domenica 27 novembre 2011

SIMENON. LE REGOLE DI UN SENZA REGOLE

Tra Aimer d'amour, firmato Georges Sim, e Pedigree corrono 10 anni
Arrivare alla letteratura quella dei romans-durs, fu per Simenon anche un liberazione. Già si era tolto di torno le  rigide strutture delle trame dei romanzi popoari di genere, d'avventura o sentimentali che fossero. Lì c'erano delle prerogative inderogabili cui lo scrittore si doveva attenere per il profilo del protagonista, la presenza di certe figure, l'andamento e il finale che richiedevano dei passaggi obbligati e dei cliché da rispettare. Quando passò al ciclo dei Maigret le uniche regole che doveva rispettare erano quelle della serialità e del genere. Per il resto poteva inventare quel che voleva. Ma la vera libertà, quella a tutto campo che non gli poneva vincoli o paletti, era quella della letteratura tout court. Al diavolo tutte le regole! Ormai poteva scrivere con il suo stile, con il ritmo che gli era più congeniale, facendosi guidare solo dalla sua ispirazione. Scrivere libri autobiografici, romanzi più o meno aderenti alla realatà, guardare la realtà con il proprio occhio e interpretarla secondo le proprie convinzioni, scegliere se dedicarsi ad un romanzo o a un Maigret (e anche qui si prese progressivamente delle maggiori libertà) non avere più la pressione della consegna, tipica della letteratura su ordinazione, ma seguire solo il ritmo della propria creatività e della propria impellenza di gettarsi nella stesura di un romanzo.
"...le regole del romanzo d'altronde non esistono, non sono formulate né codificate - commentava Simenon - Non esiste un libro che vi possa dettare le regole del romanzo...".
Ma, potremmo comunuqe dire che le regole non finiscono mai.
In qesto caso ci riferiamo alle regole della tecnica di scrittura. Esattamente quello che pensava Simenon "...Credo che nel romanzo ci sia altrettanta tecnica che nel teatro...Occorre sapere quando passare da un personaggio all'altro, e quando da una scena all'altra....".
L'apprendimento a questo serviva. Quando Simenon aveva pianificato nella sua mente i vari passaggi che gli avrebbero permesso di passare dai semplici racconti scritti sui magazine più popolari, ad un romanzo dalla struttura complessa e corale come Pedigree, a questo pensava. La scrittura come la intendeva lui, al pari di un'attività artigianale, aveva bisogno di un certo apprendistato, necessario per impadronirsi di tutte quelle regole tecniche che poi gli sarebbero servite in seguito per fare letteratura.
"...ho l'impressione che non avrei potuto scrivere Le Chat (d'altronde ci sono voluti quasi trent'anni per scriverlo, e forse anche di più), se io non avessi avuto una tecnica che mi permetteva di non pensare alla tecnica. Ecco quello cui credo serva la tecnica: il non aver bisogno di doverci pensare. Voi non pensate alla grammatica  quando scrivete, ma siete stati obbligati ad impararla, molto seriamente, fino a saperla applicare...".
E i talenti naturali? Quegli esordienti che hanno nel loro codice genetico già la capacità di coninvolgere con i loro scritti il lettore, trasmettendo sensazioni e provocando emozioni? Simenon ne ha anche per loro.
"...talvolta si trovano delle promesse nel primo libro di un giovane, ma c'è sempre qualcosa che vi infastidisce, qualche goffaggine, una certa pesantezza che dipendono dalla mancanza di tecnica, di tecnica automatica...". E Simenon a quasi settant'anni, e quattrocento titoli scritti, poteva permettersi di dirlo.

