lunedì 9 luglio 2012

SIMENON SIMENON DI RITORNO DA K.LIT

La possiamo considerare la prima uscita ufficiale di Simenon-Simenon. L'occasione, di cui abbiamo già parlato qualche giorno fa', è stata "k.Lit  - ll primo festival europeo dei blog letterari" a Thiene (Vi). L'altro ieri e ieri, un weekend che ha visto una settantina tra blogger, giornalisti, editori, esperti di comunicazione multimediale e scrittori ritrovarsi nella cittadina del vicentino per dibattere questo fenomeno, che ha ormai raggiunto una notevole rilevanza sulla rete. Circa duecento tavole rotonde hanno impegnato gli addetti ai lavori, mentre si sono registrate circa ottomila presenze di spettatori che hanno seguito un personale itinerario attraverso gli innumerevoli temi trattati.
Qualche polemica era inevitabile. Ad esempio come quella innescata oggi da Il Giornale di Vicenza sul numero degli spettatori che si prevedeva più consistente, (anzi qualcuno sembra avesse azzardato quasi il doppio).
Ma per una prima edizione, con un caldo che ha toccato i 37° gradi, un weekend che invitava ad un bagno al mare mare o al fresco delle montagne e lo sciopero dei mezzi di trasporti locali nella giornata di domenica il risultato non può essere ridotto al semplice computo dei visitatori. A nostro avviso va valutata la qualità degl internventi, la ricchezza delle proposte, l'orginalità dell'idea. E' chiaro che ci saranno delle modifiche da attuare, dei cambiamenti da prendere in considerazione, ma, a nostro avviso, l'impianto della manifestzione c'è, e ha dimostrato la sua validità. E comunque ottomila presenze per una la prima edizione di una manifestazione culturale e con un tema così particolare, in una cittadina come Thiene, credeteci, non è poca cosa.
Il nostro Simenon-Simenon ha potuto godere di qualche istante di attenzione, uscendo per la prima volta dal guscio virtuale del web, raccontandosi sulle piazze, e una volta tanto potendo guardare in faccia le persone. Si è parlato di come è nato, delle sue caratteristche, del modo in cui viene aggiornato. Ma si è parlato anche del "Bureau Simenon" e dei suoi "attaché", argomento che ha suscitato un certo interesse.
Forse la nostra atipicità, forse l'essere un blog estremamente verticalizzato (cioè che tratta un argomento notevolmente circoscritto) e, nonostante questo, la sua cadenza quotidiana nell'aggiornamento, ha in qualche modo favorito, da parte degli organizzatori, il nostro inserimento in una tavola rotonda intitolata "Storie di successo di un blog".
Insomma un piccolo riconoscimento che non può che far piacere a chi quotidianamente dedica impegno e ricerca a questa scommessa-esperimento che ormai va avanti da un anno e mezzo circa, e che premia anche tutti i collaboratori che contribuiscono non poco alla qualità e all'originalità di questa impresa.
Ringraziamo ovvimente gli organizzatori di "k-Lit " dell'opportunità offerta a Simenon-Simenon, manifestando tra l'altro il nostro apprezzamento sia per i contenuti della manifestazione che per l'organizzazione. Nonostante quello che si dica, ha infatti dimostrato, sin da questa prima edizione, una preparazione meticolosa e puntuale che ha contribuito non poco alla riuscita di una iniziativa così complessa e articolata.

