sabato 4 giugno 2011

SIMENON. RITRATTO DI BALZAC

Nel 1960 Simenon scrisse Portait-souvenir de Balzac. Era un argomento che gli era stato chiesto da Stephane e Darbois di cui avrebbe dovuto parlare in televisione. Si tratta di poco più di una ventina di pagina, in cui traccia una sintetica biografia dell'uomo, dei suoi aspetti più caratteristici, ma con la quale  Simenon approfitta per marcare le differenze tra lui e il romanziere ottocentesco, nonostante che dopo l'affermazione di Gide (possiamo dire che Simenon sia il Blazac del '900), questo connubio gli fosse rimasto appuntato addosso quasi come una medaglia. Quindi prende le distaze, anche se poi cita dei tratti che non sono dissimili dai propri. Balzac scrisse Papa Goriot in tre giorni. Balzac rovinò la sua vita per riuscire nella letteratura. Balzac pubblicò a volte sei o addirittura otto romanzi l'anno. Balzac si sposò per raggiungere quell'equilibrio che non trovava in sé stesso.
In questo ritratto c'è anche una prefazione di Simenon in cui ribadisce: "...io non credo di avere alcun punto in comune con il romanziere de La Comédie humaine, se non forse la prolificità...".
Ma c'è un'altra cosa che a Simenon preme dimostrare. Il suo concetto di romanziere, proprio attraverso l'esempio di Balzac (in cui evidentemente si ravvisa un'altra analogia), che afferma non essere un lavoro come un altro. O per lo meno lui non lo percepisce così e questa spiegazione la dedica a: "...tutti quelli che scrivono i loro romanzi per piacere, per vanità, o nella speranza di un guadagno facile, ai professori, agli uomini politici, alle ragazze o alle giovani mogli che vogliono farci conoscere le loro idee e le loro piccole esperienze e anche a tutti quelli che credono che il mestiere di romanziere sia un mestiere come un altro..."
Simenon insiste sulla sua impellenza a scrivere, sullo stato di malessere in cui si viene a trovare e da cui ne esce solo scrivendo un romanzo, su quella sorta di imperativo che gli viene dal più profondo dell'animo. Come si fa a paragonarlo ad un lavoro qualsiasi?
E infatti chiude la sua prefazione con un sorta di auspicio: "...possa io dimostrare a tutti, attraverso Balzac, che essere romanziere è una vocazione, se non una maledizione o addirittura una malattia...".

venerdì 3 giugno 2011

SIMENON. LA VENDETTA DI DENYSE: UN LIBRO

Un oiseau pour le chat. Letteralmente Un uccello per il gatto. E' il titolo allusivo e molto poco metaforico che Denyse Simenon scrisse nel '78. Con una sorta di legge del contrappasso voleva punire suo marito (non aveva mai voluto divorziare e il suo cognome rimase Simenon) descrivendone i tratti più intimi e meno edificanti, facendosi aiutare da gosth-writer e lavorando in parte di fantasia. Simenon lo definì "buono per gli psichiatri" e in questo giudizio c'era tutta la sua riprovazione, ma anche la pena per un donna che aveva profondamente amato, ma che poi, minata dall'alcolismo e dai suoi problemi pschici ,era diventata un'altra persona, sempre bisognosa di cure, dall'equilibrio instabile e animata da un forte risentimento nei confronti del marito.
Per qualcuno la convivenza di quasi vent'anni con Simenon, non era estranea allo stato in cui si era ridotta. Ma si parla molto anche del suo carattere instabile, delle reazioni al complesso di inferiorità nei confronti del marito, che soprattutto nelle occasioni pubbliche calamitava l'attenzione di tutti, lasciandola in un cono d'ombra.
La scelta del libro, che si abbinò ad una serie di azioni giudiziarie che Denyse intentò contro Georges, era quindi il modo per ripagarlo di tutti quegli anni passati con lui che aveva dato la precedenza alla protagonosta della sua vita, la scrittura.
Denyse non lo accettava, anche se sapeva che nessuno, forse nemmeno i figli, avrebbe potuto rappresentare per il romanziere una ragione di vita più importante della letteratura. E anche lei si sentiva continuamente in secondo piano. Questo però è vero solo in parte. Simenon cercava di essere più vicino possibile alla famiglia, non era un amante della vita mondana, non frequentava il mondo letterario. Certo aveva questa spinta compulsiva sessuale che lo portava alla continua ricerca di donne, ma anche qui Denyse cercò di assecondarlo, addirittura accompagnandolo, quasi per non perderne il controllo. Ma Simenon non era tipo da farsi controllare da nessuno, nemmeno da sua moglie.
Sta di fatto che, aldilà della conclusione drammatica della loro storia, con tutti i problemi e gli strascichi giudiziari, rimane questo libro. Uno dei gosth-writer che l'aiutarono raccontò che una delle ossesioni di Denyse era quella di dimostrare di sapre scrivere meglio del marito.
Più che i contenuti del libro a far rumore quindi fu il notevole colpo mediatico: la vera "signora  Maigret" pubblicava un libro sui segreti del marito! E solo questo bastò per scatenare la bagarre dei media che comunque Simeon incassò tutto sommato bene. Chi ne soffrì molto fu invece la figlia, Marie-Jo, la quale dopo un mese morì, suicidandosi.