sabato 26 novembre 2011

SIMENON SI RACCONTA. LA PRIMA VOLTA

Georges Simenon a 35 anni
Si fa una gran parlare di Je me souviens (scritto nel 1941 ma pubblicato nel 1945), di Pedigree (scritto nel 1943 e pubblicato nel 1948) e di Mémoire intimes (terminato a fine 1980 e pubblicato dopo un anno)  come alcuni esempi della letteratura più strettamente biografica di Simenon. In realtà iniziò ben prima a parlare di sé. Lo fece in Les trois crimes de mes amis (Gallimard 1938). All'epoca l'autore aveva 35 anni.
Non era un po' presto per fare dell'autobiografia?
Simenon si era appena affacciato a quella letteratura che aveva sempre sognato. Iniziava allora a pubblicare con Gallimard e attraversava quel periodo in cui credeva ormai di aver chiuso con le inchieste del commissario Maigret, considerandolo solo un capitolo della sua attività letteraria, invece di una costante come invece si rivelerà.
Di cosa racconta e come lo fà in Les trois crimes de mes amis? E' in realtà un tuffo nel sua adolescenza. I protagonisti sono coetanei che ha frequentato a Liegi e che poi hanno fatto una brutta fine. La partecipazione emotiva dell'autore nel ricordare i tempi dell'adolescenza fà da contraltare allo stile cornachistico con cui narra, ad esempio il processo del suo compagno Hyacinthe Dans accusato di avere ucciso la moglie, l'amante e un prete, suo vecchio confessore. Verrà riconosciuto colpevole, verdetto: condanna a morte poi tramutata in ergastolo.  Ma si parla anche di altri due sbandati poi diventati assassini, l'illusionista detto Le Fakir  e di un giornalista che viveva di ricatti. Possiamo dire che è proprio lo stile da cronaca giudiziaria a permettere a Simenon di parlare della sua giovinezza senza il filtro della scrittura romanzata. ".... é un romanzo autobiografico vero almeno come Pedigree..." affermò in un'intervista Simenon, tanto che aveva chiesto a Gallimard che fosse pubblicato con il sottotitolo: histoire vraie. Ma si dovette accontentare di un semplice roman
Georges Simenon nel 1920 quando era ancora a Liegi
E il romanzo ci riporta al periodo in cui Georges adolescente frequentava La Caque, una sorta di società che avrebbe voluto essere segreta, composta da ragazzi che si sentivano élite e si esaltavano mischiando il marxismo, Cristo, il decadentismo, le idee libertarie e Nietzsche. Che passavano la notte bevendo e facendo grandi discorsi rivoluzionari e bellicosi che si dissolvevano alle prime luci dell'alba. Ma uno di loro, il pittore Joseph Klein, un giorno venne trovato impiccato con la sua sciarpa al batacchio della campana della chiesa di Saint-Pholien: Suicidio o omicidio mascherato? Non si appurò mai, ma fu comunque un avvenimento che segnò profondamente Simenon.
Insomma ritorna, come in altre opere, in forma più romanzata o più cronachistica, il periodo dell'adolescenza a Liegi, da cui pure aveva voluto staccarsi e anche in modo abbastanza radicale, ma come sappiamo in vari momenti cruciali della sua vità Simenon sentì il bisogno di raccontare di sé delle sue origini, di quell'ambiente che, aldilà della sua fama e della sua ricchezza, poteva ancora farlo sentire uno come gli altri.

venerdì 25 novembre 2011

SIMENON SIMENON FESTEGGIA LUNEDI' SERA

INSTALLATE SKYPE E PARTECIPATE TUTTI 
Se già non lo avete e non siete capaci ad installarlo (ma è facilissimo), fatevi aiutare da qualche vostro amico. Avete ancora tutto il weekend. Ci vogliono cinque minuti per installarlo e ancora meno per capire come funziona... sicuramente meno del tempo impiegato per capire come cavolo fare una telefonata con il cellullare di ultima generazione chi vi siete comprati! L'account che da chiamare è simenonsimenon. Ricordate, per partecipare alla teleconferenza alle 21.00, dovete chiamare prima e aggiungere il vostro nome a quello degli altri partecipanti. Dalle 22.00 fino alle 23.30 potrete invece chiamare singolarmente oppure dialogare chattando. Buon weekend e a lunedi sera.

