giovedì 17 novembre 2011

SIMENON: ATTUALITA' DELL'EPOPEA DEI FALLITI

Negli anni successivi alla crisi del 1929 di Wall Street, i problemi economici arrivarono anche in Europa. Con un scarto di tempo maggiore di quanto non sia avvenuto in questi ultimi anni, ma anche allora le economie del nuovo e del vecchio erano legate talmente che la crisi americana non poteva avere conseguenze serie nei paesi europei. E ovviamente anche in Francia, proprio quando c'era Simenon.
Abbiamo ricordato questo avvenimento economico perché, a nostro avviso, spiega in buona parte il motivo delle critiche che spesso sono state mosse ai suoi romanzi. Cioè quello di parlare troppo spesso di poveri falliti, di povera gente o gente comune caduta, per un motivo o per l'altro, in disgrazia.  L'altra motivazione riguarda invece la sua infanzia. Simenon viene da una famiglia non povera, ma molto modesta che poi scivolerà nella povertà quando il padre si ammalerà e non sarà più in grado di lavorare. Evento che costringerà il futuro scrittore a lasciare la scuola ad appena quindici anni e tentare di lavorare da apprendista in una pasticceria prima e come commesso in una libreria poi.
L'esperienza a Liegi e l'osservazione della gente che vedeva intorno a lui erano insieme un forte condizionamento e una constatazione quotidiana delle conseguenze di una situazione economica che colpiva duramente.
Simenon, personalemente, in quei primi anni trenta era già benestante. Era partita con gran successo la sua serie dei Maigret, ormai faceva parte della scuderia degli autori Gallimard. Insomma era approdato a quella letteratura che gli consentiva di scrivere i suoi romanzi come gli paerva e piaceva, non più su commissione e non più legato a quelle regole cui doveva sottostare un "giallo" pur atipico come il suo Maigret. Ora era libero di scrivere quello che voleva, quello che lo ispirava, seguendo solo quel famoso état de roman che s'impossessava di lui per una decina di giorni e guidava la sua mente e la sua mano.
A questo punto come poteva sottrarsi a quello che l'aveva marchiato nell'adolescenza e a quello che vedeva attorno a sé?
Non ci pare affatto strano che in gran parte dei romanzi di Simenon (ma anche in alcuni Maigret) i protagonisti siano dei falliti o che si parli del famoso passaggio della linea dove rispettabili e benestanti cittadini cadono in disgrazia.
Ma bisogna far attenzione a non generalizzare, anche se la sua letteratura non si può definire di quelle a lieto fine. Questo gli serviva anche per a mettere a nudo l'uomo, quando nella sua discesa nell'inferno non si preoccupava di tenere un contegno, di coprirsi con una maschera e darsi un tono. I protagonisti dei romanzi simenoniani non si pongono problemi filosofici, ma la loro storia e il loro comportamento li pongono ai lettori. Il bene, il male, il destino che colpisce senza distinzioni e che non fa sconti a nessuno, la legge e la giustizia che molto spesso non coincidono (ed ecco il Maigret riparatore di destini) le ingiustizie sociali. Non fa nemeno della sociologia, non va a scavare il perché e il come si sono verificate certe situazione che poi spingono o provocano certi comportamenti dell'uomo.  A lui interessa l'uomo in sé e su di ui concenra la sua attenzione e la sua narrazione. Insomma Simenon racconta, ma racconta realtà, non favole e la realtà è nuda e cruda. In più lo fa con uno stile scarno ed essenziale.
Non è questa la grandezza di Simenon che ancora oggi lo rende attuale e ce lo fà ancora apprezzare?