domenica 8 luglio 2012

SIMENON. SONO QUADERNI PER... VECCHI

Dal 1960 al 1963. Una dozzina di quaderni, quelli di scuola, la copertina nera, i bordi rossi dei fogli, un formato un po' allungato. Questo il supporto. Ma il contenuto? Non è un romanzo. E' autobiografia, giornale intimo, scritti indirizzati ai figli, come era già avvenuto per Pedigree  (1948) e come avverrà per Mémoires intimes che chiuderanno l'iter autobiografico del romanziere. Li scrive con alterni stati d'animo, abbandonandoli per certi periodi  e riprendendoli in altri.
"... penso soprattutto ai miei figli. Parlo loro il più possibile. Ma saranno così curiosi, un giorno, tanto da volerne sapere di più sul loro padre? Non sono così sicuro. E il pubblico?... si occuperanno di me tra venti o tra trent'anni - scrive Simenon nel 1960, non immaginando che dopo oltre cinquant'anni non solo si parla ancora di lui, ma all'uscità i suoi libri, almeno in paesi come l'Italia, entrano addirittura nelle classifiche dei best-seller - Io non lo so, è ovvio. In tutti i modi non cerco di mettermi in posa per i posteri, anzi avrei voglia di sfatare leggende e dicerie, di togliere tutto il glamour e tutto il pittoresco e dire: é tutto molto più semplice...."
Un Simenon auto-demistificatore. C'è da crederci? Se stiamo a quanto scrive lui stesso, sì.
"... che continui questi quaderni o li abbandoni ancora una volta, che siano pubblicati o che rimangano dimenticati in qualche cassetto dai miei figli, non fà differenza. Non mi confesso, non spiego come sono fatto, non racconto nè la mia vita, nè gli aneddoti della gente che ho conosciuto. Non ho intenzione d'esporre le mie idee. Se ne ho, sono già lì nei miei romanzi...".
Ma allora perchè questa ennesima prova autobiografica e perchè intitolarla  Quand j'ètais vieux se è stata scritta tra i cinquantasette e i sessant'anni? Un prima risposta l'abbiamo proprio nella sua crisi dei sessant'anni, che per la verità si verificò con qualche anno d'anticipo. In quel periodo Simenon, per sua stessa ammissione, trascorse circa un anno e mezzo in cui non si sentiva sè stesso. Era turbato da eventi, come ad esempio, quello dell'invecchiamento cui non riusciva e non poteva dare risposte. Comunque i quaderni non furono distrutti o dimenticati, anche per merito delle amichevoli pressioni di Bernard de Fallois (se ne trova traccia anche in "Mémoires intimes") che riuscì a far desistere Simenon dall'intenzione di far pubblicare quelle pagine soltanto dopo la propria morte. Furono editate da Presses de La Cité nel 1970.


sabato 7 luglio 2012

SIMENON. RACCONTI POLIZIESCHI MAIGRETTIANI... SENZA MAIGRET...

Un nuovo post di Andrea Franco, uno dei nostri più assidui attachés, su un paio di racconti postumi di Maigret. Chi volesse collaborare al Bureau scriva a simenon.simenon@temateam.com
 
Roma - dal nostro attaché Andrea Franco - Abbastanza numerosi sono stati gli investigatori maigrettiani utilizzati da Simenon in altre sue opere (per lo piu racconti). Si tratta comunque di una casistica limitata agli anni '30 e '40 ad eccezione di un paio di racconti,di cui ho intenzione di parlare oggi.
Sono due tra i meno conosciuti di Simenon e rimasti a lungo inediti: L'invalide à la tete de bois e La chanteuse de Pigalle che furono scritti nel 1952 ma, caso unico per Simenon, la pubblicazione avvenne postuma, nel 1990, nella raccolta delle sue opere Tout Simenon.
L'invalide è Justin Duclos, ex direttore della brigata speciale, ormai costretto sulla sedia a rotelle, per un incidente occorsogli in servizio. Ad indagare troviamo quindi una ragazza, Lili, aiutata (e qui i punti d'incontro con Maigret sono evidentissimi) da una portinaia e, pensate un po', dal giovane Lapointe. In uno dei due racconti viene menzionato anche Torrence. Inoltre per lo stile narrativo è ,a mio avviso, la miniserie che piu si avvicina a Maigret, soprattutto di quelli seriali a partire dagli anni '50.
I due racconti furono scritti negli Stati Uniti e, proprio come avvenne per altre opere, la "pariginità" dell'ambientazione risulta piuttosto marcata, forse perchè la lontananza offriva a Simenon una nostalgica voglia di immergersi nella topografia della capitale francese.
La chanteuse de Pigalle venne scritto per primo, ma andrebbe letto dopo L'invalide à la tete de bois (in cui si spiega il perchè Duclos si trovi in quella situazione). Nel volume è compresa, come si vede dalla copertina, anche una terza novella: Le gros lot, anch'essa scritta negli Usa, a Lakeville nel 1953, ma non è però una avventura poliziesca.

venerdì 6 luglio 2012

SIMENON. RIFLETTERE O SENTIRE?