SIMENON. DILETTO E INTRIGO

I Maigret come piacevole intervallo tra una defatigante quanto stringata stesura di un romanzo e quella successiva. Questo più o meno è ciò che accreditava l'autore nelle sue dichiarazioni a proposito della scrittura delle inchieste del commissario, come si riposasse. I romans-durs gli portavano via sette/dieci giorni in état de roman, con una tensione creativa che lo consumava concretamente facendogli perdere quasi un chilo al giorno. E poi lo stress psichico di entrare nella pelle di un altro e vivere per un periodo come fosse quest'altro e poi rientrare in sè. E, fatto al ritmo che teneva Simenon, doveva davvero essere defatigante. E allora, sosteneva, si metteva a scrivere un Maigret che evidentemente lo rilassavano e gli richiedevano uno sforzo decisamente minore.
"...direttamente con la macchina per scrivere, li scrivevo quasi fischiettando, perchè risultava tutto facile... - spiegava lo scrittore a Bernard Pivot, ma nell'intervista televisiva del famoso giornalista culturale,  diceva anche altro - ... è diventato un po' più difficile alla fine, perchè ho un po' confuso i Maigret con gli altri romanzi, andavo più in profondità nei personaggi...".
Insomma questo va a sostenere, almeno in parte, quello che abbiamo già espresso. A parte la struttura seriale e alcune regole del genere poliziesco, lo stile, i personaggi e le vicende dei Maigret non sono poi così dissimili dagli altri romanzi. "Più difficile alla fine", specifica Simenon.  Ed è naturale che uno scrittore, come Simenon, per quanto consapevole di produrre due tipi di letteratura diversa, quando ha consolidato un suo stile, uno specifico approccio alle trame, una particolare metodica nella costruzione dei protagonisti,  un personale modulo espressivo, sia poi incapace di ribaltare tutto ed esprimersi in un altro modo con una lingua diversa e uno stile differente.
Così come alla fine, anche all'inizio non deve essere stata una passeggiata. Innanzitutto i Maigret costituivano una sfida, quel salto dalla lettaratura alimentare alla semi-letteratura che non doveva fallire. Poi la fatica per imporre al suo editore, Fayard, una formula poliziesca così poco consueta con un detective così atipico in confronto a quelli che allora erano i modelli di successo.
Sempre a Pivot, Simenon spiega invece che  "... i primi, diciamo i primi trenta, sono stati un divertimento...Quando avevo bisogno di scrivere, ma non avevo la forza fisica di impegnarmi in un romanzo, perché sapete questo richiede una resistenza fisica notevole. In due ore e mezza scrivere un capitolo di venti pagine dattiloscritte di un roman-dur, è faticoso, mentre con i Maigret strimpellavo sui tasti...".
Maigret e la stufa - Illustrazione del grande Ferenc Pinter
Personalmente queste parole di Simenon, dette in televisione, in una trasmissione di grande ascolto, davanti a milioni di telespettatori, non ci convincono fino in fondo. Lui da quando si definiva romanziere ed era nella squadra di Gallimard, sotto l'ala protettricce di André Gide, tendeva a dare più risalto ai suoi romanzi e cercava in tutti modi di togliersi di dosso l'etichetta del giallista. Sappiamo che la parte dell'intrigo poliziesco gli richiedeva una certa concentrazione. Lì faticava di più. Più impegantivo far tornare indizi, costruire prove, ideare confessioni, dare un filo logico all'indagine, motivare la scoperta del colpevole, che non descrivere l'ambiente, raccontare la vicenda generale e costruire i personaggi.
E' opinione comune che la parte dell'intrigo poliziesco non sia il lato forte dei Maigret, ma nonostante il fascino dello stile simenoniano, l'appeal del suo approccio, la bellezza delle atosfere, lo spessore dei protagonisti siano tutti elementi importanti per il loro successo, non possiamo dimenticare che alla fine sono dei gialli e l'intrigo è l'intrigo.

giovedì 24 novembre 2011

SIMENON, ROMANZIERE NOIR, COSI' E' SE...

Lasciamo da parte i Maigret e i romanzi dove comunque la vicenda, pur non avendo connotati polizieschi, gira comunque intorno ad un omicidio o ad un reato. Prendiamo invece in considerazione altri titoli e chiediamoci se Simenon non sia stato anche uno scrittore di noir.
Prima però intendiamoci cosa si considera per noir, perchè la cosa non è affatto semplice.  Già il termine ha una genesi molto particolare. L'espressione intanto fu coniata in riferimento alla cinematografia. E fu la critica francese nel '45 a parlare di noir in riferimento ai film americani girati prima della guerra, ma arrivati in Francia solo a conflitto terminato, e a quelli che venivano prodotti made in Usa negli anni '50. Si va, per inquadrare periodi e titoli, dalla versione cinematografica de Il mistero del falco (1941) di John Huston, tratto da Il Falcone Maltese di Dashiel Hammett (1930) fino a L'Infernale Quinlan di Orson Wells (1958). E tra i due ci sono centinaia di film tratti soprattutto da romanzi di scrittori americani, quelli della scuola dell'hard-boiled, che prende il via con lo stesso Hammett, con Raymond Chandler, Cornell Woorlrich, tanto per citare quelli ritenuti i padri del genere. Così il termine noir nel '45 passò ad indentificare non solo i film degli anni '40-'50, ma anche i romanzi scritti dagli autori americani hard-boiled negli anni '30. Insomma una sorta di definizione ex-post. Differentemente al giallo (o polar come lo chiamano i francesi, o mystery come viene definito dagli americani) il noir non ha il suo centro d'interesse su un crimine commesso, questo spesso è solo un'espediente per mettere a nudo una realtà sociale cruda e cinica dove potere, denaro, sesso, tradimenti e ingiustizie disegnano una situazione a tinte fosche e con un taglio pessimistico. Non c'è nessun eroe. Semmai dei detective anti-eroi che affrontano i poteri forti della società e la loro chance di raddrizzare le cose è illusoria. Il giallo classico alla fine vede prevalere, se non la giustizia, almeno la legge e il colpevole finsice arrestato o ucciso. Il finale non sarà un happy end, ma è comunque consolatorio, rassicurante perchè l'ordine viene in qualche modo ristabilito. Nel noir no. La migliore e più lapidaria definizione data del noir è di un famoso autore americano Barry Gifford: "Il noir è una storia che inizia male e finisce peggio". Nella sua scarna enunciazione è quella che, a nostro giudizio, coglie il concetto meglio di tante altre dotte elucubrazioni.
E torniamo a Simenon. Quante delle sue storie finiscono male? Contate le volte in cui il protagonsta, dopo aver varcato la famosa linea di passaggio viene risucchiato da un destino maledetto e si ritrova solo, contro la sua cerchia di conoscenti, i suoi cittadini, a volte la sua stessa famiglia. Simenon ci lascia intravedere ben presto che quell'individuo è destinato alla fine peggiore, mentre la società intorno a lui lo ignora, oppure lo scansa, quando non gli dà un mano ad affondare sempre più. E qui non si tratta di delitti, ma di storie d'amore finite drammaticamente, oppure di vite rovinate per sempre, o magari di follie cresciute tra l'indifferenza generale e che infine esplodono platealmente, di vite fatte di meschinità, piccoli rancori e disillusioni quotidiane.
E qui entra in ballo anche Maigret. Perchè è soprannominato riparatore di destini? E' che anche lui crede che la Legge e la Società non siano sempre dalla parte della Giustizia e così gli capita di aggiustare le cose. A volte sono proprio le stesse che provocano la rovina di un individuo che di per sé sarebbe stato magari un onesto cittadino, un buon padre o un caro marito. Anche se i Maigret non possono essere classificati dei noir (c'è di solito anche l'happy end), però rivelano anch'essi una concezione dell'autore che si avvicina molto a quella degli scrittori succitati. Questo confermerebbe come il noir, più che un genere, o un sottogenere del giallo, sia piuttosto un modo di vedere e di riportare la realtà, senza tante illusioni e con la consapevolezza che il bene e il male spesso sono due facce della stessa medaglia e che quindi possiamo trovare anche in romanzi noir che non siano polizieschi e dove il protagonista non sia un detective. E Simenon infatti propone ai suoi lettori un noir che gira intorno alla crisi dell'uomo.