mercoledì 16 novembre 2011

SIMENON. CONOSCERE L'UOMO PER CAPIRE LO SCRITTORE

Siamo alla solita fatidica domanda. Si può scindere l'uomo dallo scrittore? Secondo noi, no. Anzi siamo convinti che saperne di più sulla sua persona ci consenta di capire e forse apprezzare meglio i suoi scritti.
Non che sia impossibile il contrario. Ma quante volte, dopo aver letto un libro che vi è piaciuto moltissimo di uno scrittore che non conoscevate, vi è venuta voglia di saperne di più? Chi era? Come ha vissuto? Cosa ha fatto nella vita? Quello che ha scritto é frutto di fantasia o elaborazione di esperienze vissute?
Qualcuno dirà: ma fà davvero la differenza? Se il libro  ti è piaciuto,  ti è piaciuto e basta. Se poi è una cronaca reale o un mucchio di sogni, non conta o conta molto relativamente.
Beh secondo noi, molti, almeno i lettori curiosi, non si accontentano e vogliono saperne di più sull'autore. E in fondo crediamo che si tratti dello stesso tipo di curiosità che ci spinge a sapere se quello scrittore ha scritto anche un altro libro e poi ad acquistarlo e a leggerlo
Simenon, stando ai numeri, è uno di quei romanzieri che suscita una notevole curiosità, anche perché la sua vita ricca e interessante, si intreccia con la sua produzione letteraria. Come amava ripetere spesso, entrava nella pelle dei suoi personaggi, ma questi erano tratti dalle sue conoscenze, dai suoi viaggi, delle sue esperienze di vita in vari paesi e in diversi periodi della sua vita. E poi Simenon era uno che si metteva abbastanza in vetrina.
Basta pensare alle opere più strettamente autobiografiche, come, tra gli altri, Je me souvien (1940), Pedigree (1943), Mémoires intimes (1981), ma anche ai romanzi tratti dalle sue esperienze personali come  Trois chambres à Manhattan (1945) o Le Chat (1967). Conoscere la vita di Simenon con i problemi della sua infanzia, la sagra della sua famiglia, l'incontro travolgente con la sua seconda moglie o i problemi di convivenza sia dei propri genitori che quelli propri con la sua Denyse, non ci danno solo un quadro di riferimento. Ci permettono di arrivare all'opera attraverso quella trama costituita da fatti reali e vissuti, che reggono il romanzo, che ne determinano il taglio tendenzialmente pessimistico e a volte tragico delle sue storie, in cui, come tanto piaceva dire a Simenon, i personaggi arrivano fino alle estremene conseguenze dei loro atti o del loro destino.
E il sito che state leggendo, questo Simenon-Simenon che a fine mese compirà un anno, è nato principalmente proprio sotto questa spinta. Scandagliare un po' tutti gli aspetti di questo personaggio cercando di darne, come si dice oggi, una visione in 3D: tentando di far luce  sulle ombre, portando a galla le contraddizioni, svelando aspetti a prima vista meno rilevanti ma non per questo  marginali, occupadoci del contesto in cui ha vissuto, operato e scritto, cercando di conoscere meglio le persone che gli sono state vicino e quelle che gli hanno ruotato attorno.
Come abbiamo detto, crediamo che tutto questo non solo possa migliorare la conoscenza di uno specifico autore, ma farci entrare nei meccanismi  della sua scrittura, del suo stile del metodo di lavoro che inevitabilemente sono una simbiosi tra la sua creatività, la sua essenza e le sue esperienze.
Ovvimante siamo aperti alle vostre critiche e speriamo nei vostri consigli per cercare di fare di Simenon-Simenon uno strumento sempre più utile.
 

martedì 15 novembre 2011

SIMENON. MA NON SAREBBE ORA DI UN NUOVO MAIGRET?

Ovviamente il Maigret cui ci riferiamo nel titolo è l'interpretazione cinematografica o televisiva del comissario simenoniano. In Italia ci hanno provato nel 2004 a far partire una serie, quella su una tv Mediaset e con Castellitto protatagonista. Ma è andata come è andata (se non sbagliamo furono trasmesse solo due puntate... e pensare che la produzione ne aveva opzionate venti, trattando con gli eredi di Simenon).  Non ce la sentiamo di aggiungere anche un nostro severo commento, alle numerose critiche già tanto taglienti e  rinvagare i magri risultati in termine di audience, non foss'altro per la stima che abbiamo di Casellitto che però, come succede nella carriere dei migliori attori, in quel caso fece una scelta sbagliata, anche perchè sceneggiatura, realizzazione e regia affondarono definitivamente il progetto davvero molto rapidamente.
Non so a voi, ma a noi é rimasta la voglia di rivedere una nuova serie, anche breve, o un bel prodotto cinematografico che non siano più i dvd del Maigret di Cervi, Fabbri e Landi, oppure le repliche dei francesi Jean Richard o Bruno Cremer.
Qualche giorno fa, il 27 ottobre in Siemenon. Una nuova faccia per un nuovo Maigret? alla fine del post vi proponevamo: scegliete tra gli attori d'oggi il vostro Maigret ideale (segnalatecelo in un commento o all'indirizzo di posta simenon-simenon@temateam.com). Noi in un prossimo post cercheremo di fare altrettanto...  vediamo cosa esce fuori!
Bene, ci siamo. La foto che vedete all'inizio di questo testo, molto sommariamente ritoccata, ha trasformato un attore contemporaneo in un Maigret. L'attore non è di primo pelo e ha avuto esperienze al cinema e a teatro.
E' di lingua francese. Ha le fisique du role. Crediamo che potrebbe funzionare. Certo il protagonista non è tutto, ma questo sarebbe, riteniamo noi, un buon primo passo. 
Cinema o tv? La nostra scelta si è orientata nei confronti di un attore essenzialmente cinematografico, ma ormai anche in Europa, come da tempo è successo in America, produzioni, regie e qualche volta anche interpreti si dividono indifferentemente tra i programmi televisivi come i serial e i prodotti per il grande schermo. Potrebbe essere anche un mini-serie tv.
Certo, l'impresa, visto ad esempio in Italia il successo del Maigret di Cervi, sarebbe un confronto continuo, anche se sono passati quasi quarant'anni e il modo di recitare, di tradurre un romanzo in sceneggiatura sono completamenti cambiati. Sono mutati i ritmi, il tipo di montaggio e la stessa recitazione. Ma non significa che gli errori fatti da Mediaset  debbano pesare come un macigno e spaventare i produttori con la paura di un analogo flop.
Comunque questo è un gioco da appassionati. Chi vuole partecipare è atteso con entusiasmo e con curiosità. Indicateci un attore italiano o straniero... truccato o no da Maigret, e diteci perché secondo voi sarebbe adatto per questo ruolo...
A proposito, avete sicuramente riconosciuto l'attore che abbiamo un po' goffamente travestito per il nostro esempio. No?... Ma come un nome così famoso... Provate a rispondere. E poi chissà che le vostre proposte non mettano una mosca nell'orecchio di qualche produttore? Tra due o tre giorni vi diremo chi è... ma sicuramente ci arriverete prima da soli.







