martedì 6 settembre 2011

SIMENON. “TRANCHES DE VIE” DEGLI ESORDI… VISTI DA TIGY

1925. Simenon è già entrato nel vortice della produzione di racconti e romanzi popolari.  Abita oramai  a Place des Vosges, una della più belle di Parigi, gran bei palazzi la circondano, anche se  il loro appartamento non è dotato di acqua corrente ed è in realtà poco più di una grande camera, dove Georges scrive e Tigy dipinge. Ma insomma è un salto di qualità dalla vita di sacrifici e di rinunce che avevano contraddistinto fino al qualche tempo prima il loro menage quotidiano. A questo  proposito è interessante conoscere il punto di vista di Tigy, vedere questo periodo positivo e ricco di speranze non con gli occhi di lui o di qualche biografo, ma dalle parole stesse di lei, che  scrive in uno stile asciutto ma efficace in Souvenir (Gallimard 2004). Riportiamo qui di seguito alcuni brani che si riferiscono proprio al 1925. Vediamo con i suoi occhi come si svolgeva il lavoro di Georges.
… Georges batte a macchina una sequela di racconti. Questa produzione, insieme a quella dei romanzi popolari, ci assicura delle entrate consistenti.  Tra un racconto e l’altro lui si siede davanti alla finestra, le  gambe allungate. Qualche minuto dopo sento scoppiare una risata, ha trovato qualcosa di curioso e si rimette subito a scrivere.  Arriva a scriverne fino a nove in una mezza-giornata…”
E’ il Simenon di ventidue anni, appena entrato nel mondo che lui chiama la letteratura su ordinazione. Gli editori infatti gli ordinano racconti e romanzi, soprattutto brevi, di ogni genere e tipo e lui scrive, scrive, scrive. A quei tempi di dice che arrivasse appunto a comporre sino ad ottanta pagine al giorno. Ma segue anche le esposizioni di quadri cui partecipa la moglie e magari, approfittando di una pausa e un tavolino, butta giù qualche idea o qualche brano di un romanzo popolare.
Ma vediamo cosa ricorda Tigy. “…in primavera grande Esposizione delle arti Figurative e noi ci passiamo dei pomeriggi interi...queste nuove tendenze ci appassionano molto…”.
Poi sempre in quell’anno in estate accade un fatto importante per tutte e due, anzi diremmo per tutta la  vita di Tigy e Simenon. Ecco come lo racconta lei: “…D’estate partiamo in vacanza…Affittiamo  da certi contadini, vicino alla villa di Magda de Waele. Ai piedi di una falaise, c’è la pesca ai granchi, alle triglie. I bagni.  Le serate, la zuppa paesana con le grandi ciotole di crema fresca che ci vengono donate. Siamo in piena forma… La nostra miglior fortuna è quella di riportare a Parigi una piccola ‘bonne’, Henriette Liberge. Con il suo viso pallido e tondo, Georges l’ha soprannominata ‘Boule de gui’. Ormai é  Boule e sarà Boule e tutti e per tutta la vita. Diciott’anni, puerile e innocente quanto testarda, indisciplinata, pronta a rivoltarsi contro qualsiasi  cosa consideri un sopruso. Le sue arrabbiature ci divertono moltissimo  e noi non perdiamo occasione per farla arrabbiare. Davvero delizioso il suo accento normanno…
La stessa Boule che diverrà l’amante casalinga di Simenon, con cui aveva rapporti sessuali ogni giorno, preferibilmente durante la siesta pomeridiana dello scrittore, e di cui la moglie sembra stranamente essere all’oscuro. Oppure Tigy faceva finta di non sapere, come ebbe a dire parecchi anni dopo la Boule stessa, che d’altronde amava davvero il suo padroncino e non ne faceva mistero con nessuno (vedi i nostri post del 12 luglio Simenon, Tigy e Boule... tutti in acqua!
quello del 29 giugno Simenon: una femme de chambre chiamata Boule  e il post del 21 novembre Liberge, detta Boule, la"femme de chambre" e di letto di Simenon).
Tigy e Simenon erano immersi nella vita notturna e nel giro della cultura d’avanguardia dell’epoca:
“… abbiamo lasciato Montmartre per Montparnasse. La maggior parte dei pittori rivoluzionari passano le loro serate a ‘Le Coupole’.  – ricorda Tigy - Qui la vita sprizza come le nuove idee, i ritmi incalzanti, il jazz,  il charleston. Sono gli anni folli del dopo-guerra. Al teatro de Champs Elysées ci sono i balletti negri che fanno conoscere Josephine  Baker, i balletti russi di Nikita Balieff o  La Création du Monde di Darius Milhaud… E non bisogna dimenticare il cinema d’avanguardia,…Georges sfoggia un soprabito rosso acceso e io un cappello a quadri arancioni. Bisognerà pure ‘étonner les bougeoises’?...”.