mercoledì 23 novembre 2011

SIMENON SIMENON LUNEDI' 28 FESTEGGIA UN ANNO ON-LINE


LUNEDI' 28 NOVEMBRE SIMENON SIMENON COMPIE UN ANNO
Il primo anno. Dodici mesi di sfida: scrivere ogni giorno di Georges Simenon. E direi che per ora ci siamo riusciti visto che abbiamo oltrepassato 430 post pubblicati. Ma... c'e n'est qu'un début, siamo solo all'inizio.  Per un sito o per un blog ci voglio un paio di anni, o forse anche tre, per affermarsi e consolidare la sua posizione. Oltretutto Simenon Simenon, parte con un handicap che però é anche la sua sfida e potrebbe diventare la sua forza: essere dedicato solo ad un autore. E fin qui nulla di particolare ( sono migliaia al mondo i siti dedicati a innumerevoli autori). Il difficile arriva con la formula scelta: quella dell'aggiornamento quotidiano (sabato e domenica compresi) che avvicinano il blog ad una formula da dailynews. Ma, se non mancano gli argomenti di attualità, magari provenienti anche da altri paesi, sono però una percentuale minima dei post. Per fortuna la nostra passione è caduta su uno scrittore assolutamente particolare, con una produzione molto diversificata e di notevole mole. Inoltre Simenon uomo é stato un iperattivo e ricco di lati chiari e scuri in molti aspetti della sua vita privata, affettiva, sessuale, professionale,  familiare... insomma un personaggio su cui c'è davvero molto da raccontare. E questo ci aiuta molto nella cadenza quotidiana dei nostri aggiornamenti che per altro toccano i temi della sua opera letteraria, della sua vita e di coloro che a vario titolo hanno interreagito con lui. A volte diciamo la nostra sulle sue caratteristiche letterarie, sulle sue relazioni professionali e sentimentali saltando un po' dalle une alle altre. Chi ci segue sa di cosa parliamo, chi non ci conosce può farsi un'idea più chiara curiosando tra i post pubblicati, chi non conosce nemmeno Simenon può utilizzare il nostro sito come fosse l'Abc per entrare nell'universo simenoniano.
A questo punto abbiamo deciso di ricordare questo primo compleanno con una iniziativa che abbiamo chiamato Linea Aperta. Grazie alle possibilità che offre Skype, potremo colloquiare in una conferenza on-line il giorno lunedì 28 novembre dalle 21.00 alle 22.00. Poi dalle 22.00 alle 23.00 Linea Aperta sarà dedicata alle telefonate e alle chat individuali. Chi vorrà partecipare alla teleconferenza, dunque, dovrà nei giorni precedenti, chiamare e aggiungere il proprio account Skype su "simenonsimenon", in modo da essere incluso tra i partecipanti che voranno essere chiamati. Chi volesse invece optare per le telfonae o chattare singolarmente, potra farlo chiamando appunto dopo le 22.00 sempre "simenonsimenon".
E' un'altra piccola sfida, quella di ritrovarci, magari lontani, ma avvicinati dalla stessa passione per questo autore. Arrivederci quindi al 28 e grazie per la partecipazione che fino ad oggi dimostrato per Simenon Simenon.