lunedì 14 novembre 2011

SIMENON, QUAL E' LA PARIGI DI MAIGRET?

Una veduta di Parigi nel  1930 - L'ippodromo
La Parigi degli anni '30-'40? Sì. Diciamocelo, è quella in cui, nel nostro immaginario collettivo, vediamo muoversi Maigret, anche se ad esempio la serie televisiva inglese (con Rupert Davies  dal '60 al '63) e quella italiana (ma poi vedremo anche quelle francesi) presentavano un'ambientazione in periodi contemporanei ai nostri. Anche Gino Cervi, del resto aveva debuttato sulla Rai con il suo Maigret nel '64, quando Simenon era ancora in piena attività. L'ultima inchiesta che scrisse fu infatti Maigret et Monsieur Charles nel 1972.  E quindi la Parigi in cui si muove Maigret parte sì dagli anni '30 con i tram con la piattaforma aperta (dove il commissario fumava la sua amata pipa... beato lui!) ma arriva poi  agli anni '70 e in casa Maigret troviamo la televisione e sotto, in boulvard Richard Lenoir, é parcheggiata la loro autovettura (che per altro era la moglie a guidare). Insomma Simenon nei quarant'anni in cui scrisse le inchieste adottò una serie di cambiamenti, forse i medesimi che viveva lui stesso e i suoi lettori.
Non poteva o non gli era congeniale rimanere inchiodato ad un'epoca... L'unica cosa che un po' lo irritava è che anche il commissario invecchiava, ma molto, molto più lentamente di lui.
Nel 1930 a Parigi iniziavano ad installare i primi semafori perchè era ormai una metropoli di circa cinque milioni di abitanti (dove la metrò funzionava gia da trent'anni!), mentre negli anni '70 si superavano oramai gli otto milioni.  Era la città in cui nel '30  si era appena costruito uno stadio per il tennis, il Roland-Garros e negli anni '70 si demolivano simboli storici come il famosissimo mercato de Les Halles. Insomma la vità era cambiata non poco e per di più di mezzo c'era stata la seconda guerra mondiale con gli orrori del nazismo, poi l'immigrazione dalle colonie...
Invece Maigret e le sue storie tutto sommato non sono cambiate granchè, o forse sì, ma quasi non ce se ne accorge.
Parigi 1930 - Un tratto della metro aerea
In quei quarant'anni il mondo si era rivoluzionato, le tecniche scientifiche d'indagine si era raffinate e i mezzi per combattere la malavita e risolvere i casi erano molto più sofisticati. Maigret, però, continuava con il suo metodo, anche a rischio di apparire antiquato, sorpassato, ormai buono per la pensione. E che la sua Pairigi, e i parigini, fossero enormemente cambiati, non pesa sulle sue inchieste. Forse è lo stesso motivo per cui i giapponesi lontani anni luce per cultura e mentalità da Simenon, ne apprezzano i romanzi, i Maigret e hanno prodotto addirittura una serie televisiva dedicata a lui. E' evidentemente un personaggio che va dritto al cuore degli uomini, al di là del tempo e dello spazio. E alla Parigi di Simenon succede lo stesso.
Anche i francesi si abituarono con due serie televisive, prima quella con Jean Richard dal '67 al '90 e poi con quella con Bruno Cremer dal 1991 al 2005, a vedere sul piccolo schermo una Parigi contemporanea, con le strade piene di traffico, telefoni moderni, e un Maigret senza lo "chapeau melon" e il pesante cappotto dal collo di velluto. Immutabili come la sua pipa, solo Quai des Orfévres (che però tra un po' non sarà più la sede della polizia giudiziaria), la Senna che scorre sotto le sue finestre, la Tour Eifel...

