lunedì 9 novembre 2020

SIMENON SIMENON. QUANTO E' DIVERSO IL MAIGRET DEI ROMANZI DA QUELLO DEI RACCONTI?

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QUANTO E' DIVERSO IL MAIGRET DEI ROMANZI DA QUELLO DEI RACCONTI?


23 aprile 2015 - Dal momento che le ultime uscite delle inchieste di Maigret sono state delle raccolte di racconti, si è suscitato un certo dibattito sulla differenza di scrittura e d'impostazione tra racconti e romanzi. Ad esempio nei primi il personaggio del commissario è stato a volte giudicato diverso, più operativo rispetto a quello più riflessivo dei romanzi. La stessa struttura dell'inchiesta nei racconti è più tradizionale (giallisticamente parlando) e la storia si concentra di più sulla "macchinetta-gialla": reato-indagine-caccia al sospettato-interrogatori-confessione finale. Insomma nel pubblico dei lettori è implicita, e a volte esplicita, una certa delusione nel ritrovare un Maigret che per certi versi somiglia di più ad uno Sherlock Holmes, attento più alle prove materiali e ai riscontri scientifici, che non al solito commissario,dedito all'intuizione o all'indagine psicologica. E da alcune parti si lamenta anche il minor peso dato alle atmosfere e a quei momenti di sosta in cui il commissario entra in un brasserie, o passa la domenica a Meung-sur-Loire oppure segue le proprie rilfessioni, fumando la pipa sulla piattaforma esterna dell'autobus che lo porta a Quai des Orfèvres.
Scartiamo il fattore tempo. Simenon ha infatti scritto i suoi racconti in un arco di anni che vanno dal 1936 al 1950 e quindi un periodo troppo ampio per poter incidere in un modo univoco nella differenza con i romanzi.
Per quello che ci riguarda invece daremmo maggior peso alla diversa tipologia di scrittura che impone un racconto rispetto al romanzo. E' fin troppo ovvio e intuitivo che nel primo tutto va concentrato in pochissime decine di pagine, mentre nell'altro la scrittura può godere di un respiro più ampio e una più libera scelta degli elementi da utilizzare per raccontare la storia.
Sappiamo che uno dei "valori" delle inchieste del commissario simenoniano è la marginalizzazione dell'indagine vera e propria e il maggior interesse al contorno, ai personaggi, alle loro storie, ai loro comportamenti, alle analisi psicologiche...
Nei più ristretti ambiti del racconto, l'inchiesta acquisisce uno spazio di maggior rilievo e i protagonisti, per quanto ben tratteggiati e inquadrati (ricordiamo la bravura di Simenon nel descrivere individui e situazioni, utilizzando pochi termini e con una sintesi mai frettolosa né arida), rimangono talvolta in secondo piano. Insomma sono le regole del gioco. Nel racconto c'è minor spazio per fronzoli e digressioni e soprattutto nel racconto poliziesco dove comunque deve funzionare quella macchinetta-gialla di cui parlavamo sopra, l'inchiesta deve obbligatoriamente avere un inizio, uno svolgimento e una fine.
Il problema è quindi lo spazio e lo era anche per un mago della sintesi e dell'asciuttezza narrativa come Simenon.
E anzi, dobbiamo dire che in questi racconti comunque si respira un'atmosfera analoga a quella dei romanzi, i personaggi conservano i tratti fondamentali e le situazioni sono quelle classiche cui i romanzi ci hanno abituato. Comunque qualche taglio, alcune cesure, certe scorciatoie narrative sono inevitabili, e sono ovviamente riscontrabili, ma a nostro avviso questo è un'ulteriore conferma delle capacità simenoniane: condensare in venti pagine quello che siamo abituati a leggere in oltre cento. Non è un procedura affatto semplice, né facile, ve lo assicuriamo. Anche se poi il racconto non può essere la stessa cosa del romanzo e le differenze comunque si avvertono.
Già di per sè il racconto è un banco di prova di non poco conto per uno scrittore, ma lo è ancor di più se siamo nell'ambito di una serie che siamo abituati a leggere in romanz.
Se a tutto questo aggiungiamo che nel corso del tempo (è non è una valutazioni solo nostra) i Maigret per spessore psicologico, temi trattati, presentazione di personaggi e scrittura si sono avvicinati in modo sensibile ai romans-durs... si può capire come poi ridurre tutto a poche pagine fosse un 'impresa che aveva il suo prezzo anche per uno come Simenon.

