venerdì 23 novembre 2012

SIMENON, UNO SCRITTORE COME UN ALTRO?


Il romanziere del '900. Certo questa definizione è corretta nei riguardi di Simenon che, come uomo, ha attraversato tutto il secolo scorso. Ma come
scrittore possiamo dire che la definizione sia altrettanto adeguata? Dipende dall'accezzione che le attribuiamo. Possiamo dire che Michelangelo Merisi da Caravaggio è un pittore del XVI secolo? Certo, se ci riferiamo agli anni che ha passato su questa terra e al luogo in cui è nato. Ma se analizziamo lui come artista e le sue opere, allora dobbiamo affermare che la sua pittura è universale e un'arte senza tempo, immortale. Ci sarà mai qualcuno nel futuro più lontano che potrà affermare che quei quadri non sono delle opere d'arte? Per quanto i gusti, i metri di valutazione, i contesti culturali, possano cambiare, non riusciamo nemmeno ad immaginare che possa venire non essere più considerato un geniale artista, ma un bravo tecnico nel mischiare colori...
Simenon scrittore, romanziere è sbarcato nel 2000 con cento anni sulle spalle, con 60 film tratti dai suoi romanzi (anzi l'ultimo è del 2008), in Italia quando escono i suoi titoli scalano le classifiche, ora anche in Spagna, grazie all'editore Acantilado riusciranno i Maigret in modo sistematico e il figlio di Georges, John, sta facendo un lavoro di promozione dell'opera simenoniana in Usa.
Questo è un segno. Sono passati una dozzina di anni dalla fatidica data del 2000 Simenon non è solo un autore ancora letto ma è vivo, è ancora un affare editoriale. I suoi libri si vendono sempre, nuove edizioni si sommano a quelle che sono già un oggetto di caccia da parte dei bibiofili.
Insomma é uno scrittore che ci spiazza che ci porta a conoscere l'uomo nei suoi romanzi, che ci diverte e ci appassiona con il suo commissario Maigret, non scordiamolo, ha intrattenuto con circa duecento tra romanzi e racconti a milioni di lettori di romanzi popolari.
No, decisamente Simenon non è uno scrittore come un altro. 

giovedì 22 novembre 2012

SIMENON. SI PARLA ANCORA DI UN FILM-MAIGRET MADE IN USA


Le Nouvel Observateur riporta oggi la notizia che John Simenon, figlio di Georges, è negli Usa per conto della Commission du Film d'Ile-de-France per promuovere una probabile produzione di un film su Maigret che potrebbe vedere, perchè no(?) dietro la macchina da presa William Friedkin, regista che ama moltissimo il romanziere. La trasferta a Los Angeles di John, che ricordiamo è nato in America nel '49 (primo figlio avuto da Denyse, un anno prima di divorziare da Tigy e di sposarla) e vi ha vissuto i primi sei anni della sua vita, serve anche a rinfrescare la memoria dei romanzi del padre.
Negli anni americani tra l'altro fuorono adattati un paio di romanzi di Simenon: L'homme de la tour Eiffel girato da Burgess Meredith nel '49 e Le Fond de la Bouteille (1956) per la regia di Henry Hataway.
Insomma qualcosa si sta muovendo e in poche settimana si torna a parlare di questa probabilità ed è già un segno. A John Simenon poi va riconosciuto che in questo periodo è attivissimo nel rivitalizzare il corpus delle opere simenoniane.
E' impegnato su più fronti: costituire una società che raccolga in un unica società (con sede a Liegi) tutti diritti del padre, realizzare un museo permanente su Georges Simenon, sempre a Liegi, e operando anche sul web con l'apertura del sito ufficiale di Georges Simenon.  Niente di strano quindi che si dia da fare per una produzione di un altro film (per ora sono una sessantina) trattto da un romanzo del padre, soprattutto per il suo background specifico in altre produzioni cinematografiche (Star Wars, Alien...).

martedì 20 novembre 2012

SIMENON, PINTER... L'ESSENZIALITA' PASSA PER MAIGRET

L'intervento di oggi è proposto da una delle nostra attachées, Giovanna Ferraris. Si tratta di un breve ma interessante post su un elemento che lega la scrittura del romanziere e lo stile delle famose copertine mondadoriane del grande Pinter.


