martedì 19 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - I SUOI ROMANZI "VAMPIRIZZATI" DA MAIGRET?

L'été meurtrier è il titolo di un articolo apparso qualche tempo fa' sulle pagine de Le Figaro (a firma J.Christophe Buisson) in cui, consigliando delle letture gialle per l'estate, non può non citare Simenon. Ma invece di scegliere, come sarebbe stato prevedibile, dei titoli delle inchieste di Maigret, Buisson va controcorrente e indica i romanzi di Simenon. Ed esplicita chiaramente questa sua opinione. "...Maigret ha la tendenza, ancora oggi, a vampirizzare Simenon...".
La sua teoria è intrigante, in quanto sarebbe stato anche il cinema a "salvare"  da questa cannibalizzazione i romans-durs. Non che sul grande schermo non siano apparse traposizioni di inchieste di Maigret, ma sono proprio i tanti film tratti dai romanzi ad averci ricordato "... la ricchezza e l'ampio respiro di un'opera di livello europeo...".
E nel sostenere questo, arriva a dire che negli anni '30 Maigret cerca di rinchiuderlo nella gabbia dorata del racconto poliziesco, quando Simenon, fin da quando si cimentava con la letteratura popolare, aspirava invece a scrivere romanzi con la "r" maiuscola.
Adesso questo è un po' il rivolto di ormai annose domande: Ma quanto sono diversi i Maigret dai romanzi, se sono diversi? O sono diversi solo perchè appartengno a due generi letterari diversi?  
I lettori che ci seguono da tempo sanno che abbiamo trattato gà questi argomenti (v. Simenon. Ma che tipo di romanzo? , oppure Simenon. Letteratura alta o bassa?  o anche  Prove dei romans-durs nei romanzi popolari ).
E sanno anche qual'è la nostra posizione che sintetizziamo qui rapidamente.
Aldilà della prima serie (la ventina di titoli per Fayard, tanto per intenderci) in cui anche Simenon volle "tenere le distanze" tra le inchieste di Maigret e i primi romans-dur che pubblicava (Le Relais d'Alsace, Les Pitards, La Maison du canal Les Fiançailles de M.Hire per citare solo qualche titolo tra il1931 e il 1933). A trent'anni ci teneva davvero a conquistarsi la propria reputazione di romanziere. Poi, pian piano, nella maturità e ancor più verso la fine, la differenza tra le scelte in fatto di scrittura, di temi trattati, l'approccio ai personaggi, l'analisi dell'ambiente in cui si svolge la vicenda e l'introspezione psicologica, tra i romanzi e i Maigret si assottigliano al punto di far dichiarare allo stesso Simenon che certe inchieste del commissario in fondo sarebbero potute essere dei romanzi.
Rimane il vincolo della serialità che pone allo scrittore alcune limitazioni, alcuni "obblighi" da cui non è possibile derogare. Ma al netto di ciò, era sempre lui che con la sua sensibilità, la sua creatività metteva a confronto il proprio commissario con personaggi, con situazioni, mentalità e vicende che, a nostro avviso, presentano un continuum con quelli dei romanzi e con questi si integrano, mostrandoci non due Simenon uno opposto all'altro, ma complementari come i due profili di uno stesso volto.

lunedì 18 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - TENGO FAMIGLIA... ANZI DUE... ANZI...


Da destra, Denyse, Marie-Jo, Johnny, Marc e Georges in piedi
La famiglia per Simenon ha sempre avuto una importanza rilevante. Sia nella vita che nei romanzi.  Che si trattasse della sua famiglia di provenienza che di quelle che avrebbe poi costruito nel corso della sua esistenza. Non sempre un elemento positivo, ma sempre molto coivolgente.
Iniziamo da quella d'origine. Désirè Simenon, il padre ventiseenne quando il 13 febbraio 1903 nacque  Georges, per la precisione Georges Joseph Christian. Henriette Brull, moglie di Désireè, divenne sua madre a ventitre anni.  Il suo unico fratello Christian Maurice Joseph nacque tre anni dopo di lui. Era una famiglia modesta, il padre impiegato in una società di assicurazioni. La madre casalinga. Lui, un uomo tranquillo, contento di quello che aveva, senza grandi aspirazioni (tanto da rifutare un posto di responsabilità, ma anche di rischio, nel nuovo redditizio ramo polizze-vita della ditta). Lei invece veniva da una famiglia con alcuni esponenti importanti e altri anche ricchi, teneva molto al decoro, ai giudizi della gente, anche se poi doveva spaccava i centesimi in quattro per andare avanti.
Tra la madre e Georges, non ci fu mai un buon rapporto. Il cocco di mamma era Christian. D'altronde Georges stravedeva per il padre e quando si ammalò, smise di lavorare e poi morì nel '21 fu davvero un duro colpo per lui. La madre non perdeva occasione per manifestargli la sua preferenza per il fratello. E chissà che nella decisione del 1922 di lasciare Liegi, il suo lavoro di giornalista, non abbia pesato anche la scomparsa del padre?
Régine Renchon, detta Tigy, e Georges
Prima di partire per Parigi, Simenon si era gia fidanzato con Régine Renchon che infatti sposerà nel 1923. Qui inizia la sua seconda famiglia. La moglie, belga, di buona famiglia, pittrice, lo segue di buon grado nella Ville Lumiére, pur essendo conscia che nei primi tempi avrebbero letteralmente fatto la fame. Nei loro piani iniziali non era previsto un figlio, era un'intenzione ben esplicitata prima del matrimono. E così prima di completare la famiglia con un erede passarono sedici anni. Infatti Marc nasce il 19 aprile 1939. Con loro, va però detto, che fin dal 1925 vive con loro una giovane femme de chambre, Henriette Liberge, conosciuta in Normandia, subito soprannominata da Georges, "Boule". E non  possiamo considerarla fuori dalla famiglia visto che rimarrà con i Simenon, prima con Georges, poi con la famiglia del figlio Marc, fino alla fine degli anni '60. Con lei Simenon ebbe anche un'intesa non solo contraddistinta da un'attività sessuale praticamente quotidiana, ci fu certo dell'affetto, forse anche del sentimento. La risposta è in alcune lettere  di Simenon, ma che furono distrutte per volere della stessa Boule, alla sua morte.
Terza famiglia. Ormai Simenon si è trasferito in America. Conosce la seconda moglie Denyse, venticinquenne, canadese del Quebec, a New York nel 1945 ed entra in casa Simenon come segretaria particolare dello scrittore. Nel 1950 il matrimonio, ma intanto avevano già avuto un figlio, Johnny, il 29 settembre del 1949. L'unica figlia dello scrittore, Marie-Jo, arrivò nel 23 febbraio 1953, anche lei "americana". Il terzo, Pierre Nicolas, nacque il 26 maggio 1959 quando i Simenon, tornati in Europa, e si erano stabiliti in Svizzera, nei pressi di Losanna. A questo nucleo manca Teresa Sburelin, friulana, una femme de chambre personalmente consigliata a Simenon dal suo editore italiano, Arnoldo Mondadori con cui lo scrittore aveva una vecchia amicizia, risalente agli anni '30. Era la fine del 1961 quando prense servizio. Con la Boule furono subito scintille, che dopo poco fece fagotto, per poi sistemarsi, come abbiamo detto, nella famiglia di Marc Simenon. La casa dello scrittore si va svuotando. La moglie, con cui il rapporto dal ritorno dall'America, è sempre più in crisi, viene peggiorato dal precario equilibrio mentale di lei, dalle sue gravi nevrosi e dal suo alcolosmo. Nel '64 lascia definitivamente la famiglia.
Georges Simenon e Teresa Sburelin
Il figlio Marc è con la propria famiglia a Parigi a fare il regista. Johnny invece è negli Stati Uniti a studiare giurisprudenza. Marie-Jo, cerca con difficoltà la sua strada e il suo equilibrio a Parigi.
Georges, Pierre Nicolas e Teresa è quello che rimane della  terza famiglia. Lei da femme de chambre è definitivamente diventata la sua compagna ufficiale, colei che lo assisterà premurosamente fino alla morte.
Febbraio 1974. 12, rue de Figuiers, sono ormai rimasti solo Georges e Teresa, una piccola casa, con un piccolo giardino, una vita da piccoli borghesi,  una piccola famiglia dove lui ormai vecchio e un po' malandato si sente sicuro e felice di poche piccole cose. E' la sua utima famiglia.

