venerdì 4 luglio 2014

SIMENON SIMENON. LA VITA, I RICORDI, LE MEMORIE PIU' INTIME...

Tra la prima e l'ultima fotografia corrono sessant'anni. Potremmo dire sessant'anni di scrittura. Nella prima Simenon aveva una ventina d'anni e, sbarcato a Parigi, era tutto dedito alla letteratura popolare che considerava il suo periodo di "apprendistato". Nell'ultima ha passato gli ottanta e ha scritto il suo vero ultimo libro, Mémoires intimes.
Ma come queste sei facce scandiscono la vita dello scrittore, così ci sono dei libri che non sono letteratura popolare, non sono le inchieste di Maigret e nemmeno i famosi romans-durs, che scadenzano l'attività letteraria del romanziere.
Stiamo parlando dei libri di memorie, che con diverse motivazioni e con tagli differenti Simenon ha scritto durante la sua vita.
Iniziamo con Le Trois Crimes de mes amis scritto nel '37 ed uscito l'anno dopo per Gallimard. E' un romanzo, ma un romanzo che ricorda il periodo, alla fine degli anni '20, in cui lo stesso Simenon, faceva parte di una congrega di studenti, giovani artisti e intellettuali, La Caque, la quale viveva di esaltazioni personali e collettive, dove si sognava l'impossibile, fuori dai valori borghesi che regolavano la società e dove l'alcol e strane figure, tra il mistico e l'impostore, condizionavano quei giovani. Un giorno uno di loro, uno dei più deboli, viene ritrovato impiccato. E' l'inizio di una tragica evoluzione del romanzo che qui ci interessa più per lo spaccato della gioventù di Liegi, all'indomani della fine della Grande Guerra, periodo ed eseprienza che Simenon visse in prima persona e che quasi vent'anni dopo volle ricordare nero su bianco.
Je me souviens... scritto nel 1940, ma pubblicato solo nel '45 per Presse de La Cité, è un altro libro di ricordi, scritto in una circostanza molto particolare. Nel '40 un medico aveva diagnosticato a Simenon una grave forma di disfunzione cardiaca, che non gli avrebbe dato più di due o tre anni di vita. Tra le altre preoccuazioni di Simenon ci fu quella di lasciare un sorta di ricordo di sè, della sua vita, dei suoi nonni del Belgio al piccolo figlio Marc, che allora aveva poco più di un anno. Infatti il titolo originale era Pedigree de Marc Simenon, che però quando fu pubblicato venne cambiato dall'editore in Je me souviens... La diagnosi del dottore era errata, Simenon godeva in realtà di buona salute e, quando uscì il libro, era già negli Usa per vivere un'altro capitolo della sua vita. 
Sotto il consglio di André Gide, Simenon riscrisse però questo libro con un taglio più romanzesco che autobiografico e cambiando il titolo in Pedigree, questo quando ancora era in Vandea nel '43. Anche Pedigree dovette attendere per la pubblicazione, che avvenne soltanto nel '48. 
Ma torniamo ai libri di ricordi con taglio autobiografico e citiamo Quand jétais vieux, finito di scrivere nel '63 in Svizzera e pubblicato anche questo dopo qualche anno, nel '70. E' una sorta di gornale intimo in cui Simenon rivela ad esempio i suoi rimpianti e la sua delusione per essere stato più volte vicino al Nobel senza mai riuscire ad aggiudicarselo. Insomma i ricordi anche qui, ma con un taglio aggressivo e talvolta tagliente, che risulta sorprendente.
Poi non si può non citare il bellissimo e drammatico Lettre à ma mère, che è la più  lucida e amara testimonianza del pessimo rapporto tra madre e figlio, quella Henriette Brüll che aveva sempre prediletto il figlio più piccolo Christian, che aveva in dispetto il figlio maggiore adirittura per il successo che aveva avuto. Henriette mori alla fine del'70 e lui scrive questa sofferta testimonianza quattro anni dopo.
E siamo arrivati al 1981 e alla pubblicazione di Mèmoires intimes che Simenon iniziò a settantotto anni, dopo il gran colpo del suicidio dell'amata figli Marie-Jo (1978). L'intenzione del romanziere è quello di mettersi a nudo, di non nascondersi dietro a nulla. Queste memorie sono rivolte ai figli per raccontare loro quello che non potevano sapere o non ricordare. E' un voluminoso libro di oltre mille pagine, che comprende anche Le livre de Marie-Jo, una raccolta di scritti della figlia... come se in questo modo volesse legarla a sè per sempre. Sia pure tra qualche lacuna e alcune contraddizioni, il libro parte dagli ultimi anni vissuti da Simenon a Liegi, fino alla drammatica conclusione della sua storia con la seconda moglie Denyse.