domenica 13 novembre 2011

SIMENON: CLOCHARD, TIMORE O ATTRAZIONE?

"Il clochard, il cugino degenerato dell'eremita". Così nel 1955 Simenon definiva il clochard. Questo personaggio lo affascinava da un lato, ma lo atterriva dall'altro. Se lo consideriamo come l'ultimo gradino della scala sociale, quell'estremo più basso raggiunto da chi ha compiuto il famoso "passaggio della linea", capiamo come Simenon ne fosse atterito, dal momento che secondo lui non ci voleva tanto a varcare il famoso confine. Bastava un fatto accidentale, a volte nemmeno grave, ma che scatenava tutta una serie di eventi che si collegavano uno all'altro in una spirale involutiva che privava il malcapitato del proprio posto nella società, del denaro guadagnato in anni di lavoro, del rispetto degli altri conquistato giorno per giorno. E lo scrittore non escludeva che potesse capitare anche a lui, per quanto fosse ricco e famoso. Lui la chiamava "la vertige du clochard".
"...Sapete quanti ce ne sono sotto i ponti che sono stati professori unversitari, medici, dottori in legge - spiegava Simenon in un'intervista a Roger Stéphan nel '63 - E' una realtà. Sareste stupito nel vedere la vita di questi clochards...". Ma l'obiezione che veniva da più parti è che, almeno allora, spesso diventare clochard era una scelta lucida e consapevole, una rinuncia a tutto in piena libertà.
Simenon lo sapeva benissimo "... ne ho conosciuti tre, uno era professore a Strasburgo, uno direttore di una società e il terzo era un vecchio libraio...", e forse è proprio questo che lo affascinava della gente che aveva avuto il coraggio di fare questo passo, tanto che gli sorgeva un dubbio "... Chi vive sotto i ponti, il clochard, è forse colui che arriva più vicino possibile alla dignità umana. Non ha bisogno di nessuno. Non ha bisogno di rassicurarsi. Non ha bisogno di un vestito cucito da un sarto per credersi una persona importante. Non ha bisogno di titoli né di altro. Si sdraia sotto i ponti con il suo litro di vino ed è tutto. E' lui che invidio di più...".
Ecco la fascinazione, l'altro lato del Simenon mondano, famoso, ricco con una vita piena di impegni soddisfazioni, ma anche di obblighi e  convenzioni. Il clochard è vicinissimo a quell'uomo nudo, che lui tanto cerca con la sua opera. Non ha sovrastrutture, non deve interpretare ruoli, non ha una reputazione da difendere. E' lui, lui stesso, senza schermi, maschere o filtri. E' così com'è.
"...spesso desidero realizzare questo sogno di libertà, sacrificando tutto quello che possiedo enon sarei più infelice di ritrovarmo in Place Saint-Francois senza un soldo. Ma di fronte ai miei figli, evidentemente, non ho il diritto di farlo...". Senso di responsabilità? Certo. Ma la suddetta "vertige du clochard" rimane lì sempre in agguato.