domenica 17 agosto 2014

"SIMENON SUOVENIR" - DENYSE E LA VENDETTA NERO SU BIANCO

Abbiamo più volte parlato delle conseguenze della separazione tra Georges e Denyse, la sua seconda moglie. E una di queste è una vendetta che la donna decise di prendersi nei confronti dell'ex-marito. Volle infatti scrivere un libro, Un oiseau pour le chat (edizioni Simoen - 1978) per poter  raccontare la sua versione e per far conoscere a tutti "il mostro" che lei riteneva fosse il marito e tutte le vessazioni che avrebbe dovuto sopportare. Ci racconta di un grande scrittore ma di un piccolo uomo, dei suoi disturbi psicologici, della sua immoralità, della sua mania di distruzione. E lei, che aveva dovuto sopportare tutto questo, si definisce una moglie ingannata, distrutta e sconfitta. 
Ma fino a che punto queste accuse sono vere? Certo vivere accanto a Simenon doveva essere impegnativo. Ma Denyse soffriva anche di una sorta di complesso d'inferiorità che si manifestava soprattutto nella vita pubblica. Simenon era famoso, accolto di solito con tutti gli onori, oggetto di manifestazioni di stima da parte degli ambienti letterari, ma anche di simpatia dagli ambiti popolari. Mentre lei in tali situazioni rimaneva ovviamente in secondo piano. A quel punto si era innescato nella sua mente un meccanismo di competizione con Georges che la spingeva ad adottare ogni tipo di comportamento pur di attrarre l'attenzione anche su di sé.
Eppure per molti anni la loro relazione aveva funzionato. All'inizio Simenon aveva addirittura confessato che con lei aveva scoperto l'amore travolgente e non solo la passione. E per questo aveva accettato la separazione definitiva dalla prima moglie (anche se con Tigy il matrimonio era di fatto finito da un bel po'), tollerava la progressiva ingerenza di Denyse nella parte amministrativa e contrattuale del proprio lavoro, le delegava la completa gestione della famiglia. Lei si era davvero innamorata di quell'uomo che l'aveva affascinata. Lei venticinquenne canadese di Ottawa, lui, poco più che quarantenne, scrittore già famoso, che veniva da Parigi, la quale negli anni '20 e '30 era considerata la capitale mondiale della cultura.
Eppure, soprattuto al loro rientro in Europa, il loro rapporto andò progressivamente deteriorandosi. Il libro di Denyse però non chiarisce i motivi e appare costellato da veri e propri sfoghi, un po' troppo di parte per sembrare obiettivi e credibili. 
Ma per capire è fatto ricorso anche alle interpretazioni di esperti, come lo psichiatra Armand Mergen, professore di criminologia presso la Johannes Gutenberg University di Mainz. Fu anzi lo stesso Simenon che gli sottopose il libro per un valutazione professionale e distaccata.
"... Conosco Georges ma non Denyse. Non ho fatto quindi una diagnosi psichiatrica della persona. Ho fatto l'analisi di un personaggio di un libro.... Direi un libro molto "Maigret", perché non si scopre una coppia, ma due donne e tre uomini... Perché c'è il Georges uomo, il Simenon scrittore e il Jo amante (i tre uomini). Poiché troviamo Denyse, la donna reale (la prima), e Denise (la seconda) la donna che racconta solo ciò che ritiene utile per il suo ritratto di vittima innocente. Fin dall'inizio, si dimostra possessiva. Vorrebbe che l'uomo che ha amato fosse nato al momento della loro conoscenza. Siccome, sia Georges che Maigret le pre-esistevano, non le sono congeniali, perché il loro passato non può appartenerle. Allora lei li cancella e costruisce in sostituzione Jo, il suo amore.... Denyse, scrive: "Il primo romanzo dopo il nostro incontro era Maigret a New York. Dopo averlo letto, ho avuto l'idea di apparire come la moglie del celebre commissario...".
E spiega l'analisi di Mergen. "...Ma ciò era impossibile. Denyse era davvero l'amante di Jo, ma non poteva essere la moglie di Maigret. Il Simenon scrittore divenne gradualmente il suo trauma, perché lui era anche Maigret e allo stesso tempo Jo. Denise era legata a Jo da un amore appassionato e sensuale, ma c'era anche Simenon lo scrittore geniale che sapeva lavorare duro e c'era anche Maigret sua parte integrante, intoccabile. Denyse scopre che non può essere sia di Madame Maigret, collaboratrice di Simenon, e l'amante padrona di Jo...".
Teoria interessante quella dello psichiatra tedesco. Ma qualsiasi possa essere l'interpretazione del libro, non ci pare che contribuisca in modo determinante a spiegare la degenerazione del rapporto della coppia. I questi casi, dice la saggezza popolare, i guai si combinano sempre in due. Le colpe sono da entrambe le parti semmai il difficile è capire dove finiscono quelle dell'uno e iniziano quelle dell'altro. Nel caso di Georges e Denyse c'è da considere l'impatto sulla coppia dell'impegno creativo e del suo ritmo da parte di Simenon e dall'altro le nevrosi e l'instabilità mentale di Denyse, peggiorate da un grave alcoolismo.
Il libro, non ebbe sucesso, anche se fece rumore soprattutto sui periodici che si occupavano di quello che oggi chiamiamo gossip. La curiosità di sapere tutto sulla vendetta (sia pure letteraria) della moglie di un personaggio famoso era, allora come oggi, un boccone che certa stampa non si faceva certo scappare. Ma l'opera non aggiunge nulla alla figura e alla conoscenza di Simenon

sabato 16 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - L'ABITO NON FA LO SCRITTORE, MA...

Quando la richiesta di letteratura popolare inziò a salire e molti volevano i racconti o romanzi brevi del Georges Sim o come cavolo si chiamava (con oltre venti pseudonimi utilizzati, c'era addirittura chi non credeva che Simenon fosse il suo vero cognome), non solo la casa l'arredamento e le feste iniziarono a essere importanti, ma anche la ricercatezza nel vestire divenne quasi un obbligo. Più che ricercatezza, in quegli anni '20, dovremmo parlare di originalità o meglio ancora di stravaganza. La moda imperante dettava legge anche sui tagli, sui colori e sulle decorazioni di gonne, giacche, vestiti da donna e da uomo, berretti e chapeaux. E anche i coniugi Simenon (Tigy, come pittrice frequentava tra l'altro anche degli ambienti particolarmente eccentrici e dissacranti sia nel comportamento che nel vestire) calvacano la moda.
Sentite un po' come vestiva il ventiduenne Simenon.  Intanto portava una paglietta inclinata sul lato sinistro, alla moda lanciata da Maurice Chevalier. Poi era stato sedotto da quei pantaloni così larghi da nascondere anche  le suole di para delle scarpe americane, quelle a punta quadrata come si portavano un tempo. La sua passione erano i soprabiti doubelface, da un lato normali impermeabili, dall'altro a motivi e colori sgargianti, ad esempio rosso a qudrettoni. Insomma un modo di vestire che davvero non passava inosservato. Ma possiamo dire che quello era il Simenon un po' scapigliato,  quello che infatti frequentava i pittori avanguardisti, amici della moglie Tigy.
Man mano che la sua popolarità cresceva, dai Maigret in poi, il nostro scrittore adottò un abbigliamento più tradizionale, sempre più ricercato, di fattura artigianale e di taglio elegante. La cravatta iniziò a comparire e, sempre più spesso, il cravattino a farfalla che insieme al cappello  Borsalino e all'immancabile pipa divennero una costante del suo look, come testimoniano le innumerevoli foto che abbiamo dello scrittore, quelle "in posa", quelle colte nelle manifestazioni in pubblico e quelle scattate in famiglia.
Abbiamo già detto della sua immagine e di come Simenon sapesse gestirla quasi professionalemente.
Curava quindi il suo aspetto esteriore soprattutto quando c'erano, o ci potevano essere, degli obbiettivi nei dintorni e ogni situazione lo vedeva con l'abito più adeguato. Abbiamo delle sue foto in smokinkg ai ricevimenti, quelle "americane" che lo ritraggono a cavallo, con cappellone e camicia a scacchi, le immagini con la maglietta a righe e il cappello con la visiera, a bordo del suo Ostrogoth, con cui solcava i canali di buona parte dell'Europa. Oppure, quando si stabilì nella campagna della Vandea, era ritratto nei panni del perfetto gentleman-farmer.
Possiamo dire che la pipa faceva parte del suo vestiario? Certamente era un accessorio immancabile. Stretta tra i denti, tenuta in mano, oppure nelle immediate vicinanze, ma sempre in una posizione visibile. E' quasi impossibile trovare una sua foto senza una pipa.
Con l'età un 'altro accessorio indispensabile divennero gli occhiali, i più famosi quelli con una montatura media, un po' arrotondata e di un caldo colore ambrato.
Ma quando si metteva a scrivere, chiuso nel suo studio, con il cartellino "don't disturb" alla porta, indossava invariabilmente uno di quei camicioni americani a scacchi. Nel suo caso quello era l'abito che faceva lo scrittore

venerdì 15 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR". VIVA I FEUILLETONS... ADDIO FEUILLETONS