Roma - dalla nostra attachée Giovanna Ferraris - Mi è capitato tra le mani, un vecchio Maigret, edito da Mondadori nel 1975 che avevo già letto tempo fa' nell'edizione di Adelphi Maigret e l'affittacamere. Ero in una bancarella di libri malridotti e mischiati alla rinfusa... tre pezzi un euro. So benissimo che è molto difficile trovare dei Simenon usati in queste bancarelle di libri vecchi. Allora lesta, lesta, l'ho infilato tra un manuale di cucina dei Fratelli Mellita e un libro della Signora in Giallo, ho pagato e sono andata via di corsa. Mi sono disfatta dei due volumi superflui e appena comoda a casa, mi sono gustata, prima della rilettura, questa bellissima copertina di Ferènc Pinter. Oltre che un'appassionata del commissario, sono anche un'ammiratrice di Pinter, del suo modo di fissare gli attimi, della sua abilità nel portare l'attenzione su particolari a prima vista banali, ma in effetti molto significativi. Devo dire che amo di più le copertina del secondo periodo, quelle appunto meno disegnate, dove il tratto si fa più rarefatto, dove i due o tre particolari raccontano una storia completa. Anche questa nostante si vedano solo le bretelle di Maigret riflesse in uno specchio, un portaspazzolino da denti, un lavandino e la pipa poggiata sul bordo.
Pochi tratti, dominanza di due colori, il celeste intenso, e il bianco. Si capisce benissimo che Maigret, in maniche di camicia sta facendo pipì. Ma l'immagine è elegante e raffinata, perché essenziale. A Pinter bastano due colori e alcuni semplici tratti, per relizzare un capolavoro di copertina. E questo mi ha fatto pensare alla scrittura di Simenon. Linguaggio sintetico, frasi brevi, pochi aggettivi, dialoghi secchi. Ma questo gli bastava per creare una vicenda, dare spessore ai personaggi e farci ritrovare in un certo ambiente.
Essenziale. Essenziale come Pinter, o se si vuole, Pinter è l'illustratore giusto per Simenon, perchè essenziale come lui.
Questà è una delle qualità dell'arte. Dire tutto, con le sole parole che servono, non una virgola di più. Usare il disegno e il colore necessari, solo quelli indispensabili a creare un'opera figurativa completa e alla quale non si può togliere una pennellata o aggiungere un tratto. Chissà se Simenon e Pinter si sono conosciuti? Forse il nostro specialista Andrea Franco, o anche Maurizio Testa, lo potrebbero scoprire.

lunedì 19 novembre 2012

SIMENON E ROTH. QUANDO E' ORA DI SMETTERE DI SCRIVERE...