sabato 12 novembre 2011

SIMENON DETTO TRA NOI... ITALIANI

Georges Simenon in una sua visita a Milano (qui ai Navigli)
Come abbiamo detto Simenon iniziò ad essere tradotto in italiano sin dal 1932 grazie all'accordo con Arnoldo Mondadori. La casa editrice milanese pubblicò tutto alcuni romanzi popolari, tutti i Maigret e quasi tutti i romanzi. Prima le inchieste del commissario, poi tutto il resto, passò all'Adelphi che diventò la sua editrice esclusiva per il nostro paese.
La saggistica e i pastiche letterari che furono scritti sul romanziere, arrivarono anni dopo. A quel che ci risulta la prima pubblicazione fu quella di Fetrinelli del 1962 che nella collana La Biblioteca Ideale, diretta da Oreste del Buono, editava la traduzione di un saggio francese scritto da Bernard de Fallois per Gallimard. Il titolo italiano era Simenon ed inizia con una rassegna di foto di Simenon in una delle quali cui lo scrittore, seduto su una pachina intorno ad un albero, sembre spiare una giovane coppia che conversa accanto a lui. Sotto una didascalia commenta "... Più la gente vive normalmente, più la gente s'abbandona indifesa alla vita,  e più attrae Simenon. Questi due innamorati ignorano che molto probabilente riappariranno in un romanzo. Simenon non li spia, lì ascolta e li comprende...". Non ci risulta che dopo il Simenon di Feltrinelli  ci siano stati altri saggi publicati. Facciamo così un salto di oltre trent'anni per trovare una prefazione all'Età del romanzo (Lucarini - 1990), uno scritto simenoniano tra quelli classificati autobiografici, apparso in un numero speciale della rivista Confluences (Lione - 1943) dedicato appunto ai problemi del romanzo.  Qui Giovanni Bogliolo, allora Preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Urbino, compila una prefazione in cui afferma, tra l'altro "... individuare in mezzo ai risentimenti, alle idiosincrasie, ai paradossi, alle provocazioni un'operazione estetica, tra impressionista e realista piccolo-borghese, e di seguire di libro in libro (e non tutti sono identici come una certa grisaille lascia intendere a prima vista) il delinearsi di un preciso progetto letterario, quello di 'andare il più lontano possibile nella conosenza dell'uomo...". Nella ormai famosa rassegna "collezionistica", ricchissima di informazioni e di un ricercato apparato iconografico, Simenon in Italia di Biggio & Derchi (Edizioni Cinque Terre del 1998), i due autori raccontano in una nota d'apertura "...Eravamo bambini quando invece di 'andare a letto dopo Carosello' sentivamo ripetere dai nostri genitori 'Stasera tutti zitti, c'è Maigret in TV''e, se capivamo poco della vicenda giallia, tanto ci restava invece delle atmosfere, della voce di Cervi della sua pipa... E ci è restato tanto che, da ragazzi e poi da adulti, che abbiamo cominciato a desiderare di leggerli tutti quei romanzi di Maigret.... E ancora più tardi a scoprire che esisteva un Simenon senza Maigret, che ci sembrava a volte troppo simile al precedente, a volte tropo diverso, a volte banale, a volte complicato, ma che sempre ci ha lasciato pensierosi o addirittura comossi...". 
Passati un paio d'anni esce per Stampa Alternativa un libricino, nella collana i Margini, Pronto intervento e i nuovi misteri di Parigi, qui è Jacopo de Michelis che introduce questa traduzione di una serie di articoli raccolti sotto il titolo di Police Secours (leggi il post del 17 settembre Simenon. Police secours... dalla carta alla realtà)  in  cui sottolinea "... ad interessarlo tra i piccoli e i grandi casi di cronaca che descrive... non sono tanto i criminali professionisti, gli ambienti della malavita organizzata, quanto piuttosto i delitti dei dilettanti, i drammi di ordinaria disperazione e miseria che coinvolgono le persone comuni, quelle 'petits gens' che sono state sempre al centro della sua narrativa, delitti di cui indaga e analizza le cause sociali ed economiche...".  
Arriviamo ad un pastiche edito nel 2002 dalla Città del Sole, nella collana la Bottega dell'Inutile,  e scritto da Maira Ielo, Elogio della signora Maigret -Come servire il marito e vivere felice. In questo Maigret raccontato con gli occhi di M.me Louise Maigret si riflette anche la vita del suo creatore che in un postfazione avanza la considerazione che Teresa Sburelin, fosse l'incarnazione della signora Maigret, che personificava tutte quelle caratteristiche di devozione, dolcezza, premura, attenzione che la signora Louise aveva per il suo Jules. Allo stesso modo Teresa si prese cura di Georges come solo M.me Maigret avrebbe potuto fare. Altro ritratto di Maigret visto con gli occhi della moglie viene pubblicato nel 2004 dalle edizioni e/o, nella collana Vite Narrate, Mio marito Maigret -il racconto di un amore speciale di Barbara Notaro Dietrich, al suo esordio editoriale, che ad un certo punto fa dire a M.me Maigret "...il mestiere che aveva semrpe avuto voglia di fare non esisteva in astratto. Non era così automatico come se lo era immaginato. Jules credeva, e ha continuato ad esserne persuaso, che molte persone non erano 'al posto giusto'. Lui desiderava solo rimettercele. Per questo si è sempre considerato un riparatore di destini, più che un uomo di legge....".
 E veniamo a Simenon l'uomo nudo  (L'Ancora - 2004) una raccolta di tre saggi di autori per diversi  Gianni da Campo un dei simenonologi più accreditati in Italia,  Claudio G. Fava critico cinemagrafico, con la passione per il cinema francese e cultore dei film tratti dai romanzi di Simenon e Goffredo Fofi altro critito letterario e cinematografico appassionato dei suoi romans-durs. Proprio da Campo, dando del tu al 'suo' Simenon  fa notare che "...Eri diventato 'il caso Siemenon' che tutti discutevano e che tutti volevano inserire in un preciso genere letterario, per salvaguardare i propri schemi, di cui nessuno comprendeva le segrete motivazioni, tu per primo. Non eri Proust, che ancora non avevi letto, eppure anche nella tua memoria riecheggiave una mutilazione costante che ti portava a esplorare la condizione degli uomini. Senza saperlo, costruivi anche tu, come Balzac, una 'comédie humaine' ignorando schemi precostituiti; senza sperlo, affrontavi tematiche sartriane e camusiane pur non invischiandoti mai in concetti filosofici e ignorando ogni velleitarismo intellettuale. Eri Georges simenon che qualcuno osava accostare a Sartre, Camus, Balzac, Dostoevskij. Eri atteso al varco, all'uscita di ogni tua opera: alcuni speravano inciampassi nella corsa, altri invece che rivelassi zone ancora più oscure dove si ritrovavano puntalmente....".
Per ultimo ci siamo lasciti una chicca, un'edizione di ridotta tiratura, non in commercio, pubblicata sempre nel 2004 da Oedipus, grazie all'iniziativa dell'Università di Salerno: Intervista a Trockij. Una vera rarità, uscita nel 1933 su Paris-Soir. Nella postfazione Fabrizio Denunzio, dottore di ricerca in Scienze delle Comunicazione del citato ateneo, spiega così l'eccezionalità dell'intervista "...Diciamo che il rivoluzionario russo riconosce nel giovane autore di romazi gialli un operatore culturale molto dotato di un modo industriale di produzione letteraria utilizzato per la soddisfazione delle necessità immaginarie dei lettori...".
I titoli pubblicati dal sottoscritto li conoscete perchè citati qui, nella colonna di destra. Può darsi che un giorno ne parleremo...