 

domenica 8 novembre 2020

SIMENON SIMENON. LA VITA CITTADINA DI UN COMMISSARIO DALL'ARIA CAMPAGNOLA

  Maigret raccontato da Simenon-Simenon/ Maigret raconté par Simenon-Simenon/ Maigret related by Simenon-Simenon  

LA VITA CITTADINA DI UN COMMISSARIO DALL'ARIA CAMPAGNOLA

Maigret lavora nella metropoli, ma le origini sono nella campagna e la "retraite" sarà anch'essa campagnola

SIMENON SIMENON. LA VIE CITADINE D'UN COMMISSAIRE D'ORIGINE CAMPAGNARDE
Maigret travaille dans la métropole, mais ses racines sont en campagne et sa retraite sera aussi rurale
SIMENON SIMENON. THE CITY LIFE OF A CHIEF INSPECTOR OF COUNTRY ORIGIN
Maigret works in the metropolis, but his roots are in the country and his retirement will also be rural
21 giugno 2019 - Maigret è un po’ grossolano? Grosso di sicuro, anzi massiccio, come lo definisce il suo autore. In realtà grossolano significa anche rozzo, sgradevole, non educato… Insomma una serie di caratteristiche che mal si attagliano al nostro commissario, anche se è tendenzialmente taciturno, un po’ scontroso, a volte brusco nei modi, talora a disagio in certi ambienti, come un elefante in una cristalleria.
Ma questo deriva dalle sue origini “contadine”?
Beh, allora va precisato che Maigret, nella biografia che ci viene presentata da Simenon, è nato sì in campagna, nell’Allier. Ma era figlio dell’amministratore del Castello di Saint-Fiacre, con annessi tremila ettari e ventisei fattorie. E questo significa che era cresciuto in confidenza con la campagna e con la natura, animali compresi, e che i suoi primi compagni di gioco erano stati figli di contadini, allevatori, fattori. Quindi la dimensione della campagna, il gusto per le cose semplici, i modi spicci e un po’ sempliciotti non gli erano certo estranei. Ad otto anni gli muore la madre, a diciott’anni s’iscrive alla facoltà di medicina, ma la morte del padre lo costringe a lasciare gli studi. Si trasferisce nella capitale dove cercando cercando trova lavoro nella polizia parigina. Inizia la sua carriera come agente ciclista, poi passerà segretario alle dipendenze di un commissario di quartiere e quindi verrà il trasferimento a Quai des Orfèvres.
Il passo è fatto. Jules Maigret è diventato un cittadino. E lo sarà sempre di più. Certo alcune delle sue inchieste lo riporteranno qualche volta in provincia, ma il suo habitat naturale sarà la città, o meglio una metropoli, e, visto che parliamo della Parigi dei primi decenni del secolo, anche molto cosmopolita. Il suo lavoro lo porta a contatto con tutti gli ambienti, e quindi dalle classi agiate e ambienti esclusivi, alla borghesia ma anche agli operai, ai battellieri che vivevano sulle peniche nei canali… Insomma deve abituarsi a trattare con tutti, e la sua anima semplice e la sua ascendenza campagnola a tratti torna in superficie.
Ma è sposato, vive, in una zona centrale di Parigi, città che man mano inizia a conoscere come le sue tasche. E’ un parigino ormai acquisito potremmo dire abituato ai ritmi e alle abitudini cittadine. La sua natura campagnola esce un po’ allo scoperto quando si tratta di mangiare: piatti semplici e un po’ pesanti sono i suoi preferiti, come pure il vino semplice (niente sofisticate cuvèe dei vini francesi), un bianco sfuso, la birra, ma anche qualche alcolico fatto in casa come la prunella che la sorella della moglie manda dall’Alsazia.  Anche il fatto di non prestare quasi attenzione all’abbigliamento denota una certa caratteristica campagnola e se non fosse per M.me Louise, certo non sarebbe ordinato e dignitoso come si conviene ad un commissario della polizia giudiziaria.
Maigret è nell’animo un campagnolo. La riprova? Leggete le inchieste che lo portano al sud, sulla costa e vicino al mare. E’ il caso di dire che è un pesce fuor d’acqua. Guarda quasi con stupore, come fossero alieni le persone in spiaggia, in costume, oppure gli uomini che passeggiano per le vie in calzoni corti, magliette a mezze maniche e sandali. E lui invece, imperterrito, con  giacca, bretelle e scarpe come a Parigi. E’ vero che si trova lì per lavoro, ma non riesce ad amalgamarsi con quella gente. Unica concessione, un leggero cappello di paglia contro il sole cocente.
E infine, quando si tratta di pensare ad una casa per i weekend (che poi diverrà la sua casa da pensionato), la scelta cade molto lontano dal mare, ma non dall’acqua. Meung-sur-Loire, nella campagna a sud di Parigi, si appoggia al fiume, ma tra il fiume e il mare per il commissario c’è una bella differenza. Maigret riscopre a poco a poco il piacere di coltivare un orto: zappettare, innaffiare, potare, o di pescare, oppure di giocare a carte di pomeriggio nel piccolo bar del paese… Insomma torna ad immergersi in una dimensione campagnola, prima solo per i weekend (ed è la moglie a guidare l’utilitaria che hanno acquistato), poi, una volta scattata la famosa “retraite”, come sistemazione stabile, ma…. Ma il suo appartamento di Boulevard Richard Lenoire non è stato venduto, né affittato… è lì pronto ad accoglierlo quando qualche inchiesta lo dovesse chiamare a Parigi o qualche nostalgia cittadina dovesse farsi sentire! (m.t.) 