Il quotidiano nel senso moderno del termine, a Parigi iniziò a muovere i primi passi nella prima metà dell'ottocento. Il concetto che il giornale potesse diventare un mezzo di comunicazione, se non ancora di massa, ma molto diffuso, si concretizza grazie all'evoluzione tecnologica e alla rivoluzione industriale che permette di ridurre i costi e farne un genere di consumo accessibile ad una base sempre più larga. Ma c'è un altro fattore molto importante, la nascita della pubblicità che, con i suoi introiti, consente di realizzare quotidiani più ricchi a prezzi più bassi. Così già nel '36 uscivano giornali come Le Siécle e La Presse, cui ci si poteva abbonare con 40 franchi l'anno. A quel punto, per arrichire la loro proposta, gli editori iniziarono ad inserire una sezione dedicata anche alla letteratura. E di questa facevano parte dei racconti o dei veri e propri romanzi a puntate chiamati appunto fuilleton-roman. E spesso si trattava di opere che poi venivano raccolte in un volume. Ovviamente si trattava di letteratura d'evasione, popolare, che di solito veniva impaginato alla base di una pagina, tanto da meritarsi l'appellativo di rez-de-chaussée (piano terra). Snobbati dai critici letterari, questi romanzi però avevano come autori personaggi che si chiamavano Balzac, Alexandre Dumas, Zola e poi spingevano le tirature dei giornali a cifre prima mai raggiunte, in alcuni casi da 80.000 a 180.000 copie. Nel 1863 nacque un quotidiano Le Petite Journal che dopo pochi anni grazie ai suoi feuilletons raggiunse le 350.000 copie.
E ancora negli anni '20 questo fenomeno editoriale continuava a tirare e Simenon non poteva sfuggirgli, inoltre la sua facilità nello scrivere vari generi e la sua velocità d'esecuzione ne facevano un perfetto estensore. Moltissimi, per non dire tutti, i suoi romazi popolari seguivano questa procedura prima feuilleton, poi libro. Si trattava di libri molto economici (l'editore Gustave Barba arrivò a mettere sul mercato una collana di romanzi brevi illustrati a 20 centisimi l'uno). Il record spetta a Fayard che con la sua serie Le Livre Populaire, lanciata nel 1912 a 45 centesimi, sfornò oltre 2000 titoli fino al 1964!
E  così siamo arrivati a quell'editore con cui il Simenon della letteratura popolare lavorò moltissimo e con il quale fece il grande passo dei Maigret. Ma questa doppia pubblicazione andò avanti fino al 1936, poi la decisione."... fino ad allora tutti i miei romazi, compresi e soprattutto i non Maigret, uscivano in feuilleton nei quotidiani di allora, Paris-Soir, Le Petite Parisien, Le Jour. Economicamente era vantaggioso perchè questi giornali mi pagavano altrettanto se non di più di quello che percepivo per il romanzo in libro... Ma io volevo spingermi più in profondità nella conoscenza dell'uomo e senza dovermi preoccupare dei gusti dei lettori di feuilletons... - spiega lo scrittore in uno dei suoi Dictées (Vent du nord -1974) - Da un giorno all'altro ho smesso di far uscire i miei romanzi con questo sistema. Ma da un giorno all'altro mi sono sentito angosciato. A torto o a ragione, credevo che se avessi continuato ad addentrarmi sempre più nelle motivazioni umane, il mio equilibrio mentale ne avrebbe probabilmente sofferto...".
Ma quella dei feuilletons fu una scuola importante per Simenon. Il suo "apprendistato", come ebbe modo di raccontare più volte, fu molto importante anche e grazie ai ritmi infernali che questo richiedeva.
Un funzionario della sezione romanzi popolari di Fayard testimonia che la sua inesauribile produzione "...faceva di lui (Simenon) la Provvidenza del patron Charles Dillon ....". In effetti se c'era bisogno di un romanzo sentimentale di quindicimila righe o di un racconto poliziesco bastava fargli un colpo di telefono. Si prendevano gli accordi anche per tempi strettissimi e Georges puntuale il giorno prestabilito si presentava con il lavoro fatto "....con una nonchalace che stupiva  Dillon...".
Dei romanzi leggeri in quattro giorni? E lui rispondeva "Lo avrete".
Dei romanzi d'amore in due settimane? E ancora "Lo avrete".
E poi ci si chiede perchè si portasse dietro il soprannome di "Citroen della Letteratura", in riferimento ai suoi tempi da catena di montaggio che riusciva a reggere.

giovedì 14 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR"- LO SCRITTORE E I LIBRI DEGLI ALTRI

Quanto abbia scritto Simenon crediamo sia universalemente noto. Ma oggi vogliamo chiederci invece quanto abbia letto. Sappiamo che una delle prime e fondamentali tappe della lettura del piccolo Georges è costituita da una delle biblioteche comunali di Liegi, diretta nel 1915 da un estroverso poeta vallone, Joseph Vriendts. Questi prese a ben volere quel sorprendente lettore appena dodicenne. Aveva una grandissima voglia di leggere, e prendeva fino a tre titoli al giorno. Ma spesso non bastavano... Nonostante Vriendts avesse il sospetto che il ragazzo non leggesse tutti i titoli che prendeva in prestito (non credeva che potesse essere così veloce nella lettura), cedette lo stesso alla sua richiesta: avere più libri. C'era però un piccolo ostacolo burocratico. Con la sua tessera non poteva avere più di un certo numero di libri a settimana. Così fece fare delle tessere a nome del fratello e del padre, in modo da poter dare a Georges tutti i libri che chiedeva.
Ma quali libri chiedeva?
Simenon ricorda che diversi dei pensionanti che la madre Henriette si era organizzata per ospitare erano russi e così spiega la sua propensione per quella letteratura e in particolare Puskin, Cechov e soprattutto Gogol. Ma non di soli russi erano fatte le letture del giovane Georges. Infatti quando gli chiedevano quali libri avesse letto da piccolo, rispondeva "...credo di non aver mai detto di aver letto la contessa di Sègur, né Giulio Verne, come tanti ragazzi della mia generazione... A che età?  Presto sicuramente. Tra gli otto e i tredici anni sono passato ben presto da Dumas padre a Paul de Kock. Ho letto anche dei Fantomas, non molti... e verso i tredici o quattrodici anni dopo Fenimore Cooper e Walter Scott... sono venuti i russi...". E il cerchio si chiude. Ma Simenon nei ricordi di Quand j'étais vieux, precisa che quando gli si facevano certe domande non sempre rispondeva allo stesso modo. E un motivo c'era. "... per esempio qualcuno può avere delle idee sbagliate sulle mie letture, se lo deducesse dall'analisi della mia biblioteca. Infatti ad ogni trasloco (e nella sua vita dovrebbero essere stati circa una trentina) ho venduto un quarto e talvolta la metà dei libri, che sono poi stati rimpiazzati da altri e oggi ci sono delle opere che conservo soltanto per i miei figli...".
Crescendo, le preferenze di Simenon per i russi si allargano a Tolstoi e a Dostoievski. Dei francesi un po' dopo, tra i quindici e i sedici anni,  viene Balzac, a piccole dosi, specifica lo scrittore. Dopo arrivarono interessi anche per pensatori come Auguste Comte, considerato il padre della sociologia, e poi l'affabulatore Dickens, ma anche il geniale Shakespeare. Poi fu anche la volta dei filosofi, da Cartesio a Pascal, ma soprattutto Montaigne. E poi, per rimanere nell'ambito dei romazieri più conosciuti, Conrad e Stevenson.
E ancora Faulkner, Dos Passos, e particolarmente Mark Twain. Ormai parliamo delle letture di un Simenon venticinquenne che desideroso di novità e scoperte non si lascia scappare le prime traduzioni dell'opera di Freud. Quindi l'intenso periodo di Goethe... Insomma anche come lettore Simenon aveva dei ritmi forsennati e, ad esempio, in un giorno riusciva a leggere tre libri di Goethe. Poi lunghe pause, finchè ad un certo punto decise di non leggere più o quasi... Come mai?
"...ci sono dei romanzi che mi hanno suscitato un'impressione straordianaria: "Il club dei suicidi" di Stevenson o "Cuore di Tenebra" di Conrad. E Faulkner? Il più grande degli americani. Ma non voglio essere influenzato dalle mie letture... E' la vita che mi ha nutrito e non qualcosa che è stato già rielaborato da qualcun'altro....".
Simenon quindi rivendica il diritto a non leggere per non farsi condizionare, anche se questa affermazione crea qualche contraddizione. Ad esempio stride sia con il suo famoso état de roman, in cui diceva di scrivere quasi come se non fosse lui, che con il fatto di entrare nella pelle di qualcun'altro, pensando e comportandosi come quell'individuo. Beh, se il risultato dei suoi romanzi fosse stato involontario fino a questo punto, il rischio di essere influenzato sarebbe dovuto essere quasi inesistente. Normali contraddizioni che ritroviamo in moltissimi artisti, ma anche nelle
persone "comuni", o elementi disseminati ad arte per far crescere il mistero del "caso" Simenon, di cui lo scrittore, almeno a parole, affermava di non volerne nemmeno sentir parlare?

