate, dal momento che si andava avanti fino all'alba. Feste rumorose, proteste dei vicini, qualche spogliarello estemporaneo, ma qualcuno parla anche di orge. E' un fatto che la signora delle pulizie che arrivava la mattina presto, trova persone in salone che ancora dormivano per terra, altre mezze nude abandonate sulle scale, gente che smaltiva sbornie e stravizi notturni non ancora lucidi e non del tutto svegli. E Simenon?
Lui sembrava indifferente a tutto questo. Alle sei era già alla sua macchina da scrivere che pestava su tasti consapevole che anche quel giorno avrebbe dovuto produrre un'ottantina di pagine, cosa che che lo interessa molto di più di quella varia umanità stordita e intontita con cui pure la notte prima si era divertito.

mercoledì 9 marzo 2011

DEI SIMENON SENZA FIRMA?

Sappiamo bene che all'inizio della sua avventura come scrittore Simenon firmava i suoi romanzetti popolari con degli pseudonimi, una ventina circa. Ma non solo, a seconda che si trattasse di avventure, di racconti galanti o licenziosi, di storie poliziesche, l'autore sceglieva degli pseudonimi ad hoc. Per quelli galanti usava Miquette, oppure Sandor, talvolta George Sim o anche Misti, talvolta Gémis o le varianti Luc Dorsan, Luc d'Orsan e Luc Donan. Per quelli d'avventura Christian Brulls (l'insieme del nome del fratello e del cognome della madre da signorina), Gomme Gut, Jean du Perry, J.-K. Charles e ancora Georges Sim. Ma scorrendo le copertine di questo periodo se ne trovano alcune che, per quanto ormai provato che si riferissero a romanzi brevi o racconti scritti da Simenon in quegli anni, non mostravano sulla facciata nessun nome dell'autore. Noi abbiamo basato questa ipotesi potendo soltanto guardare le copertine e non sapendo se magari all'interno apparisse invece uno dei tanti pseudonimi. Ecco qualche titolo a dimostrazione di quanto abbiamo detto. Iniziamo con Liquettes au vent de la Collection Gauloise (67, rue Servan, Paris XI), che sopra il titolo riporta solo la scritta Le roman complet e il prezzo, 1 fr. (probabilmente in altra parte firmato con Gom Gut). Lo stesso dicasi per Les Romans Drole paraissent les Samedis o per Les Romans Folatres paraissent les Jeudis, ancora più economici, 75 centesimi, ma in copertina completamente anonimi. Ma anche la collana di Ferenczi, Le petit Livre, aveva delle copertine senza il nome dell'autore. Possiamo citare titoli come Le roman d'une dactylo, Defense d'Aimer (anche se sembra che in qualche modo fossero attribuibili il primo a Jean du Perry e il secondo addirittura allo pseudonimo Georges Sim). Anche il poliziesco Nox L'insaisissable, sempre Ferenczi editore, ancora più economico, 50 centesimi, non riporta in copertina nessun autore (ma forse da qualche parte potrebbe esserci il nome di Jean du Perry). Ora, al di là se il libro fosse attribuito a questo o a quello pseudonimo del giovane Simenon, è significativo che l'editore non ritenesse utile, o lo considerasse addirittura superfluo, indicare in copertina chi l'aveva scritto. Infatti quello che importava al lettore di quelle collane, era il genere, le regole ferree che lo perpetuavano, le copertine ammiccanti, che da sole parlavano raccontando non solo che tipo di storia era, ma addirittura con che tono veniva trattata la vicenda. Siamo nel pieno della letteratura popolare, quella che permetteva a Simenon di produrne a pacchi, seguendo degli stereotipi con personaggi preconfezionati e delle trame ben vincolate. Ma comunque era una letteratura che, per quanto elementare, faceva leggere milioni di persone e formava lettori di letteratura più alta, ma anche fior di scrittori, forse non tutti come Simenon, ma certo con una solida base di esperienza narrativa.