sabato 7 novembre 2020

SIMENON SIMENON. UN ROMANCIER ET SES AMIS

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UN ROMANCIER ET SES AMIS

Ce que Simenon pensait de l'amitié, d'après ce qu'il en a écrit 

SIMENON SIMENON. UN ROMANZIERE ED I SUOI AMICI 
Ciò che Simenon pensava dell'amicizia, da ciò che ne ha scritto 
SIMENON SIMENON. A NOVELIST AND HIS FRIENDS 
What Simenon thought about friendship, according to what he wrote about it


24 aprile 2018 - Simenon, l'homme, a-t-il eu des amis ? La question mérite d'être posée, parce que le romancier s'est exprimé plusieurs fois, dans ses écrits, sur ce thème, et ce qu'il en dit incite à la réflexion. Bien entendu, tout dépend du sens que l'on donne au mot "ami", et à quel niveau on place l'amitié; un ami est-il quelqu'un dont on apprécie la fréquentation, plus ou moins ponctuelle ? Un ami est-il une simple relation mondaine, ou un confident ? 
Sans aucun doute, Simenon a croisé beaucoup de gens pendant sa vie, il a noué des relations plus ou moins étroites avec certains, mais pensait-il à eux comme à des amis ? Parmi les plus connues de ces relations, Michel Simon, Jean Gabin, Marcel Pagnol, Fellini, Gilbert Sigaux, André Gide, Raimu, Chaplin, est-ce que dans son for intérieur, Simenon les considérait comme des amis, des personnes avec qui il se sentait en connivence ? Se pencher sur ses écrits peut nous aider à, sinon répondre, du moins avoir quelques pistes de réponses. 
Dans son texte Quand j'étais vieux, Simenon écrit cette phrase qu'on pourrait méditer: "amitié ? Ce mot, pour moi, ne veut rien dire." Quelques lignes plus haut, il avait cependant écrit: "Je suis un des hommes les moins seuls, les moins capables de vivre seuls." Puis, un peu plus loin, il dit: "Je pense qu'on ne peut former un couple et avoir de vrais amis. La preuve, c'est que les plus solides amitiés sont celles de la guerre ou de la grande misère – où il n'y a pas de femmes." Plus tard encore, toujours dans le même texte, il redit encore "je n'ai pas de vrais amis. J'ai une femme. Je pense qu'il faut choisir. Ou, plutôt, que l'on est du type ami ou du type couple." L'impression que tout cela donne, c'est que le romancier considérait que la solitude ne pouvait se combattre qu'en formant un couple, voire une famille, et que les véritables liens ne pouvaient se créer que dans ce cercle-là, comme si l'amitié était à placer plutôt au niveau d'une certaine complicité, dans le sens de vivre certains événements ensemble, avec sans doute du plaisir, mais dans une relation qui restait finalement assez superficielle.  
