domenica 22 maggio 2011

SIMENON. SI SCRIVE MAIGRET, MA IN ITALIA SI PRONUNCIA CERVI.

Dalle nostre parti Maigret ha la faccia di Gino Cervi. Almeno per i molti che per ragioni anagrafiche hanno potuto vedere gli sceneggiati prodotti dalla Rai tra la metà degli anni sessanta e i primi anni settanta, oppure le repliche che sono state riproste nel corso degli anni. E poi, ma forse per un pubblico in parte sovrapponibile al suddetto, varie edizioni, prima su videocassetta, poi più recentemente su dvd, che la Rai stessa e altre case editrici hanno riproposto a più mandate, riscontrando sempre un notevole successo.
Si è più volte detto, in base a quanto scritto in un'intervista dell'85 a Giulio Nascimebeni, che Simenon avesse affermato che il Maigret di Cervi era quello che preferiva. Questo non è povato. In altre parti lo scrittore si era espresso invece per l'inglese Rupert Davies, come miglior interprete non francese. In realtà non lo interessavano le riduzioni televisive delle sue inchieste di Maigret, come non lo appassionavano le produzioni cinematografiche tratte dai suoi romanzi. Motivo? Quello che vedeva realizzato non lo soddisfaceva mai, perché si trattava di qualcosa che lui aveva creato e su cui poi qualcun'altro metteva le mani, più o meno arbitrariamente, modificandolo a suo gusto e piacimento.
L'unico di cui disse qualcosa di confermato fu Jean Gabin, commentando "Dopo aver visto al cinema il Maigret di Gabin e di Delannoy (il regista), ogni volta che mi metto alla macchina da scrivere per una nuova inchiesta del commissario, mi viene sempre davanti la faccia di Jean... Ho paura che prima o poi mi venga a chiedere i diritti!..". Tra l'altro tra Simenon e Gabin c'era un certa amicizia personale, avendo l'attore interpretato una decina di film tratti dai suoi romanzi.
Ma torniamo in Italia e a Gino Cervi. Come mai entrò così bene nella parte del commissario e nell'immaginario collettivo degli italiani? Tenendo poi conto che Cervi partiva un po' svantaggiato. Infatti lui era un bravo attore di teatro, tanto da iniziare a calcare le scene nel '21 e da essere già nel '24 chiamato dalla Compagnia del Teatro d'Arte di Pirandello. Ma era anche un grande attore di cinema (circa 120 film in tutta la carriera) e il suo handicap era di aver già interpretato un personaggio molto popolare. Come non ricordarsi del famoso sindaco comunista nella serie cinematografica Don Camillo e l'onorevole Peppone, dove Cervi vestiva i panni del sindaco comunista di un paese della bassa pianura padana e litigava di continuo con il parroco interpretato da Fernandel?
Era il 1952 e quel film divenne il primo di una serie di cinque (fino al 1965) che gli dette grande popolarità in Italia, ma anche in Francia. Insomma per il grande pubblico, non certo per quello che lo seguiva a teatro, Cervi si indentificava allora con il sindaco comunista, burbero campagnolo, sanguigno, non molto istruito, protagonista delle pellicole tratte dai libri di Giovannino Guareschi.
Ormai in quegli anni la televisione aveva iniziato ad essere un mezzo in forte competizione, e spesso vincente, con la radio, il cinema, il teatro. E i suoi successi contavano milioni di telespettatori. Cervi s'imbarcò in questa avventura, anche se non con poche garanzie. Il regista era Mario Landi, le sceneggiature uscivano dalle mani di Diego Fabbri e il delegato alla produzione Rai era un allora sconosciuto ai più Andrea Camilleri.
La serie si rivelò subito un grande successo e con quegli sceneggiati Cervi riuscì quasi a farsi dimenticare come Peppone, ma si identificò come commissario Maigret nell'immaginario collettivo di milioni e milioni di italiani. Tanto che la Mondadori, che allora pubblicava in esclusiva le inchieste del commissario, commissionò al grande disegnatore Ferec Pinter delle copertine dove Maigret aveva le fattezze di Cervi. I cinema sistemavano in sala i televisori, quando la Rai trasmetteva le puntate del commissario, per non perdere pubblico in quelle serate in cui vennero raggiunti picchi di diciotto milioni di spettatori.
Ma Cervi perchè ebbe tanto successo come Maigret?
Certo non si può trascurare la consumata bravura dell'attore, la precisa regia, l'ottima sceneggiatura e il cast di attori di livello, quasi tutti di origini teatrali che lo affiancavano.
Ma a nostro avviso c'è un altro motivo. L'analogia tra il personaggio Maigret e l'uomo Gino Cervi. Simenon fa nascere Maigret a Saint-Fiacre, una località di campagna nell'Allier e il piccolo Maigret cresce con i valori schietti e le abitudini semplici di chi allora viveva in piccoli centri o a contatto con la natura. Cervi era nativo di Bologna, ma da buon emiliano aveva anche lui un certo rapporto con la campagna e i valori genuini. Chi per necessità (Maigret) chi per seguire la passione (Cervi), tutti e due interrupperò gli studi. A ventiquattro anni iniziarono a lavorare: Maigret viene assunto in Polizia e Cervi entra nella compagnia di Pirandello. Si sposano pressappoco alla stessa età Maigret a 25 anni e Cervi a 27. Hanno entrambe la tendenza ad essere una buona forchetta e buoni bevitori.
La pipa no. Cervi non aveva mai messo in bocca un pipa prima di interpretare Maigret. Eppure il suo modo di fumarla appare molto naturale (come ogni fumatore di pipa, sottoscritto compreso, vi potrà confermare), ma qui valeva la sua bravura d'attore.
Tutto ciò, secondo noi, ha permesso a Cervi di entrare facilmente nel personaggio di Maigret, aiutato anche da una certa confidenza con la Francia, per aver lavorato con molte produzioni cinematografiche francesi e aver fatto in quel paese anche delle tournée teatrali. Inoltre anche fisicamente la sua figura massiccia di quegli anni era lo specchio di quella di Maigret.
E come accennavamo prima, a distanza di quasi quarant'anni dall'ultima puntata, le inizative editoriali che portano in edicola i dvd delle sue quattro serie (sedici sceneggiati) fanno ancora successo, come i Maigret ogni volta che escono in libreria.
Insomma dopo tanti anni potremmo davvero dire che il Maigret di Cervi è ormai un classico televisivo.