mercoledì 13 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR". DA RECORDMAN DELLA LETTERATURA A ROMANZIERE

Quanto sarà stato difficile per Simenon cambiare pelle? E nella sua vita dovette farlo più di una volta. La prima per spogliarsi delle sue vesti di reporter provinciale, arrivato nella grande Parigi, per indossare quelli dell'apprendista letterario nel campo della narrativa popolare. Secondo cambiamento di pelle quando volle debuttare nella letteratura poliziesca, con le indagini di quel commissario che per altro andava contro tutte le regole del genere. E lì la prima difficoltà a scollarsi di dosso il suo marchio di autore di romanzetti rosa e d'avventura che si vendevano per nemmeno un franco. Per di più con la fama di esecutore a comando che si era guadagnato, capace di confezionare i prodotti letterari più diversi, secondo le ordinazioni e ad una velocità che non faceva presagire nulla di buono in merito alla qualità. E quella rapidità nello scrivere rimase anche nella fase semi-letteraria dei Maigret e non contribuì a farlo apprezzare, nemmeno dai critici del genere, che sulle prime non vedevano di buon occhio questo commissario di polizia, né giovane, né bello, più propenso a mangiare, a bere e a fumare che all'azione. Grigio funzionario di mezz'età, della classe media, sposato con una donna tutta casa e cucina e che non era in grado nemmeno di guidare un'automobile. Insomma anche per entrare nella letteratura di genere e seriale, aveva scelto la  via più difficile.

Ancora un'altro cambiamento di pelle quando da estensore di indagini poliziesche fece il salto verso la letteratura tout-court con l'aspirazione ad essere un romanziere e solo un romanziere. Basta con i Maigret (così almeno credeva), basta con il lavoro giornalistico (la sua fase sui giornali andava chiusa per sempre... ma anche qui ci furono eccezioni), basta con l'essere considerato un giallista di successo, ma nulla di più.
Insomma per uno che entrava e usciva dalla pelle dei suoi personaggi ad ogni romanzo, si sarebbe portati a pensare che questi cambiamenti per lui fossero più facili. Ma non era così. Quando storie come quella del romanzo nella gabbia di vetro scritto in cinque giorni, anche se falsa, continuava ad essere ricordata ogni volta che si tirava fuori il suo nome. Quando il soprannome di Citroen della letteratura, assegnatogli nel periodo della letteratura popolare per il ritmo industriale con cui scriveva e pubblicava, diventa un ritornello ogni volta che si parlava di lui. Quando, a proposito del nome, con tutti gli pseudonimi che aveva utilizzato agli inizi (più di un ventina) c'era chi non credeva nemmeno che Simenon fosse il suo vero cognome.
E così tutti questi stereotipi lo inseguivano inesorabilmente, quando lui cercò di essere considerato romanziere, scrivendo per altro delle storie tutt'altro che allegre e d'evasione. Anche qui aveva scelto la via più difficile, quella di raccontare le vite della gente semplice, povera, o di quei disgraziati che si arrabbattavano segnati da un destino ineluttabile. Insomma non era certo letteratura d'intrattenimento. Eppure le sue performance di recordman della letteratura, non venivano dimenticate e gli avevano procurato una popolarità notevole, ma non sempre positiva. E quando aveva voluto entrare nella fase della letteraura tout court, il suo passato commerciale e pieno di exploit eccentrici aveva costituito motivo di pregiudizio e di critiche condizionate. Tutto quel passato gli pesò adosso come una cappa, fin quando letterati come Gide, Celine, Mauriac lo sdoganano definitivamente, complice anche il passaggio all'autorevole casa editrice Gallimard.
Nonostante tutto Simenon si tenne sempre alla larga dall'ambiente letterario, dalle combriccole di scrittori, dalla mondanità di quel giro. E alla fine ebbe ragione su tutti. Fu accettato come grande romanziere, giallista decisamente originale, con riconoscimenti da parte della critica e del pubblico,  con i milioni di copie vendute in Francia e all'estero sia dei suoi romanzi che dei suoi Maigret.