Ces phrases, dans Un homme comme un autre, sont particulièrement éclairantes: "depuis mon enfance, je n'ai pas eu d'amis. A l'école primaire, certes, j'ai eu des camarades de jeux. […] Ce n'est pas de ma part une indifférence vis-à-vis d'autrui, bien au contraire. J'aime les hommes. J'ai passé ma vie à essayer de les comprendre. Mais de les comprendre vraiment, pas au fil de relations plus ou moins lâches. A mes yeux, l'amitié aurait été quelque chose de grave, de solide, et non ces liens superficiels qui naissent et meurent dans les milieux littéraires. […] Timidité ? L'explication ne me paraît pas la bonne. En somme, je crois que l'homme qui aime vraiment la femme est presque fatalement un homme sans amis. […] Je rêvais du couple, seule union dans laquelle j'avais envie, parfois une envie douloureuse, de me fondre. […] Aux diverses époques de ma vie, j'ai rencontré et côtoyés des gens que j'ai beaucoup aimés mais qui, par la suite, se sont trouvés entraînés loin de moi. Peut-on parler d'amis ? […] Au fond, […] j'ai toujours été un homme seul." 
Cette "quête douloureuse" de la fusion entre deux êtres n'explique-t-elle pas beaucoup de choses sur le romancier, et sur l'homme ? Est-ce elle qui l'a empêché de jamais ressentir une amitié telle qu'il l'imaginait ? Avait-il placé la barre trop haut ? 
Il ne nous appartient pas de répondre… Mais on nous permettra de faire deux commentaires. D'abord, dans ses interviews, ses déclarations, ses lettres, et même ses dictées, Simenon utilisait malgré tout le mot "ami" en parlant de ses relations. Est-ce la fameuse pudeur Simenon qui l'empêchait de pouvoir confier à quelqu'un des sentiments d'amitié ? Ou la peur de risquer la déception ? On trouve, dans ses Mémoires intimes, cette phrase: "quant au personnage qui a fini par devenir mon ami"; il s'agit, bien entendu, de Maigret. Un héros à qui Simenon a fini, sinon par s'identifier, du moins lui confier certains de ses questionnements sur la vie. Comme si la créature de papier était devenu le réceptacle de ses confidences, à défaut de pouvoir les faire à ceux qu'il côtoyait, peut-être parce qu'il ne l'a pas osé, mû par on ne sait quelle crainte… Ensuite, Simenon a-t-il réalisé qu'il a trouvé, par-delà sa disparition, des amis en ses lecteurs ? Des admirateurs fervents de son œuvre, mais qui, à l'instar des vrais amis, ne manquent pas de lucidité et cependant d'indulgence pour les défauts de l'homme… 

Murielle Wenger 

venerdì 6 novembre 2020

SIMENON SIMENON. LES ANCETRES DE MAIGRET

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LES ANCETRES DE MAIGRET

A propos de quelques personnages dont Simenon s'est servi pour créer son commissaire 

SIMENON SIMENON. GLI ANTENATI DI MAIGRET 
Su alcuni personaggi che Simenon ha usato per creare il suo commissario 
SIMENON SIMENON. MAIGRET'S ANCESTORS 
About a few characters that Simenon used to create his Chief Inspector 


