giovedì 26 novembre 2020

SIMENON SIMENON. UNO SCRITTORE CAPACE SIA D'INVENTARE CHE DI RACCONTARE LA REALTÁ

 post storici / billets historiques / historical posts 

UNO SCRITTORE CAPACE SIA D'INVENTARE CHE DI RACCONTARE LA REALTÁ


Dalle opere "popolari", ai romans durs frutto di esperienze di vita vissuta

SIMENON SIMENON. UN ECRIVAIN CAPABLE AUSSI BIEN D'INVENTER QUE DE RACONTER LA REALITE
Depuis les œuvres "populaires", fantaisies écrites par pure imagination, jusqu'aux romans durs, fruits des expériences vécues
SIMENON SIMENON. A WRITER CAPABLE OF INVENTING AS WELL AS RECOUNTING REALITY
From “popular” works, fantasies written by imagining things, to “romans durs,” fruits of lived experiences



29 marzo 2019 - Abbiamo sempre definito Simenon, l’oggetto di questo blog, come uno scrittore oltre che di grande levatura, anche di particolare singolarità per tutta una serie di caratteristiche che, chi ci segue, ha avuto modo di leggere anche più di una volta. Oggi vogliamo puntare la nostra attenzione su una di queste caratteristiche.
Sappiamo che l’ingresso dello scrittore nel mondo letterario è avvenuto attraverso quel ponte che è costituito dalla letteratura popolare. Popolare e su commissione. E in quel caso occorreva soddisfare le più diverse esigenze degli editori che non si limitavano a individuare il genere e dettare le lunghezze (romanzo, romanzo breve, racconto…). Le specifiche arrivavano alla tipologia dei personaggi, all’atmosfera e al tipo di finale. Questo significa che se un romanzo breve doveva svolgersi nei selvaggi confini dell’west americano, il nostro bravo Georges doveva lavorare di fantasia. Allora non esisteva la televisione, e iniziava appena il cinema, le cartoline erano non molto diffuse e così era molto difficile conoscere immagini di quei luoghi "sconosciuti". E quando c’era da descriverli e far svolgere lì la vicenda, occorreva lavorare molto di fantasia. In qualche modo potevano aiutarlo gli atlanti, forse poteva aver letto qualche resoconto di viaggi, ma il resto se lo doveva inventare. Ma, visti i duecento titoli che in quest’ambito lo scrittore produsse con una ventina di pseudonimi, c’é da credere che la sua immaginazione e la sua creatività dovessero essere sollecitate al massimo. Certo poi doveva scrivere storie sentimentali, con un‘ambientazione cittadina o addirittura parigina, ambientazioni che gli semplificavano molto il lavoro. Ma tutto ciò che era di genere avventuroso aveva di solito una collocazione esotica e c’era bisogno di parecchia fantasia. Ma, considerata la velocità di scrittura, doversi inventare luoghi, ambientazioni e paesaggi, oltre ai protagonisti, non doveva in realtà costituire un gran problema per Simenon.
Dai Maigret in poi, Simenon fece sempre più ricorso alle proprie esperienze di vita vissuta. Le inchieste del commissario erano all’inizio per lo più parigine o dei dintorni. Comunque va sottolineato che, soprattutto per i primi titoli, Simenon era all’oscuro di quali fossero i meccanismi della polizia giudiziaria, finché non gli offrirono di fare una specie di "corso accelerato" di come funzionassero le indagini, quali fossero le vere competenze di un commissario, degli ispettori, il ruolo del giudice istruttore,  le regole scritte e, a maggior ragione, quelle non codificate. Insomma fino ad allora aveva creato quelle inchieste fidandosi di qualche sporadica informazione, ma anche molto della sua fantasia
Quando arrivò a scrivere i romans durs, iniziò a raccontare  spesso  vicende di cui era stato testimone, tipologie di persone che aveva conosciuto di persona, in alcuni casi anche esperienze biografiche… Ormai non aveva più bisogno di ricorrere alla fantasia. Simenon conservava perfettamente anche per lungo tempo i ricordi della propria vita, delle proprie esperienze, e queste furono un'inesauribile fonte di materiali per i suoi romanzi. Al momento giusto lì usò a piene mani, per costruire le  sue storie che infatti risultano vere, come d'altronde i personaggi, con le loro pulsioni e le loro speranze.
Quella dei romans durs è la fase dell’esperienza vissuta, del ricordo e questo fornisce uno spessore diverso a questi rispetto ai Maigret, finché anche questi non furono permeati di vita vissuta di esperienze, di uomini tratti dalla vita di tutti i giorni, conferendo anche alle inchieste del commissario quello spessore tipico delle opere che si rifanno più alla vita vera che non alla fantasia.  (m.t.)

mercoledì 25 novembre 2020

SIMENON SIMENON. MAIGRET SENZA ANSIE E SENZA TORMENTI?