lunedì 5 settembre 2011

SIMENON. CONRAD E STEVENSON E I ROMANZI ESOTICI

Romanzi esotici. Questo era quello che scriveva  Simenon quando, nella prima fase, quella della letteratura popolare, atlante alla mano faceva un po’ quello che da noi faceva Salgari. Inventava storie avventurose in luoghi lontani, dove non era mai stato. Con qualche voce delle enciclopedie, qualche cartina geografica e forse qualche fotografia faceva scatenare la sua immaginazione e inventava romanzi brevi, racconti e storie. Quando la sua  letteratura smise di essere “alimentare” e gli concesse anche qualche “superfluo”, Simenon iniziò a viaggiare in tutto il mondo, prima per i canali della Francia e dell’Europa, poi traversando l’Africa e quindi spingendosi nei luoghi più esotici, come le isole del Centro-America,  quelle del Sud Pacifico. E al ritorno aveva immagazzinato nella propria mente una serie di ricordi di persone, luoghi, situazione, incidenti e avventure, che poi avrebbe sfruttato in diversi dei  suoi romans-durs.
E’ ovvio che con un tale predisposizione a viaggiare e a scoprire, tra i suoi scrittori preferiti ci fossero Conrad e Stevenson, scoperti tra gli otto e i dieci anni, quando a Liegi era uno dei più assidui frequentatori della biblioteca e divorava cinque /sei libri a settimana.
Il Simenon adulto però qualche appunto lo avanza, rimproverando per esempio a Conrad di non fare alcuna concessione al lettore comune (ad esempio: “…Conrad ci teneva a utilizzare i termini tecnici senza sentirsi obbligato a darne una spiegazione al grande pubblico..”)
E ci spiega perché questa osservazione , proprio da lui che aveva affermato più volte di non scrivere per tutti.
“… credo che avrebbe guadagnato a semplificare un po’ il suo stile. Perché il suo apporto è davvero universale e tutti avrebbero potuto trovare ‘nutrimento’ negli scritti di Conrad, ma molti ne sono allontanati da una certa pesantezza della forma o, più esattamente,  una certo eccessivo rigore…
E poi Simenon marca le differenze tra i suoi scritti esotici da quelli di Conrad, spiegando quelli suoi erano molto diversi, semplice frutto delle esperienze di viaggio, denunciando spesso il degrado e lo sfacelo di certi paradisi esotici e descrivendo, l’abbrutimento e il fallimento di molti europei che arrivavano in queste terre dopo disastri personali, economici, familiari, convinti di rifarsi una verginità e una vita in quella specie di “altri mondi”. “Esotismo realistico” lo potremo difinire, che affiancava una dura critica del colonialismo (soprattutto in Africa) dei paesi europei e delle condizioni in cui aveva ridotto gli indigeni.
A proposito di Stevenson, va invece registrata una sua critica, sia pur amichevole, a Simenon:  “…la sua curiosità e il suo acuto senso della satira l’avevano spinto a croquer sia gli altri che sé stesso, quando invece l’autore dei Dictées non si interessa che a sé, senza metterci la minima parte del suo genio. Certi critici, che non l’amano affatto, ne approfitteranno per giudicare  retrospettivamente l‘insieme dell’opera simenoniana alla luce di questi Dictées e, non senza cattiva fede, regolare i loro conti con un ‘mediocre Simenon’…”.
Non bisogna però scordare che proprio Simenon aveva avvertito:
“…Io mi considero sempre meno uno scrittore,  e ancor meno un romanziere, sento che mi allontano sempre più dalla letteratura…. Questi Dictées dimostrano che io sono abbastanza scherzoso di natura… Tutto questo non è che un divertimento, come tutti i miei Dictées. Alcune volta ne provo addirittura vergogna…. Io detto quindi io sono… In fondo non ho niente da dire… ma non possoo tacere… I miei Dictées non hanno nulla a che vedere con la letteratura… Dettare é diventato un bisogno, per così dire, ogni mattina io detto, non importa cosa, tutto quello che mi passerà  per la mente nel momento in cui avrò il microfono in mano…