sabato 21 maggio 2011

SIMENON. IL DOLORE PIU' GRANDE: MARIE-JO SI UCCIDE /2

Ieri ci siamo occupati del suicidio della figlia di Simenon, delle sue modalità e di come la giovane arrivò a quel drammatico gesto. Non siamo certo i primi che ce ne occuppiamo, come potrete immaginare questo fatto così traumatico, ebbe  una grande influenza su un padre anziano (74 anni) e l'intreccio di fattori concorrenti è stato più volte analizzato, anche se come in questi casi è poi molto difficile arrivare a delle conclusioni univoche e chiarificatrici.
Gli psicoanalisti dicono che quasi sempre le cause di un gesto del genere va ricercato nell'infanzia, nel rapporto con i genitori, in avvenimenti traumatici che sono stati vissuti nellarima età. Ma poi vanno considerati fattori che sono differenti da caso a caso.
Proveremo comunque a sintetizzare le varie ipotesi e le varie vicende che tra biografi e specialisti emergono dalle testimonianze dei protagonisti di questa amara vicenda.
E allora andiamo al 1955. La piccola aveva due anni appena e lui aveva l'abitudine, la mattina prima di uscire, di andare a sollevarla ed abbracciarla. Un gesto d'affetto e d'amore che tanti padri fanno. Una mattina invece, per una serie di contrattempi, questo piccolo rito quotidiano non poté essere celebrato. Quando Simenon dopo una mezz'ora tornò trova un dramma. C'è un dottore e le donne della casa, la madre Denyse, la Boule e la nurse in pianto. Il motivo era una sorta di sincope che aveva colpito  Marie-Jo, che giaceva semisvenuta con un colorito cadaverico. Appena lo vide, il dottore spinse il padre a prenderla in braccio e coccolarla. La piccola infatti si riprense, sorrise e, quando si rese conto di essere in braccio al padre, disse con filo di voce: " Mai più questo, Dad...", e poi dirà che la mamma non ha voluto abbracciarla. Questo innescherà una polemica tra moglie e marito che si scambieranno vicendevolmente la responsabilità di quello che è successo, anticipando singolarmente le posizioni che assumeranno quando la figlia si suiciderà.
Comunque da questo avvenimento emerge tutta la fragilità della piccola e, diremmo quasi la sua dipendenza dal padre. E d'altronde strane manifestazioni danno da pensare. La bambina soffriva di febbri che i pediatri non si spiegavano, dimostraav in vari modi la paura che il padre potesse non amarla più. Per di più  quando Simenon in ètat de roman, si isolava per una settimana-dieci giorni per concentrarsi sulla scrittura, le crisi di Marie-Jo si intensificavano.
Altro fatto più volte riportato è la storia dell'anello. Un giorno, Marie-Jo aveva otto anni e la famiglia già viveva in Svizzera, padre e figlia fecero un giro per il centro di Losanna. Georges aveva intenzione di fare un regalino alla figlia e, davanti alla vetrina di una gioielleria, le mostrò alcuni anellini da bambina. Ma Marie-Jo aveva le idee ben chiare. Voleva una fede, come quella che portava il padre, una fede nunziale.
Sul momento Simenon non dette peso a quello che poteva motivare quella richiesta che poteva sembrare solo un piccolo capriccio infantile e lo assecondò. Ma negli anni seguenti ebbe modo di consatatare l'attaccamento di Marie-Jo a quell'anello, tanto più che al tempo lei volle che fosse il padre ad infilarglielo al dito. Altro gesto simbolico al quale la figlia dette un significato molto particolare che invece il padre sottovalutò.
Altro avvenimento traumatico per la bambina si verificò a undici anni.
In vacanza sulla neve a Villars-sur-Ollon con la madre (appena uscita da un perido di cura alla clinica Prangins). La vacanza si trasforma in un trauma per Marie-Jo. Qualcosa successe tra madre e figlia, qualcosa che colpì fortemente la bambina e che forse segnò il suo ingresso in uno stato patologico permanente.
Non parlò a nessuno dell'accaduto, si rinchiuse in sé, iniziò ad avere manìe e atteggiamenti compulsivi. Si saprà poi, grazie ad una di quelle cassette che Marie-Jo incideva e inviava al padre a Losanna, che la madre si esibì davanti a lei in un scena di autoerotismo. Marie-Jo racconta "...tu mi hai detto (riferendosi alla madre) che io non sarò mai più capace nella mia vita di essere una vera donna davanti ad un uomo, perché conserverò sempre la tua immagine, l'immagine del tuo sesso aperto davanti a me, l'immagine delle tue dita che cercano il piacere ....mentre ci guardavamo rispettivamente negli occhi...".
Da quel momento Marie-Jo entrerà e uscirà da cliniche, case di cura, si sottoporrà a cure e a sedute di psicoanalisi, ma il suo senso di inadeguatezza e di sarrimento non cesserà. Subirà anche la statura letterararia del padre (di cui lesse quasi tutti i libri) che inevitabilmente frustrava le sue ambizioni di scrittrice. Ma non riuscirà a trovare una sua strada, provò ad esempio a fare l'attrice, ma la sua ansia e la sua insicurezza ben radicate, provenivano da lontano e le precludevano scelte concrete e gratificanti. Forse addirittura dall'infanzia, quando dovette vivere quell'atmosfera infernale determinate dalle interminabili liti tra i genitori, tra l'altro in un momento in cui entrambe facevano abuso d'alcol.
Tutto questo concorse poi alle fughe dalle cliniche, ai tentativi di suicidio, alle scelte sbagliate nella ricerca di un compagno, ai comportamenti sempre più ossessivi compulsivi, alla comparsa di vere e proprie fobie come quella per la pulizia, all'incapacità di gestire il proprio tempo e agli eccessi di perfezionismo.
Simenon ne era cosciente da tempo, ma si sentiva inadeguato e disarmato di fronte a questa tragedia. Una frase sintetizza questo suo stato: "Volevo amarla, ma non sapevo in quale modo". Nel periodo più critico poi lui era ormai vecchio, fragile, non in buona salute, lui a Losanna lei a Parigi, così lontano non poteva che sentirla per telefono o scriverle lettere. Avrebbe voluta aiutarla meglio, ma, come aveva detto già altre volte, si sentiva come un nonno per quelli che invece erano i propri figli. Ormai le sue risorse e le sue forze personali erano molto ridotte e non poté che apprendere impotente del suicidio della figlia. Gli rimanevano da vivere poco più di una decina d'anni, ma la sua vita non fu più la stessa. Era il 20 maggio 1978.

venerdì 20 maggio 2011

SIMENON. IL DOLORE PIU' GRANDE: MARIE-JO SI UCCIDE /1

Proprio il 20 maggio di trentatre anni fa', l'unica figlia femmina di Simenon, a Parigi, si sparava un colpo di rivoltella al cuore. Aveva 25 anni.
Lo scrittore lo apprende il giorno dopo a Losanna, da una telefonata del figlio Marc. Era stato lui infatti che, chiamandola più volte il 20 e non avendo risposta, si era preoccupato, aveva raggiunto Parigi. Lì tentò di aprire la porta dell'appartamento che però era chiusa a chiave dall'interno. Dovette chiamare i vigili del fuoco che abbatterono la porta e lì trovarono il corpo di Marie-Jo, riverso a terra, senza vita.
Marie Georges Simenon aveva già tentato il suicidio nel maggio del '75.
La ragazza aveva problemi di depressione e psicologici che l'avevano portata per un periodo alla clinica Villa des Pages, dove si curava e passava la notte, ma durante la giornata tornava a casa. In quell'occasione aveva prima ingerito un notevole dose di barbiturici e poi, in extremis, aveva chiamato il pronto soccorso.
Allora aveva lasciato una lunga lettera d'addio al padre dove si rammaricava di farlo soffrire con quel gesto, ma che era necessario perchè non riusciva più a lottare contro i suoi fantasmi, a sopportare le proprie contraddizioni, a superare l'incapacità di stabilire dei rapporti con gli altri... Completavano il quadro i suoi sogni infranti, le sue velleità, la vana ricerca di qualcuno che la comprendesse...
Una fragilità che cercava spesso spesso un appoggio e un sostegno dal padre, anche se ormai vecchio, anche se lontano (lei a Parigi e lui a Losanna), con il quale aveva un rapporto fatto di telefonate, di lettere... E di quel padre lei ne aveva idealizzato quella figura. 
"...Non ho mai saputo davvero parlare veramente con una persona! Ma adesso devo avere il coraggio della mia vigliaccheria, della mia incapacità di affrontare la vita...Non voglio essere più di peso a nessuno... E poichè non so amare, come pare si debba amare, perché dibattermi per rimanere in un mondo che mi angoscia e nei confronti del quale mi sento disarmata?...". La lettera inziava con un "Mio, caro, grande, amato Dad" e finiva con "La tua 'bambina' Marie-Jo".
Ma quel campanello d'allarme suonò invano. Oppure era solo il prologo di un'inevitabile processo di autodistruzione.
Ancora case di cura, ancora periodi di esaltazione e depressione. Il padre le comprò una nuova casa-studio in centro a Parigi, convinto che quello fosse il posto giusto per lei...A dicembre '77 sembrava essersi davvero ripresa e si interessava dell'allestimento della nuova casa. Continuavano le telefonate tra padre e figlia, quasi con frequenza quotidiana, si scrivevano lettere e Marie-Jo incideva e gli spediva anche numerose audio-cassette. A febbraio '78 andò a Losanna dal padre. Poi iniziò un periodo oscuro, durante il quale uscì il libro scritto dalla madre Denyse che era tutto un'accusa a Siemenon, spesso e volentieri con argomenti inventati e infamanti.
La cosa ferì molto Marie-Jo che chiese al padre di non rispondere a quelle malignità. In realtà un settimanale femminile pubblicò una vecchia intervista allo scrittore che, abilmente manipolata, sembrava una risposta per le rime al libro. Ma per avere una smentita ci volle tempo, era tardi per il numero successivo e occorrerà attendere ancora. Il 16 maggio Marie-Jo vede sua madre che, in linea con la sua stravaganza, si mette nuda davanti a lei per mostrarle le cicatrici di tutti i suoi interventi, e metterla in guardia di come si è quando si diventa vecchie.
Il 19 mattina chamata al padre, la linea è disturbata e Simenon non sente più bene. Ma il succo di tutto sembra sia che Marie-Jo volesse sentire il padre dirle "Ti voglio bene". E così fu.
La comunciazione successiva fu quella di Marc. Marie-Jo non c'era più.

giovedì 19 maggio 2011

SIMENON FESTIVAL 2011. EDIZIONE XIII A SABLE D'OLONNES

Come ogni anno, anche nel 2011 a Sable d'Olonnes si svolgerà la tredicesima edizione del festival Simenon. Da sabato 11 a domenica 19 giugno si susseguiranno una serie di manifestazioni nell'ambito dell'iniziativa che quest'anno avrà come titolo "Simenon un vandeano di passaggio" In effetti lo scrittore ebbe modo di vivere in Vandea alcuni d'anni, tra Neuil-sur-mer e Fontaney-le-Comte.
Il festival si presenta ricco di iniziative interessanti e divertenti, proponendo luoghi e modalità tipiche dell'atmosfera simenoniana, unendo a letture di brani, proiezione di film e telefilm tratti dai suoi libri anche concerti, balli e grande tavolate.
L'inaugurazione è affidata ad un aperitivo in un locale da nome evocativo per gli appassionati simenoniani La Guinguette a dex sous, una cena e poi un ballo popolare per chiudere la serata.
Tra le altre proposte del festival vi segnialiamo la proiezione del film Le président, con Jean Gabin (martedì, 20.30 al Grand Palace), oppure le letture dei testi di Simenon (mercoledì, 15.00-16.00 al Bar à Manger). Lo stesso giorno un interessante confronto tra i due Maigret televisivi francesi, di cui saranno tramessi gli sceneggiati tratti dallo stessa inchiesta Maigret chez le ministre intrpretati sia da Jean Richard che poi da Bruno Cremer (17.30 e 20.30 al  Grand Palace).
E ancora il venerdì 17 all'auditorium St. Michel una rappresentazone teatrale di Lettre à ma mére.
Le manifestazioni in programma sono ancora molte, altri film e telefilm maigrettiani, e poi ancora concerti, letture e iniziative varie.
Esiste un sito ufficiale del festival http://www.festival-simenon-sablesolonne.com/festival.php che però, almeno ad oggi, non riporta ancora il programma dell'edizione 2011, ma che vi può dare un'idea della storia di questa manifestazione.
Dove troverete invece un programa dettagliato è il sito dell'Ufficio del turismo di Sable d'Olonne http://www.ot-lessablesdolonne.fr/decouvrir/fetes-et-animations/%C3%89venements-2011,1,1,648.php
 



mercoledì 18 maggio 2011

SIMENON. FOTOGENICO O FOTOFANATICO ?