  Maigret raccontato da Simenon-Simenon/ Maigret raconté par Simenon-Simenon/ Maigret related by Simenon-Simenon   

MAIGRET SENZA ANSIE E SENZA TORMENTI?

Ma il commissario è davvero così calmo e tranquillo? Così pacioso e sereno?

SIMENON SIMENON. UN MAIGRET SANS ANXIETES ET SANS TOURMENTS ?
Le commissaire était-il réellement aussi calme et tranquille ? Aussi placide et serein?
SIMENON SIMENON. A MAIGRET WITHOUT ANXIETIES AND TOURMENTS?
Was the Chief Inspector really that calm and peaceful? That placid and serene?



10 maggio 2019 - Quando il bel tempo delle prime giornate di primavera ispirava, Maigret magari decideva di andare al Quai des Orfèvres a piedi. Però spesso indossava ancora il suo pesante cappotto. Strada facendo, riempiva la pipa di tabacco gris, l'accendeva e, a passi lenti e pesanti, arrivava sul lungo-Senna. Camminando, fumava con boccate lunghe e distanziate. In quei momenti era di buon umore e magari guardava di sottecchi e con curiosità la gente che gli sembrava camminare sorridendo... forse era l'arrivo della buona stagione... 
Un commissario così contento delle piccole cose, così tranquillo e soddisfatto, Simenon ce lo descrive spesso. Altre volte è seduto a casa di sera nella sua poltrona. Sempre con la pipa in bocca, in attesa di cenare, beandosi degli odori che escono dalla cucina, mentre madame Maigret si dà da fare ai fornelli.
In altre occasioni, d'inverno ad esempio, lo troviamo nel suo ufficio, dopo che ha caricato la stufa a carbone fino a farla diventare incandescente, a godersi il tepore, seduto alla sua scrivania, guardando fuori dalla finestra, tra una pipata e l'altra, la pioggia fitta fitta che inizia pian piano a diradarsi e a trasformasi in nevischio.
Insomma Simenon ha voluto dar vita ad un personaggio sostanzialmente tranquillo e, tutto sommato, pacioso. Ma... ma c'è un risvolto caratterizzato dai contorni burberi e taciturni, che comprende anche le sfuriate memorabili che esplodono a volte con un sospettato durante un interrogatorio. Oppure le arrabbiature che il commissario si prende durante i colloqui con il giudice Comeliau, dopo le quali si chiude nel suo ufficio, dove neppure i suoi più fidi ispettori si sognano di entrare. O anche quando, durante le indagini, qualcuno cerca di prenderlo in giro, allora sì che va su tutte le furie.
Inoltre attenti a non etichettare Jules Maigret come qualcuno senza ansie e tormenti, come diciamo nel titolo. La sua esteriore impermeabilità alle vicende e alle persone, non deve trarre in inganno. A volte scopriamo nel commissario un sentimento di preoccupazione quasi paterna quando in un 'indagine s'imbatte in una ragazzina infelice e indifesa. Altre volte è invece è proprio il suo convincimento e la sua pervicacia a voler "comprendere e non giudicare" il colpevole a tormentarlo. Si dibatte tra la pedissequa osservanza della legge, che a volte a suo modo di vedere non coincide con la giustizia, e il suo potere di sistemare le cose in modo tale da "aggiustare i destini". Ma anche questa non è una scelta che Maigret fa certo a cuor leggero.
Altra situazione in cui il commissario tira fuori le unghie è quando si trova al cospetto di qualcuno che, per censo o per titoli nobiliari, si ritiene al di sopra delle legge e lo tratta con indifferenza. Lì Maigret sembra diventare ancor più massiccio e imponente, si trincera spesso dietro un atteggiamento insondabile ed uno sguardo impenetrabile. E' una sorta di monolite che sembra voler schiacciare il suo odiato interlocutore. 
Tutto sommato le sfumature del carattere di Maigret sono molte e questo concorre a rendere il personaggio, molto caratterizzato, ma mai monotono. 
Infine, anche se Simenon non lo fa mai vivere al lettore, non dobbiamo dimenticare che Jules e Louise hanno avuto una bambina morta a pochi giorni dal parto. Le ansie di due giovani genitori in attesa di un figlio e il dolore per averlo perso, anche se non sono mai raccontate, fanno parte dei personaggi e, come M.me Louise, anche Maigret si porta dietro questo fardello che ha il suo peso emotivo. (m.t.) 

martedì 24 novembre 2020

SIMENON SIMENON. UNE NOUVELLE VIE POUR LES DICTÉES ?

  post storici / billets historiques / historical posts 

UNE NOUVELLE VIE POUR LES DICTÉES ?