Ne scrivevamo proprio l'altro giorno. Simenon smise di scrivere a neanche settant'anni. Neanche si fà per dire, visto che aveva iniziato quasi una cinquantina di anni prima.
In questi giorni un'altro grande della letteratura, il romanziere americano Philp Roth ha fatto sapere che non avrebbe scritto più. Già, una delle punte di diamante della letteratura contemporanea, anche lui vicino ai settant'anni, conclude coscientemente e senza motivi condizionanti la sua attività. In realtà sembra che fossero un paio d'anni che stesse ponderando questa decisione, ma afferma di averci voluto pensare con calma e a fondo per vedere se non fosse una decisione affrettata e dettata da motivi contingenti. Adesso è ormai certo di non voler più scrivere e la notizia è diventata ufficiale.
In realtà somiglia alla decisione che Simenon prese nel settembre del 1972, quando si rese conto che il suo famoso état de roman non funzionava più, anche se fu più improvvisa ed istintiva e la comunicazione ufficiale avvenne in un'intervista (al "24 Heures di Losanna / Henry Charles Tauxe) solo qualche mese dopo, nel febbraio dell'anno successivo.
Oggi il quotidiano La Repubblica riporta un articolo del NewYork Times News Service, a firma di Charles McGrath, dove sono citate alcune affermazioni del romanziere americano. Il suo ultimo romanzo Nemesi, uscito nel 2010 ha chiuso un'attività iniziata nel '53 a ventisei anni, con il racconto Addio Columbus.
Certo tra i due c'è una generazione di mezzo. Quando Roth nasceva, Simenon aveva già completato la sua  prima serie dei Maigret e iniziava a scrivere dei romanzi. Quando morì Simenon, Roth era ormai uno scittore affermato con il famoso Lamento di Portnoy già scritto nel 1969 ed una ventina di titoli al suo attivo. Nei dieci anni che Simenon visse negli States (1945-1955), Roth era impegnato ancora negli studi.
In definitiva non possiamo dire che tra i due scrittori ci siano delle analogie, tranne questa coincidenza. Roth ha scritto storie più autobiografiche, Simenon raccontava la vita degli altri vista da dentro i personaggi. Roth è stato spesso rimproverato per la sua scrittura cruda e a volte scurrile, Simenon era controllato ed essenziale. Roth ha scritto di media un titolo l'anno, per Simenon sia va dai cinque/sei dei primi anni ai tre dell'ultimo periodo.
Però un cosa ci ha colpito. Su La Repubblica di oggi abbiamo letto "... So che non riuscirò più a scrivere bene come scrivevo prima. Non ho più la forza di sopportare la frustrazione. Scrivere è una frustrazione, una frustrazione quotidiana, per non parlare dell'umiliazione - spiega Roth - E' come il baseball: due terzi del tempo sabgli... Non ce la faccio più ad immaginare di passare altre giornate in cui scrivi cinque pagine e le butti via. Non ce la faccio più...".
La stanchezza, l'insicurezza di non riuscire più a tenere quel livello... Ci vengono in mente le parole di Simenon che abbiamo pubblicato qualche giorno fa' "... ho cercato sempre di semplificare, di raccogliere le mie impressioni, di sopprimere l'inutile, di eliminare l'aneddoto. Poi poco prima dei miei settant'anni ho avuto l'impressione che non fossi più capace di andare avanti senza danneggiare la mia salute e forse anche il mio equilibrio mentale... A settant'anni ho deciso di non scrivere più romanzi. In fondo per paura. Ho intuito confusamente quale prezzo avrei pagato per le mie opere future. Sapevo che continuare a creare dei personaggi, a sforzarmi a metterli sulla carta, costituiva una sorta di suicidio...(vedi il post relativo).