24 novembre 2018 - «l'Ostrogoth avait besoin d'un recalfatage complet, de sorte que je dus conduire le bateau en cale sèche au bord du vieux canal. […] Le hasard me fit découvrir, à moitié échouée, au bord du canal, une vieille barge qui semblait n'appartenir à personne. […] Cette barge […] allait devenir le vrai berceau de Maigret. Pas tout de suite, cependant. […] Je me revois, par un matin ensoleillé, dans un café qui s'appelait, je crois, Le Pavillon, où le patron passait des heures, chaque jour, à polir ses tables de bois à l'aide d'huile de lin. […] Ai-je bu un, deux, ou même trois petits genièvres colorés de quelques gouttes de bitter? Toujours est-il qu'après une heure, un peu somnolent, je commençais à voir se dessiner la masse puissante et impassible d'un monsieur qui, me sembla-t-il, ferait un commissaire acceptable.» 
Telle est la légende, consacrée par le texte que Simenon écrivit en 1966 à l'occasion de l'érection de la statue de Maigret à Delfzijl, selon laquelle Maigret serait né ex nihilo alors que le romancier s'abreuvait au genièvre dans un café de Delfzijl…  
C'est une belle légende, et l'on ne peut que pardonner à Simenon, qui, en véritable raconteur d'histoires, nous fait imaginer cette silhouette du commissaire qui surgit ainsi dans une sorte de brume alcoolisée, auréolé déjà de la fumée de sa pipe. La création de Maigret fut en réalité une longue gestation, et pour en arriver à sculpter la masse impassible de son commissaire, le romancier eut à remettre plusieurs fois l'ouvrage sur le métier. D'une part, il y eut les quatre romans populaires, ceux qu'on appelle les «proto-Maigret», dans lesquels Simenon dessinait ce que Jean-Christophe Camus a appelé le «Maigret des cavernes», c'est-à-dire une ébauche du personnage, encore mal dégrossi et furtif dans le premier de ces quatre romans, et qui va devenir de plus en plus présent et semblable à lui-même dans les autres textes, jusqu'au quatrième, La Maison de l'inquiétude, roman auquel il manque peu pour qu'il ait pu appartenir à la saga officielle. 
Mais avant ce «Maigret préhistorique», il faut remonter plus loin dans le temps, et s'intéresser à d'autres esquisses, des personnages de policiers ou de détectives que Simenon a utilisés dans divers romans populaires, et qui lui ont servi de «moules d'essai», gardant de l'un et de l'autre des éléments qu'il pourrait réutiliser pour créer son commissaire. 
Parmi ces «ancêtres» de Maigret, on peut citer Anselme Torrès dans Nox l'insaisissable, signé Christian Brulls et paru en 1926 chez Ferenczi. Le duel qui oppose le bandit Nox au détective Torrès est manifestement inspiré de la relation entre Arsène Lupin et le commissaire Ganimard. Comme l'écrit Francis Lacassin, dans ce roman, «le héros, c'est le bandit, l'enquêteur lui servant de faire-valoir plus ou moins ridicule». Cependant, Torrès léguera à Maigret sa «volonté farouche» et sa «tranquille vaillance».  
Dans L'Amant sans nom, également signé Christian Brulls et paru chez Fayard en 1928, le héros est Yves Jarry, cet aventurier héritier d'Arsène Lupin et que Simenon a longtemps mis en balance avec Maigret, avant que celui-ci ne s'impose comme une figure davantage originale. Mais dans ce roman apparaît un policier, l'agent N. 49, qui est, selon Michel Lemoine, la «première préfiguration policière de Maigret»; en effet, la description de ce personnage évoque bien quelques traits caractéristiques de notre commissaire: «Un homme énorme et pesant. Des traits immobiles, épais. […] Un air buté aussi, têtu, obstiné.» Et de plus, il a toujours sa pipe entre les dents… 
En 1929 paraît chez Ferenczi La Victime, roman signé Georges-Martin Georges. Malgré qu'il soit classé comme «roman d'amour», on peut en retenir que l'inspecteur Jean Tavernier a une méthode de travail dont Maigret héritera: «quand il arrivait sur les lieux d'un drame, Tavernier, au lieu de s'en tenir à des observations matérielles, "reniflait" les lieux, comme il disait. […] Il prétendait que, pour reconstituer un drame, il faut avant tout essayer de vivre par la pensée dans la même atmosphère que les acteurs de ce drame. Se mettre à leur place, en somme !» 
Enfin, dans L'Homme à la cigarette, publié chez Tallandier en 1931 et signé Georges Sim, on va trouver une quatrième préfiguration de Maigret. L'inspecteur Boucheron, bien que physiquement plus proche de Sancette, l'autre grand «rival» du commissaire, a des méthodes qui évoque déjà celles de Maigret: se fier à son inspiration, ressentir physiquement le moment où une enquête prend un tournant, ou s'inspirer de l'odeur des lieux qu'il visite.  
D'autres détectives et policiers apparaissent dans les romans populaires de Simenon, et leur portrait servira souvent au romancier pour en brosser a contrario celui de Maigret, en rejetant tout ce qui n'était pas approprié à confectionner la silhouette du commissaire. 
On le voit, Maigret n'a pas surgi d'un seul coup, complètement préfabriqué, de la plume de Simenon, mais ce fut une longue période d'essais et erreurs qui présida à sa venue au monde. Il n'empêche que le romancier fit preuve d'originalité en créant ce personnage complètement atypique et en porte-à-faux sur les héros des romans policiers de l'époque, et qu'il eut l'intelligence de renoncer à des personnages qui, pour sympathiques qu'ils fussent comme Jarry ou Sancette, n'avaient pas cette touche d'originalité qui a fait le succès de Maigret… 