In un'intervista apparsa su Le Monde, nel giugno del 1965, Simenon chiarisce forse in modo un po' tranchant, la sua opinione su una questione di non poco conto. Se credere o no alla facoltà raziocinante del pensiero e quindi della riflessione, oppure se ritenere che il meditare e il sognare siano le attività peculiari dell'uomo. Oltre ad essere di per sè un dilemma su cui versare litri e litri d'inchiostro, è una questione non ininfluente per il modo in cui uno scrittore come Simenon, abbia concepito, organizziato e compilato le proprie pere. Ecco le sue parole.
"...Ho sempre avuto orrore della parola "riflessione" e della parola "pensiero".
Io non sono un essere che pensa. Sono uno che annusa e che sente. Credo alla meditazione e al sognare, cosa molto diversa. Non credo al pensiero. Credo piuttosto all'intuizione che all'intelligenza. E gli psicologi moderni iniziano ad ammetterlo...".
Certo, che Simenon fosse più sensitivo che riflessivo, questo è ormai risaputo, anche se bisognerebbe capire meglio cosa intendesse quando parlava di riflessione e di meditazione. Ad esempio la definizione che di "meditazione" dà un dizionario della lingua italiana (il Devoto-Oli), è duplice: 1) "Prolungata ed intensa applicazione delle facoltà sprituali o intellettive, su un argomento o un problema". 2) "Pratica ascetica, consistente in un'attività di preghiera mentale o anche di predicazione, destinata ad aumentare le possibilità del credente, mediante la riflessione o la contemplazione".
Come si vede, i legami tra meditazione  e riflessione, nella seconda accezione, sono confermati. Se andiamo a leggere la voce "riflessione" troviamo quanto segue "Considerazione attenta, espressione di maturità e consapevolezza nell'esercizio del pensiero". Nell'accezione filosofica per riflessione s'intende l'aspetto funzionale della coscienza in quanto autocoscienza.
Ciò detto, a nostro avviso, valgono forse più gli esempi che troviamo nell'opera letteraria simenoniana (soprattutto se crediamo in quella sua creatività in stato di trance) in cui i personaggi generalmente seguono il proprio destino, le proprie sensazioni più che ragionare sul proprio stato e razionalizzare i propri comportamenti. Anzi, in alcuni casi li troviamo in balìa di questo benedetto e maledetto destino e senza nessun ragionamento o riflessione che possa cambiare il corso della loro esistenza. Siamo al limite della predestinazione. L'uomo che nasce con un percorso imperscrutabile, una vita che segue le strade più impensate in cui anche il più piccolo ed apparentemente insignificante avvenimento è capace di mettere in moto una concatenzione di eventi che possono travolgere l'individuo (il famoso "passaggio della linea").
Ovviamente le dichiarazioni di Simenon riguardano in primis la propria vita, il proprio modo di creare letteratura... questo subconscio che agisce quasi prendendolo per mano e portandolo a scrivere qualcosa che, come lui stesso ha più volte affermato, non sa mai dove lo condurrà e gli tiene nascosto anche come la sua opera si concluderà.
Anche Maigret, l'abbiamo già più volte ripetuto citando le parole del romanziere, è stato concepito come un personaggio non intelligente, ma intuitivo. Deve entrare in empatia non solo con le persone, ma con l'ambiente e la mentalità dominante. Solo allora il commissario può entrare nei meccanismi mentali, capire come funzionano... insomma pensare come "loro" e comprendere motivi e reazioni che possono aver portato al delitto. E' l'esempio massimo di come il metodo d'indagine di Maigret segua strade molto diverse dalle ricostruizioni di ferree logiche e concatenazioni conseguenziali. Se non si penetra a fondo nell'anima delle persone e se non si afferrano le dinamiche interpersonali dei protagonisti, ben dificilmente si riuscirà a sbrogliare la matassa.
E crediamo che, da questa angolazione, la figura di Maigret rappresenti una delle chiavi per aprire le porte del "caso Simenon" e capire l'universo del romanziere. Può darsi  che questa funzione di passepartout sia stata addirittura sottovalutata nell'analisi complessiva dell'opera dello scrittore. Maigret da questo punto di vista almeno, è molto più Simenon di quanto l'autore stesso vorrebbe far crederci  (o se volete, Simenon è molto più Maigret di quanto non voglia ammettere). E le dichiarazioni rilasciate a Le Monde crediamo che portino proprio in questa direzione. Voi che ne dite?

giovedì 5 luglio 2012

SIMENON. UNA VITA COSTRUITA A TAVOLINO?