SIMENON. MAIGRET E IL CASO DEI SALSICCIOTTI A NOVEMBRE

Adolescenza in campagna. Gusto per le cose semplici. E anche in fatto di cibi il commissario Maigret sappiamo che e sue preferenze andavano per i piatti contadini o di origine rurale.
Oggi vogliamo fare un particolare incrocio, tra i gusti del commmissario, il mese di novembre, alcune inchieste scritte da Simenon e il famoso libro dell'altrettanto famoso cuoco francese Robert J. Courtin  Le cahier de recettes de madame Maigret (1974).
E qui, nella sezione dedicata agli Intermezzi lo chef parla di salsicciotti. Già, quelli tradizionali, preparati con il filo e le budella non tagliate. E prende spunto proprio da due inchieste Maigret et le voleur paresseux pubblicato nel novembre el 1961 Maigret et le client du samedi uscito l'anno successivo, sempre a novembre (entrambe edite da Presses de La Cité).
Nel primo caso cita una delle rituali richieste di Maigret su dove mangiare e cosa, durante lo svolgersi dell'inchiesta.
"... - Come si mangia al Petit-Saint Paul?
-...E' la padrona che cucina. Se le piacciono le salsicce non c'è niente di meglio in questa zona..."
Nell'indagine del '62 invece Courtin prende spunto da una scena tra il commissario e la moglie.
"...Egli mangiò il suo arrosto di vitello senza apetito. e sua moglie si domandò perché le dicesse tutto a un tratto: Domani preparerai dei salsicciotti...".
E allora vediamo come sono e soprattutto come si preparano questi salsicciotti che Maigret ama tanto (vengono citati anche in 'Maigret et le Fantome' e in 'Maigret e l'indicateur').
Courtin inizia citando la salsiccia di Troyes che è la più conosciuta, ma passa in rassegna anche altri tipi come ad esempio quelle di Vauvray, di Chantilly sur Loire, Aubagne... In Francia la scelta è ricca. Per cuocerle consiglia di bucare ogni salsiccia con la punta del coltello in una dozzina di punti. A questo punto vanno messe sulla griglia, aumentando pian piano la fiamma  in modo che la pelle diventi appena screpolata e dorata, facendo però atenzione a non bruciarla.
E di contorno? Manco a dirlo Maigret ama le patatine fritte, anche se il raffinato chef preferirebbe abbinare un legume che bilanci il grasso della salsiccia, ad esempio il crescione fatto in purea... un raffinatezza che non siamo sicuri che Maigret avrebbe apprezzato.
Vino semplice per un piatto semplice: del beaujolais.

sabato 17 novembre 2012

SIMENON, MONET. LA CHIAVE DEL SUO "MISTERO": E SE NON AVESSE SMESSO DI SCRIVERE?

Cosa si agitava nella mente di Simenon quando, scriveva in ètat de romans? E perché nel '72 quando stava per iniziare il suo romanzo Victor fu come se tutto si spegnesse. E quella repentina decisione. Non scrivere più. Nemmeno ripensarci, neanche provarci di nuovo. Perchè?
Qualche lume su questi bui e tormentosi quesiti ce li fornisce Simenon stesso in uno dei suoi Dictés (Le petits hommes - 1974 - Presses de La Cité) e più particolarmente in un passo in cui tratta di Monet e del proprio stupore-invidia per un artista che a settantacinque anni, per di più cieco da un occhio, si mise a dipingere Les Nymphéas... "...ammiro certamente Les Nimphéas. Ma lo amo davvero almeno quanto i quadri che l'hanno preceduto? Non sarà il riflesso di una mania, che definirei senile? Non è che le opere di un uomo che aveva brillato di un entusiasmo incontenibile, abbiano lasciato il passo all'opera di un uomo che poco a poco è diventato una sorta di teorico?..."
E qui la riflessione di Simenon sull'opera di Monet diventa autoriflessione e punta su sè stesso l'attenzione.
"...anche io per quasi cinquant'anni ho lavorato per realizzare un linguaggio impressionista, ho lasciato nascere i miei romanzi come se non mi appartenessero. Scaturivano dal mio essere più profondo, ma un essere che io non conoscevo. In altre parole nascevano da mio subconscio...".
Ma l'autoanalisi continua e continua anche questa sorta di parallelo con il pittore.
"...Come Monet ho cercato sempre di semplificare, di raccogliere le mie impressioni, di sopprimere l'inutile, di eliminare l'aneddoto. Poi poco prima dei miei settant'anni ho avuto l'impressione che non fossi più capace di andare avanti senza danneggiare la mia salute e forse anche il mio equilibrio mentale... - Simenon sta entrando nel cuore della decisione più importante della sua vita  - ...guardando Monet e Les Nimphéas ho fatto marcia indietro. A settant'anni ho deciso di non scrivere più romanzi. In fondo per paura. Ho intuito confusamente quale prezzo avrei pagato per le mie opere future. Sapevo che continuare a creare dei personaggi, a sforzarmi a metterli sulla carta, costitiuva una sorta di suicidio..."
Questa paura è un elemento che raramente è  presente nelle tante interpretazioni della sua fine come romanziere. E' un elemento così umano e che ci rende la fragilità di quella che invece veniva considerata una macchina da romanzi, collaudata, inarrestabile e prolifica. E invece...
"... in fondo può darsi che io abbia amato più la vita che la mia opera... Agli inizi ho scritto sei romanzi all'anno, poi quattro, poi tre. Ma siccome erano sempre più complessi, almeno dal mio punto di vista, mi corrrodevano poco a poco..."-
E alla fine di questa riflessone Simenon torna a parlare de Les Nimphéas e a riconsiderare le sue opinioni sul carattere senile dell'opera di Monet  "... probabilmente ho torto, d'altronde Les Nimphéas sono considerate universalmente come il capolavoro di Monet...Se è così, ho sbagliato a smettere. Forse sarei arrivato anch'io al capolavoro supremo....".