domenica 4 settembre 2011

SIMENON. MAIGRET E MONTALBANO... SU "L'ARENA" NE PARLA CAMILLERI

Non che non ci sia proprio nulla in comune. Ma non si riscontrano, almeno a nostro avviso, analogie significative, nel linguaggio, nel modo di essere, nel metodo di indagine. Stiamo parlando di due celebri commissari. Uno da tempo molto famoso in tutto il mondo, il commissario Maigret, e uno che è sulla buona strada e che già ha una fama internazionale, il commissario Montalbano.
E invece spesso si scrive sui giornali, si sentono fare commenti alla radio o alla tv dove si sottindende che tra i due poliziotti letterari una qualche comunanza ci sia. L'unico punto di contatto concreto è la persona Camilleri produttore delegato Rai della serie di Maigret prodotta dalla Rai a metà degli anni sessanta (vedi il post del 4 agosto Simenon. Quando Camilleri lo incontrò) e da diversi anni autore della serie del commissario (anch'essa trasposta in un sceneggiato televisivo Rai).  Oggi il quotidiano veronese L'Arena intervista Andrea Camilleri a proposito del fatto che stasera gli verrà conferito il premio alla carriera dal Fondazione Campiello, una sorta di regalo di compleanno dal momento che martedì prossimo compirà 86 anni. Il giornalista Antonio di Lorenzo nella pagina della cultura di ieri gli ha fatto una seri di domande da cui ne abbiamo estrapolato tre che riguardano appunto i due commissari. Eccole qui di seguito.
Antonio di Lorenzo - Lei ha prodotto negli anni Sessanta anche il commissario Maigret televisivo. Chi le è più simpatico tra i suoi commissari?
Andrea Camilleri - Non c'è dubbio, Jules Maigret. Montalbano non mi è simpatico. Oltretutto a Maigret devo anche la mia tecnica di scrittore, che è la stessa di Simenon.
A.d.L.
- Vale a dire?
A.C. - Ero un produttore piuttosto puntiglioso e osservavo Diego Fabbri come lavorava alla sceneggiatura: smontava, destrutturava e rimontava le pagine.
Ho imparato da lì e messo da parte, mai immaginando che mi sarei messo a scrivere romanzi. Quando è successo ho tirato fuori quanto avevo imparato.
A.d.L. - C'è qualche differenza tra i due commissari?
A.C - Certo. Montalbano non si mette mai nei panni del morto, come invece fà Maigret. E poi Maigret è già sposato e sua moglie cucina benissimo. Montalbano non è sposato e Livia non è un granché in cucina...
Insomma qui c'è una conferma. E un'ammissione chiara. I due commissari sono diversi come poliziotti, hanno un approccio differente nei confronti delle indagini e d'altra parte le caratteristiche personali se non proprio antitetiche, si discostano assai, ma... C'è un ma. Camilleri ammette di essere debitore nei confronti delle inchieste di Maigret scritte da Simenon e addirittura definisce la propria tecnica di scrittore "la stessa di Simenon". Personalmente siamo lettori ed estimatori della prima ora anche di Camilleri e della sua serie con Montalbano. Ma sul fatto che la sua scrittura sia la stessa di Simenon, beh su questo non siamo d'accordo. Non si tratta di un giudizio di valore, ma di un'analisi approfondita di entrambe le serie e crediamo che la struttura narrativa, lo stile linguistico e l'approccio creativo di Camilleri sia molto diverso di quello di Simenon. Se meglio o peggio questo ce lo sapremo, o meglio, si potrà dire tra cinquanta, sessanta o settanta anni. Camilleri è letterariamente ancora giovane dal momento che, anche se ha iniziato a scrivere poco più di trent'anni fa', il grande successo e la popolarità sono venuti proprio con Montalbano, serie iniziata nel 1994, 17 anni fa' con 27 tra romanzi e raccolte di raccconti pubblicati ad oggi. Simenon, dopo diciassette anni dal lancio di Maigret ne aveva pubblicati 55 (più 65 romas-durs nello stesso periodo)... certo la quantità, non fà la qualità, ma il caso di Simenon certamente esula da questo luogo comune...


sabato 3 settembre 2011

SIMENON. ROMANZIERE E' SOLO UNA TECNICA O... NO?