Sappiamo bene cosa portò Simenon a lasciare Liegi per Parigi, ad abbandonare il suo lavoro sicuro di redattore alla Gazette de Liège per l'incognita dell'avventura letteraria. Non si trattava solo del fatto di scrivere, ma di cosa e come. Il suo obiettivo era scrivere romanzi che scaturissero dalla sua vena ispiratrice, senza condizionamenti, insomma letteratura vera come la intendeva lui.
Va dato atto al giovanissmo Simenon che, a nemmeno vent'anni, aveva tre doti che lo avrebbero aiutato moltissmo a raggiungere il suo obiettivo, lì dove moltissimi altri giovani come lui avevavano fallito. Intanto era umile. Sapeva perfettamente che lo aspettava un lungo periodo di gavetta e che sarebbe "arrivato" solo dopo un certo numero di tappe. Poi era un lucido e consapevole programmatore. Infatti nella sua testa già vedeva i periodi che lo attendevano: quello dell' apprendistato, in cui avrebbe dovuto accettare qualsiasi lavoro su commissione, avrebbe dovuto scrivere di tutto, ma che sarebbe stato un momento fondamentale per entrare nel meccanismo del mondo editoriale, per sperimentare linguaggi e forme narrative. Poi sarebbe potuto passare alla cosiddetta semi-letteratura, dove, accanto alla libertà di scrivere quello che voleva, dovevano coesistere un determinato complesso di regole (ad esempio quelle del genere poliziesco) che lo guidassero (ma fino ad un certo punto...) e costituissero un punto di riferimento. Solo dopo questa esperienza avrebbe potuto mollare gli ormeggi e navigare nel mare della letteratura tout court. Terza dote, la perserveranza. Simenon non si scoraggiava mai, nemmeno dei ripetuti e celebri dinieghi di Colette, quando lui le portava i racconti che avrebbe voluto vedere pubblicati su Le Matin. Caparbio e perseverante, li modificò, li cambiò, seguì i consigli della scrittrice fin quando riuscì a farsene pubblicare uno.
Certo non fu il solo scrittore a fare questo tipo di gavetta, soprattutto nella fase della letteratura-alimentare (quella che non solo fungeva da apprendistato ma, come diceva lo stesso Simenon, gli serviva per mangiare). La spinta economica ha quasi sempre avuto la sua importanza per moltissimi scrittori. Potremmo citare Faulkner che quando aveva bisogno di denaro andava a lavorare per le major di Hollywood e poi tornava alla sua Oxford (Usa) per dedicarsi alle proprie creazioni artistiche. Oppure Balzac che, agli inizi e sotto pseudonimo, sapeva bene di scrivere, come le definiva senza mezzi termini, "delle vere e proprie porcherie letterarie" e rimpiangeva il tempo sprecato a scriverle. E a differenza di Simenon, che invece era cosciente dei suoi limiti e non si lamentava di dover scrivere su commissione i più triti e stucchevoli romanzetti popolari, l'impaziente Balzac, consapevole del suo valore, soffriva del tempo sprecato a scrivere quella robaccia invece di dedicarlo alla letteratura.
Simenon "quella robaccia" la faceva invece fruttare, sia economicamente, che  come esperienza e non aveva intenzione di bruciare le tappe. Era come se avesse definito a tavolino un ruolino di marcia per raggiungere i suoi obietivi e lo seguisse diligentemente.
Ma anche l'istinto ebbe a sua parte. Cosa altro poteva infatti convincerlo che tra i numerosi personaggi creati, proprio Maigret, che trovava tanta ostilità da parte del suo editore, fosse quello giusto su cui puntare tutto, tanto da uscire allo scoperto con il proprio vero nome? Le regole della letteratura popolare avrebbero dovuto insegnarli tutto il contrario. Il suo commissario e le sue inchieste non avevano le caratteristiche che le regole del "genere" allora pretendevano. Fu un azzardo? Crediamo di no. Razionalmente forse aveva ragione Fayard che quella serie non era destinata al successo. Ma intuitivamente Simenon sentiva il contrario (ricordiamoci che anche il commissario era definito dal suo creatore non intelligente, ma intuitivo). E nei fatti le sensazioni dello scrittore vinsero sui "dati" dell'editore. Così Simenon con il successso di Maigret, era entrato nella semi-letteratura. Il suo commissario gli portò fama e popolarità, ma anche quell'etichtta di autore poliziesco che ci mise non poco a scrollarsi di dosso. Dopo la prima serie di venti inchieste, Simenon considerava chiuso il capitolo Maigret e aveva iniziato con Fayard a pubblicare i romans-durs (ma a questo punto le parti si erano invertite: Fayard voleva che Simenon continuasse a scrivere i Maigret, mentre lo scrittore non voleva più saperne). Qui la sua programmazione accusò un errore. Nonostante avesse scritto già diversi romans durs, la sua consacrazione come romanziere la possiamo far coincidere con l'entrata in Gallimard. Ma questo non cambiò nulla. Anche Gaston Gallimard gli chiedeva di scrivere Maigret. Il romanziere riuscì a reggere un periodo sabbatico di qualche anno, ma poi arrivò il momento del ritorno di Maigret. E fu un ritorno per la vita. Ma, se in un certo senso, nei primi tempi Simenon si era preoccupato di differenziare i romanzi dalle inchieste del commissario, man mano che passavano gli anni le differenze tra le due produzioni andò sempre più riducendosi, tanto da non poter quasi più parlare di produzione letteraria e di produzione commerciale.
Tutto sommato quello che abbiamo chiamato un programma steso a tavolino era stato rispettato e infine aveva funzionato... eccome.