martedì 12 agosto 2014

SIMENON SIMENON. IL CASO DEL PICCOLO PIERRE / 4


(continua da lunedì 11) - Trovò Martine seduta con le braccia incrociate. Vicino a lei c'era Lapointe. Si scambiarono un'occhiata e l'ispettore uscì lasciandoli soli.
Maigret l'apostrofò senza preamboli.
- Lei ha mentito, signorina, quella domenica sapeva bene che Gerard di sarebbe visto con Pierre. Mi vuole dire se c'era anche lei a quell'appuntamento?
- Ma io...
- Martine, me l'ha detto il suo Gerard che si è visto con Pierre... e lei mi dice  di non sapere niente? - azzardò Maigret - Eppure la cosa riguardava anche lei...
- Ma di cosa parla... io non davvero sapevo niente.
- Cosa è successo tra lei e Pierre?
- Beh se lo devo proprio dire.... ma ormai tanto... Avevo visto Pierre  rubare dei soldi dalla cassa. - la ragazza piagnucolava  - L'ho detto a Gerard. Lui voleva dargli un bella lezione  ma non davanti a tutti. E così ecco l'appuntamento di domenica. 
- E perchè Pierre è andato lì la mattina se Gerard è sarebbe arrivato da Ivry solo il pomeriggio?
- Non saprei... davvero...
- Ma lei era lì... e quando? La mattina sola con Pierre, o il pomeriggio insieme a Gerard?...  E non menta...
Martine si guardava in giro come si aspettasse di trovare qualcuno in quella stanza oltre a lei e il commissario, che intanto aveva preso una sedia e si era piazzato davanti a lei.
- Sono stata io che ho dato appuntamento al ragazzo la domenica mattina. Mi aveva promesso di riportare il denaro... non volevo che Gerard fosse troppo duro con lui, glielo avevo detto io... "restituisci i soldi prima che te li chieda Gerard..."...
- E poi?
- Mi ha dato la borsa con il denaro...
- Quanto?
- Beh non ricordo cinque seicento franchi....
- Sempre di meno...eh?...Mi hanno detto che in quella borsa ce n'erano dieci volte di più... bah poi vedremo... Adesso vada avanti...
- Ho preso la borsa e gli ho detto che sarei tornata lì il pomeriggio, quando ci sarebbe stato anche Gerard. Ma quando verso le cinque mi sono recata alla panetteria ho trovato solo Gerard. Pierre non si è fatto vedere. Ho dato la borsa a Gerard, dopodichè abbiamo aspettato circa un 'ora... ma Pierre non si è visto.
Allora Gerard è tornato a Ivry e io a casa... 
Già anche quasi tutto filava in accordo con le dichiarazioni di Gerard, tranne la storia dei soldi nella borsa: cinque o seicento franchi, o cinque sei mila?  Nel primo caso era credibile la storia dei soldi rubati dalla cassa, nel secondo no...poteva essere magari una cifra giusta per un ricatto... Già ma per che cosa?
 Tornò da Boucher, ormai era stanco di questo rimpallo tra i due... La sua sagoma sembrava più massiccia e pesante quando rientrò nel suo ufficio. Non si sedette, ma restò in piedi di fianco al panettiere.
- Allora, che cos'è questa storia che Pierre rubava dalla cassa... E' vero che è stata Martine a dirglielo? - lo disse con un tono duro e  definitivo come se volesse chiudere lì quella vicenda.
Il panettiere lo guardò con occhi socchiusi da sotto in su, forse cercava di capire se quelle assenze di Maigret significassero che anche Martine era lì a Quai des Orfevres?
- Pierre... Rubava? Ma se era lui che mi aveva confidato che era Martine la colpevole di certi ammanchi di cassa...
- Cioè si spieghi meglio...
- Pierre mi disse di averla vista mettere in borsetta una mazzetta di biglietti da cento franchi, una volta che stava facendo i conti e un'altra volta mentre io non c'ero e lei stava chiudendo la cassa. E allora mi aveva chiesto di vederci, ma da soli perché non voleva che Martine venisse a sapere che era stato lui a scoprirla...
Maigret non aveva mosso un muscolo e stringeva così forte la pipa come se volesse stritolarla. Sentiva ancora che si trattava di menzogne. Senza dire una parola si voltò e tornò da Martine.
Quando lo vide, la ragazza abbozzò un sorriso.
- La informo che nel mio ufficio, c'è Gerard Boucher che l'accusa formalmente di furto... contrariamente a quanto lei mi detto, è stato Pierre a smascherarla e a voler parlare con lui. E dice che si tratta di cinque sei mila franchi... Ma anche questo non è la verità, no?
Martine aveva la faccia smarrita.
- Vorrei che lei mi dicesse la verità prima che la porti nel mio ufficio per fare un confronto tra quello che dite...
- Io non ho rubato nulla... - disse con un filo di voce, guardando per terra - e nemmeno Pierre... il fatto è che un giorno Pierre ha sorpreso me e Gerard... eravamo usciti da un cinema... quella sera per caso Pierre passava di lì con la sua bici. Né io, né Gerard ce ne accorgemmo. Lui ci riconobbe e ci seguì fino a casa mia. E lì vide che salimmo insieme a casa mia...
Ecco il ricatto, pensò Maigret.
- Fu lui a chiedermi dei soldi per stare zitto con la signora Giselle... Non avevo scelta. Dovevo chiudergli la bocca pagandolo... rischiavo grosso, se la storia fosse venuta alla luce, non sarei potuta rimanere a lavorare alla panetteria, avrei perso l'appartamento e anche i soldi che mi passava il mio amante... Ma d'altronde se per caso Gerard avesse scoperto che gli nascondevo una cosa del genere sarebbe andata anche peggio...
Maigret sentiva che quella era la direzione giusta, forse non ancora la strada che serviva ad arrivare alla soluzione del caso, ma era direzione era quella: il ragazzo aveva scoperto la tresca tra padrone e cassiera e voleva guadagnarci sopra. Pierre non era questo stinco di santo che dipingevano tutti... L'aveva pensato fin dal primo momento: quel quadretto era fin troppo idilliaco.
A quel punto prese Martine per un braccio la costrinse ad alzarsi e la spinse verso il suo ufficio.
Quando entrarono in quel modo, Gerard si alzò in piedi di scatto. Cosa aveva detto la sua amante, pensò... dovette velocemente decidere cosa dire. Quando tutti furono seduti Maigret si accese una pipa e si sistemò comodo alla sua scrivania. Chiamò Janvier e fece un telefonata.
Intanto i due amanti nemmeno si guardavano.
Chiusa la comunicazione, il commissario li fissò entrambi e poi, rivolto all'uomo, chiese
- Allora il piccolo Pierre sapeva di voi due. 
- Già - fece asciutto Boucher.
- Questo è ormai assodato, come è chiaro pure che il piccolo Pierre era intraprendente e malizioso. Vide la possibilità di ricattare qualcuno, ma forse gli mancò il coraggio di farlo con il padrone. Fece delle richieste a Martine, sapendo che poi i soldi sarebbero venuti da lei... Gerard...no? 
- Martine insisteva perchè io lo pagassi... diceva che se avesse raccontato tutto a mia moglie la nostra storia sarebbe finita...
- Ma come... lei prima mi ha detto che sua moglie non può  mettere bocca sui suoi affari... che lei fà come le pare e la signora Giselle ne deve rimanere fuori...
Fu Martine che rispose.
- Giselle è proprietaria delle mura del negozio e del forno...
- Ah... ecco la verità... lei Boucher fa il gradasso agli occhi di tutti e poi sua moglie la tiene al guinzaglio perchè la panetteria è sua...
- Sì, ma senza di me, senza il forno che ho comprato io e senza il mio lavoro, quelle mura non valgono niente...
- Ma diciamo che lei non vuole litigare con sua moglie e magari rischiare di separarsi, per colpa di Martine... o meglio di Pierre che ha scoperto la vostra tresca... d'altronde  un'altre Martine si trova, no Boucher?... Ci sono tante ragazze a Parigi, giovani, carine...
Boucher emise una specie di grugnito, quasi a significare che quello che stava sentendo forse non gli piaceva, ma non era in grado di negarlo. E ancora non aveva dato un'occhiata a Martine.
- Sì, era lui che aveva paura che la moglie lo venisse a sapere - protesto Martine -  e diceva pure che pagare non sarebbe servito... bisognava eliminarlo...
Boucher le si rivoltò come una bestia.
- Ma che dici! Eri tu ad avere paura di perdere tutto... Eri tu che dicevi che quel ragazzo era un pericolo per noi... ma quella che aveva da perdere di più eri tu... Pierre temeva me, non te... 
- Insomma come è andata questa storia del ricatto?
- Glielo dico io - disse con voce roca Boucher che era diventato loquace - Pierre ricattò Martine perchè aveva paura di me... paura fisica. Diceva sempre a Martine che io non avrei dovuto sapere nulla. Era lei che avrebbe dovuto tirare fuori i soldi... dalla cassa, da quelli che le davo io... dallo stipendio...
Maigret alzò il palmo della mano.
- Fermi tutti. Fin qui è chiaro che Pierre vi ha ricattati, ma quello che voglio sapere è chi l'ha ucciso. Non credo che la signorina da sola nei sia stata capace...
- Già non è buona nemmeno a fare quello. E' lei che mi ha suggerito di farlo fuori... ormai era troppo pericoloso per tutti e due...
- E vero Martine?
La ragazza aveva il volto coperto dalle mani e non rispondeva, ma quel silenzio era assai eleoquente.
- Allora è vero. Era lei che spinsgeva Gerard ad ucciderlo piuttosto che pagarlo?
Ma come attirarlo in trappola?... Adesso vedo chiaro... - Maigret ora aveva imboccato la strda giusta - E' stata lei a convocare il ragazzo la domenica mattina, con la scusa di pagarlo. E poi, è vero, di lei non aveva paura... Solo che lei doveva trattenerlo fino all'arrivo di Gerard... Siete rimasti chiusi nella panetteria? L'ha portato a casa sua? Magari l'ha intrettenuto con qualche moina... quel ragazzo doveva essere sensibile al suo fascino... Non lo so... ma poco importa. Il fatto è che lei trattiene in qualche modo il ragazzo finchè arriva il suo amante... è così?
Martine fece sì con la testa... ora aveva un fazzoletto davanti alla bocca per nascondere i singhiozzi. Lo sguardo di Boucher si era fatto duro.
- Lei Boucher deve essere arrivato di sorpresa... già armato di coltello... mentre Martine... intratteneva il ragazzo, lei lo colpiva alla schiena...
- Era un verme... un verme ingrato... - disse il panettiere con voce ormai bassa e roca - aveva avuto tutto da me, un lavoro, soldi... e non ha avuto il coraggio di affrontarmi da uomo a uomo...
- Ma era un ragazzo - la voce spezzata di Maritne si era finalmente fatta sentire - era un piccolo ragazzo...
- Zitta sgualdrina.. non lo difendere era una piccola serpe...
Era il momento che Maigret aspettava. la rottura definitiva tra i due. Lei che difendeva il ragazzo e lui che la chiamava "sgualdrina".
Ormai i due si sarebbero accusati e insultati a vicenda. Janvier avrebbe verbalizzato tutto e poi i due sarebbero finiti in cella.
All'improvviso  Maigret avvertì un senso di nausea. Si alzò di scatto, prese la giacca... nemmeno li guardò. 
- Janvier... i verbali e poi in cella. E telefona subito al giudice Comelieu, prima che i giornali escano con la notizia.
Quando scese i 148 scalini di Quai des Orfevres si sentiva più leggero. Chiamò un taxi... doveva andare a casa prepare la valigia per raggiungere a Meung-sur-Loire M.me Maigret.
(fine