Murielle Wenger 

giovedì 5 novembre 2020

SIMENON SIMENON. POCHI AGGETTIVI, QUALCHE AVVERBIO, MA MOLTA ATMOSFERA

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POCHI AGGETTIVI, QUALCHE AVVERBIO, MA MOLTA ATMOSFERA

La capacita del romanziere con una prosa asciutta ed essenziale di creare quelle atmosfere così suggestive
                                           
SIMENON SIMENON. PEU D'ADJECTIFS, QUELQUES ADVERBES, MAIS BEAUCOUP D'ATMOSPHERE
La capacité du romancier, avec une prose sèche et essentielle, de créer des atmosphères tellement suggestives
SIMENON SIMENON. FEW ADJECTIVES, SOME ADVERBS, BUT MUCH ATMOSPHERE
The novelist’s ability to create really suggestive atmospheres with dry basic prose

17 novembre 2017 - "Meno letteratura, meno letteratura..." Questa l'esortazione che negli anni venti veniva  rivolta da Colette ad un giovanissimo Georges Sim, che tentava di pubblicare un suo racconto nella pagina della cultura del quotidiano Le Matin, di cui la scrittrice era resposabile.
In quel caso meno letteratura significava utilizzare un minor numero di aggettivi, di avverbi, di frasi ad effetto che non erano funzionali alla narrazione. Insomma un linguaggio meno pomposo... molto meno pomposo. I tentativi di Simenon fuorono più d'uno e, taglia qui, lima là, asciuga sopra e sintetizza sotto, alla fine il racconto poté raggiungere l'asciuttezza auspicata da Colette ed essere all'altezza di comparire sul quotidiano.
Certo questo episodio (che portò poi Simenon a scrivere un'ottantina di racconti su quel giornale)  ha avuto una certa influenza nello stile dello scrittore. Ma certo non spiega la sua capacità nell'usare una lingua semplice ed essenziale e riuscire comunque a creare delle atmosfere... quelle atmosfere simenoniane ormai universalmente famose.
Questa tendenza ad una scrittura stringata viene fuori anche dalle dichiarazioni dello scrittore stesso che, ad esempio, affermava di non usare più di duemila vocaboli mentre componeva le sue opere. E poi amava spiegare la propria tendenza a prediligere le cosiddette "mot-matière", cioè i termini che indicavano cose concrete, materiali appunto, e non elementi astratti o meramente descrittivi.
Chiunque abbia letto un romanzo di Simenon, i "durs" o i "Maigret", si sarà certo accorto che Simenon, non ha abolito aggettivi o avverbi, ma ne fa un uso parsimonioso e solo lì dove servono, senza che la narrativa risulti arida o in qualche modo menomata.
Talento innato? Mestiere? E' indubbio che c'entra un po' di tutto, soprattutto per uno che scriveva così tanto, come faceva Simenon. 
Ma ci permettiamo di dire che, a nostro avviso, dopo aver letto "quasi tutto" di Simenon, in italiano e molto anche in francese, la quantità per una volta non è andata a detrimento della qualità. E inoltre il livello della narrazione e dello stile non è poi così differente tra i romans durs e i Maigret. Questo a significare che la cifra dell'espressione scritta era ben radicata in Simenon, anche perchè la sua velocità di scrittura, non poteva lasciar spazio a limature, a riscritture o a ripensamenti.
E le sensazioni di scorrevolezza e di naturalezza che si avvertono leggendo le pagine simenoniane sono la conseguenza di questo scrivere di getto. 
E non è solo questione di piazzare qua e là poche e magistrali pennellate che descrivono personaggi o atmosfere con essenzialità, ma anche il sapiente utilizzo dei dialoghi il cui ritmo non è mai spezzato da riflessioni o digressioni ingombranti. 
Dialoghi che, a nostro avviso, sono una delle specialità dello scrittore. Sono l'elemento dei suoi romanzi che li rende realistici, naturali, che fanno sentire il lettore accanto al protagonista. In Simenon i dialoghi accorciano le distanze. E la sua prosa procede spedita, piacevole, moderna.
Non vorremmo esagerare, ma ci pare di ravvisare proprio nei dialoghi, così immediati, incisivi, e realistici, uno degli elementi importanti che conservano fresche e attuali opere scritte da Simenon anche settanta/ottanta anni fa'. (m.t)