venerdì 11 novembre 2011

SIMENON. UNA MORTE TRA TANTE ALTRE

Marie-Jo da piccola
Il 1989 è stato un brutto anno per la cultura? L'anno in cui infatti morì Simenon ci furono ovviamente altri lutti nel mondo della letteratura, della musica, della scienza. Naturalmente ogni annno ha i suoi "caduti", ma qui abbiamo voluto vedere chi scomparve in quell'anno, spesso lasciando un vuoto, nel proprio settore, come d'altronde era accaduto per Simenon e sono venuti fuori nomi grossi.
Iniziamo dalla scienza e dalle coincidenze. In quell'anno scompariva Konrad Lorenz, il padre dell'etologia, che era nato proprio nel 1903 come Simenon. Stesse date dello scrittore anche per il geniale pianista russo Vladimir Horowitz e, sempre rimanendo nel campo della musica va registrata a scomparsa di un grande direttore d'orchesta come l'austriaco Herbert von Karajan. Per la cultura italiana tre personaggi chiave se ne vanno, lo scrittore Leonardo Sciascia, il filosofo Augusto del Noce e il commediografo-sceneggiatore Cesare Zavattini. Ancora nella letteratura internazionale altri due addii, quello della britannica Daphne du Maurier e dell'ungherese Sàndor Marài. Continuiamo questa carrellata di addii con l'attore inglese Laurence Olivier e con il fotografo americano Robert Mappeltohrpe. Per utimo citiamo la scomparsa di un genio delle arti figurative, lo spagnolo Salvador Dalì.
E' difficile acettare la morte di un essere umano ancor di più se si tratta un nostro caro, oppure di un artista che ci ha regalato emozioni e sensazioni speciali che ci hanno arricchito e che abbiamo sentito particolarmente vicino a noi.
Simenon rispondeva ad un intervista su Le Monde nell'81 "...aspetto la morte. Certamente si tratta di un passaggio molto spiacevole, ma non mi impressiona particolarmente...".
Ma la morte può arrivare anche prima e sotto un'altra forma, un avvenimento che toglie la vita, anche se si continua a respirare, a mangiare, a dormire, a camminare. Ma quella non è la vita.
Per Simenon la morte arrivò il 20 maggio del 1978 sotto forma di notizia: la sua amatissima figlia Marie-Jo si era suicidata.  Non fu un fulmine a ciel sereno, ma per lo scrittore, allora settantacinquenne e neanche più in buona salute, la notizia fu un colpo esiziale. Secondo varie testimonianze, dopo non fu più lo stesso. Era come se la sua vita non valesse più nulla, svuotata, almeno fino alla scrittura di Mémoires intimes nell'81.
E dopo aver sparso le ceneri della figlia nel piccolo giardino della casa di rue de Figuiers all'ombra del grande cedro del Libano, in una delle sue ultime lettere promette "....sei sempre qui nel nostro giardino dove un giorno ti raggiungerò...".
Simenon si spegne nella notte del 4 settembre 1903, tranquillo, sereno, tenendo la mano a Teresa, pronunciando le sue ultime parole "Finalmente, vado a dormire".