martedì 1 luglio 2014

SIMENON SIMENON. CINEMA E TV: 80 ANNI D'AMORE NON RICAMBIATO


Film, telefilm, espisodi di serial tv... a contarli tutti sembra che si arrivi a 300. Non che la cifra ci stupisca, perché parlando di Simenon, per il quale i numeri tendono sempre verso valori iperbolici, siamo ormai abituati.  Si tratta di tutte le opere per il grande e il piccolo schermo che sono state tratte dai romanzi dello scrittore in tutto il mondo, dal primo La nuit du carrefour con la regia di Jean Renoir nell'aprile del '32, all'ultimo nel 2014 di e con Mathieu Amalric La chambre bleue (anche se nel frattempo Denis Malleval sta girando un telefilm per la Neyrac Films tratto da un altro romanzo di Simenon "La Boule noire"). Insomma sono oltre 80 anni che cinema e televisione trovano ispirazione nelle creazioni di Simenon.
Rapporto con il cinema che però lo scrittore non visse mai molto positivamente. Certo i diritti che erano venduti alle case di produzione portavano dei guadagni tali che addolcivano quella pillola che il romanziere doveva ogni volta mandar giù.
"... ho visto solo tre film degli ottanta tratti dalle mie opere - spiega Simenon in un'intervista a Maurice Piron e Robert Sacré nell'82 -  e non parlo dei telefilm, come li chiamano oggi... E' impossibile che un attore o un regista possa vedere un personaggio come l'ha visto l'autore...".
Un concetto che oggi è ormai scontato, libro e film sono due tipologie di espressione così differenti che un romanzo può dare la traccia, la trama, l'ambientazione (e non sempre) al film, ma questo poi realizza qualcosa di molto diverso dal romanzo da cui è tratto. A nostro avviso, anche quando si ripete l'ormai consunta frase, "però lo spirito del libro è sostanzialmente rispettato", lo si fa in cattiva fede. In meglio o in peggio un film non può mai essere un libro.
"...per l'autore vedere i propri personaggi completamente sfigurati, del tutto differenti, è così snervante che io non vado mai a vederli - continuava a raccontare Simenon - Leggo le critiche e da queste so se il film è stato buono o no, cerco di cedere i diritti solo a registi che rispetto e per i quali ho una certa ammirazione, ma poi non vedo né i film, né i telefim...". 
Eppure tra le amicizie di Simenon si possono contare, tra gli altri, Jean Gabin che aveva interpretato al cinema una decina di film tratti dai suoi romanzi  (tra cui ben tre Maigret) oppure Charlie Chaplin e anche di Federico Fellini... Insomma il cinema, dopo più di ottanta anni, è tutt'oggi un innamorato fedele di Simenon, lui invece l'ha sempre snobbato.

lunedì 30 giugno 2014

SIMENON SIMENON. ALTRI 10 CONSIGLI PER DIVENTARE UN PERFETTO... MAIGRET

Ieri abbiamo pubblicato 
dieci consigli per chi volesse 
mettersi nei panni di Maigret. 
Erano tratti da un'intervista 
di Roger Stéphane a Simenon 
che gli domandava: 
"Ma se io fossi un attore e 
dovessi interpretare Maigret, 
quali consigli mi darebbe?". 
Abbiamo constato che 
quei consigli hanno riscontrato 
un grandissimo interesse 
da parte dei nosti lettori, 
 tanto che oggi approffitiamo 
di un commento di ieri 
della nostra Murielle Wenger 
che ha aggiunto, con il suo 
consueto acume, altri dieci consigli 
che potremmo definire 
una sorta di... corso di perfezionamento(!) per chi proprio volesse "entrare nella pelle" del commissario Maigret.
Dunque, dal commento di ieri al post di oggi, dal francese all'italiano. Eccoli:

1) Mangiate spesso blanquette, crauti e salsicce di trippa o altri piatti. sostanziosi, nella speranza di raggiungere almeno òatezza di 1,80 m. e almeno 100 kg, entrambe necessari per acquisire una figura massiccia.
2) Bevete molta birra, alternandola con vino bianco, prunella e calvados per esibire una pinguedine indispensabile al ruolo che avete scelto.
3) Fumate molto, soprattutto la pipa e intensamente tanto da annebbiare il vostro ufficio, cosa che vi darà il pretesto per aprire la finestra e per attardarvi ad osservare lo spettacolo delle peniches sulla Senna. Scaldatevi solamente con un stufa a carbone di legno e niente termosifoni.
4) Non è indispensabile che facciate dello sport ma, se proprio ci tenete, potrete andare a piedi fino al vostro ufficio. A rigore dovreste praticare un po' di pesca alla lenza, dedicarvi un po' al biliardo e pure al giardinaggio. Invece dovrete uscire con qualsiasi tempo, senza preoccuparvi né della canicola, né dei temporali, né delle tempeste di pioggia o di neve.
5) Nei vostri spostamenti dovrete essere lenti, invece della metro prendete il buon vecchio autobus, quello che si impantana negli imbottigliamenti del traffico parigino. Al posto dell'aereo scegliete un piccolo treno di campagna di quelli che che si fermano a tutte le stazioni. Vi sposterete sorpattutto nelle vie di Parigi, ma nulla vieta di tanto in tanto di fare passeggiate in riva al mare, su un sentiero di campagna o costeggiando un canale.
6) Per l'abbigliamento dovrete contare su un completo e su una camicia bianca. Sono raccomandati i colori discreti (grigio, nero, blu marino). La cravatta è obbligatoria, ma la potete allentare quando fa molto caldo, oppure quando vi prendente una sacrosanta arrabbiatura. Potrete concedervi un tocco di colore portando delle bretele color malva. Per quanto riguarda il cappello sarete liberi di scegliere tra la bombetta o il borsalino, ma il soprabito sarà obbligatorio.
7) Usate e abusate del telefono, ma lasciate stare la moderna tecnologia. L'unica concessione che potrete permettervi sarà la televisione, ma con moderazione: un po' d'attualità, di tanto in tanto un film western o un poliziesco.
8) Per quanto concerne l'arte e la cultura non potrete far sfoggio delle vostre conoscenze, ma potrete mostrare talvolta qualche nozione: recitare qualche verso di Ibsen, citare Dumas, o fare di piccoli disegni sulla vostra carta assorbente mentre parlate al telefono. Potrete recarvi al cinema una o due volte a settimana.
9) Coltivate l'amicizia di medici, portinaie, cameriere e ballerine di cabaret, ma evitate i giudici, gli avvocati e le donne delle pulizie.
10) Sono ammessi, anzi benvenuti, i ricordi  dell'infanzia, sogni vari, occhiate sui cbusti delle belle signore. Ma soprattutto dovrete passare il vostro tempo ad "impregnarvi" del mondo che vi circonda.
 