Articoli (reportage di viaggi più o meno esotici o avventurosi ai quattro lati del mondo), interviste clamorose, (vedi quella a Trostski), inchieste-flop vedi quella sul caso Stavinsky), romanzi brevi, racconti popolari, una letteratura seriale, di genere (giallo) e di grande successo, libri strettamente autobiografici. Insomma, prima di arrivare al romanzo, si può dire che Simenon abbia scritto di tutto. Ma allora il passo decisivo per arrivare a questo suo traguardo, cui tendeva da quando in quella fredda notte di dicembre sbarcò da un treno alla Gare du Nord, arrivando da Liegi, quale fu? Lo stile? I contenuti? Il taglio con cui affrontava la storia? La profondità dei personaggi? La coralità della storia?
Insomma quali segnali fecero acquisire a Simenon la consapevolezza di essere arrivato al punto di poter scrivere dei romanzi?
Iniziamo a vedere quello che pensava della tecnica e non solo.
"...le questioni tecniche sono abbastanza importanti per il romanzo (almeno a mio avviso) come per la musica e la pittura..... - spiega lo stesso scrittore in un lettera a Gide - ...ma occorre provare. Sentire. Aver fatto tutto, ma non a fondo, ma abbastanza per comprendere... L'assillo di sapere non tanto cosa pensa, ma di quello che sente l'uomo..."
Insomma il maggior numero di esperienze per aumentare la propria sensibilità, e quindi avere gli strumenti per mettersi nella pelle del protagonista. C'é, a tale proposito, una similitudine molto particolare che Simenon amava fare "...Uno dei miei romanzi popolari aveva per protagonista un uomo che possedeva delle case in tutta la Francia. Una per ogni regione. Ed entrando in ognuna di esse, assumeva il modo di fare e la mentalità del posto e del lavoro che svolgeva. Posso assicurarvi che questo è il mio sogno e che in parte ho realizzato...".
Déplacement, un termine che si è spesso utilizzato per parlare dell'impellenza di Simenon di allontanarsi da un luogo per scoprirne un altro. Qualcuno l'ha addirittura interpretato com un'esigenza di fuga da sè stesso. A proposito del romanzo e dell'immedimersi nel protagonista e di soffrire e gioire al suo posto,  potremmo dire che è anche un déplacement di personalità, abbandonando la propria e assumendo quella di un altro. Insomma quanto di più lontano da quello che si dice un uomo di lettere (veddi il post del 21 aprile Simenon.Romanziere e non scrittore).
In altra parte Simenon spiega "... d'altronde le regole del romanzo non esistono, non sono formulabili,  né codificabili....  .
Ma torniamo alla tecnica che, a suo dire, deve essere introiettata a tal punto che non deve essere un problema per chi scrive un romanzo. Come non si pensa alla grammatica, perchè è già acquisita. E quindi la tecnica, o meglio la maturazione tecnica, sembra essere una di quelle discriminanti per essere o non essere un romanziere.
Ma per il resto? Beh a tale proposito Simenon ci ha lasciato diverse risposte che cerciamo qui di sintetizzare.
Scriveva ne Les Trois Crimes de mes amis (1938) "...il romanzo non può essere l'immagine di una vita: il romanzo ha un inizio e una fine... e poi nel romanzo non si può raccontare delle verità con ordine e pulizia, parrebbero sempre meno verosimili di... un romanzo..."
E ancora. "... Il romanzo è l'uomo, l'uomo nudo e l'uomo vestito, l'uomo di tutti i giorni... ma soprattutto il dramma dell'uomo alle prese con il suo destino...".
Per Simenon il romanzo non era né solo un'attività artistica, nè una professione ma qualcosa di cui si è schiavi irrimediabilmente "... un bisogno in definitiva, forse il bisogno di scappare da sé stessi (le dépalcement di cui dicevamo prima) di vivere a proprio piacere in un mondo diverso che si sceglie volutamente..."
E infine, come scriveva nel saggio Le Romancier (1945) "... il romanziere coscientemente o no più spesso racoglie intorno a lui dei documenti umani, li immagazzina, fino a riempirsi e ad essere costretto a esternare delle emozioni troppo forti per un solo uomo. Perché vorreste che quest'uomo fosse intelligente?
Spesso penso che la capacità d'analisi gli faccia difetto e parlo di analisi cosciente e ragionata...".
Insomma essere romanziere si traduce in uno stato di sensibilità ma anche di impellenza, dietro cui c'è sì una tecnica collaudata, ma l'esigenza di infilarsi nella pelle e nella vita di qualcuno e di viverne in prima persona le esperienze fino alle conseguenze estreme che il destino ha in serbo per lui.