Questo apocrifo è stato scritto da Maurizio Testa, sempre nell'ambito e nello spirito della rubrica "Magari come Simenon...". Simenon-Simenon invita i suoi lettori ad inviare racconti e divertissement a simenon.simenon@temateam.com

lunedì 11 agosto 2014

SIMENON SIMENON. IL CASO DEL PICCOLO PIERRE / 3

(continua da domenica 10) - Ma no,... te l'ho già detto siamo ancora lontani dall'averci capito qualcosa. Figurati che il giudice Comelieu dalla sua vacanza in costa Azzurra, mi chiama tutti i giorni... anche lui legge i giornali... Mah... che devo dirti non so davvero quando chiuderò questo caso e potrò raggiungerti. Sentiamoci stasera... sì, sì ... ciao signora Maigret... ciao.
Maigret era appena arrivato in ufficio e prima di telefonare a sua moglie aveva già risposto per l'appunto al giudice che si aspettava sempre che Maigret gli comunicasse che il caso era stato chiuso.
La giornata si presentava particolarmente afosa, un vento caldo arrivava a zaffate. Il commissario preferi chiudere la finestra. Torrence gli aveva fatto il rapporto della notte e nell'ufficio degli ispettori erano già arrivati Lapointe e Janvier.
Maigret aveva dormito male, aveva voglia di bere qualcosa di fresco e di farsi un giro. Prese la giacca e passò dagli ispettori dicendo "Tornerò tra un paio d'ore".
Fece tappa alla brasserie Dauphine e ordinò una birra fredda. Poi, visto il caldo, prese un taxi e si fece lasciare ad un paio di isolati dalla rue des Sardoux dove viveva Martine.
Non voleva farsi riconoscere, l'aveva già interrogata quando aveva ispezionato  il negozio e il forno. Ma forse lei a quell'ora era già alla panetteria. Voleva vedere com'era il posto. C'era in realtà poca gente in giro, molti erano fuori città, in vacanza. Era un quartiere signorile, case di un certo livello, pochi negozi: una profumeria,  un negozio di intimo femminile e un piccolo bistrot che voleva darsi un certo tono. Al 21 il palazzo dove abitava Martine. Una costruzione a tre piani, con ampie finestre, rivestito di marmo, dall'aria solida. Certo non si sarebbe detto il posto tipico di una universitaria che si manteneva agli studi facendo la cassiera.
Forse la lettera anonima diceva la verità... ed era scritta di qualcuno che la conosceva bene.
Entrò nel bistrot e ordinò una birra.
- Caldo, oggi? - disse il camerire al bancone.
- Già, una giornata da stare a casa... con quest'afa... se non fosse per mia nipote, non sarei venuto fin qui..
- Da dove viene?
- Da Meaux...
- Un bel viaggetto, eh...
- Già...poi arrivo e lei non c'è...
- Come si chiama?
- Martine, Martine Fossard... è giovane con i capelli rossi...
- Ah... ma allora la conosco è quella con quei begli occhi verdi... eh... non si può non notarla. Ogni tanto viene a mangiare qui... Complimenti, sua nipote é proprio una bella ragazza...
- Sì, non mi posso lamentare... poi studia e lavora... Ha conosciuto anche il suo fidanzato?
- No... almeno qui è venuta sempre da sola...
- Mai con un'amica.. un amico?
- No, non mi pare proprio... d'altronde deve essere un tipo un po riservato...
- Eh sì... ha preso tutto dalla mamma...
Maigret si godeva il fresco del bistrot, la birra e la pipa appena accesa. Non voleva sembrare troppo curioso, ma doveva saperne di più.
- Sa, io sono il fratello del papà che è mancato alcuni anni fà e la madre mi chiede di venire ogni tanto a darle un'occhiata...
- La capisco... poi una come lei, bella ancora molto giovane, sempre ben vestita può far venire strane idee in testa a molta gente, anche se questo è un quartiere molto tranquillo...
- Eh, sì ha propio ragione...
- Già... ho visto molte ragazze con la bellezza e con i soldi perdere la testa e fare un brutta fine... lei poi deve guadagnare bene...no?
- Beh, noi le mandiamo dei soldi tutti i mesi...
- Lo sospettavo, per una che lavora in una panetteria... insomma non fà una vita da cassiera...
- Lo sapeva?...
- Sì, qualche volta capita che il suo principale l'accompagni a casa in auto e poi si ferma bere un bicchierino qui da noi... E' uno cui piace chiacchierare...
- Lo so... Martine ce ne ha parlato qualche volta... ma credo che in fondo sia un brav'uomo...
- Beh io non lo conosco bene, solo qualche parola... però...
- Però?
- Beh non vorrei dire cose non vere, ma ho avuto la sensazione che parli di Martine come se avesse con lei una certa confidenza... sì insomma...
- Lei pensa che tra i due ci sia qualcosa?
Domanda  fatta a bruciapelo, più da commissario che da zio premuroso.
Il cameriere stette per un po' in silenzio.
- Guardi, io non sono voluto andare a fondo, ma qualche volta, vista l'ora in cui lui si ferma qui, non credo proprio che sia quella in cui chiudono le panetterie.
- Ah... Insomma tra i due forse c'è qualcosa...
- Non mi sento di escluderlo...
- Beh, sono le ragazze giovani... qualche volta  possono accettare la corte di qualcuno... ad ogni buon conto le farò un discorsetto...
- Non le dica che io....
- Assolutamente... stia tranquillo.
Pagò, ringraziò e uscì contento, finalmente qualche cosa prendeva forma. Se Martine era l'amante di Gerard, si aprivano parecchie ipotesi verosimili... Adesso era il momento di parlare con Martine e con Gerard.
Li convocò la sera, dopo l'orario di chiusura della panetteria. A distanza di mezz'ora uno dall'altro in modo che nessuno sapesse dell'altro e li sistemò in uffici diversi.
Gerard ostentava sicurezza e aveva acceso un sigaro seduto davanti alla scrivania di Maigret. Martine aveva gli occhi che sembrava fossero diventati più grandi e si tormentava i capelli riccioluti seduta nella stanza degli ispettori.
Il commissario iniziò dalla ragazza, facendo cuocere a fuoco lento il panettiere.
- Allora Martine... lo sa che si dice di lei?
- Cosa?
- Che vive al disopra delle sue possibilità...
- Ma questo che c'entra con l'omicidio di Pierre. Voi invece a che punto siete... cosa avete...
- Signorina, per favore, risponda alle mie domande.
Martine si morse un labbro.
- Allora? - la incalzò Maigret.
- Beh lo stipendio da Boucher è buono, poi dò qualche ripetizione, faccio qualche econonomia... qualche cosa riesco a metterlo da parte...