domenica 29 giugno 2014

SIMENON SIMENON. 10 CONSIGLI PER CHIUNQUE VOLESSE METTERSI NEI PANNI DI... MAIGRET

Le immagini riunite qui sopra sono tutte illustrazioni del celebre Ferenc Pinter

Chi non ha mai pensato almeno una volta di mettersi nei panni di Maigret? E' una di quelle cose che magari non tutti sono disponbili a confessare... ma un fugace pensiero in proposito non è improbabile che sia balenato per un momento nelle fantasie di tutti quelli che leggono le inchieste del commissario o che ne seguono le serie in televisione.
Niente di strano. Fa parte di quel più complesso processo di identificazione tra lettore e protagonista, presente soprattutto nella letteratura seriale (come pure tra spettatore e attore nei serial tv o cinematografici).
Facciamo un passo avanti in questo gioco. Ma se voleste essere, o anche interpretare, il commissario Maigret, come dovreste comportarvi?
Ecco dieci preziosi consigli.
1) Non dovete assumere l'aria inteligente. Maigret non è un uomo intelligente. E' un intuitivo.
2) Nessuno sguardo acuto, tipico di chi percepisce immediatamente anche il più piccolo dettaglio.
3) Dovrete assumere, per quanto la vostra corporatura ve lo consente, un aspetto massiccio.
4) La vostra andatura dovrà essere caratterizzata da passi pesanti.
5) Di fronte ad un criminale o ad un sospetto da interrogare, dovete assumere un'aria indifferente, guardarlo senza nessuna reazione, anzi un po' annoiati.
6) Dovrete imparare ad "annusare" l'atmosfera intorno a voi, ma anche la gente e ancor più l'animo delle gente
7) Sul luogo del delitto dovrete andare da una stanza all'altra, aprire un cassetto o il secchio della spazzatura, qua e la, ma senza l'aria di aver scoperto un qualsiasi indizio.
8) Avere comunque l'aria di pensare a tutt'altro che all'omicidio, al probabile colpevole, ai testimoni...
9) Quando interrogate su posto un sospetto, ditegli che ha l'aria una brava persona, offritegli una sigaretta, chiedetegli se non abbia avuto i suoi problemi a vivere in una casa come quella e con un moglie come la sua. Il vostro primo approccio deve finire con una frase del genere "Certo.. non deve essere  stato affatto divertente... eh?".
10) Con i vostri sottoposti (gli ispettori) mostrate la massima fiducia, ma niente smancerie, sentimentalismi o simili.
Bene, ora siete pronti a calarvi nei panni del commissario. In bocca al lupo.

I consigli su esposti sono desunti da quanto affermato da un certo... Georges Simenon... durante un intervista televisiva andata in onda nel novembre del 1963 su RTF

sabato 28 giugno 2014

SIMENON SIMENON. AFFARE PICPUS: FACCIA A FACCIA CERVI-CREMER

Picpus. Un quartiere e una via di Parigi. Al numero 33 di boulevard Picpus troviamo l'ospedale Rothschild e al 35 un cimitero... privato (la cui contiguità ci auguriamo casuale). Per il popolo dei simenonologi é conosciuto per l'inchiesta di Maigret, Signé Picpus (1944 -Gallimard). In realtà si tratta di un racconto che dà il nome ad una raccolta con altri sette racconti.
L'inchiesta parte da un messaggio trovato in un bar, firmato appunto Picpus. Le righe preavvertono l'omicidio di una chiromante. L'assassinio si verifica puntualmente e il commissario inizia la sua inchiesta da un vecchio che sulle prime sembra uno squilibrato, ma poi, risalendo alla sua famiglia, Maigret scoprirà diverse cose sia sul vecchio che sulla moglie e sulla figlia che pian piano ribalteranno le convinzioni del primo momento...
Qui di seguito vi mostriamo alcuni spezzoni di due sceneggiati, tratti entrambe da questo racconto, il primo è L'affare Picpus, trasmesso dal Rai nel '65, intepretato da Gino Cervi. L'altro é invece Signé Picpus versione francese di France 2 nel 2003, dove è Bruno Cremer a vestire i panni di Maigret.
Un ulteriore occasione per fare un confronto, se mai possibile tra due programmi prodotti a quasi quarant'anni di distanza. Ma si sa, c'è chi parteggia apertamente per il Cervi nazionale e chi invece per Crémer. Qui sono faccia a faccia... il giudizio a chi guarda.

• Siamo spiacenti ma da oggi, 1 luglio, la condivisione con YouTube per la visione dei seguenti video non è più attiva. Stiamo cercando di ripristinarla. Ci scusiamo per l'inconveniente.

  



venerdì 27 giugno 2014

SIMENON SIMENON. LO STILE: NE PARLA UNO CHE SE NE INTENDE...