Sono tante. Le immagini fotografiche di Simenon, almeno da quando viveva a Parigi documentano, potremo dire, passo passo la sua vita, la sua scalata alla popolarità, i suoi spostamenti e i numerosi viaggi.
Abbiamo già detto che Simenon era molto attento alla comunicazione, o meglio alla comunicazione di tutto ciò che lo riguardava, e la fotografia era il mezzo più immediato, a volta più espressivo e completo per far passare un messaggio. 
Non scordiamo che fu lui a puntare i piedi perché Fayard, per la prima collana dei Maigret, utilizzasse delle copertine fotografiche, assolutamente inedite per l'epoca.
La fotografia insomma sembra fosse tenuta in una notevole considerazione dallo scrittore.
Però, se dovessimo dar retta a quanto scriveva, dovremmo affermare il contrario.
Mentre era in America, a Brenton Beach infatti in una lettera a Frédric Dard si lamentava "Ecco io non ho foto. Ho sempre avuto orrore dei fotografi".
E' difficile dare credito a queste parole, quando constatiamo che quasi ogni momento della sua vita pubblica, ma anche di quella privata, è fotograficamente documentata.
Volete una foto del giovanissimo "Sim" alla macchina da scrivere? Eccolo bello in posa, sorridente, con la pipa in bocca. Lo volete un po' più maturo a 30 o 40 anni? Nessuna problema, anche qui con pipa in bocca o in mano. Appena anziano o già vecchio, sempre al tavolo da lavoro con le pipe, le matite, la busta giallla... tutto al completo? Ci sono anche queste. E nell'intimità, a giocare con Marc il primo figlio? C'é pure quella. E poi insieme a Jospehine Baker in una cave a far baldoria... Nessun problema, un bel gruppo dove è compresa anche la moglie Tigy. E ancora con Tigy e la sua femme de chambre in barca sui canali della Francia e non solo? A disposizione quante ne volete. E nel backstage dei film con Gabin? Un buona serie di scatti. Come pure con Fellini e Giulietta Masina a Cannes, c'è da scegliere. Molte foto anche con la seconda moglie Denyse. In America soprattutto, sui translatantici, nei quadretti familiari a Rock-Shadow-Farm con Denyse, Johnny e Marie-Jo. E poi lui. Lui scrittore al tavolo della creatività. Lui giovane dandy del giro culturale parigino. Lui nobil signore di campagna a La Richardière o a Fontenay-le-Comte. Lui in tenuta da cow-boy in camicia a scacchi, cappellone e stivali a sorvegliare una delle sue tenute americane. Lui con kepi e sahariana nel bel mezzo dei suoi viaggi nel cuore dell'Africa. Lui a Quai des Orfévres, fuori, dentro, nell'archivio, nella sala operativa, nell'ufficio del commissario capo. Lui ormai vecchio, quasi in carrozzina accanto all'ultima donna della sua vita, Teresa.
Insomma si potrebbe continuare quasi all'infinito. E per uno che affermava di odiare i fotografi, pare un paradosso. Sembra infatti che quando si verificasse qualcosa di importante, i fotografi lo sapessero e stessero lì pronti a coglierlo nella posa più significativa. Ma la cosa che fa davvero un certo effetto è che, in ogni foto che possiate vedere, con lui c'è sempre un pipa. O stretta tra i denti, o tenuta in mano, o poggiata vicino, o che spunta da una qualche parte, insomma siate pur certi che nell'inquadratura una pipa viene inevitabilmente fuori. Insomma, a parte le rare istantanee scattate quando Simenon era bambino, è quasi un sfida impossibile trovare un suo ritratto fotografico dove la pipa non sia in primo piano, come comprimario dello scrittore. E non crediamo fosse casuale. Averla con sé era così essenziale? Senza forse Simenon non si sarebbe sentito Simenon? Almeno in foto...

martedì 17 maggio 2011

SIMENON. MA MAIGRET NON SONO IO... OPPURE SI ?

"...No, è un'altra leggenda. Non mi identifico in Maigret. Non ho mai immaginato di somigliare a Maigret..." (intervista di R. Stéphane -1963)
La frase è di Simenon, perentoria e non ammetterebbe repliche o contraddittori. E' un argomento su cui molto si è scritto e si dibatte ancora. Certo come tutti i personaggi creati per essere seriali, quando Simenon mise insieme le caratteristiche di un commissario della polizia parigina, non poteva non corredarlo di alcuni tratti tipici di sé. Ma questo è un processo in cui prima o poi ogni scrittore si ritrova coinvolto più o meno consapevolemente.
Comunque il concetto non giudicare ma comprendere, caro a Simenon, e il motivo per cui il commissario era soprannominato il riparatore dei destini sono molto vicini, come non molto lontani sono certi giudizi formulati sull'alta società e la ricca borghesia dal romanziere e il sospetto e il disagio che procuravano al commissario. Insomma potremmo continuare, ma è proprio Simenon a mettere i puntini sulle "i".
"...Certo finisco per entrare nella sua pelle... le stesse reazioni. E' chiaro che quando Maigret ad un certo punto è seduto su una terrasse e sta per gustarsi un po' di sole e un bicchiere di birra, io condivido il suo umore... Ma non dò le mie idee a Maigret... Quando Maigret esprime un giudizio qualsiasi su un qualunque criminale non è necessariamente il mio. E' quello che deve ragionevomente avere un signore che da venticinque anni fà il commissario a Parigi...".
Inoltre c'è la questione dell'età, su cui Simenon è più volte tornato.
Quando ha creato il commissario, lo scrittore aveva ventisette anni mentre il suo personaggio era circa sui quarantacinque. Dal suo modo di vedere era quindi un signore di mezza età, grosso, un po' goffo, lontano dalla sua giovinezza, dal suo stato fisco e dal suo modo di pensare. Poi, passando gli anni, se lo è ritrovato coetaneo un suo pari di cui capiva maggiormente le abitudini, le reazioni, le debolezze. Infine (anche se ad un certo punto lo manda in pensione, ma poi nelle successive inchieste torna il commissario di prima) se lo ritrova più giovane di sè e assume nei suoi confronti un tono quasi paterno.
Poi, dopo aver negato di identificarsi con Maigret, in una chiacchierata con Francis Lacassin, nel 1975, si lascia scappare "... E' uno dei pochi, se non il solo personaggio che ho creato, che ha dei punti in comune con me. Tutti gli altri sono quasi tutti lontani da me..."

lunedì 16 maggio 2011

SIMENON AU CHATEAU COLONSTER. NON E' UN ROMANZO, MA E' MOLTO ISTRUTTIVO

Chateau Colonster, fa parte del campus unvesitario di Sart Tilmam (Liegi) ed è divenuta la sede della Fondazione Simenon. Sistemata al primo piano del Castello, si tratta di una grande biblioteca, che è anche un luogo di lavoro, dove sono raccolti non sono libri, ma una serie di documenti relativi a Simenon, alla sua opera e alla sua vita. Un paradiso per gli studiosi e i ricercatori che vi possono trovare una parte dei suoi manoscritti, un gran numero di edizioni in francese e in altre lingue dell'opera simenoniana, come anche le famose cassette dove lo scrittore incise i famosi Dictées. E ancora i "billets" che scriveva per la Gazzette de Liège, i racconti popolari sotto pseudonimo e moltissimi articoli che pubblicò durante la sua vita su vari giornali.  Poi la sua corispondenza con personaggi più o meno noti e con gli altri scrittori. Ritratti e studi critici di specialisti. Oltre 2000 fotografie e video di interviste, copie dei film tratti dai suoi romanzi. Insomma un vero paradiso  riservato agli studiosi e ai ricercatori, ma che su richiesta viene aperto, per esplicita volontà di Simenon anche ai visitatori, anche perchè a Colonster vengono conservati degli oggetti di grande interesse degli appassionati. Ad esempio alcuni elemeni del suo mobilio come le biblioteche, il suo tavolo da lavoro, il suo ufficio, la macchina per scrivere, le buste gialle, le matite... insomma una vera cuccagna.
Ma come è arivato qui tutto questo materiale?
Fu merito dello stesso Simenon che nel 1976 decise di fare una donazione di tutto quanto suddetto al professor Maurice Piron, docente dell'Università di Liegi che teneva delle lezioni sulla sua opera.
Ci spiega il romanziere:"Martedi 8 sono andato dal notaio con il professor Piron che tiene da due anni corsi su di me all'università. Insomma mi è venuta l'idea di fare dono alla mia città natale di tutto quello che un uomo della mia età ha potuto accumulare. Da martedì tutto questo non mi apparterrà più". (Tant que je suis vivant - Dictées - aprile-giugno 1976).
E da allora La fondazione svolge le sue attività per promuovere e divulgare in tutto il mondo la figura e le opere di Simenon, appunto fin dal '76, quando inizialmente aveva sede nella biblioteca dell'Università di Liegi.
Sotto la direzione di M.me Banjomee e grazie a contributo di Michel Lemoine, nel 1988 fu lanciata la rivista Traces, acronimo di Traveaux du Centre d'Etudes Simenon, dove vengono raccolti studi critici, saggi di specialisti e novità sull'universo simenoniano.