venerdì 2 settembre 2011

SIMENON: L'INCONTRO CON COLETTE

A Simenon ci volle un anno per iniziare a poter pubblicare raccconti sui quotidiani. Spediva i suoi testi a Lucien Descaves direttore letterario del Journal e a Colette, responsabile della pagina della cultura de Le Matin. Poi il mercoledì si andava alla sede del giornale o a ritirare il racconto, se rifiutato, o l'assegno se invece avevano deciso di pubblicarlo. Queste sale d'attesa erano popolate di gente il cui nome non avrebbe avuto nessun futuro, ma anche di personaggi che avrebbero animato il mondo letterario francese.
"...Due, tre volte...ritiravo i miei racconti, senza assegno... Poi un giorno mi hanno detto: Madame Colette vuole sentirvi. Andai a vedere M.me Colette e ne fui fortemente impressionato. L'ammiravo intensamente. Era magnifica in quella sua sedia da direttore. E subito mi chiamò 'mon petit Sim'..."
Beh, non bisogna scordare che all'epoca Simenon aveva appena vent'anni, mentre Colette, che era già un nome della cultura frnacese, aveva cinquant'anni e si rivolgeva a quello che sarebbe potuto essere suo figlio e poco più di un ragazzo che si cimentava nell'esordio letterario. Ma la scrittrice aveva intuito qualcosa in quel "petit Sim" e ci volle parlare.
"- Sappiate che ho letto il vostro ultimo racconto che vi avrei dovuto restituire già da tre o quattro settimane. Non ci siamo ancora. Ci siamo quasi, ma non ancora del tutto. Siete troppo letterario. Non bisogna fare della letteratura. Basta letteratura! Eliminate tutta la letteratura e vedrete che funzionerà..."
Simenon uscì da quell'incontro con le idee un po' confuse. Cos'era quella letteratura che doveva eliminare? Lui che voleva proprio fare della letteratura, come poteva "eliminarla"?. E poi cosa sarebbe rimasto?
"...allora cercai di essere il più semplice possibile. Ed è il consiglio che mi é servito di più nella vita. E devo essere davvero grato a Colette che me l'ha dato.   Così ho scritto un altro racconto. Lei mi ricevette la settimana successiva dicendomi che era ancora troppo letterario e ripetendomi che dovevo far a meno della letteratura. 
- Occorre che sia alla portata del pubblico... Un giornale si legge in autobus, nella metro... il lettore non ha il tempo di digerire la grande letteratura... Una storia! Raccontate semplicemente una storia, il resto sarà  superfluo. 
Quando tornai a casa scrissi altri due racconti e furono presi tutti e due. Da allora ho avuto ogni settimana il mio racconto su Le Matin...".




giovedì 1 settembre 2011

SIMENON. SETTEMBRE 1929, IL "CAPITANO" VEDE... MAIGRET A DELFZIJL E DOPO 37 ANNI...

Negli ultimi anni venti, la passione di Simenon era quella di andar su e giù per i canali francesi e non solo. Capitan Simenon infatti, come lo raffiguravano certi caricaturisti dell'epoca, faceva scorribande tutto l'anno arrivando in Belgio, Olanda fin al Mar del Nord, prima con una piccola imbarcazione di quattro metri e poco più larga di un metro e mezzo, La Ginette, e poi l'Osthrogoth un'imbarcazione di ben altro cabotaggio, lunga dieci metri e larga fino a quattro.
In queste sue peregrinazioni, proprio a settembre, mentre si trovava a Delfzijl (porto olandese) dovette fermarsi per far riparare lo scafo. In quella pausa forzata Simenon narra come via via gli sia apparsa sempre più chiara la figura del suo nuovo eroe... un certo commissario di polizia... che si sarebe poi chiamato Maigret.
Questa, come abbiamo scritto, è la nascita del personaggio secondo le parole dell'autore, ma forse le cose non sono prorpio andate così (vedi i post del 28 marzo Nasce Maigret. La versione di Georges  e quello del 29 marzo Nasce Maigret. Come è andata davvero. ).
Ci interessa Delfzijl anche perchè lì, qualche anno dopo, ci fu il suggello del successo mondiale del personaggio di Maigret con l'erezione di una statua dedicata al celebre commissario, con tanto di presenza dl Simenon e di quasi tutti gli attori di tutto il mondo che avevano interpretato Maigret sul piccolo schermo,
dal nostro Gino Cervi al giapponese Kinya Aikawa, dall'inglese Charles Laughton al francese Jean Richard al russo Boris Ténine...Trentasette anni dopo che Simenon aveva, come sosteneva lui, immaginato il commissario, nello stesso luogo si celebrava non tanto quel piccolo monumento, ma l'imprimatur della speciale e rarissima, se non unica, qualità di Simenon. Quella di essere riuscito a divenire un romanziere, apprezzato dalla critica, amatissimo dai lettori, ad un passo dal Nobel per la Letteratura e nello stesso tempo capace di creare un personaggio popolare e famoso in tutto il mondo. Talmente famoso, da essere ripreso al cinema da attori come Jean Gabin e da godere di un grande successo di pubblico sulle televisioni di quasi tutto il mondo.