La scrittura di Simenon ha classe da vendere. Questa frase che esprime un nostro personale convincimento, crediamo sia però condivisa da moltissimi appassionati lettori del romanziere. E ovviamente riteniamo che il suo stile sia estremamente sosfisticato, quantunque semplice, asciutto ed essenziale.
Lo stile è classe? Oppure é la classe (innata) che determina uno stile?
Ecco questo è un esempio di avvitamento in falsi problemi, di domande che non hanno risposta. E così la pensava Simenon parlando dell'arte del romanzo "... il romanziere è prima di tutto un artigiano. E' un signore che scrive perché ha bisogno di scrivere, che non si domanda se la frase debba avere tre linee, una linea e mezza o dieci linee, che adatta il suo strumento giorno per giorno...".
Insomma come il suo Maigret per le indagini, Simenon non ha una linea precisa in tema di stile. Anzi tende ad adattarlo al personaggio, nella pelle del quale  entra quando sta scrivendo un romanzo. E questo vale tanto più in quanto i dialoghi nella narrativa simenoniana hanno un ruolo di rilievo. 
"...provo indifferenza se non fastidio, di fronte ad uno stile ben costruito, accurato, il più elegante possibile - scriveva nel '77 in uno dei suoi Dictées - Non sono per uno stile obbligatoriamente consumato e ruvido... Ho ad esempio delle difficoltà a leggere Céline, che ammiro intensamente, a causa del suo anti-stile troppo marcato..."
E poi la comprensibilità è una caratteristica che l'autore in un'intervista del '55 spiegava così "... io  utilizzo solamente delle mots-matiére che hanno lo stesso significato in venticinque città di dieci paesi diversi...".
Quindi costruzione di un linguaggio che non tenga conto dei canoni accademici, ma che sia comprensibile ad una platea più vasta possibile, con concetti semplici e parole concrete che non diano adito a interpretazioni ambigue.
"...l'ordine delle parole ha un'importanza non in rapporto alla sintassi, ma in rapporto alla vita che bisogna trasporre sulle pagine, trasmettere...".
E infine il ritmo. Diceva Simenon: "... lo stile è innanzitutto movimento...". E poi ancora. "... lo stile è ritmo, il ritmo del personaggio...".

giovedì 26 giugno 2014

SIMENON SIMENON. VELOCITA' MASSIMA DI... SCRITTURA: 80 ALL...ORA

Si è spesso parlato del "Simenon-fenomeno". Questa allocuzione veniva riferita soprattutto alla velocità con cui il romanziere scriveva. In particolare quando, arrivato a Parigi, aveva iniziato a scrivere racconti, novelle, romanzi brevi che gli venivano commissionati da editori che pubblicavano letteratura popolare. E allora era pagato a quantità, più ordini riusciva a raccogliere e più guadagnava. Scriveva ottanta pagine al giorno... allora!
Un Simenon appena ventenne, da una parte divorato dalla voglia di arrivare ad essere un vero scrittore, anzi un romanziere, ma dall'altra consapevole di aver bisogno di un periodo di "apprendistato", come lo chiamava lui stesso. E quindi riuscire a soddisfare al più presto le richieste di un editore in merito alla consegna di un racconto d'avventura, di una serie di novelle d'amore, di un romanzo breve poliziesco, era il modo di guadagnare di più. Ma non solo. A quel tempo Simenon, che firmava questi lavori con una ventina di pseudonimi diversi, si era conquistato la fama di un recordman della scrittura veloce. E chiaramente questo in quel momento gli faceva gioco e gli aumentava le ordinazioni. Ma in seguito proprio questa sarà la sua persecuzione. Per quanto avesse ridotto la...velocità, era ancora di gran lunga molto più rapido della media degli altri scrittori. E, nel giudizio generale, questa cosa disturbava... come poteva conciliarsi la gran quantità di quello che produceva con una  qualità accettabile? Spesso era un pregiudizio più che un vero giudizio, talvolta addirittura un'invidiosa critica di qualche collega che lavorava tutto il giorno su una pagina, mentre lui scriveva uno o addirittura due capitoli!
A questo proposito è interessante riportare quello che lo stesso Simenon raccontò a Roger Stéphane, in una serie di interviste poi raccolte nel volume Portait souvenir de Georges Simenon (Tallandier - 1963).
A Stéphane che gli chiedeva quanta concentrazione e quanto tempo gli fosse costata la stesura del primo Maigret (i Maigret che Simenon non considerava più letteratura popolare, ma già semi-letteratura) lo scrittore rispondeva:"... no, in quel tempo scrivevo allo stesso ritmo i romanzi polizieschi che quelli popolari, vale a dire due capitoli al giorno, uno la mattina e l'altro nel pomeriggio...".
Una risposta semplice su un argomento scontato per lo scrittore, si trattava di un ritmo che non era il risultato di un sforzo eccezionale, ma quello normale cui ormai si era abituato. E' quasi divertente percepire il candore con cui lo scrittore dava queste risposte... quasi quasi si stupisse che gli si chiedessero cose così ovvie.
"... I romanzi popolari erano scritti nella misura di ottanta pagine al giorno... E' un po' ridicolo, ma alla fine si arriva a contare automaticamente: romanzi popolari ottanta pagine al giorno, romanzi polizieschi, all'inizio, quaranta pagine al giorno, una seduta la mattina e una il pomeriggio - racconta Simenon a Stéphane - Allora dicevo a me stesso: quando non avrò da scrivere che venti pagine al giorno, sarò un re...".
E la conclusione ci fà sembrare Simenon un pigrone sfaccendato:"... in effetti dopo i primi Maigret, non ho battuto più di venti pagine al giorno, e soltanto per sessanta giorni all'anno...".
Senza parole.