domenica 15 maggio 2011

SIMENON. UOMO DI LETTERE E DI... MARKETING

E' ormai noto che Simenon fosse un istintivo. Nella scrittura, nella vita, nei continui cambiamenti di casa, città, nazione... Seguiva spesso il suo lato irrazionale, anche se poi nelle sue abitudini di tutti i giorni era regolare, preciso e ordinato in modo quasi maniacale.
Questa istintività si traduceva anche nell'intuire quello che desiderava leggere la gente. Ad esempio, era stato l'unico a credere nel successo di Maigret, contro il parere di Fayard, degli editor, dei suoi amici critici. Quel personaggio, assolutamente fuori dai canoni dei protagonisti di successo della scena letterario-poliziesca di allora, non ispirava fiducia a nessuno e invece Simenon "sentiva" che sarebbe piaciuto.
Ma la sua sensibilità andava ancora più in là. Aveva un fiuto particolare per certe dichiarazioni, la situazioni originali e gesti particolari che provocavano una larga eco nell'opinone pubblica. Insomma potremo dire che aveva nelle vene una sorta di senso del marketing ante-litteram.
Alcune volte si buttava in situazioni un po' rischiose. Infatti qualche volta andava bene, altre male, ma questo non è significativo. E' invece importante che Simenon, il più delle volte, riusciva a sentire quello che avrebbe potuto funzionare. E gli esempi sono numerosi. Ad esempio nel '31 per la veste editoriale della prima serie dei Maigret, volle delle copertine completamente fotografiche. Una novità per l'epoca, una scelta che poteva sembrare adatta ad un pubblico evoluto e di gusti avanzati. Ma non fu così. Possiamo dire non solo che quelle copertine furono una delle componenti del successo dei Maigret, ma che di fatto fecero scuola, tanto che quella soluzione fu poi seguita da diversi editori.
Ma anche prima si era vaute avvisaglie di questa sua sensibilità. Ad esempio nell'affaire del romanzo nella gabbia di vetro che nel 1927 l'editore Eugene Merle gli propose (scrivere in pochi giorni un romanzo, chiuso in una gabbia di vetro su una traccia dettata dai lettori dei quotidiani della stessa casa editrice). L'annuncio dell'iniziativa fece rumore e aumentò la fama di "fenomeno" che già Simenon si portava dietro per l'ingente produzione letteraria e la rapidità con cui scriveva. Ma d'altra parte gli procurò commenti ironici dalla stampa e riprovazioni dal mondo letterario. L'evento poi non ebbe luogo. Ma se parlò e se ne scrisse ancora a lungo, come se invece si fosse realmente verificato. Questo da un lato portò fama allo pseudonimo d'allora, Georges Sim, ma non si può dire che fosse una pubblicità positiva.
Altro caso, la chiassosa festa, Le bal Anthpometrique, che nel 1931 Simenon volle organizzare alla Boule Blanche di Parigi per lanciare la serie dei Maigret. Lui puntava molto su quel personaggio e su quei romanzi che lo avrebbero staccato dalla letteratura popolare. E così non voleva che la presentazione di quel commissario così importante per lui, finisse nelle colonnine delle pagine letterarie dei quotidiani o nelle riviste specializzate in letteratura. Ambiva ad una risonanza di ben altra portata. "Ne deve scrivere tutta la stampa, anche quella popolare... se ne deve parlare per tutta la settimana... insomma lo devono sapere tutti". Anche qui Fayard era scettico. Ma Simenon ebbe ragione quella festa smodata, che andò avanti fin all'alba, tra fiumi di champagne, balli sfrenati, ospiti ubriachi, spogliarelli improvvisati, riempì le cronache mondane per giorni, divento l'evento della settimana.
E ancora potremmo citare l'affaire Stavinsky nel 1934, in cui, per dare ancor più rilevanza alla sua creatura già di successo, Maigret, fece seguire dal commissario per conto di Paris Soir questo scandalo finanziario, con suicidio. Qui invece i risultati furono disastrosi e contrari alle intenzioni e il ritorno d'immagine decisamente negativo. Il bravo scrittore non era affatto un buon detective e stavolta era andato tutto storto.
Anche per le dichiarazioni funzionava nello stesso modo. Esempio classico l'intervista a Fellini che nel 1977 gli commissionò L'Express e in cui Simenon racconta delle famose 10.000 donne con le quali, dai 13 anni e mezzo ad allora, avrebbe avuto rapporti sessuali. Evidentemente un sparata (la moglie Denyse dicharò invece che probabilmente erano state poco più di mille), ma intanto la dichiarazione, nel bene o nel male, fece il giro del mondo.
E anche sulla propria rapidità nello scrivere a Simenon piaceva calacare un po' la mano, pur se lo faceva come se si trattasse della cosa più naturale del mondo. Rispondeva ad innnumerevoli interviste alla televisone, in radio, sui giornale che scriveva in media un capitolo al giorno per sette otto, massimo nove giorni, perchè tanto durava l'état de roman. Ogni giorno alla macchina da scrivere per tre/quattro ore, nelle quali riusciva a chiudere un capitolo. E d'altronde i numeri gli danno ragione. Basti pensare che (senza entrare nelle diatribe dei vari conteggi che spesso contrastano per qualche unità) in 52 anni (dal 1929 al 1981) Simenon scrisse e pubbicò, tra romanzi, racconti e romanzi brevi, circa 270 titoli. Ciò equivale ad 5 titoli l'anno. E questo senza considerare tutti i romanzetti e i racconti popolari pubblicati sui giornali o nei livres de poche tra il 1920 e il 1930.
Una produzione che di per sé fa un certa impressione e una carta che Simenon sapeva giocarsi bene, anche se la critica letteraria rimaneva un po' condizionata nei suoi giudizi da questa quantità, e dalla rapidità di esecuzione, che era ritenuta, almeno fino ad un certo punto, pregiudizievole per la qualità. Ma Simenon rigirava anche questo a suo  favore, dichiarando che a lui interessavano più i giudizi dei lettori che quelli della critica.

sabato 14 maggio 2011

SIMENON: I MIEI ROMANZI QUESTI SCONOSCIUTI

Sette-otto giorni di media per terminare un romanzo. Questi sono i tempi ormai noti. E dopo? Simenon aveva sempre una gran fretta. Mentre scriveva, perché era in état de roman e quindi doveva finire prima che questa condizione teminasse. Quando per una malattia o per qualche grave impedimento li era capitato di smettere, dopo non era più stato in grado di continuare. Un lasso di tempo di tre quattro giorni di pausa e non riusciva più ad entrare nella vicenda, nei personaggi, si sentiva estraneo a quello che lui stesso aveva scritto.
Così come, una volta terminata la sua storia, nel giro di tre/quattro giorni doveva fare la revisione perché anche qui altrimenti non si riconosceva più in quello che aveva appena finito.
"...per esempio adesso non credo più al mio ultimo romanzo, che per quello che mi riguarda ha smesso di esistere - spiega Simenon in un'intervista - Ci credo mentre lo sto scrivendo e ci credo anche subito dopo. Allora occorre che mi sbrighi a fare la revisione... finita la quale, vengono fatte delle fotocopie, per spedirle all'editore e per inserirle nel mio archivio. Non ho mai riletto uno dei miei romanzi..."
In effetti tutto il lavoro editoriale veniva poi fatto dalla casa editrice e Simenon se ne disinteressava del tutto. Tanto era la concentrazione e lo sforzo nella fase creativa, tanto era il distacco da quella che lo scrittore considerava un'esperienza vissuta e terminata, sulla quale non c'era alcun motivo di tornarci sopra.
Però spiegava che una sorta di ritorno, ad un certo punto, si verificava.
"... dopo tre, quattro anni dalla pubblicazione, quando è stato tradotto in un trentina di lingue e le critiche sono arrivate da ogni parte. Bene, allora mia moglia mi fa vedere le più significative e così conosco la reazione del pubblico dei diversi paesi. E in qualche modo il romanzo mi ritorna, si ripropone visto dagli occhi degli altri, di tutti quelli che l'hanno letto... Allora mi capita di ricominiciare ad amarlo...".

giovedì 12 maggio 2011

SIMENON. LA VILLA BUNKER DI EPALINGES

La solidità innanzi tutto. Perché la casa è una sorta di baluardo nei confronti del mondo esterno. Simenon ha sempre ricercato la sensazione di sicurezza nelle case quando doveva sceglierle per abitarci. Ora però, nel caso della villa di Epalinges, era un 'abitazione costrutita sulle sue indicazioni e questa esigenza diventava una priorità su tutto. Era il 1963. Anche l'estetica passava in secondo piano. Sicurezza e massima funzionaità che per uno maniaco dell'ordine e della organizzazione come Simenon diventavano una variabile indipendente da cui dovevano conseguire tutte le altre.
Infatti, ad osservarla dall'esterno, la villa non concedeva nulla all'estetica. Vari volumi squadrati, tutti rigorosamente bianchi, dove porte e finestre erano delle semplici aperture. Insomma, a detta di molti, non era un bello spettacolo, lì nella campagna intorno a Losanna.
Il bianco dominava anche al'interno, fatto salvo per i bagni neri e la moquette rossa. In compenso alle pareti del monumentale ma essenziale ingresso si potevano ammirare quadri di Matisse, Lorjou, Vlaminck, Buffet. Avventurandosi su su, fino alla terrazza sopra uno dei tetti, c'è una vista magnifica a 360° che andava dalle Alpi italiane al lago di Lemano, dai Jura alle Alpi francesi.
Per il resto era il regno della funzionalità. Le stanze erano tutte insonorizzate e collegate tra loro da un interfono e dotate di porte in acciaio. Nel sotterraneo c'era una enorme spazio adibito a spazio per i giochi dei suoi figli più piccoli, Pierre-Nicolas e Marie-Jo. Per sé, Simenon aveva riservato due camere come studio, una per poter scrivere e una per ricevere ospiti e giornalisti. Anche l'arredo era stato scelto da Simenon, tutto in stile Luigi XV. Poi va citata la cosiddetta "sala operatoria", anche qui un leggenda, che fece leva sull'ipocondria dello scrittore. In realtà si trattava di una stanza con un armadio per i medicinali, pare molto ben fornito, un lettino per i massaggi  e una lampada abbronzante. Niente a che vedere con un sala asettica dove ipotetici chirurgi avrebbero potuto portare a termine un'operazione. Poi c'era un garage per setto/otto vetture e nel giardino corcostante una piscina coperta da una cupola di vetro. Tutto ciò oltre alle normali stanze da letto, cucina, cantina, lavanderia con sei lavatrici (dove confluivano dei condotti per la biancheria da lavare che provenivano dai vari bagni), e quello che serve ad una normale famiglia. Ma la famiglia non era normale. Denyse, la sua seconda moglie, era in un clinica a disintossicarsi dall'alcol e quando rientrò in casa si ritrovò in quell'immensa villa che le era del tutto estranea. Ma non ritorvò nemmeno il suo posto nella gestione degli affari del marito. Un matrimonio già tramontato.