martedì 22 novembre 2011

SIMENON. INIZIARE DAL TITOLO

Spesso si dice che, pur essendo il primo impatto che un romanzo ha con il lettore, il titolo è l'ultima cosa che si scrive. Soprattutto per gli scrittori che, come Simenon, vogliono raccontare una storia, ma all'inizio non sanno ancora come si svilupperà e come si concluderà perché hanno un'ispirazione che li guida, perchè scrivono in una sorta di trance o perchè è il progressivo svolgimento della storia che ne determina la direzione. Per Simenon sembra che alcuni titoli fossero quasi un elemento di ispirazione. La parola giusta evocava già degli scenari e delle sensazioni da cui sarebbero scaturitii avvenimenti e personaggi. Ma non era una prassi vincolante. Già nel periodo della letteratura popolare aveva imparato a cambiare un titolo in corsa, talvolta all'utlimo minuto. Un titolo che poteva essere buono per l'idea iniziale, si rivelava inadeguato per il romanzo ormai completato.
Ma sui titoli in genere ci sarebbe da scrivere un libro (e qualcuno ci pare l'abbia fatto). Per quelli di Simenon possiamo perderci tra le infinite motivazioni. E poi un titolo deve funzionare non solo per chi scrive, ma soprattuto per chi legge. Ovviamente lo scrittore ne era ben consapevole tanto da testare il suoi, con le persone più disparate. Ad esempio L'Affaire Saint-Fiacre (1932) divenne tale solo dopo un test fatto tra gente di Cap D'Antibes, dove il romanzo fu scritto e il cui titolo originario era La Messe à Saint-Fiacre.
Altre volte Simenon si diverte ad utilizzare modi di dire o espressioni gergali che saranno chiarite solo dopo un certo numero di pagine. Ad esempio per capire Turiste de bananes (1938) occorre leggere una ventina di pagine per sapere che "... è una nostra espressione per identificare certi passeggeri che partono per le isole con l'idea di poter vivere una vita al naturale, lontano dal modo, senza preoccupazioni di soldi, mangiando banane e noci di cocco...".
Bisogna addirittura arrivare a metà romanzo e leggere la frase che fà capire il titolo La Main (1968) "...sapete che la notte che abbiamo dormito per terra, su dei materassi, ero ipnotizzato dalla vostra mano che era poggiata sul parquet?...Avevo una voglia folle di toccarla, di sentirla...Se l'avessi fatto, mi chiedo cosa sarebbe successo...".
E poi anche per i romans-romans si registrano diversi cambiamenti dell'ultimo momento. Qualche esempio? L'Horoleger d'Everton si chiamava La cause de tout. Invece Un petit voyou era il titolo del romanzo che sarebbe stato pubblicato come Cour d'assises. Il famosissimo La neige était sale all'inizio s'intitolava Mr Host. Tre esempi di quasi una ventina di titoli di cui si ha conoscenza.
Poi c'era il titolo già utilizzato. Qualche volta nel catalogo dell'editore esisteva già un titolo del genere e ovviamente andava cambiato. Ma non fu sempre così. Nel caso di Au bout de rouleau era già in catalogo da Gallimard. Simenon s'impuntò: o così o niente. Il romanzo fu pubblicato nel '46 da Presses de La Cité. A proposito, l'autore che aveva già quel titolo era Joseph Conrad...