mercoledì 25 giugno 2014

SIMENON SIMENON. IL CASO IRRISOLTO DEL PREMIO NOBEL

Simenon non si è mai trovato a suo agio nella comunità letteraria. Tutte le accademie, le cerimonie, le congreghe che avessero a fare con altri scrittori e in genere con la letteratura gli erano particolarmente indigeste. Non per niente aveva più volte affermato che "... non ho mai partecipato alla vita letteraria. Non faccio nemmeno parte de La Société des Gens de Lettres...". Una dichiarazione che non lascia spazio ad alcun dubbio sulle sue inclinazioni. Rifiutava l'etichetta di uomo di lettere perchè diceva che lui era un romanziere infatti, faceva presente, "... non faccio conferenze, non firmo i miei romanzi nelle librerie, non scrivo articoli, non partecipo ai cocktail né alle cene letterarie...". Insomma il suo mestiere era scrivere e scrivere romanzi e quindi perdersi in quelle attività connesse era per lui un perdita di tempo. Inoltre non amava nemmeno aver a che fare con altri che facessero il suo stesso lavoro e per esempio una sua insoddisfazione, quando era uno degli autori di Gallimard,  era proprio questo essere gomito a gomito, anche non fisicamente, con il fior fiore degli scrittori francesi e non solo. Lui stesso in un'intervista concessa a ParisMatch del '67 considerava che "... a ben vedere, gli scrittori che ho incontrato personalmente non saranno stati più di otto o nove...".
Questo aveva dei risvolti anche nei confronti dei premi lettrari. Simenon proprio non concepiva che un gruppo di persone, aventi titolo o meno, si riunisse per assegnare un premio "... l'idea che nove o dieci scrittori si riuniscano intorno ad un tavolo ed eleggano il romanzo dell'anno... oppure che un certo numero di anziane signore facciano lo stesso in un ristorante... o ancora che anche dei giornalisti si mettano a giudicare... il tutto mi sembra spaventoso...".
Quello che non lo spaventava, invece, era il premio Nobel. Non ancora trentacinquenne aveva già pianificato che a 40 anni avrebbe scritto il suo primo vero romanzo e che a 45 avrebbe vinto il premio Nobel. Sappiamo che Simenon era un programmatore, ma anche che era un tipo con i piedi per terra e non uso a fare voli pindarici. Ma certo il Nobel, soprattutto a quei tempi, era un riconoscimento che faceva davvero la differenza e non lasciava indifferente nemmeno Simenon.
Scriveva infatti in una lettera del '51 al suo editore Sven Nielsen, "... confesso che sarei davvero lusingato di essere un premio Nobel. E' l'unico riconoscimento  al quale ho sempre attribuito un certo valore...".
Il suo nome era circolato un paio di volte, nella rosa dei possibili candidati, ma poi non si concretò mai nulla. Le sue dichiarazioni in proposito cambiano con il passare del tempo e vedendo che le probabilità erano sempre meno realistiche.
Nel '61 scriveva infatti in uno dei suoi Dictée "... Il Nobel mi avrebbe fatto piacere qualche anno fa'. Ora non sono più sicuro che l'accetterei..."
Nel '73 la sua posizione si inasprisce "... ormai ho tagliato corto - dichiara al 24 heures  de Losanne - non l'avrei comunque accettato...".
E infine nell'81 "... è stato scritto un po' dappertutto che se mi avessero assegnato il Nobel, l'avrei rifiutato - ribadisce nella famosa intervista televisiva a Bernard Pivot - Non voglio medaglie. Non sono una bestia da fiera. Sono le vacche e i tori gli animali cui si dà una medaglia...".
E la pagina de Le Figaro qui riprodotta, apparsa all'indomani della sua scomparsa, fà sfoggio di un titolo centrale molto forte "Quei cretini del Nobel che non mi hanno incoronato", come ricorda nel testo Roger Stephane, celebre simenonologo, che concude con le aspre parole che lui ricorda di Simenon "...contro quei cretini del Nobel che non mi hanno mai concesso il loro premio...". Il suo orgoglio, commenta Stephane, era immenso. Ma lo scrittore, anche lui era immenso.