martedì 8 marzo 2011

LE DONNE DI SIMENON

Oggi sappiamo tutti quale ricorrenza e a chi l'avesse dimenticato, tv, giornali, radio, persino l'homepage di Gogogle l'ha sicuramente ricordato. Parliamo di donne, donne di Simenon, ovviamente. Ma non le compagne o le amanti della sua vita, ma di quelle che popolano i titoli dei suoi romanzi. Una sorta di collage che dimostra la grande attenzione che lo scrittore aveva per l'universo femminile. Certo questa scelta di titoli lascerà fuori qualche protagonista degna di rilievo ad esempio come la Kay di Trois chambre a Manhattan o l'Antoniette de Le fenêtre du Rouet, che non compare nel titolo, ma il nostro è un gioco, una sorta di puzzle dove i tasselli che s'incastrano sono donne di tutte le estrazioni, di diversa età e di differenti personalità.Iniziamo con una ballerina, quella di un locale che compare nel titolo della decima inchiesta del commissario (La Danseuse du Gai Moulin - 1932), poi, sempre con due racconti maigrettiani del '38, un'anziana e un'amante: La Vieille Dame de Bayeux e Mademoiselle Berthe e son Amant. Ma già iniziano le donne nei romans durs, prima a gruppi come Les Fiancelles de M.Hire (1933), Le Demoiselles de Concarneau (1934) e Les soeurs Lacroix (1937). Poi la famosa Marie du port (1937) e la Veuve Couderec (1940). Tornando ai Maigret troviamo una povera assassinata, Cécile est morte (1942), ma anche Felicie est là (1944) e c'é posto anche per un'amica della signora Maigret (L'amie de M.me Maigret 1949). E poi gli opposti  Maigret et la vieille dame (1950) e Maigret et la Jeune Morte (1954).  Nei romans durs c'è un titolo anche per qualche familiare, una zia, (La tante Jeanne 1950) e per un'altra Maria (Marie qui louche 1951). Non va dimenticata La mort de Belle (1951) e la Julie che divide il titolo con il suo Antonio (Antoine e Julie 1953). Torna poi ancora un'anziana signora, La vieille (1959) e nasce la strafamosa Betty (1960). La serie del commissario finisce con una pazza (La folle de Maigret 1970), mentre quella dei romazi si conclude con La Dispartion d'Odile (1970)

lunedì 7 marzo 2011

L' "ETAT DE ROMAN" DI SIMENON E IL "METODO MAIGRET". SCRIVERE UN ROMANZO COME CONDURRE UN'INCHIESTA?

Abbiamo già detto in precedenti post come l'esperienza biografica di Simenon sia una ricchissima fonte d'ispirazione dei suoi romanzi, quando non ne diventano addirittura il tema stesso del romanzo. E fin qui niente di nuovo rispetto a quello che era già successo ad altri romanzieri e che continuerà ad essere una caratteristica della letteratura.
Qui però vogliamo soffermarci su un particolare aspetto che riguarda i Maigret, ma non solo. Cioè come Simenon abbia trasposto nel metodo d'indagine del suo commissario la propria procedura di elaborare, concepire e realizzare un romanzo.
Partiamo da una intervista fatta allo scrittore da Roger Stephane nel 1963. Le domande vertono su numerosi argomenti e ad un certo punto si parla della maniera in cui Simenon scriveva i Maigret in contrapposizione con i romans durs.
"- Quando scrivete un Maigret conosciete già la trama della vicenda?
- No, no e no.
- Quindi la costruite passo dopo passo?
- Ma certamente! Altrimenti credo che non mi interesserebbe più. E questo sarebbe un male. Bisogna che attraversi le stesse angosce di Maigret, e, come lui, di solito al quinto o sesto capitolo, io passo un momento difficile; mi trovo davanti a tre, quattro, cinque soluzioni diverse e mi domando quale sarà quella giusta. Perché ce n'é soltanto una giusta. E generalmente si tratta del giorno più difficile, quello in cui la decisione inidrizzerà tutto il resto del romanzo...".
Ecco un'altro punto a favore della tesi che abbiamo già altre volte sostenuto. Non c'è differenza tra i Maigret e i non Maigret. Infatti anche quando Simenon scrive i romans durs non sa bene dove andrà a finire. Sappiamo che cade nel cosidetto état de roman, provocato da qualche particolare, un odore, una forma, un colore, che poi si agganciano magari ad un ricordo che poi fa da aggregatore di altre cose, personaggi, luoghi, vicende che danno il la. Quindi si fa guidare da quello che man mano é il concatenarsi di questi elementi, che prendono corpo e maggior definizione, e che fanno procedere la trama in un verso o in un altro.
Ma anche il commissario procede in questo stesso modo, nelle sue inchieste. All'inizio si trova spaesato in un ambiente che non conosce, a contatto con persone mai viste, alla ricerca della soluzione di un mistero.  E a quel punto gli succede (o meglio è Simenon che lo fa succedere) di passare un periodo apparentemente di inattività. Ma in realtà é la corrispondente esperienza dell'état di roman dello scrittore. Il commissario si fa impregnare da quell'ambiente, dagli umori, dalla mentalità del posto, dalla psicologia dei personaggi, dalle loro dinamiche interpersonali, dall'atmosfera che si respira, finché.... Finché non entra nella pelle di quelle persone, finché non ragiona come loro, finché non riesce a comprendere i loro animi, perché è diventato come loro. E qui è il momento più difficile dell'indagine, quando Maigret coglie un barlume, uno spiraglio che gli fa intravedere la soluzione e qui deve decidere quale direzione dare all'inchiesta per poi passare all'azione.  
Insomma Simenon deve entrare nella pelle di Maigret (come degli altri suoi personaggi) e fa entrare il commissario nella pelle dei suoi sospettati... come dire che il "metodo Maigret", non è altro che un "état de roman".