lunedì 21 novembre 2011

SIMENON. MAIGRET E I QUATTRO... MOSCHETTIERI

"... Non era la prima vota che faceva una di quelle entrate, più da collega che da superiore.
Apriva la porta dell'ufficio degli ispettori e, spingendo il cappello sulla nuca, andava a sedersi sull'angolo del tavolo, vuotava la sua pipa sul pavimento, battendola contro il tacco, prima di ricaricarla di nuovo. Li guardava uno dopo l'altro ognuno occupati nei loro diversi compiti, con l'espressione di un padre di famiglia che, tornando a casa, era contento di rivedere i suoi..." (Maigret chez le ministre -1954).
Questo passo è assai significaivo del rapporto tra la squadra di ispettori e il loro capo, commissario divisionario della brigata omicidi. Erano i suoi uomini e lui il loro capo indiscusso, ma il loro rapporto era cameratesco, tranne quando, magari per una litigata con il giudice Comelieu, Maigret era su di giri, e arrivava facendo quattro urlacci ai quattro venti e poi si chiudeva nel suo ufficio.
Ma i suoi ispettori chi erano? Intanto almeno tre lavorano da sempre con Maigret. Lucas è quello vanta l'anzianità maggiore, una sorta di suo braccio destro che lo sostituisce quando è in viaggio per indagare fuori Parigi. E ovviamente è quello destinato a succedergli sulla poltrona di commissario. Ben piazzato, più basso e più giovane di Maigret, baffetti alla Charlot, Lucas cerca di imitare il suo capo che ammira incondizionatamente e con il quale per intendersi basta un colpo d'occhio. E' meticoloso e non ha l'aria da poiziotto. E' una colonna portante della squadra.
Janvier invece alto magro, è entrato molto giovane nella polizia, e Maigret ha una sorta di predilezione verso di lui, insomma è un po' il suo cocco (almeno finché non arriverà il piccolo Lapointe) e per questo gli perdona gli errori che commette per inesperienza. Ma per il capo rimane sempre il suo "rpetit Janvier" (in contrapposizione con "mon vieux Lucas") cui perdona tutto, forse anche perché gli ricorda sé stesso agli esordi.
Corpulento, imponente e pesante, Torrence può essere definto il Porthos di questi quattro... moschettieri. E' della vecchia guardia, ma il meno brillante della squadra, quello che si vede affidare gli incarichi più noiosi o di secondo piano. E' lui che guida la macchina, insomma più indicato per sbrigare le faccende pratiche che non per scoprire un idizio in un'indagine. Gigante buono, con l'ostinazione necessaria in certi casi, fuma anche lui la pipa, come il capo e come il capo ha una notevole inclinazione per il mangiare e per il bere.
 Lapointe. E' l'ultimo arrivato nella squadra, ed anche il più giovane. Con lui Maigret ha davvero un atteggiamente paterno, lo protegge, può insegnargli le cose che gli altri tre già sanno. Lo tratta come il figlio che non ha avuto e che fa parte di questa speciale famiglia a Quai des Orfévres con cui si dividono rischi, nottate, appostamenti, interrogatori e qualche bisbocciata alla brasserie Dauphine.
Insomma Simenon ha costruito intorno al commissario un'equipe che, chi per un lato e chi per un altro, rispecchia il suo carattere, il suo modo d'indagare e le sue inclinazioni e che si intendono senza tante parole. Basta un cenno, un'occhiata e... via!

domenica 20 novembre 2011

SIMENON E IL CASO DEL "QUATTRO"

Si dice numerologia lo studio dei probabili rapporti, non scientificamente provati, tra certe cifre, dati, situazioni, avvenimenti e fatti che interessano una persona. In breve significa che alcuni danno un significato, a loro dire, rilevatore di qualcosa sul fatto che  un numero ricorra più volte nella vita di una persona.
Noi l'abbiamo presa come una curiosità, o se volete come un gioco, e siamo andati a vedere qual era il numero ricorrente per Georges Simenon. E abbiamo scoperto, con l'aiuto di una nostra amica che si diletta di corrispondenze numeriche, che questa cifra è il quattro.
Iniziamo dal principio. Simenon nasce il 13 febbraio 1903, dove per il giorno 1+3 = 4 e per l'anno 1+9+0+3 = 13 e 1+3 = 4. (lei sostiene che andrebbe considerato anche il civico di dove è nato, rue Leopold, allora 26, dove 2+6 = 8 e che 8 che è il doppio preciso di 4. Ma questo lo riportiamo solo per scrupolo di cronaca).
Secondo la versione dell'autore, il personaggio del commissario Maigret viene concepito in Olanda a Delfzijl, nell'anno 1930. Ancora un volta 1+9+3+0 = 13 e 1+3 = 4.
Ma 4 sono anche i paesi in cui ha trascorso la sua vita, il Belgio fino al '22, la Francia fino al '45, gli Stati Uniti fino al 1955 e ultima e quarta la Svizzera fino alla sua scomparsa.
Ma se ci pensate bene anche il numero delle compagne importanti nella vita di Simenon è sempre 4, per la precisione due mogli (Tigy e Denyse), un femme de chambre-maitresse (la Boule)  e un'altra femme de chambre, poi divenuta sua compagna (Teresa).
Se rimaniamo nell'ambito, per così dire familiare, va ricordato che Simenon ha avuto 4 figli: Marc, John, Marie-Jo e Nicolas.
E se passiamo sul fronte della sua opera narrativa sappiamo che è comunemente divisa in 4 periodi: la letteratura popolare, il periodo Maigret, i romans-romans e infine, nella vecchiaia, la quarta, quella dei Dictées. E ancora. Gli ispettori che formano la squadra fissa con il commissario sono ancora 4: Janvier, Torrence, Lucas e Lapointe.
Passiamo alle interviste sia fatte che concesse. Sappiamo che oltre al periodo de La Gazzette de Liége le interviste che gli sono state commissionate come giornalista e quelle che, una volta scrittore famoso, ha dato a giornali, radio e televisioni sono innumerevoli. Ma tra tutte queste spiccano alcune che per l'eccezionalità del personaggio, o per i contenuti, o per la loro singolarità sono ricordate e molto conosciute. La prima quella che realizzò in esclusiva per Paris-Soir a Lev Trotskji (1933), la seconda concessa ad un equipe di psicologi e psicoanalisti della rivista Médicine et Hygiène nel 1968, terza quella fatta per conto de L'Express nel 1977 a Fellini, in cui dichiarò di aver avuto diecimila donne, la quarta è quella televisiva nell''81, sulla rete francese ORTF nella trasmissione Apostrophe in cui interrogato dal giornalista Bernard Pivot sul suicidio della figlia Marie-Jo, piangendo raccontò quella tragedia.
E siamo alla fine. Lo scrittore morì nel 1989 a settembre... il giorno 4.