martedì 24 giugno 2014

SIMENON SIMENON. GLI STRANI CLIENTI D'AVRENOS

Domani uscirà nelle librerie, ma qualcuna potrebbe già averlo oggi, I clienti di Avrenos il quinto roman-dur scritto da Simenon per i tipi della Gallimard e pubblicato nel 1935. Su quando sia stato scritto ci sono varie ipotesi. Le nostre consultazione ci hanno infatti fornito indicazioni contrastanti.
Ad esempio nella bibliografia de L'Association Jacques Riviere-Alain Fournier  vengono presentate tre ipotesi:
Scritto nella Villa « Les Robert », all'isola di Porqurolles (Var), nel maggio del 1934 [?] (il punto interrogativo è loro).
• Secondo la lista del "segretariato Simenon" sarebbe stato scritto a Marsilly (Charente-Maritime, France), nell'estate del 1932.
• Ma, secondo quanto riportato dal libro della contabilità di Simenon, viene dato come scritto all'isola di Porqurolles (Var), nell'estate del 1933.
Secondo la bibliografia di Francis Lacassin fu invece terminato nell'estate del 1932 alla Richardiére (La Rochelle)
La prestigiosa raccolta Tout Simenon, nella fiche dedicata al romanzo, scrive che è stato redatto a  Villa "Les Robert" a Porquerolles e a Marsilly, periodo: estate 1932 - maggio 1934 (anche questa un'indicazione alquanto criptica);
La data in cui è stato scritto il romanzo ha una certa importanza. Infatti la vicenda raccontata da Simenon si svolge in Turchia, tra Ankara e Istambul.
Adesso sappiamo che l'autore non scriveva mai romanzi con un'ambientazione inventata. I posti dove succedono i fatti delle sue storie, anche se lontano dalla Francia, sono quelli in cui era stato e dei quali conosceva abbastanza bene la topografia, gli usi, i costumi, le persone.
Sappiamo che Simenon si è recato in Turchia un'unica volta, nell'estate del 1933, quando il 7 luglio incontrò Lev Trotskji per realizzare un'intervista per il quotidiano Paris Soir. Tutto quello che lo scrittore avrà assorbito come una spugna in quell'occasione, come di consueto, sarà stato riversato ne I clienti d'Avrenos. Ma questo può essere successo solo all'indomani del 7 luglio '33. Questo taglierebbe fuori le informazioni della bibliografia di Francis Lacassin, ma anche quella del "segretariato Simenon" che indicano come periodo di scrittura l'estate dell'anno prima. E poi un romanzo di Simenon scritto nel '32 che rimane nelle redazioni di Gallimard per tre anni prima di essere pubblicato, non è certo una consuetudine...
Il romanzo, tradotto per la prima volta in Italia nel 1961 da Mondadori e ora riproposto da Adelphi, racconta la storia di Nouchi, una ballerina minorenne che fà a sua apparizione all'inizio del romanzo, in un cabaret, Le Chat Noir di Ankara, dove le ragazze, oltre a ballare più o meno vestite e a far bere i clienti, sono ben disposte ad un extra, certo adeguatamente retribuito. Qui la giovanissima Nouchi conosce il fascinoso Bernard de Jonsac, un francese quarantenne, squattrinato, che in qualche modo però ha a che fare con l'ambasciata francese in Turchia. Convinta che lui conosca quindi il bel mondo, la furba e maliziosa Nouchi riesce a convincerlo a portarla con lui a Istambul. Qui i due iniziano a fare coppia fissa e a vivere tra la gente che ruota intorno al locale gestito dall'Avrenos del titolo. E' una fauna dove non mancano nobili decaduti, artisti, ex-banchieri, giornalisti, tutti dediti all'acol e a fumare hascic. L'arrivo di una ragazza come Nouchi crea una situazione strana: chi in un modo chi un'altro si sentono attratti dalla giovane che però sa come trattare gli uomini, come sedurli, ma poi tenerli a distanza. Ingenua, provocante, maliziosa, Nouchi sa interpetare bene tutti i ruoli pur di avere quello che vuole. E soprattutto vuole soldi, soldi soldi. E' stata troppo povera da ragazzina prima in Ungheria, poi a Vienna, e ora non vuole per nulla al mondo tornare povera. E, per i soldi, è pronta a tutto. Riuscirà a farsi sposare da Jonsac che fino ad allora non ha mai potuto godere dei suoi favori sessuali. Ma così sarà anche dopo il matrimonio, da lei voluto solo per non dover lasciare il paese, governato da poco dal presidente Mustafa Kemal, poi diventato Atatürk (padre dei turchi), che vuole moralizzare la Turchia e impedire a ballerine, estetiste e simili di potervisi stabilire.
La storia tra Jonsac e Nouchi prenderà una strada imprevista e una sorta di gioco di scambio delle coppie si tramuterà in un tragico evento.
Il settimanale L'Espresso nel presentare questo libro, spinge molto su un fatto che Simenon racconta nelle prime pagine del romanzo. E' quando le "ballerine" de Le Chat Noir ad Ankara vengono chiamate ad un pranzo nientemeno alla "Ferme" di Mustafa Kemal, dove si trovavano ministri, amici personali, dignitari, per rallegrare il dopo cena dei potenti. E Nouchi sembra aver fatto talmente breccia nelle preferenze del presidente, tanto da passare tutta la notta a la "Ferme".
Enrico Arosio, sul suo articolo  (trovate il link  a destra, nella colonna della rassegna stampa) Il Rubygate? L'aveva già raccontato Simenon, fa un parallelo tra questo episodio e lo scandalo che ha travolto l'ex-presidente del consiglio Berlusconi con l'ormai famosa Ruby, Karima El Marough, e le cosidette "olgettine", nelle famigerate nottate bunga-bunga.
In realtà nel libro è un episodio marginale del romanzo e serve solo a mettere in risalto la capacità di Nouchi di manovrare gli uomini, anche quelli così importanti, e a capire la sicurezza e, fors'anche il cinismo, con cui si comportava. 
"...fu per lei una notte strana, una notte che si sarebbe potuta definire alla rovescia, perchè questa volta la ragazza aveva visto fuori dai cabaret gli uomini che un tempo era abituata a incontrare solo ai tavoli..."        