- Mi dica... quanto le costa d'affitto l'appartemento al 21 di rue des Sardoux?
- Beh... è di un amico... mi ha fatto un prezzo di favore...
- Ah... e come si chiamerebbe quest'amico?
- Joseph... Joseph... non ricordo il congome...
- E' sicura di ricordare bene?... Non si chiama forse Gerard...Gerard Boucher...
Martine ebbe un sussulto, ma si riprese subito.
- Ma che dice! Quello è il mio datore di lavoro...
- Ed è quello l'accompagna a casa in macchina a notte fonda.
Martine accusò il colpo. Stavolta chinò la testa per non incrociare lo sguardo di Maigret.
Il commissario riaccese la pipa, fece un sospiro, si alzò e si mise dietro Martine
in modo che lei non fosse costretta a guardarlo.
- Allora Martine quali sono i suoi rapporti con Gerard?
La ragazza taceva.
-  Sa qualche cosa sulla morte di Pierre?
Ancora silenzio.
- Martine, la prego non mi faccia perdere la pazienza... Certe cose è meglio per lei se le vengo a sapere dalla sua voce che non le vada a scoprire altrove.
- Io... di Pierre non so nulla... sì, Gerard mi ha fatto la corte, era una situazione complicata con la moglie lì in negozio... e poi sì insomma Pierre era bravo, ma pur sempre ragazzino... voleva sempre impicciarsi di tutto...
- Ma lei così giovane... accettare la corte di un uomo di mezz'età, sposato, suo datore di lavoro...
- E' proprio per quello, a me servono i soldi di quello stipendio... e non ho potuto rifiutare il corteggiamente di Gerard...
- E per questo si faceva dare dei soldi extra da lui?
- No!
Martine si era voltata e ora fissava la figura massiccia del commissario dritto dietro di lei.
- Non ho chiesto una lira. E' stato lui che mi ha affittato quell'appartamento... io non sapevo nulla...
- E magari aggiunge anche qualche generoso supplemento al suo stipendio... senza che gli altri lo sappiano, s'intende...
Martine strinse i pugni intorno alla impalpabile stoffa del suo tailleur .
- Guardi non è come pensa lei... sì ho bisogno di soldi per mantenermi agli studi, i libri, le tasse universitarie...
- ... i bei vestiti, i parrucchieri, un'abitazione signorile... - fece ironico Maigret.
- D'accordo sono diventata l'amante di Gerard... sono affari miei, e poi questo cosa a che fare con l'omicidio di Pierre?
Glielo dico tra un po', signorina - disse Maigret lasciando l'ufficio degli ispettori per recarsi nel proprio - deve solo aspettare un po'.
La stanza era piena di fumo. Fumo di sigaro e non di pipa, al commissario fece uno strano effetto. Ma, come se non fosse contento, accese la sua pipa.
Si sedette davanti a Boucher che aveva un'aria sicura di sè, nonostante l'attesa di solito mettesse un po' tutti sulle spine.
- Allora mio carissimo Boucher - attaccò cordiale Maigret - come la capisco. Quella rossa deve succhiarle il sangue... deve essere tremenda, sotto quell'aria candida...
Il panettiere fissava ora il vuoto, combattutto se negare tutto o fare il galletto tutto tronfio della sua giovane e bella amante.
La sua indole prevalse.
- Visto che bella figliola. Si girano tutti e anche in negozio tutti fanno la fila per...pagare eh!... eh!...eh!... Beh, qualche soldo mi costa... ma che vuole che sia, per uno come me...
- Ma in negozio c'è anche sua moglie... no?
- In negozio nessuno sospetta nulla e poi mia moglie sa che non si può mettere sindacare dove, vado, quello che faccio e con chi... sono fatti miei...
- E lei è proprio sicuro che in negozio nessuno sappia nulla?... O che Martine non l'abbia detto a qualcuno?... o che nessuno vi abbia visti...
- Commissario non sono un ragazzino... modestamente so barcamenarmi bene in queste situazioni - disse con espressione compiaciuta - anzi direi alla grande... Ma questo che c'entra con l'omicidio di Pierre?
Tutti la stessa domanda, pensò Maigret, che non aveva ben chiara dove fosse la strada per arrivare alla soluzione, ma la sentiva. Sentiva che era lì da qualche parte, tra i legami che andavano e venivano tra Martine e Gerard.
- A proposito - continuò distrattamente Maigret - la domenica dell'assassinio che ci faceva a Parigi nel pomeriggio? 
- Ma se ero a Ivry alla sagra...
- A giocare a carte? Per tre ore... senza mai vedere sua moglie...
Boucher si fece serio per un attimo.
- Ma certo... eravamo lì a un centinaio di metri uno dall'altra.
- No, così non va bene, caro Boucher, lei mi sta simpatico , ma non mi prenda in giro. So benissimo che quel pomeriggio lei era a Parigi. Su... a chi aveva dato appuntamento?
- A nessuno...le dico che non sono stato a Parigi
- Pierre era in panetteria sin dalla mattina. Cosa ce lo aveva mandato a fare?
- Pierre? Ma se era in gita con Louis e Bernanrd...
- No. Pierre e la sua bicicletta sono stati visti in tarda mattinata davanti alla sua panetteria... Glielo chiedo di nuovo: perché lo aveva fatto andare lì?
Maigret ostentava sicurezza e Boucher si faceva scuro in volto.
- Doveva prendere una cosa... per me...
- E lei nel pomeriggio è arrivato in auto da Ivry per prenderla?.... Cosa!
- Era un borsa con del denaro...
- Quanto?
- Cinque, seimila franchi, non ricordo di preciso...
- E lei fà maneggiare tutto quel denaro a un ragazzino? E perché aveva tanta urgenza di avere quei soldi... doveva consegnarli a qualcuno? E da dove venivano?
Boucher tacque.
 - Magari andavano a Martine?..
- Senta io e lei siamo amanti, io le passo soldi tutti i giorni, il denaro non c'entra. Quella maledetta domenica Pierre doveva dirmi qualcosa proprio su Martine. Io sono arrivato da Ivry, ho aspettato un'ora, ma Pierre non si è visto e così  sono tornato indietro...
- E lei mi vorrebbe far credere che lei vede il suo garzone tutti i giorni e ha bisogno di correre di nascosto ad un appuntamento cper di più fissato da lui... ma chi è il padrone? 
Boucher era lì con l'aria imbrazzata, il sigaro spento appeso alle labbra e iniziava a sudare.
- Smetta di dire balle - disse Maigret, alzandosi di scatto - mi sono stufato di perdere tempo! Torno tra un po' e voglio che mi dica la verità, le dò una mezz'oretta per pensarci bene.
Maigret si sentiva vicino ad un svolta, forse un crollo del panettiere? Ma ora era il momento di tornare da Martine. (continua domani martedi 12)  