sabato 19 novembre 2011

SIMENON. LE CHAT, LA GUERRA DEI BOUIN

Come già successo con altri titoli (per ultimo ricordiamo Betty ) pubblichiamo la recensione di una nostra amica appassionata di Simenon, che ormai possiamo considerare una collaboratrice di Simenon Simenon. Stiamo parlando di Paola Cerana, giornalista che si occupa di cultura per varie testate, e che stavolta ci regala un piccolo, ma sfizioso "saggio" su Le Chat, scritto da Simenon nella seconda metà degli anni '60, una decina d'anni dopo anche un film di successo, e che ci presenta un altro tipo di "passaggio della linea". I due protagonisti Marguerite e Emile l'hanno passata entrambe.


Ogni storia narrata da Georges Simenon ha una sua stagione, con un suo colore e un suo odore. E’ come se l’atmosfera esteriore riflettesse lo stato d’animo dei personaggi e, probabilmente, dell’autore stesso. Simenon ha scritto Le Chat nella prima settimana d’ottobre del 1966, a Epalinges, nella sua grande villa presso Losanna. In quel periodo era rimasto quasi solo, con i suoi sessant’anni ma ancora tanta voglia di vivere e di scrivere. Denyse, la sua seconda moglie, l’aveva lasciato definitivamente da qualche anno e i figli, ormai grandi, avevano preso ognuno la propria strada, a parte il più piccolo, Nicolas. Lontano, dunque, dalla grande famiglia e dalle abituali femmes de chambre, lo scrittore sembra aver voluto trarre ispirazione proprio da questo clima intimo di profonda meditazione e d’isolamento psicologico per scrivere questo romanzo. Il trascorrere del tempo in un’apparente immobilità, i ricordi della giovinezza e i sentimenti di un’età adulta volta verso la vecchiaia si mescolano nel racconto con tale intensità da ispirare una sceneggiatura, poco dopo la prima pubblicazione del libro. Nel 1971, il romanzo diventa, infatti, una pellicola cinematografica con l’omonimo titolo, sotto la regia di Pierre Granier-Deferre e con l’interpretazione di Simone Signoret e Jean Gabin.
Il Gatto, ripubblicato di recente da Adelphi, si svolge in novembre e racconta la grottesca relazione di due anziani coniugi, Marguerite e Emile Bouin. La coppia vive in un appartamento di Parigi in cui tutto pare immobile e ovattato come in una fotografia ed è solo l’orologio a pendolo, con il fremito titubante delle sue lancette nere, a ricordare ogni mezz’ora che il tempo passa. Fuori, il ticchettio della pioggia si confonde allo zampillio della fontana di marmo, dove un amorino di bronzo sorregge un pesce che sputa acqua. Solo quando la betoniera del cantiere di fronte si spegne e il frastuono di ferraglia cede il passo alla quiete della sera, si può percepire bene il lamento della pioggia sotto la luce tremula dei lampioni.
Ma non è sempre tutto uggioso e statico nella vita dell’anziana coppia. Anche il loro autunno ha un colore e un odore, frutto dei ricordi e dei rimpianti, che Simenon pennella qua e là nel libro come fosse la tela d’un pittore. Il color malva aleggia soffice come uno spruzzo di primavera tra la pioggia. E’ il colore del tailleur che Marguerite Bouin indossa nelle giornate di sole, anche in quelle autunnali, insieme a un cappellino bianco che potrebbe dare alla donna un aspetto adolescenziale. In realtà, Marguerite ha settantuno anni e della sua giovinezza ha conservato solo l’eccessiva magrezza, il pallore etereo e un sorriso mellifluo ormai avvizzito. Sferruzza a maglia con religiosa minuzia, tutti i giorni, seduta accanto al camino acceso davanti a una televisione inascoltata, combattuta tra i rosei ricordi del suo passato e la piatta quotidianità senza orizzonti. I bagliori di una famiglia dell’alta borghesia poi caduta in rovina e l’affetto per l’ex marito musicista defunto sono ciò che di più caro conserva nel cuore, per consolarsi del grigio presente.