domenica 22 giugno 2014

SIMENON SIMENON. L'IMPAREGGIABILE COMMISSARIO GABIN

Filmsonor, Intermondia Films, Cinetel (Parigi), Titanus, Pretoria Films (Roma). Ecco le società che produssero il secondo Maigret portato sul grande schermo, Maigret et l'affaire Saint-Fiacre, da Jean Gabin 55 anni fa'. Il popolare attore francese aveva già interpretato vari film tratti dai romanzi di Simenon (La Marie du Port, 1950 - La vérité sur Bébé Donge, 1952 - Le Sang à la tête, 1956 - Maigret tend un piége, 1958 - En cas de malheur, 1958), ma nel '59 si decise, sotto la direzione di Jean Delannoy, a vestire per la seconda volta i panni del celebre commissario. La produzione, come abbiamo detto all'inizio, fu franco-italiana e il famoso autore entrò definitivamente nell'immaginario collettivo dei francesi, e in particolare in quello di Simenon che già aveva dichiarato "...è un guaio! Una volta vista l'interpretazione di Gabin, ogni volta che penso a Maigret, mi viene in mente la sua faccia. Anche quando scrivo e immagino Maigret, lo vedo con le fattezze di Gabin... Non vorrei che prima o poi mi venisse a chiedere i diritti d'immagine!..."
Questa battuta la dice lunga sull'effetto che l'attore aveva fatto sullo scrittore e chairisce meglio di ogni dichiarazione a chi andassero le proprie simpatie tra i tanti attori cinematografici e televisivi che interpretarono Maigret.
Il terzo Maigret di Gabin fu diretto da Gilles Grangier, Maigret voit rouge (1963).
Oggi vi proponiamo  qualche minuto di Maigret et l'affaire Saint-Fiacre, dove Jean Gabin esce dall'ombra e, come al solito, fa sua la scena.