mercoledì 11 maggio 2011

SIMENON E IL CASO DELL'APPARTAMENTO NON ADATTO PER SCRIVERE

Siamo nel settembre del 1935. Simenon da un paio d'anni aveva firmato l'accordo con patron Gaston, e quindi pubblicava con la casa editrice Gallimard. Aveva portato a termine la prima serie di Maigret (quella pubblicata con Fayard). Le sue entrate erano aumentate, tanto da cambiare la sua residenza a Parigi. Nonostante avesse vissuto per un po' a Marsilly (a La Richardière, una vecchia residenza nobiliare del sedicesimo secolo, vicino a La Rochelle) alla scadenza del contratto d'affitto decise di tornare a Parigi, ma non nella storica casa al 21 di place des Vosges, bensì in un nuovo lussuoso appartamento vicino al Bois de Boulogne al 7 di boulevard Richard-Wallace.
Ora, sappiamo che Simenon era un metodico, soprattutto per quanto riguardava la scrittura. Aveva i suoi orari le sue abitudini e, se è vero che spesso riusciva ad organizzarsi per mantenerle anche quando era in viaggio, il fatto di poter scrivere in casa lo aiutava di certo. Invece quella bellissima casa, non fu affatto un buon posto per scrivere. Infatti lui, Tigy e la Boule rimasero lì fino all'autunno del 1938 quando poi tornarono dalle parti de La Rochelle, a Nieul-sur-mer.
Beh, in tre anni non scrisse nemmeno un Maigret e solo due dei diciassette romanzi realizzati in quegli anni li portò a termine in quell'appartamento: Loung Cours (Gallimard - 1936) e Le Suspect (Gallimard - 1938). Basti pensare che opere importanti come Le testament Donadieu fu scritto ad agosto del '36 durante una vacanza all'isola di Porquerolles. Il bellissimo L'homme qui régardait passer les trains (dicembre '36) durante un'altra vacanza, questa volta invernale, nel Tirolo (Austria) ad Igls, e La Marie du Port in un albergo di Port-en-Bessin (Calvados) nell'ottobre del '37, tanto per fare qualche esempio.  E' anche vero che in quegli anni viaggio molto: le Americhe da nord a sud, Galapagos, Tahiti, la Nuova Zelanda, l'Australia, l'India, il Mar Rosso.
E allora perchè solo due romanzi a boulevard Richard-Wallace. Per i Maigret una spiegazione ci può essere, infatti Simenon era nel periodo in cui, avendo concluso il contratto con Fayard dava per compiuta la serie delle inchieste del commissario. Ormai aveva iniziato a pubblicare i romans-dur con Gallimard e a quel tempo pensava che Maigret fosse una fase conclusa e infatti stette ben cinque anni senza scriverne uno.
Per i romanzi invece non si può dire che gli mancasse l'ispirazione. Diciassette titoli in tre anni fanno quasi sei l'anno, per la precisione uno ogni paio di mesi o poco più. Un ritmo infernale. Ma non nel suo appartamento di Richard-Wallace. Insomma quello di questa casa rimane un mistero. O forse soltanto un caso. In ogni modo un caso molto singolare per uno scrittore come Simenon.

SIMENON. PSICOLOGIA, PSICANALISI E PSICHIATRIA

Carl Gustav Jung e Georges Simenon
Quelli citati nel titolo sono termini che si incontrano sovente leggendo non solo gli studi critici, le analisi e le biografie dedicate a Simenon, ma anche gli stessi testi dello scrittore. 
L'approccio psicologico tipico della sua narrativa è cosa tanto risaputa da non meritare un'ulteriore esposizione, ma va comunque doverosamente citata, perchè sia ben chiaro come in molti romanzi la chiave di lettura sia proprio quella. Anche in Maigret, quel metodo così poco poliziesco d'indagare, che tanto fà indignare i propri superiori, è uno strumento psicologico e rappresenta uno dei tratti fondanti del personaggio.
Come ad esempio il protagonista di Lettre a mon juge (1947) che legge delle riviste di psicanalisi e confida al magistrato che lui qualcosa ne sa di questa materia, anche se un po' lo spaventa.
Questo è un tema che ritroviamo anche nella vita dello scrittore anche lui lettore di Freud, (scoperto a vent'anni) e in seguito di Adler, di Jung ed altri, anche se dichiarava "...penso di non essermi mai lasciato influenzare dalle loro teorie, quando scrivevo i miei romanzi, come per esempio hanno fatto gli scrittori americani d'oggi..." (Quand jétais vieux -1961)
A quello che dichiarava, Simenon, nonostante una certa conoscenza della materia, non si sentiva nemmeno uno psicologo della domenica, asserendo addirittura che molti vecchi contadini erano molto più psicologi di lui.
Anche quella caratteristica di spingere i protagonisti dei propri romanzi fino alle conseguenze estreme delle loro scelte, delle loro azioni in situazioni che spesso possono essere definite patologiche, erano una scelta ben consapevole dell'autore. "... D'altronde sempre di più, sin dall'inizio, i miei personaggi nel mio spirito arrivano in qualche modo fino al punto in cui gli psichiatri li prendono in consegna -  spiega nello stesso libro Simenon - I miei "clienti", con qualche passo in più potrebbero diventare loro clienti ... esiste una fascia in cui questi sono allo stesso tempo clienti miei e degli psichiatri...".
Anche se Simenon afferma di non essere stato condizionato dalle teorie psicanalitiche nella creazione delle sue storie, una certa influenza è però innegabile. D'altronde lui stesso aveva la convinzione che la psicanalisi non fosse altro che la ricerca di un "aggiornamento" delle pulsione del cosiddetto "cervello tribale" (in  confronto al "cervello nuovo") la parte più oscura e insondabile del nostro animo, il nostro inconscio.
"...in effetti ho scritto i miei libri sforzandomi di non lasciarmi sopraffare dalla ragione, ma al contrario di seguire il mio istinto. E non lo rimpinango..."(Dicteé 1974)

martedì 10 maggio 2011

SIMENON. ROMA PER GLI OTTANTANT'ANNI DI MAIGRET

Maigret-Cervi, dirige le inchieste anche dal suo letto
Qualche giorno fa', per l'ottantesimo anniversario del lancio delle inchieste del commissario Maigret, nell'ambito della manifestazione Le Jours de France a Roma, settimana promossa dall'Accademia di Francia, organizzata dal III Arrondissement di Parigi e dal XIII Municipio di Roma, grazie alla regia di Jacqueline Zana Victor, si è svolta una tavola rotonda. L'iniziativa, che ha avuto luogo al Centro Congressi Frentani, ha visto intervenire Giorgio Pinotti chief-editor della casa editrice Adelphi, la psicoanalista Rosa Tosacani, Valentina Grippo assessore alle politiche culturali del XIII Municipio e il sottoscritto, responsabile di questo sito.
La tavola rotonda, Il commissario che aggiustava i destini, tra proiezioni, riflessioni narrative, interpretazioni psicoanalitiche e ricostruzione di retroscena biografici e letterari, ha avuto modo di comporre un puzzle che ha ricostruito i punti cardine del personaggio di Maigret, del proprio creatore e dei rapporti tra i due. Grazie anche alla proiezione di alcune scene dell'adattamento televisivo di Landi, con l'interpretazione di Gino Cervi, tratte dal racconto Il cadavere scomparso, si è avuto il destro per curiosare nel coté delle trasposizioni televisive, ma anche per ricordare quelle cinematografiche che tanto hanno contribuito alla popolarità di Georges Simenon in tutto il mondo.