venerdì 16 novembre 2012

SIMENON. IN DIRETTA DALLA SUA CAMERA DI LOSANNA



A fine maggio del '75 il giornalista Yves Mourousiparla con Simenon dell'attualità, deil mondo e del suo mondo, i suoi oggetti, i suoi ricordi. L'intervista fu effettuata in occasione di un edizione speciale del giornale  dedicata a Simenon. Il video è come sempre di proprietà del l'I.N.A. (Institut Nationale de l'Audiovisuel) e ha una durata di circa dieci minuti.

giovedì 15 novembre 2012

SIMENON. SCORPIRE O CAPIRE? CRIMINAL MINDS COME MAIGRET?

Capire. Non c'è dubbio. A Maigret, e a Simenon quindi, interessa prima capire. Capire perchè quella certa persona ha compiuto quel delitto. Capire cosa l'ha spinto, cosa c'è sotto o meglio cosa c'é dietro a quell'uomo, quale situazione, quale mentalità, quale ambiente. Capire sì, ma Maigret è pur sempre un commissario di polizia giudiziara della brigata omicidi e deve anche scoprire. Scoprire e acciuffare il colpevole.
Non che questo gli interessi meno. Ma é la fase dell'indagine che viene da sé... quando uno ha capito. Conosce i meccanismi, sa dove mettere le mani, ha introiettato il suo modo di pensare, di agire e di reagire. Il sospettato diventa prevedibile e quindi scoprirlo è più facile. A quel punto, essendosi messo nei suoi panni, il commissario sa quale sarà la prossima mossa e anche catturarlo sarà più semplice.
Ecco il succo dei Maigret. Un poliziesco psicologico come è stato diverse volte definito, dove l'azione è ridotta al minimo indispensabile e dove gli spari e gli inseguimenti si contano in oltre cento, tra romanzi e racconti, sulle dita di una mano o poco più.
Ed è la rivoluzione che Simenon ha compiuto nel romanzo poliziesco degli anni trenta, almeno di quelli più popolari e di maggior successo. Non una mente sopraffina, quasi sovrumana. Nessuna performace fisica fuori del normale. Niente strumenti complicati e procedure scientifiche per scoprire prove e indizi.
Scrive il critico Pierre Assouline riferendosi a Maigret "...meno è professionale e più ci é vicino.Il poliziotto, come il romanziere, si interessano meno al criminale e più all'uomo che si nasconde dietro. La loro empatia è tale che ne fanno sovente un irresponsabile e ci portano a rendere scusabile il suo gesto fatale: invece di perseguire per 250 pagine un assassino fantasma, si scopre progressivamente il criminale e si viene portati pian piano ad ammettere la necessità psicologica del proprio gesto...".
Capirete quanto fosse poco digeribile, e forse anche poco comprensibile, ad un editore come Fayard (che inizialmente non voleva pubblicarlo) un'impostazione di questo tipo del genere poliziesco, con un protagonista quasi banale, ma con una costruzione complessa e articolata come questa, rispetto alle muscolose e eroiche gesta degli altri protagonisti dei polizieschi dell'epoca.
E poi questa metodica d'indagine a noi sembra moderna, molto moderna. Vicina ad esempio a quelle delle fiction televisive più raffinate. Prendete ad esempio Criminal Minds. Quanto le tecniche della famosa Unità di Analisi Comportamentale e dei loro profiler, a cominciare da Aaron "Hotch" Hotchner, somigliano a quelle di Maigret? E le conclusioni? Quanto sono davvero responsabili i serial killer più brutali che alla fine vengono catturati, proprio per essersi messi nella loro pelle e nella loro mente? 