mercoledì 1 giugno 2011

SIMENON. "L'AFFAIRE SAINT-FIACRE", E' ROBA DA JEAN GABIN

L'affaire Saint-Fiacre è una delle inchieste del commissario Maigret della serie Fayard uscito nel 1932. Da questo libro  Jean Delannoy trasse nel 1959 una trasposizione cinematografica (Maigret et l'affaire Saint-Fiacre) interpretata dal grande Jean Gabin e Valentine Tessier. In questo video un esempio della bravura dell'attore francese, per ben tre volte nei panni di Maigret sul grande schermo. (Youtube da )

martedì 31 maggio 2011

SIMENON. ACCADEMIE, ACCADEMICI E PREMI LETTERARI

Il rapporto tra il mondo letterario e Simenon non è sempre stato idilliaco, tanto che lui stesso amava ripetere che avrebbe frequentato più volentieri un congresso medico che uno di letterati. Si teneva infatti lontano dai salotti, dalle compagnie e dalle congreghe fatte di scrittori, critici e i cosiddetti uomini di lettere. Anche con i suoi editori aveva sempre tenuto un po' le distanze, niente rapporti amichevoli, solo relazioni di lavoro (cosa di cui fece le spese anche Gallimard).
Peggio ancora con le istituzioni letterarie e ancor meno con le accademie.
"...Quando Mauriac mi propose nei suoi Bloc-notes  di entrare nell'Accademia francese, domandandoi di assumere la doppia nazionalità, io ho risposto di no - racconta Simenon a Bernard Pivot -  Innanzitutto non voglio la doppia nazionalità e soprattutto non voglio infilarmi nei panni dell'esattore di banca...".
D'altronde Simenon infatto aveva rifiutato più volte la nazionalità francese. Voleva restare belga. Forse per questo si fece convincere nel '52 ad entrare nell'Accademia Reale del Belgio. Come scrisse su Quand j'ètais vieux, non era però contento "...mi hanno forzato la mano...Vi ho messo piede una sola volta... " E spiegò in un lettera: "...detto tra noi, vi giuro che questo non mi ha fato certo piacere, ma io ho approfittato di questa occasione per dimostrare ai miei compatrioti che sono rimasto uno di loro...".
E nei confronti dei premi letterari Simenon aveva un'avversione non da poco. Stigmatizzava con forza quei consessi dove un gruppo di persone per i motivi più vari si riunisce per decidere chi premiare: " ...vi giuro che ho iniziato ad odiare davvero la letteratura e tutto quello che essa comporta. La parola odio potrebbe sebrare un po' troppo forte. Ma l'dea che nove o dieci scrittori si riuniscano intorno ad un tavolo per leggere il miglior romanzo dell'anno (?), che un certo numero di vecchie signore facciano altrettanto in un ristorante, che anche dei giornalisti si mettano a giudicare, mi pare inaccettabile..."
Altro atteggiamento verso il premio dei premi, il Nobel che, aldilà delle smentite, Simenon avrebbe davvero voluto ricevere.
Scriveva infatti nel '51 al suo editore (Sven Nielsen): "...Giuro che sarei davvero onorato di essere uno premio Nobel. E' infatti la sola onorificenza alla quale ho sempre attribuito un certo valore...".
Ma nel '61 già parlava diversamente: "...Qualche anno fa' il Nobel mi avrebe fatto piacere. Oggi non sono più sicuro che l'accetterei..."
Nel '73 la sua posizione su Nobel si é completamente ribaltata : "...A quarantacinque anni l'avrei accettato. In questi utimi anni i tedeschi e gli americani si sono dati da fare affinchè fossi candidato al Nobel. Ho tagliato corto, non l'avrei accettato per nessuna ragione...".

lunedì 30 maggio 2011

SIMENON. COSA NE DICEVA ANDRE' GIDE

Che Gide fosse un ammiratore di Simenon è cosa nota. Ma come si sono conosciuti? Beh, intanto erano entrambe scrittori per Gallimard. Che sia stato patron Gaston a farli incontrare o che sia stato Gide a sponsorizzare l'entrata di Simenon nella case editrice, poco cambia. L'ammirazione che il premio Nobel nutriva per il romanziere e soprattutto la fiducia per le sue future possibilità era davvero notevole.
In una delle sue prime lettere a Simenon Gide scrive:"...Ho appena letto uno dopo l'altro nove dei suoi libri, ovvero tutti gli ultimi pubblicati...Inoltre ho voluto tornare indietro e dalla collezione Fayard, ho ritirato fuori Le fou de Bergerac, Au rendez-vous de Terre-Nuevas, che ancora non conoscevo... I libri mi hanno colpito notevolemente Le cheval blanc che ho finito proprio ieri sera e di cui poco fa ho letto ad alta voce una serie di pagine a Jean Schlumberger e poi subito a Roger Martin du Gard..."
Ma non fà dichiarazioni di ammirazione solo in privato, infatti Gide ne scrive anche nel suo Journal: " ...leggo soprattutto in tedesco e in inglese; ho appena divorato, uno di seguito all'altro, otto libri di Simenon al ritmo di uno al giorno (una seconda lettura per Long cours, Les inconnues dans la maison e Le pendu de Saint-Pholien).