SIMENON. DALLA LETTERATURA ALIMENTARE A QUELLA SEMI-ALIMENTARE

Simenon - I suoi primi Maigret
Ormai conosciamo bene questa originale divisione che Simenon applicava al suo percorso letterario e che, grosso modo, coincide con il periodo dei romanzi popolari (letteratura alimentare), con quello del lancio dei Maigret (letteratura semi alimentare) e la fase dei romanzi tout court (les romans-durs).
Certo aveva le idee ben chiare quel diciottenne giornalista che era sbarcato a Parigi nel dicembre del 1920 alla Gare du Nord e che aveva in mente di scalare le vette della letteratura.
A questo proposito si pone una domanda. Quando e in che modo Simenon si sentì pronto per scrivere un romanzo? Quando percepì quella sicurezza e quella maturità che gli consentirono di non scrivere qulacosa che gli altri gli commissionavano, ma una storia che gli nasceva dentro spontanea?
La risposta le troviamo in parte in un'intervista fatta dal più volte citato Roger Stéphane nel '63.
Simenon afferma che "...è stato nel '28, proprio otto anni dopo il mio arrivo a Parigi. Ero a bordo de mio battello, in Olanda, dove passavo l'inverno a Delfzijl, quando mi sono detto che forse era tempo di fare, non ancora un romanzo letterario, ma ma quello che avevo chiamato un po' ingenuamente semi-letterario...".
Insomma non è ancora arrivato il momento giusto. Ma in quest fase i Maigret sono funzionali perché nei romanzi polizieschi (soprattutto allora) e nella letteratura seriale, ci sono delle regole ben precise, c'è un protagonista, che quando è indovinato fà da trascinatore e dà la sua impronta alle vicende, c'è uno standard predefinito della struttura narrativa, ci sono personaggi comprimari che appaiono in tutte le storie e i cui caratteri e i comportamenti sono sempre gli stessi. Ma d'altra parte, c'è alrettanta libertà da permettere alla fantasia e all'ispirazione dell'autore di poter scegliere. Ad esempio Simenon cambiava i luoghi dell'inchiesta, gli ambienti in cui si era verificato il crimine, le persone con cui veniva a contatto durante le indagini, le relazioni personali dei personaggi e le sue analisi psicologiche sui protagonisti per capire il perchè di quel crimine.
"... inoltre, essendo scontato che nel primo capitolo c'è un'interrogativo, se poi si verifica un passaggio più debole degli altri, non è così grave - continua a spiegare Simenon nell'intervista -  In un romanzo normale la gente smetterebbe di leggere; in uno poliziesco invece continua perchè vuole conoscere la soluzione...".

lunedì 9 maggio 2011

SIMENON... ALLE ASSISE

No. Non è un errore, uno scambio involontario di nomi con Maigret alle assise (Maigret aux assises -1959), titolo di una delle inchieste del commissario. E non c'entra nemmeno con il romanzo Cour d'assises (1937). Qui parliano proprio delle esperienze di Simenon convocato nel maggio del 1934 in tribunale per una causa, citato da una donna che si era riconosciuta in uno dei personaggi di un suo romanzo, con caratteristiche che riteneva lesive della sua onorabilità.
Un fatto che dovrebbe rientrare nella normalità per chi fa lo scrittore o il giornalista. E' quasi inevitabile prima o poi incappare in qualche infortunio, per cui talvolta c'è chi si riconosce ritratto in un articolo o in un personaggio di un libro e si ritiene danneggiato nella sua immagine o, ad esempio oggi, pensa che la sua privacy sia violata e cita l'autore per diffamazione o per danni. E' questo il caso del romanzo Coup de lune (Fayard -1933), che Simenon aveva scritto nel suo soggiorno all'isola di Porquerolles. E la querelante era la proprietaria di un albergo in cui aveva soggiornato Simenon in un precedente viaggio in Gabon e che lo scrittore tratteggia minuziosamente:  facili costumi, pochi scrupoli, incline ad affari loschi e poco chiari. Duecentomila franchi. Era il risarcimento che la donna chiedeva. Lungo e snervante processo alla XII sezione del Tribunale di Parigi e poi l'assoluzione dello scrittore e il pagamento delle spese per la querelante. Ma fu una vicenda che mise sull'avviso Simenon. Poi ci fu nel '35 un contenzioso con uno scrittore dilettante, che era anche l'amministratore dell'arcipelago di Tuamotu, conosciuto nel viaggio a Papetee. Questi aveva molti scritti nel cassetto e Simenon si accordò affinché, se i testi non fossero stati publicati da un editore, lui avrebbe potuto utilizzarli come canovaccio e/o materiale di documentazione. In questo caso avrebbero firmato entrambe l'opera e avrebbero diviso i proventi. Poi non se fece più nulla, ma Simenon fece uscire sul giornale Marianne un racconto ispirato al suo viaggio in quei luoghi. L'amministratore lo venne a sapere, ritenne che questo avesse violato il loro contratto e fece valere i suoi diritti tramite un avvocato a Parigi. Altre seccature per Simenon con strascichi legali e giudiziari. E anche qui, dopo un certo numero di dibattimenti, si andò ad archiviare il caso con una conciliazione.
La storia di Coup de lune si ripete con Quartier Nègre, un romanzo scritto un paio d'anni dopo. Anche qui c'è un albergatore francese, stavolta di Panama. E' convinto che nel romanzo ci sia un po' troppo di sé, del suo albergo e di quello che lo scrittore aveva visto e sentito. Nonostante la determinanzione con cui inizialmente Simenon aveva affrontato la causa, dopo due anni, si misero d'accordo, anche perchè il risarcimento chiesto dall'albergatore era di ben 500.000 franchi. Così su Paris-Soir apparve un articolo a firma Simenon di una intera  pagina intitolato Panama, ultimo crocevia del mondo, dove una colonna era dedicata all'albergatore, paragonato ad una sorta d'istituzione perché con il proprio impegno e i propri soldi aveva fondato una biblioteca.
Certo queste esperienze inclinarono Simenon più che ad uno scetticismo, ad una vera e propria sfiducia  "...chiunque potrebbe comunque e sempre riconoscersi in uno dei personaggi, soprattutto se questo può fargli incassare una bella somma!...". Tanto che nel '39 quando uscì Le Bourgmestre de Furnes fece pubblicare una precisazione divenuta poi famosa " Io non conosco Furnes. Non conosco né il suo borgomastro né i suoi abitanti. Furnes non è per me altro che un motivo musicale. Spero dunque che nessuno si voglia, nonostante tutto, riconoscersi in uno o l'altro dei personaggi della mia storia".

domenica 8 maggio 2011

SIMENON. LO SCRITTORE CHE ATTIRA TANTI NOMI DEL CINEMA

Semaine Spécial 
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Cinema e Simenon. Grandi legami, però era più il mondo della celluloide ad essere interessato allo scrittore che non viceversa. Cosciente che il film è sempre altra cosa dal romanzo e del tutto consapevole di come registi e sceneggiatori cambino vicende e personaggi che lo scrittore partorisce con tanta fatica e lavoro, Simenon finiva poi per accettare il meccanismo. Più con spirito entusiasta e pionieristico per i primi nel '32, più concreto con i seguenti, avendo capito che non solo potevano essere un'entrata in più, anche cospicua, ma mettevano in moto un meccanismo di visibilità sua e della sua opera che aveva una benefica ricaduta sia sulla vendita dei suoi libri che sulla sua fama.
Molti i nomi dei protagonisti del grande schermo che hanno lavorato a film tratti da romanzi di Simenon e di diversi di loro ne abbiamo già parlato. Ma sono tanti, considerando soprattutto che le pellicole girate sono circa una sessantina.
Abbiamo incontrato Jean Renoir che firmò la prima regia di un film tratto da un Maigret, La nuit de carrefour, Jean Tarride per dirigere il secondo Maigret, Le chien Jaune, entrambe a meno di un anno dall'uscità dei libri. E poi altri metteur-en-scéne francesi come Julien Duvivier (La tete d'un homme - 1933 e Panique - 1947), Albert Valentin (La maison des septes jeunes filles -1942), Jean Réville (Annette et la dame blonde - 1942), Henri Decoin (Les Inconnues dans la maison -1942 e L'homme de Londres - 1943), Georges Lacombe (Monsieur La Souris -1942), Richard Pottier (Picpus - 1943 e Les Caves du Majestic -1945). Con Le voyager de la Toussaint, di Louis Daquin (1943), troviamo tra gli interpreti anche l'italiana Assia Noris. In questa prima decina d'anni contiamo già una dozzina di film. I soggetti che Simenon sviluppava nei suoi romanzi e nei Maigret erano evidentemente molto adatti alle esigenze della narrativa ciematografica (almeno secondo gli addetti ai lavori), se la media del ritmo era più di un titolo l'anno.
Nel '50 uscirono ben tre film e iniziano a vedersi i registi stranieri. Burgess Meredith per L'Homme de la Tour Eiffel (The man of the Eiffel Tower), Gordon Pary per Midnight Episod, ma non mancano i francesi, questa volta con Marcel Carné alla regia, Jean Gabin protagonista per La Marie du Port (uno dei pochi romanzi che Simenon dichiarava di aver scritto proprio per farne un soggetto cinematografico).
Anche nel '52 sono tre i film: La veritè sur Bébé Donge di Henry Decoin con Jean Gabin, e due pellicole di Henry Verneuil Le fruit défendu con Fernandel e Bralen d'As con Michel Simon.
Vanno citati per il '53 L'homme qui regardait passer les trains di Harold French e per il '54 La neige ètait sale di Luis Saslavsky.
Quindi anche le produzioni americane come A life in the balance di Harry Horner (1955) dove troviamo una Anne Bancroft e un giovane Lee Marvin.
E poi, non volendoli elencare tutti e sessanta, vi ricordiamo The botom of the bottle di Henry Hathaway (1956) con Joseph Cotten. Poi Annie Girardot che accanto a Jean Gabin recita in Maigret tend un piège (Delannoy -1958) e diretta da Marcel Carné era già apparsa in Trois chambres à Manhattan (1965). Altra accoppiata di grido, sempre Gabin stavolta con Brigitte Bardot  (En cas de malheur di Caude-Autant-Lara -1958). Un altro grande regista e una giovane speranza del cinema francese (L'Ainé des Ferchaux - 1963) Jean Pierre Melville e Jean Paul Belmondo.
James Mason e Geraldine Chaplin diretti da Pierre Rouve interpretano A strager in the House (1967). Posto d'onore per Le chat (1971), girato da Pierre Granier-Deferre con gli eccezionali Jean Gabin e Simon Signoret, questa poi, diretta dallo stesso regista, nello stesso anno, la ritroviamo accanto ad un giovane Alain Delon nella Veuve Couderec. Ancora stesso regista per un'altra coppia top, Romy Schneider e Jean Louis Tritignant in Le train (1973). E non si finisce mai.
Bertrand Tavernier dirige Philippe Noiret e Jean Rochefort in un notevole L'horologer de Saint Paul (1974). Anche Chabrol, regista definito simenoniano, lo troviamo con Les Fantomes du chapelier (1982) con Michel Serrault  e Charles Aznavour e con Betty (1992) con Marie Tritignant.  Infine attrici famose, brave o sex-symbol: tra le prime Sandrine Bonnaire (Monsieur Hire di Patrice Leconte-1989) e Anna Galiena (Le fils du Cardinaud di Gerard Jourd'hui- 2003), tra le seconde l'italiana Francesca Dellera (L'ours de pelouche di Jacques Deray - 1994) e Carol Bouquet (En plein coeur di Pierre Jolivet - 1998 e Feux rouges di Cédric Kahn - 2003).