mercoledì 14 novembre 2012

SIMENON. ADDIO AL "MOSTRO " DI EPALINGES?

                                       Foto by Le amis de Georges Simenon

Non che fosse una bellezza. Forse pratica per le personali esigenze di Simenon che se l'era fatta costruire su dei suoi disegni e affinchè fosse il massimo della funzionaità per sé e per la sua famiglia. Ma che non era un capolavoro di architettura non solo l'avevano dicharato molti professionisti del campo, ma l'avevano notato anche i suoi visitatori (che pure ne rimanevano impressionati) e coloro che passavano lì davanti.
Stiamo parlando della famosa villa di Epalinges finita di costruire alla fine del 1963 e dove lo scrittore visse fino al 1972.
Nemmeno dieci anni per l'unica casa che in tutta la vita si era fatto costruire. Addirittura dieci anni, per uno come lui che, fino ad allora, aveva cambiato in media un'abitazione ogni due anni.
La notizia è che sarà abbattuta. O per lo meno queste sono i progetti di chi ha acquistato, fin dal 2008 la villa, da tempo disabitata e poi occupata dai quelli che gli svizzeri chiamano gli splatter. L'acquirente è un italiano, l'uomo d'affari Luigi D'Amato che l'ha acquistata con il progetto di tirar su una serie di costruzioni a scopo abitativo. Un affare di 30 milioni di euro, escluso l'acquisto della villa e del terreno, e una sostanziale accettazione della popolazione e dell'aministrazione locale.
Alla notizia hanno dato un certo risalto le agenzie di stampa e la tv francesi, i quotidiani svizzeri e ovviamente internet, dove ha fatto subito il giro.
Quello che qui ci interessa non è tanto il fatto in sè. Certo quel decennio fisso sempre nella stessa casa fu un record per il romanziere, anche se a questa permanenza fece riscontro una  sorta di disgregazione della famiglia Simenon. Sono infatti gli anni in cui il distacco con la seconda moglie Denyse fu definitivo. Poi anche i figli, diventando grandi se andarono a vivere per lo più a Parigi o a studiare all'estero. Alla fine, se non fosse per Teresa, entrata  in casa Simenon come femme de chambre (consigliata dalla moglie di Arnoldo Mondadori) e diventata nel frattempo la sua compagna fino alla sua morte, sarebbe stato davvero solo. Ma comunque si senti ugualemnte talmente solo che decise, nel 1972, di metterla in vendita e trasferirsi in un appartamento all'ottavo piano di un condominio a Losanna. Anche da un punto di vista letterario gli anni passati a Epalinges significarono sedici Maigret e altrettanti romans-durs (ritmo blando per Simenon: poco più di tre titoli l'anno, ma é ormai nella decina tra i sessanta e i settanta), è anche il luogo dove si consumò il suo addio alla scrittura, dopo il blocco avuto con il romanzo mai nato, Victor
Insomma Epalinges non è certo una residenza dai gran bei ricordi, ma certo per gli appassionati simenoniani, benché criticabile nell'estetica, si trattava di un simbolo. Noi (che le abbiamo viste tutte e due) preferiamo ricordare Simenon nella sua ultima abitazione, in quella piccola "casa rosa" come la chiamava lui, quella al numero 12 di rue de Figuiers, con quel piccolo giardino e quel bellissimo cedro del libano che, con la sua maestosa chioma, sembrava voler proteggere lo scrittore quando si sedeva lì all'aperto.
E poi la casa di Simenon è ormai nelle milioni di case dove abitano milioni di lettori dei suoi libri, sparsi in tutto il mondo, che li conservano gelosamente e continuano tutt'oggi a leggerli e rileggerli.
Vedi Simenon. La villa bunker di Epalinges