E ancora, rivolgendosi a Simenon: "Lei avrebbe certo riso a vederci, nella stessa stanza, immersi nella lettura, Richard Heyd di Lettre à mon juge e Jacquelin H. di Il pleut, bergére... Jean Lambert, mio genero, leggeva Le haute mal; Catherine, mia figlia, Le bourgomastre de Furnes e io... in quindici giorni riletti dodici dei suoi primi libri. Gallimard é stato così gentile da spedirci quattordici suoi volumi; inoltre nelle librerie di qui tutti i Fayard disponibili (pensare che non avevo ancora letto Les fiancailles de M.Hire!). Aggiunga poi i volumi della nuova serie, sia quelli comprati qui, sia quelli che ci ha mandato lei (grazie!), divorati in breve tempo... Ero pieno di lei e lo sono ancora".
E infine gli scriverà nel '42 "Lei ci sorprenderà. Ne ho il presentimento; resto in attesa".
Più di così.

domenica 29 maggio 2011

SIMENON E CERVI... CHEZ MAIGRET

"...Ormai le  posate erano incrociate sui piatti, il sauternes era agli sgoccioli e M.me Maigret si dava da fare per sparecchiare la tavola.
- Signori che ne dite di andarci amettere comodi in salotto e magari farci una fumatina? - li invitò Maigret.
I tre sedettero sul sofà. Maigret e Simenon si diedero da fare per accendere per accendere ognuno la sua pipa. Più lunga e sottile quella dello scrittore, massiccia e capiente quella del commissario.
Cervi li osservava...
- Lei non fuma? - chiese un po' stupito il padrone di casa.
- Ho dimenticato la mia pipa... Beh io non sono un accanito fumatore di pipa come voi. Ho iniziato mentre giravo gli sceneggiati poi un po' ci ho preso gusto....anche perché mi hanno regalato tante di quelle pipe! Ogni occasione era buona: un compleanno, una festività, una ricorrenza...zac!...arrivava invariabilmente una pipa. Prima avevo fumato sempre sigarette, ma anche in questo caso mai più di una decina al giorno.
-Ah, questa è bella! Non lo sapevo proprio... - fece sorpreso Maigret - Non aveva mai toccato una pipa? Ha sentito Simenon?
- Mai... ve lo assicuro... - confermò Cervi.
- Eppure ho visto qualche puntata dei suoi sceneggiati... - riprese il commissario  - Lì fumava con una naturalezza, trattava la pipa con una dimestichezza che... complimenti lei é un ottimo attore.
Cervi era lusingato, ma si sentiva un po' a disagio tra quei due fumatori incalliti che si scambiavano curiosità, consigli, gusti...

- ...Sono stato alla Dunhill... - raccontava Simenon - Una volta ho chiesto loro una certa mistura e  poi hanno continuato a fornirmela in omaggio. L'hanno chiamata "Maigret Cut"...
- Ah, così lei fumava a sbafo un tabacco con il mio nome! - celiò Maigret - E io che non ne sapevo nulla...
- Beh non le piacerebbe...
- Già, quelle misture inglesi con tutto quel Latakia, sono troppo aromatizzate... troppo lavorate. Io preferiscco lo scaferlati gris, quelo della Caporal, un bel trinciato grosso con tabacchi sud-americani, senza tanti additivi. E poi la pipa deve essere bella grossa, con un fornello capiente...a me piace dare delle belle boccate... e farmi delle lunghe fumate...
- No, io preferisco le pipe dritte, con un cannello abbastanza lungo, così fumo più fresco...
- E invece lei, Cervi? come ha fatto a fingere così bene... - chiese Maigret, sbuffando un funo denso e azzurrino dopo un intensa boccata.
-Ma sa, questo è il mestiere dell'attore. Bisogna imparare di tutto. A tirare di scherma, a cavalcare, a bere come un vecchio ubriacone... per la pipa é stata la stessa cosa...
Intanto M.me Maigret, sistemata a sala da pranzo, aveva schiuso la finestra del salotto, in cui andavano addensandosi nubi di fumo e ora offriva una prunella d'Alsazia fatta da sua sorella che viveva da quelle parti..." (Chez Maigret - ElleU - 2003).