giovedì 10 novembre 2011

SIMENON. LA FINE DI UN AMORE IN FONDO A UN BICCHIERE


"... si sente bene, appena un po' sfasato, l'andamento leggermente oscillante,  ma  è convinto che non si veda. Si dirige verso i lavabi, lo fa per guardarsi allo specchio e sapere se avrà la possibilità di un ultimo bourbon...".
Così Simenon descriveva l'inizo della sbornia di un alcolizzato ne Le fond de la bouteille (1949).  Il problema dell'alcolismo aveva ad un certo momento lambito lo scrittore. E aveva toccato, ma in modo sempre più pesante, la sua seconda moglie. Il clou per Simenon si verificò negli Stati Uniti dove, scoprì che c'era una propensione generale a bere dalla mattina alla sera, tra aperitivi già in mattinata, birre durante i vari snack e poi cocktail o liquori nei locali, nelle feste, nei ricevimenti. Non era più il vino durante i pasti o quel bicchierino di cognac o di calvados dopo cena.
"...ho bevuto anch'io, specie negli Stati Uniti e in Canada. E' vero però che bevevo a periodi, perchè quando preparavo, scrivevo o rivedevo un romanzo mi imponevo un'assoluta astinenza  - racconta lo scrittore in Mémoire intimes (1981) - Calcolando cinque, sei romanzi all'anno quante settimane restano di trasgressione?...".
Un'espressione è particolarmente significativa:"mi imponevo un'astinenza assoluta". Questo ci chiarisce quale sforzo dovesse fare per non bere. Non scrive "smettevo di bere" o più semlicemente "non bevevo". E non era uno che utilizasse le parole a caso! Il verbo "mi imponevo" dà perfettamente l'idea di quanta forza di volontà avesse dovuto impiegare per tenersi lontano dall'alcol.
La notte e l'alcol, un accoppiata micidiale. C'è tutta un iconografia letteraria e cinematografica di personaggi che in un locale di lusso o malfamato, da soli a casa propria o in compagnia dagli amici tiravano le ore piccole mentre si versavano fiumi di wiskey, gin, cocktail vari... e tutti bevevano, chi fino a liberarsi di ogni freno inibitore, chi finendo la serata chiuso nella toilette e chi crollando definitivamente tanto da dover essere riportato a casa a braccia dagli amici.
Simenon si salvava "...inoltre so quasi sempre fermarmi in tempo, me ne vado a letto e tutto finisce lì..."
Ma in realtà non fu sempre così. Per Georges e Denyse, che non si sottrassero a questa consuetudine made in Usa (vedi anche il post del 20 luglio Simenon e l'alcolismo ),  la situazione iniziò a peggiorare al punto che loro stessi decisero di smettere, o per lo meno di permettersi solamente la birra. "... siamo diventati astemi nel 1949 - scrive Simenon nel 1961 in Quand j'étais vieux - questo vuol dire circa undici anni, ma questo non mi impedisce di considerarmi come un alcolista...".
Ma l'alcol continuerà a perseguitare Simenon attraverso la moglie che, negli anni successivi al rientro in Europa, insieme agli squilibri mentali riprese a bere. E questo complicò ancor di più il problematico rapporto tra i due, anche se Simenon  sapeva che quel vizio era una conseguenza della situazione mentale di Denyse. Ma possiamo dire che il comportamento della signora Simenon, sotto l'influenza dell'alcol, fu la goccia che fece traboccare il vaso e naufragare la loro convivenza.