martedì 13 novembre 2012

SIMENON A NOVEMBRE

Non è solamente uno dei suoi romanzi, Novembre (1969 - Presses de La Cité), ma costituisce una delle sue produzioni letterarie che rappresenta l'eccezione che conferma la regola. Lo spiega benissimo Simenon.
"... Novembre è uno dei rari romananzi che ho ripreso a scrivere dopo aver gettato il primo capitolo. Ho scritto il capitolo iniziale, ho sentito che non funzionava, che non sarei andato da nessuna parte, mi sono fermato. L'ho gettato nel cestino della carta. L'ho fatto in piccoli pezzi....".
Per una fuoriserie della scrittura come Simenon, bloccarsi al primo capitolo è davvero inusuale. Tutta la consueta preparazione, l'état de roman, le sue ore programmate, gli appunti sulle buste gialle... Niente. Verrebbe da dire: anche Simenon è un uomo e non può ogni volta fare centro, anzi così é più umano, addrittura più simpatico, meno superuomo delle letteratura...
E, a sentire quello che confida il romanziere in merito a questo episodio a De Fallois e Sigaux, l'anno successivo, viene quasi da compatirlo.
"... mi spuntarono due o tre grosse lacrime perché dicevo tra me e me ' E' definitivo, non sarò più capace di nulla'. E' assolutamente vero. Mi sono messo a cercare un altro soggetto. Avevo bisogno di scrivere, ma non trovavo nulla. Allora mi sono detto: e se invece di scrivere in terza persona vedendo il tutto dalla parte dei personaggi, a scrivere in prima persona fosse la ragazza, andrà tutto meglio. In effetti il romanzo andò avanti da solo. Come vedete a volte è soltanto una questione di tecnica...".
Simenon si conferma ancora un volta l'dentificazione con il protagonista, questo scrivere in prima persona cos'è se non mettersi quanto più possibile nella pelle dell'altro?  E' la storia di una famiglia povera e cupa, con un sfondo di vite grigie, di questioni di sesso tra padre e fliglio, della sparizione di una persona e di una ragazza protagonista che porta dentro di sé un terribile segreto, che le costerà la rinuncia alla sua vita, annullandosi nel tentaivo di salvare la famiglia.
Il dramma non può evidentemnte essere raccontato, ma va sottolineata la preponderanza delle figure femminili, ognuna delle quali segue un destino diverso: chi muore, chi rinuncia a tutto, chi si macchia di orrende colpe che la perseguiteranno per tutta la vita. Ancora una volta il maledetto destino si accanisce su gente povera, stronca delle vite che potrebbero riscattarsi e che, chi in un modo chi in un altro, tutti "passano la linea"... seguendo fino alle estreme conseguenze il proprio destino. 
Ancora una volta è la bravura di Simenon che ci fa entrare nella vita di tutti i giorni dei componenti di questo nucleo familiare che, pur vivendo letteralmente gomito a gomito, sanno poco o nulla dei loro familiari, tutti cercano di evadere da quella situazione, ma quando qualcuno sta per riuscirci, c'è un maledetto impiccio che lo riporta a fondo. E questa non è un'indagine del comissario simenoniano, non c'è nessun Maigret che possa in qualche modo "aggiustare i destini".