domenica 10 agosto 2014

SIMENON SIMENON. MAIGRET E IL CASO DEL PICCOLO PIERRE / 2

(segue da ieri sabato 9) - Capo, è arrivata un'altra telefonata anonima. 
Era Lucas che era entrato di corsa nell'ufficio di Maigret che l'accolse con un sospiro... Una telefonata anonima... ci sarebbe voluto ben altro per sbloccare quel caso..
Il caso era finito sui giornali. l'opinione pubblica protestava, perchè non si trovava l'omicida di quel povero ragazzo e le telefonate anonime fioccavano.
- Un uomo, secondo me vecchio, dice che ha visto la bicicletta di Pierre la domenica mattina prima del delitto davanti al forno Boucher...
- E allora? La domenica la panetteria non è chiusa? Che ci faceva Pierre? E poi come si fà a dire che fosse proprio la sua bicicletta?
- Il vecchio ha solo aggiunto "...lo vedo tutti i giorni lui e la sua bicicletta, li riconosco tutti e due alla prima occhiata. Ma di domenica Pierre non si era mai visto".
- E allora? - fece un po' alterato Maigret -  che vuol dire? Può darsi che sia andato a prendere qualcosa che aveva dimenticato... lavorava lì sei giorni a settimana! E  poi questo non ci dice nulla su chi potrebbe essere l'assassino...
- Ma capo, Pierre quella domenica aveva detto alla zia che usciva con Louis e Bernard per fare un gita in campagna, ma noi invece sappiamo che i due sono andati da soli a pescare sul fiume. Ora almeno é chiaro che Pierre aveva qualche motivo per nascondere il fatto di andare alla panetteria?
- Non lo so... e le cose che non sappiamo sono tante...troppe...
- Ma quel vecchio possiamo rintracciarlo, se ha detto di averlo visto solo quella domenica e non le altre,  vuol dire che o abita lì di fronte o per qualche motivo è lì tutti i giorni...
Maigret accese un'altra pipa e fissava Lucas senza dire nulla. L'ispettore sapeva che stava cercando di mettersi nella testa di Pierre. Perché era lì quella domenica? Cosa aveva in programma?
Il commissario ricordava come lo avessero trovato la mattina dopo a terra, a pochi isolati dalla panetteria, lasciato lì sul marcipiedi in fretta e furia. L'indignazione nel quariere era alta, Pierre era per tutti un bravo ragazzo che si guadagnava da vivere con un mestiere duro... sempre in sella a pedalare, sempre a correre per un'urgenza, lui la sua bici e la gran cesta del pane.
Alla scientifica avevano esaminato tutto, ma senza risultati.
Maigret guardò l'orologio e propose a Lucas di andare a mangiare qualcosa alla brasserie Dauphine. Avevano appena passato l'ufficio degli ispettori che Maigret tornò repentinamente indietro, aprì la porta e vide che c'era solo il giovane Lapointe.
- Ehi, hai da fare?
- No capo, stavo rimettendo a posto delle carte...
- Allora oggi pomeriggio, quando Gerard Boucher dovrebbe essere al Rouge Bar a giocare a carte con i suoi amci, dovresti andare a parlare con la moglie...
- Lei, l'ha già interrogata, cosa vuole sapere?
- Chiedile se quella domenica, quando erano a quella sagra a Ivry sur Seine il marito non si sia mai assentato... con tatto, mi raccomando...
- Sospettiamo del marito?
- No, ma non si sa mai... da Ivry a Parigi non ci vuole molto... chissà...
- D'accordo appena le ho parlato le riferisco. Dove la trovo...
- Sarò qui anche nel pomeriggio - disse con un sospiro, mentre richiudeva la porta.
Verso le sette, Maigret sonnacchiava nel suo ufficio, la finestra aperta un boccale di birra mezzo vuoto, la pipa spenta poggiata su uno smilzo dossier dove era scritto Pierre Lunel.
Bussarono alla porta. Era Lapointe.
- Siediti mio caro Lapointe. Novità?
L'ispettore tirò fuori il suo blocchetto d'appunti e iniziò il rapporto.
- Sono arrivato presto, verso le tre. Mi sono messo di guardia alla porta della casa dei Boucher. Verso le quattro Gerard è uscito. L'ho seguito per un pezzo e, quando sono stato sicuro che imboccava la via per il Rouge Bar, sono tornato indietro. Ho suonato, la signora Giselle mi ha aperto e le ho chiesto del marito. Lei mi ha risposto che era appena uscito. Mi sono inventato che alla sagra di Ivry sur Seine diverse persone avevano denunciato il furto del portafogli, di orologi, di borse...e insomma che eravamo sulla pista di una banda di ladri. E così le ho chiesto se lei o il marito fossero stati derubati...magari con tutto questo bailamme dell'omicidio di Pierre, il fatto poteva essere stato dimenticato... Così ho chiesto cosa avessero fatto quel giorno a Ivry. Lei ha raccontato che prima di mangiare erano stati tutti insieme alla messa, poi avevano bevuto del bianco con una coppia dei loro amici - Lapointe dava di tanto di tanto un'occhiata al taccuino - i Moretti, dei macellai d'origine italina. Poi hanno pranzato in una grande tavolata, dopodichè si sono sdraiati a riposare e verso le quattro il marito è andato a giocare con gli uomini e lei era rimasta a chicchierare con altre donne scambiandosi consigli sui lavori a maglia, di taglio e cucito. Poi verso le sette, il marito è tornato e sono rientrati a Parigi.
- Nessun altro particolare?
- Non potevo andare troppo a fondo per non insospettire la signora. Anche se quando mi ha chiesto se lavoravo per il commissario Maigret, ho risposto che facevo parte di un'altra brigata... quella specializzata in furti...
- Bravo Lapointe, bravo... così ora sappiamo che per tre ore Giselle e Gerard non si sono visti... è così?
- Beh, lo possiamo ragionevolmente credere...
- Gerard avrebbe quindi avuto tutto il tempo di tornare a Parigi, uccidere Pierre e tornare a Ivry...
- Già, ah ...la signora Giselle ha detto che il marito era tornato un po' contrariato perché, a detta sua, non era riuscito a vincere nemmeno una partita...
- Sì ma perchè Boucher avrebbe dovuto uccidere il suo bravo ed efficiente garzone? E poi il vecchio della telefonata anonima ha detto di aver visto la bicicletta di Pierre domenica mattina. Se Gerard fosse tornato a Parigi l'avrebbe fatto verso le cinque e comunque nel pomeriggio... solo ipotesi, supposizioni, niente di concreto...
Maigret si alzò, cercò del tabacco nella tasca della giacca e iniziò a fumare come una ciminiera.
- Capo se non c'è altro, io andrei...
- Sì, Lapointe vai... è domenica. Stasera chi è di servizio?
- Torrence.
- Vai... buona serata.
- Buona serata lei, capo.
Maigret rispose con un grugnito e tornò a sfogliare le pagine del dossier. più leggeva le deposizioni e più le trovava troppo precise, non una contraddizione.
Inizò a fare ipotesi per assurdo. Pierre aveva rubato qualcosa?... ma non si uccide un ragazzino per questo. Pierre aveva sorpreso qualcuno rubare? Potrebbe aver visto Martine alla cassa che combinava qualche impiccio? Ma non vedeva la bella universitaria che pugnalava Pierre e lo portava fuori sulla strada. E i due addetti al forno? Forse un gioco o uno scherzo con Pierre finito accidentalmente in quel modo?  No. Quelle era due pugnalate inferte intenzionalmente con precisione e forza... e tra tutti l'unico in grado di compiere un gesto del genere era Boucher. Ma perchè l'avrebbe dovuto fare? E l'arma? Sicuramente era ormai da tempo in fondo alla Senna.
Squillò il telefono. Era Torrence
- Capo, sono qui se ha bisogno... novità su caso Pierre?
- Niente, Torrence siamo ancora in alto mare.
Maigret sarebbe voluto tornare alla panetteria, ma avrebbe messo in allarme il colpevole. Ormai aveva quest'idea. Tutta quel bel quadretto doveva nascondere qualcosa. Magari nessuno parlava... perché.... Non si parla perchè si ha paura. E chi è li alla panetteria che poteva incutere timore? Beh, fin troppo facile, era il padrone Gerard Boucher.
Tornava sempre lui.
Bussarono ancora. Entrò Torrence sventolando un foglio di carta.
- Capo, stavo mettendo a posto le carte che aveva lasciato Lapointe e ho trovato...
- ... una lettera anonima...
- Si, capo...ma come lo sapeva?
- Stavolta è sempre tutto anonimo... che dice?
- "Per trovare il colpevole controllate la cassiera. Come vive? Maneggia troppi soldi quella sciaquetta". 
- Fà vedere... - Maigret osservò con attenzione quel pezzo di carta - Sembra una scrittura femminile... e la donna che l'ha scritta ha qualche motivo per avere almeno in antipatia Martine... la chiama la sciaquetta... Domani mattina portala subito al laboratorio del dottor Moers.
L'unica donna oltre a Martine era Giselle.
Andò a riguardare il dossier. Nessuna delle due aveva parlato male dell'altra.
Effettivamente Martine viveva in un appartamento in un quartiere molto signorile, per quello che aveva potuto vedere era sempre ben vestita, quasi stonava in quella panetteria. Certo lo stipendio che le dava Boucher  serviva a pagarsi, l'appartamento, gli studi e da vivere. A occhio e croce non dovevano rimanere molti soldi per il superfluo. Andò a vedere, dei genitori le era rimasta solo la madre , che lavorava a servizio e che certo non poteva spedire soldi alla figlia. Qualche amante? Una ipotesi ragionevole, ma dalle indagini non era risultato nulla in tal senso. Iniziava a pensare che doveva interrogare di nuovo Gerard Boucher. Si alzò, prese la giacca, salutò Torrence e si avvio per le strade ormai buie. Aveva rinfrescato un po' e in giro si vedeva poca gente. I suoi passi risuonavano pesanti sul selciato.
"Boucher... già Gerard... (continua domani lunedì 11