sabato 7 maggio 2011

SIMENON. IL PRETE CHE VOLEVA HITCHCOCK REGISTA DE "LES FANTOMES DU CHAPELIER"

Semaine Spécial 
CINEMA SIMENON
2/8 maggio
 

Intorno ai romanzi di Simenon come soggetto per un film hanno sempre girato molti registi, com mosche al miele. Anche quando le cose non erano semplici. Per esempio Henri-Georges Clouzot che aveva dovuto rinunciare a Streap-Tease che la censura riteneva troppo spinto, era poi tornato alla carica con Coup de Lune. Anche Jean-Pierre Melville dovrà attendere un bel po' per poter realizzare L'Ainé des Ferchaux. E ancora Jean Renoir che aveva l'idea di girare Trois chambres à Manhattan in bianco/nero, come pure desiderava poter realizzare il remake di La Nuit de Carrefour, (dopo trent'anni, e questa volta con attori americani: Josè Ferrer e Leslie Caron). Insomma proposte che andavano e venivano. Europei e americani, progetti che non andavano in porto e contratti che venivano firmati. Insomma il parco titoli dei romanzi simenoniani era assai frequentato non solo da registi, ma anche produttori, attori. Ma tra tutte le storie delle persone più diverse, la palma va senz'altro a quella che l'impareggiabile Pierre Assouline ci racconta nel suo Simenon, biographie (Juillard -1992).
Ci parla nfatti  di un grande appassionato dei romanzi simenoniani: un certo padre Jean Mambrino, che era anche uno scrittore e un poeta riconosciuto, ovviamente appassionato di letteratura, ma anche di cinematografia. Alla fine degli anni '50, avendo letto molti romanzi di Simenon e avendo visto al cinema molte pellicole di Hitchcock, ebbe, racconta Assouline, un intuizione. Realizzò che si trattava di due illustri artisti, ma non adeguatamente riconosciuti. Avevano entrambe passato esperienze con il giallo o storie piene di suspence. E da bravo gesuita non ignorava che sia il bambino belga Georges che l'inglese Alfred avevano frequentato entrambe le scuole dei gesuiti. E Assouline, cita delle lettere dello stesso padre Mambrino (che Simenon aveva conosciuto a Londra) inviate allo scrittore sia nel '51, che '56, dove spiegava, adducendo i suddetti motivi, sul perché un regista come Hitchcock avrebbe dovuto girare un film tratto da Les Fantomes  du chapelier!

SIMENON. A CANNES E' LUI IL PRESIDENTE

Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Abbiamo già ricordato che nel 1960 Simenon fu chiamato a presiedere la giuria del XIII Festival Internzionale del Cinema di Cannes. Il 4 maggio si inauguro un'
edizione in gran spolvero, come si dice. Aperto prima dall'allora ministro francese dello spettacolo André Malraux (scrittore, intellettuale impegnato, premio Goncurt 1933) e in serata dalle tre ore del kolossal wyleriano Ben Hur con Burt Lancaster .
Georges e Denyse nel ruolo di presidente e consorte si fanno notare, lei soprattutto si dà da fare per rivaleggiare (o almeno ci prova) per capricci e toilettes con le star di Hollywood.
Ma Simenon ha il suo da fare. Intanto deve cavalcare una giuria che comprende il compositore Maurice La Roux, lo scrittore italiano Diego Fabbri, quello americano Henry Miller, l'attrice Simon Renant, il regista Marc Allégret, il critico Louis Chauvet e poi una serie di personaggi da tutto il mondo dal giapponese Hidi Ima all'argentino Ulysses Petit de Murat, dal tedesco Max Lippmann al sovietico Kozinstev.
Non meno agguerrita risulta la lista dei film e dei registi in concorso per la sezione "lungometraggi". Qui si fronteggiano cineasti del calibro di Jacques Becker con Le Trou, Carlos Saura con Le Voyous. Sono in lizza un grande della commedia americana Vincent Minelli con Celui par qui le scandale arrive e Jule Dassin con Jamais le dimanche. Due giganti del cinema italiano: Michelangelo Antonioni con L'avventura e Federico Fellini con La Dolce Vita. Ma non basta, anche un'altro grande maestro come Bunuel con La Jeune Fille e un "mostro" che si chiama Ingmar Bergman con La Source. E poi ancora Peter Brook con Moderato cantabile e Francois Reichenbach con L'Amérique insolite.
Non c'è da stupirsi che con una simile spettacolare schiera di grandi del cinema internazionale, le pressioni sul presidente siano notevoli dagli amici, lo sceneggiatore Charles Spaak, al delegato generale del Festival (cui irritualmente, ma secondo regolamento, Simenon come presidente vieta di partecipare alle riunoni della giuria).
Come al solito i francesi  tifavano, e non solo, per i "loro". La giuria sul finire si spacca in due. Nonostante i tanti nomi di spicco, quella era evidentemente l'anno dell'Italia: le due fazioni tifavano Antonioni e Fellini e il presidente era per quest'ultimo.
Simenon fece di tutto per influenzare la giuria, per trascinare con sè gli amici (v. Henry Miller più interessato alle bellezze in carne ed ossa della Croisette che a quello che passava sullo schermo) oppure Kozinstev (per il quale ogni occasione era buona per saltare le riunioni della giuria). Dall'altra parte della barricata Maurice La Roux che invece sventolava la bandiera per Antonioni.
Caparbio, più influente di La Roux, sempre più affascianato dalla figura di Fellini, alla fine Simenon riesce a spuntarla e La dolce vita riceve la Palme d'Or.
L'annuncio, dato dallo stesso Simenon nella sala grande del plazzo del festival, provoca un gran trambusto tra il pubblico, vivaci proteste dall'ambiente francese, notevoli malumori negli organizzatori del festival e la voce del romanziere quasi non si sente per le grida. Ma ormai è fatta. La passarella è conclusa, Simenon se ne può andare, anche se lascia una scia di critiche e polemiche, Fellini ha il suo momento di gloria e i grnadi in lizza vengono accontentati con menzioni o premi speciali. Per Simenon è stata un'esperienza assolutamente negativa tanto da giurare che non si sarebbe più prestato a fare il presidente di qualsiasi giuria e a trovarsi immischiato in problemi come quelli che lo avevano nei giorni del festival.
Uniche eredità postive dell'esperienza, rimangono la nuova amicizia con Fellini e il rinsaldato rapporto con Henry Miller.

giovedì 5 maggio 2011

SIMENON. IL FILM NON E' UN ROMANZO

Tre camere à Manhattan con A. Girardot e M. Rouet
Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Charlie Chaplin, Jean Gabin, Federico Fellini, Jean Renoir,  solo per  citare i più famosi. Gente di cinema e amici di Simenon il quale aveva quindi una certa confidenza con la gente dell'ambiente. Poi il suo appartamento di avenue Richard-Wallace era in una palazzina dove al pian terreno c'era casa di Pierre Brasseur, al primo piano c'era un produttore, al terzo piano abitava Henry Decoin e al quarto addirittura Abel Gance. Ma nonostante ciò non si può dire che il suo rapporto con il cinema fosse idilliaco.
"Soprattutto per chi ha scritto il libro - sosteneva sovente Simenon - è difficile essere soddisfatti di quello che il regista porta sullo schermo. Il film sarà tutt'altra cosa rispetto al romanzo da cui è tratto, non migliore o peggiore, ma saranno due cose diverse come diverse sono la musica e la scultura".
Questo oggi potrebbe sembrare ovvio, ma questa riflessione era fatta da un Simenon poco più che trentenne, dopo aver visto le prime tre trasposizioni sul grande schermo dei suoi romanzi.
E infatti cinquant'anni dopo confermava in un'intervista "...Dite bene, non ho visto che tre di un'ottantina tra film e telefilm tratti dai miei romanzi... Prendiamo Maigret, perchè hanno fatto molti Maigret... come volete che qualcuno veda Maigret tale e quale ce l'avevo in testa io quando l'ho creato?.....Vedere i miei personaggi del tutto sfigurati e differenti da quello che erano è talmente snervante che allora me ne andai e da allora non vado mai a vederli...".
Però il cinema rendeva, spesso più dei libri e Simenon vendette i diritti di molti dei suoi romanzi: alcuni flop, altri grandi successi. Ma l'idea che qulcuno mettesse mano nella sue storie, cambiasse i propri personaggi non lo digeriva. Comunque se ne doveva esser fatto una ragione, ma forse più che per motivi prettamente economici, perché si rendeva perfettamente conto che il film poteva essere il migliore strumento di pubblicità per i suoi romanzi. E se c'era un prezzo da pagare, lo avrebbe pagato.

martedì 3 maggio 2011

SIMENON. JEAN GABIN L'ATTORE GIUSTO?

Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Tra gli attori più famosi possiamo dire che Jean Gabin, tra i film tratti dai romanzi di Simenon, tiene saldamente il primo posto. Abbiamo dedicato proprio a queste pellicole un approfondito post il 29 dicembre del 2010 (http://www.simenon-simenon.com/2010/12/simenon-e-jean-gabin.html)  he vi sonsigliamo di andarvi a rileggere. Ma in questo speciale ci tenevamo a tornare su questo attore che ha rappresentato uno snodo essenziale tra letteratura simenoniana e il grande schermo. Da sempre Gabin era stato un preferito di Simenon tanto da dichiarare: "...interpreterebbe bene alcuni miei personaggi: é un grande attore, anche se mi dispiace che sembra abbia dimenticato come si sorride...Vorrei vederlo nei suoi momenti gioviali e allegri, accanto ai momenti duri e drammatici...". Gabin all'epoca era ancora, forse un po' troppo legato ad interpretazioni, drammatiche, con vicende che lo presentavano come un personaggio duro e sfuggente.
Il sogno di Simenon si avvera nel '50 quando Gabin interpreta La Marie du port, romanzo scritto nel '37, pensando ad una vicenda che potesse essere adatta per il cinema. Ma poi l'attore interpreterà diversi film tratti dai suoi romanzi e dai Maigret, tanto che negli anni '60 era considerato l'attore simenoniano per eccellenza.
"... ora non penso a Maigret che attarverso Gabin e Delannoy (il regista) - commentava ironicamente Simenon dopo la visione di Maigret tende un piège (1958) - E' molto spiacevole. Per il mio prossimo libro verranno a chiedermi i diritti d'autore!...".
Ma la stima era reciproca. Nella biografia Gabin (1987) di André Brunelin troviamo scritto "...più che la presenza di Autant Lara dietro la cinepresa, quello che invogliò Jean, almeno all'inizio, a fare En cas de malheur fu che la sceneggatura era tratta da un romanzo del suo autore-idolo, Georges Simenon..."

lunedì 2 maggio 2011

SIMENON. ALL'INCROCIO TRA ROMANZO E FILM

Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

1931, Ouistreham (Clavados). Jean Renoir scende dalla sua monumentale Bugatti. E' arrivato fin lì per incontrare Simenon. I due sono amici da quasi un decina d'anni. Il regista però questa volta ha in mano una copia de La nuit de carrefour, da poco pubblicata. E' lavoro, non amicizia. In ballo c'è un film. E' la prima volta che Simenon entra in contatto in modo, per così dire, professionale con il mondo del cinema.
I due, aldilà del rapporto amichevole, si stimano e Renoir è convinto che il film sia già centrato e definito nel romanzo. Insomma lui già lo vede. Simenon da parte sua non può che buttarsi a capofitto in questa nuova avventura, in un lavoro per lui del tutto sconosciuto, per di più in un debutto insieme ad un amico come Renoir.
I due decidono di buttare giù una bozza di copione. Si chiudono per diversi giorni in un villa a Cap d'Antibes e lavorano duro.
Simenon e Renoir sono d'accordo. Il regista vuole che la trama non prenda il sopravvento sull'atmosfera "...La mia ambizione è di rendere con le immagini il mistero di questa storia misteriosa. Voglio subordinare l'intrigo all'atmosfera. Il libro di Simenon evoca meravigiliosamente il grigiore di questo incrocio ad un cinquantina di chilometri da Parigi. Non credo che esista sulla terra un luogo più deprimente. Qualche rara casa, sperduta in un oceano di nebbia, di fango e di pioggia....".
Le parole del regista fanno pensare ad un noir ante-litteram. L'aria cupa e pesante di questa storia di un omicidio che si svolge intorno all'incrocio delle Tre Vedove, né é un esplicito richiamo.
Film di famglia Renoir. Oltre Jean, figlio del pittore Pierre-Auguste Renoir,  Pierre Renoir, fratello del regista, interprete di Maigret, Marguerite al montaggio, Claude assistente-operatore. Ma va ricordaoa anche che alla direzione della produzione c'era un nome che farà storia nel cinema francese: Jacques Becker.
Insomma come inizio Simenon non poteva lamentarsi.
A film finito, alla soddisfazione dei realizzatori (emozione e commozione) si contrappose lo scetticismo dei produttori (film incomprensibile e oscuro), portando ad inevitabili contrasti. Uno dei produttori chiese al regista se nell'anteprima visionata non mancasse per caso una bobina. Copione alla mano e film sullo schermo... venne trovato il buco. Nella sceneggiatura c'erano oltre dieci pagine di cui non era stato girato nemmeno un metro di pellicola!
Come era stato possibile? Renoir non era un regista di primo pelo, all'epoca aveva già una dozzina di pellicole al suo attivo. E Simenon? Non era certo uno che non padroneggiasse le regole delle connessioni narrative. Come era potuto succedere? Simenon dette in varie occasioni diverse spiegazioni. Renoir si stava separando dalla moglie ed era sovente depresso e/o ubriaco e in una sessione saltò a piè pari un certo numero di sequenze. Il taglio di queste lo attribuì in altra occasione al budget limitato... Insomma mentre l'atmosfera del film era perfetta, emozionante e misteriosamente attraente, la trama era quasi indecifrabile.
Secondo Renoir: "Dal punto di vista del mistero, i risultati oltrepasseranno le aspettative, questo dovuto al fatto che, essendosi perse due bobine, il film diventa, per così dire, incomprensibile anche allo stesso suo autore".
I produttori pur di salvare il lavoro, arrivarono ad offrire a Simenon 50.000 franchi per apparire in primo piano, nei momenti in cui nel film si verificavano dei salti logici, e spiegare a parole quello che non era possibile vedere. Lo scrittore rifiutò decisamente e il film uscì lo stesso nelle sale. La critica parlò di fallimento di Renoir e il pubblico restò disorientato. Un flop che avrebbe atterrato chiunque, ma Renoir e Simenon avevano le spalle grosse, tanto da pensare già al successivo film, tratto da Le Chien jaune.

domenica 1 maggio 2011

SIMENON. IL FORZATO DELLA SCRITTURA

Siamo nell'agosto del 1931, da qualche mese è stato lanciato Maigret e Simenon inizia a godere di una certa popolarità. Ma, proprio in quel mese, un numero del settimanale Nouvelles littéraires dedica una pagina a George Sim, nella rubrica dal titolo Gli illustri sconosciuti.
L'estensore dell'articolo, che si firma G.Charensol, riporta anche delle dichiarazioni virgolettate dello scrittore, ma tutto fa pensare che si tratti più che di una vera intervista, di un pezzo, messo insieme per farlo apparire più come un "fenomeno" che non uno scrittore. Ma questo non deve stupire, perché era un atteggiamento abbastanza diffuso tra la critica nei confronti di quel Sim, che  aveva scritto un romanzo in una gabbia di vetro (lo si continuava a raccontare anche se poi non si era verificato), che sfornava romanzi brevi e racconti a ritmi industriali, che aveva una certa fama tra i fruitori di letteratura popolare.
L'articolo inizia con le parole di Simenon: "Siccome impiego in media quattro giorni per scrivere un romanzo, non è così strano che io ne abbia scritti già 280, con sedici pseudonimi diversi.... Mi alzo tutti i giorni alle cinque e alle sei sono già davanti alla mia macchina per scrivere... Ogni ora scrivo un capitolo... A mezzogiorno completamente abbrutito, mi butto sull'erba".
E' il periodo in cui Simenon viaggia per i canali di Francia, ma da quello che il giornale gli fa dire e quello che pubblica, sembra che lo scrittore ci viva sul suo battello, che invece non abbia una casa a Parigi, nell'elegante place des Vosges.
Poi l'articolo continua parlando del suo esperimento del romanzo foto-testo, con La folle d'Itteville, evidenziando l'esuberanza e il carattere espansivo di Simenon che lo renderebbero più simile ad un meridionale che ad un belga, e della sua strana vita avventurosa che lo porterebbe ad essere amico dei peggiori "squali", grossi e piccoli, di quei tempi.
E poi arriva ai Maigret. Parlando del personaggio del commissario  Nouvelles littéraires scrive " ... il suo Maigret, pur non avendo le qualità sceniche di una Sherlock Holmes, o di un Rouletabille è una creazione molto umana e che gli fa onore...". Ma gli concende una possibilità, quella che potrebbe fare di Simenon un successore di Leroux (Rouletabille) o di Leblanc (Lupin), a patto di non scadere nella produzione di serie, di non incorrere nella monotonia e di non cadere nelle ripetizoni. Insomma il giudizio è sospeso, anche se l'articolo conclude che, senza rischiare troppo di sbagliarsi, quello scrittore di romanzi popolari oggi, domani sarebbe potuto diventare un romanziere tout court.