Anche Emile Bouin, suo marito, siede abitualmente nella propria poltrona accanto al camino, apparentemente immerso nella lettura di un quotidiano sgualcito. In realtà, è anche lui rapito da rancorose memorie e languidi ricordi. Anch’egli è vedovo, di una donna allegra e polposa, tutto l’opposto di Marguerite che gli evoca piuttosto un uccellino lezioso e petulante. Come si sia potuto invaghire di Marguerite al punto da risposarsi in tarda età non lo capirà mai! Tuttavia, Emile non si è rassegnato ai suoi settantaquattro anni, né alla promessa fedeltà coniugale, ancora animato da quel temperamento sanguigno che solo gli operai delle balieu ostinate come la sua possono vantare. E’ un abitudinario, tanto che nemmeno s’è accorto d’invecchiare, così rapito dalla ritualità di gesti che da anni replica identici a se stessi. Col tempo è diventato insensibile a tante cose, tra cui gli odori, a parte quello della cera per il parquet. Emile lo trova talmente buono da voler pulire il pavimento di casa Bouin una volta la settimana, non per far piacere alla moglie ma solo per goderne gli effluvi.
Le giornate trascorse insieme si susseguono identiche, da anni. Nell’umido, caldo silenzio del salotto, Emile dalla sua poltrona ogni tanto appallottola un foglietto di carta su cui scrive qualcosa e lo lancia in grembo a Marguerite che, con soppesata lentezza, lo srotola e lo legge, prima di gettarlo nel camino con un sorriso spento. “IL GATTO”, di solito c’è scritto. Al che, Marguerite con tutta calma s’arma di un altro foglietto di carta e di una matita, rilanciando in faccia al marito le solite due parole in risposta: “IL PAPPAGALLO”. Ecco, così sono pari!
A volte i messaggi sono più articolati ma la storia è praticamente sempre la stessa. I coniugi Bouin comunicano così, attraverso brevi frasi scritte senza mai parlare, da quattro anni. Esattamente, da quando Emile ha accusato Marguerite di aver assassinato il povero gatto che lui amava e lei non sopportava, e perciò s’è vendicato spennando a sangue il bel pappagallo a lei tanto caro. Quattro anni di reciproche accuse in assoluto silenzio, scandito da sguardi feroci e battute di carta, in una sfida claustrofobica e maniacale. Nessuno dei due può deporre le armi, questo gioco è diventato la loro vita ed è fonte di un segreto e malato piacere: mandarsi biglietti velenosi è per loro naturale e necessario come per gli amanti è scambiarsi baci e carezze. La parola ‘gioco’, in effetti, evoca erroneamente una nota di fanciullesca allegria. In realtà, Marguerite ed Emile sono due anziani logorati da un odio rancoroso che li ha uniti indissolubilmente, consumandoli giorno dopo giorno in una grottesca asfissia. Tutto si svolge in modo lento e cadenzato nelle loro vite, due esistenze intrecciate e allo stesso tempo separate da un sentimento puro, senza ombre e contaminazioni, di cui nessuno dei due può fare a meno, perché quello è diventato l’unico antidoto contro la morte.
“Chi di noi due se ne andrà per primo?” E’ questo l’unico pensiero che tiene in vita i coniugi Bouin, ognuno scommettendo tra sé e sé su chi sopravvivrà all’altro. Tuttavia, quando alla fine uno dei due si troverà realmente solo, l’odio tutt’a un tratto sfumerà insieme ai rancori e all’amaro piacere della vendetta, per lasciar posto all’unica certezza della vita. Perché si arriva sempre goffi e nudi di fronte alla morte. In un lampo, si riaccenderà nell’anima di chi resta l’affetto per le cose semplici e belle fino a quell’istante condivise: il ticchettio della pioggia nelle sere d’autunno, lo svolazzante tailleur color malva sotto il sole pallido e l’odore buono di cera passato sul parquet di un appartamento luccicante solo d’inutili ricordi.
Il gioco dei coniugi Bouin finisce quando uno dei due perde per sempre. Resta vivo, invece, il piacere della lettura di questo romanzo di Georges Simenon che sembra invitarci a sedere accanto a sé, alla macchina da scrivere, nella sua casa vuota di Epalinges. E con la sua profonda levità, mette a nudo anche la nostra anima, accompagnandoci attraverso l’ineluttabilità del tempo e della vecchiezza che, paradossalmente, sembra diventare l’ultima stagione per tornare ancora una volta bambini.
Paola Cerana