martedì 8 novembre 2011

SIMENON. LA TRENTESIMA CASA

Peschiamo ancora nel ricco repertorio dell'I.N.A. (l'Istituto Nazionale francese per l'Audiovisivo e prodotto dall' Office national de radiodiffusion télévision française) per potervi presentare un'altra testimonianza in video sullo scrittore, che rappresenta uno spezzone dell'intervista di Pierre Desgraupes a Simenon a Epalinges, nei pressi di Losanna, in quella grandiosa villa che è stata costruita secondo i suoi dettami ad iniziare dalla lettera "S" ai lati dell'ingresso monumentale al campo. 
Simenon gli mostra dalla finestra il paesaggio davanti a loro: dalle Alpi ai Jura. Georges Simenon passa poi a spiegare il motivo per cui ha voluto due uffici. Il tour prosegue con l'infermeria, la sala giochi per i bambini. Spiega che ha insonrizzato le sue porte e le finestre accenna al suo barometro e alla banderuola visibile da ogni parte della casa.  Quindi, seduto alla sua scrivania impegnato con un temperamatite elettrico,  afferma che le sue matite sono la "macchina da scrivere", spiegando come ormai non scriva più di 3 o 4 romanzi l'anno perché gli costa sempre una maggiore fatica. Poi racconta come ogni sabato, con la sua Rolls Royce, e il suo autista Gino va a fare shopping a Losanna. Tutto nella sua casa n°30.

SIMENON. TRADUZIONI TRA TORMENTI E TRADIMENTI

Nell'ambito degli incontri sulla traduzione letteraria organizzati dalla Biblioteca San Giorgio a Pistoia, sarà Ena Marchi ad illustrare il prossimo 2 dicembre il lavoro sulla traduzione dei romanzi di Simenon.
Quello della traduzione  è stato, almeno fino a qualche tempo fa', un tema se non proprio ignorato, sicuramente sottovalutato. I traduttori se ne sono, giustamente, sempre lamentati, infatti se ci pensate bene il passaggio da una lingua ad un'altra significa il passaggio da un cultura ad un altra, dove il rapporto tra i concetti da esprimere e le parole per renderli comprensibili è diverso. Un esempio, se vogliamo fin troppo facile, riguarda i liguaggi dialettali. Vi siete mai chiesti come verrà tradotto l'idoma siciliano che infioretta i romanzi di Andrea Camilleri quando vengono tradotti in tedesco o in inglese? E il linguggio gergale? Quando uno scrittore utilizza l'argot parlato dalla malavita di Marsiglia, che fa il traduttore? Alcuni si inventano dei veri e propri linguaggi inesistenti che, ben lontani dall'originale, però rendono, per la lingua in cui sono tradotti, lo stesso effetto e non è certo un problema di facile soluzione per il traduttore. Non bisogna poi ignorare la continua scelta che si pone tra quanto essere fedeli alla lettera dell'originale e cercare di rendere quanto più possibile l'effetto che quel testo produce nella lingua madre, dovendo però sacrificare l'aderenza allo stile o al periodare.
Vediamo cosa pensa Simenon in merito alla traduzione e specificamente a quella delle sue opere in italiano.
"...In Italia sono uno degli autori più difficili da tradurre, non c'è che un italiano letterario in letteratura; altrimenti esistono in ogni regione dei dialetti, delle lingue locali, traducete un po' la mia semplicità di linguaggio nella regione di 'O sole mio'..."
E questa opinione è quella di un persona che viaggiava spesso in Italia e che viene espressa in un'intervista del 1982, non negli anni '40. Siamo alla fine del '900, un periodo in cui da noi si era già persa una certa cultura dell'espressione dialettale, grazie o a causa del condizionamento dato dalla radio e dalla televisione e per la contaminazione delle lingue straniere (l'inglese più di tutti) che avevano omogeneizzato abbastanza il linguaggio, anzi per qualche intellettuale l'avevano addirittura appiattito e banalizzato fin troppo. Eppure visto da un francese, che con i problemi di lingua e di espressione ci lavorava quotidianamente, questo era l'effetto che faceva l'italiano.
Ma la traduzione era stata anche un cruccio per lo scrittore che, come è noto negli Stati Uniti non divenne mai famoso come avrebbe voluto, nonostante i suoi dieci anni di permanenza americana. Sembra che uno dei motivi fosse il tipo di traduzioni proposte sul mercato Usa: un inglese più adatto per la cultura e i lettori della Gran Bretagna, che non per quelli americani.
E' il mistero della traduzione che, quando sa rendere uno stile o talvolta arriva addirittura a migliorarlo, fà la fortuna di uno scrittore anche fuori dei patri confini.
"... se pensate che sono tradotto in paesi dove la gente vive ancora in tende di pelle di cammello...
sembra così strano. Come fanno a capire i miei libri? - s'interrogava Simenon - Non so... forse l'uomo è lo stesso dappertutto...".