mercoledì 4 luglio 2012

SIMENON. UN EDITORE PER LA VITA

Gaston Gallimard
Da Gallimard a Presses de La Cité. E' il passaggio di casa editrice che Simenon decise di fare nel 1945. Perchè? Tutto sommato Gallimard l'aveva accolto bene. Certo Gaston, il patron, si lamentava un po' per le vendite dei suoi romanzi e di contro gli chiedeva di scrivere dei Maigret che la gente comprava invece a occhi chiusi. Ma su questo Simenon non volle cedere più di tanto. Non é un caso se nell'epoca della Gallimard possiamo contare oltre trenta romanzi, ma soltanto alcune raccolte di racconti di Maigret. E poi tutti quei nomi... Gide, Proust, Sartre, Camus... non che essere in catalogo con quei mostri sacri gli dispiacesse, anzi, se era stato sdoganato come scrittore di polizieschi, lo doveva anche al fatto di essere entrato in una delle più prestigiose case editrici francesi che editava solo certi autori. Ma, come si sa, Simenon aveva sempre avuto poca simpatia per le congreghe letterarie, anche quelle di alto livello e per i salotti culturali. E poi, quel controllo cui si doveva sottoporre al comitato di redazione... Simenon si considerava un artigiano, fin dai tempi della letteratura popolare, e tale si sentiva ancora adesso, ormai romanziere affermato. Scritto il suo libro, spedito in casa editrice, considerava finito il suo lavoro. Aveva altre idee su come passare il tempo (poco in verità) tra la scrittura di un libro e un altro, che non incontrarsi con altri scrittori, partecipare a pranzi, convegni, ricevimenti, anche quando, di lì a qualche anno, saranno in suo onore.
E, nonostante lasciare un editore come Gallimard potesse costituire un problema d'immagine per lo scrittore, Simenon sentiva un'insofferenza che doveva risolvere. In quel periodo conobbe Sven Nielsen, danese, che con la consorte aveva avviato una società di imballaggio e spedizioni. Poi debuttò nella distribuzione dei libri come Les messageries du livre, per poi iniziare una vera e propria attività editoriale, anche se di piccola entità, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, come Presses de La Cité.
Sven Nielsen
Il loro rapporto iniziò con una prefazione che lo scrittore compilò per Traqué, romanzo poiziesco del norvegese Arthur Omre, cosa che fece gratuitamente, perchè il romanzo gli piacque e perchè gli piaceva anche quel giovane imprenditore coraggioso. Coraggioso e innovativo. Infatti nei suoi libri sostituì all'allestimentimento  "rilegato a filo refe", quello più veloce ed economico all'americana, incollato e cartonato. Ridusse il formato dei suoi libri a quello tascabile, per poter risparmiare sulla carta e permettersi tirature maggiori. Insomma intraprendente, pieno di idee, come poteva non piacere a Simenon? E infatti, chiusa la sua esperienza con Gallimard, il 14 luglio 1945 Nielsen e Simenon firmarono un contratto che li legherà fino alla morte dello scrittore. E l'esordio non poteva essere più adatto visto che si trattò di Pedigree (ottobre 1948) che era stato molto spinto da André Gide e che Gaston Gallimard avrebbe tanto voluto pubblicare.
Ma come in tutti i suoi rapporti di lavoro, Simenon spuntò con Presses de La Cité un contratto più vantaggioso di quello con Gallimard, ma soprattutto Nielsen non era certo tipo di mettere becco su quello che il romanziere scriveva, come succedeva con il comitato di redazione di Gallimard. E in più, essendo entrato anche nell'assetto societario, lo scrittore si sentiva a casa sua, poteva dispensare indicazioni e consigli sulle copertine, sulle uscite e coronare il suo sogno di controllare ogni fase della sua produzione.