Et si on relisait ces textes autobiographiques dans une nouvelle optique ? 

SIMENON SIMENON. UNA NUOVA VITA PER LE "DICTÉES" ? 
E se rileggessimo questi testi autobiografici in una nuova prospettiva? 
SIMENON SIMENON. A NEW LIFE FOR THE "DICTÉES"? 
What if we re-read these autobiographical texts in a new perspective? 

18 maggio 2019 - Si tous s'accordent à dire que l'œuvre de Simenon est immense et incontournable, certains simenoniens sont plutôt embarrassés quand il s'agit de qualifier les Dictées. D'aucuns pensent qu'il n'y a rien à en retenir, d'autres y voient un document de plus sur l'homme, Simenon révélant beaucoup de lui-même dans ses propos décousus. Naturellement, il faut considérer ces textes avec la même circonspection que les Mémoires intimes, et on peut dire de ces deux écrits la même chose que Simenon disait lui-même à propos de Pedigree: «tout est vrai sans que rien soit exact»… 
On peut bien entendu décider que ces Dictées n'ont qu'un intérêt très relatif en comparaison des romans durs et des romans Maigret. Mais, outre le fait que les passionnés de Simenon ne perdent aucune occasion de s'intéresser à tout ce qui touche le romancier, il faudrait peut-être relire ces Dictées dans une optique un peu différente. 
Il apparaît, lorsqu'on compare les 21 volumes qui constituent ces Dictées, que tous ne sont pas exactement faits sur le même moule. D'abord par leur longueur: les deux premiers volumes, Un homme comme un autre et Des traces de pas, sont nettement plus conséquents que les suivants, ils comptent un nombre de pages double de celui des derniers volumes. Ensuite, si chacune des Dictées est un pêle-mêle de thèmes, certaines se focalisent davantage sur un aspect particulier. Ainsi, dans Un homme comme un autre, Simenon évoque essentiellement ses souvenirs, et ce volume semble presque une préfiguration aux Mémoires intimes. Alors que Des traces de pas est nettement plus axé sur des réflexions à propos de toutes sortes de thématiques, annonçant ainsi les dictées suivantes et leur hétéroclisme. Quant à la dernière dictée, Destinées, c'est une évocation de la famille de Simenon, et elle annonce déjà les Mémoires intimes. 
D'autre part, ces textes ont été dictés pendant six ans, au cours desquels, évidemment, le mémorialiste a pris de l'âge, s'est de plus en plus éloigné de sa période de romancier. La première dictée débute en février 1973, alors que Simenon vient juste de renoncer officiellement à son statut de romancier, en faisant remplacer, sur son passeport, cette mention par celle de «sans profession». A ce moment-là, les souvenirs de sa période active en littérature ne sont pas encore très éloignés, et on peut imaginer que les anecdotes qu'il raconte sont encore proches de ce qu'il a vécu (tout en gardant à l'esprit que Simenon a toujours été un «forgeur de légendes»…), tandis que, six ans plus tard, alors qu'il s'est retiré entre les quatre murs de sa maison rose, ces souvenirs ont pris une forme sans doute plus idéalisée. De plus, au cours de ces six années, des événements divers sont venus heurter sa vie: problèmes de santé, démêlés juridiques avec Denyse, mais surtout le suicide de Marie-Jo, survenu alors qu'il dicte le seizième volume, On dit que j'ai soixante-quinze ans. Cet événement modifie le ton des dictées, et de plus en plus, Simenon essaie de se raccrocher au désir d'une certaine sérénité, sans y parvenir vraiment, puisqu'il lui faudra écrire ses Mémoires intimes pour tenter en quelque sorte une justification.  
Un autre point apparaît intéressant: malgré l'hétéroclisme de ces dictées, on peut y déceler des thématiques qu'on retrouve tout au long des 21 volumes, et si un simenonien voulait un jour s'y atteler, on pourrait, pour une réédition des Dictées, au lieu de les publier in extenso, les réagencer, les «épurer» des confidences sur la vie intime et physiologique de Simenon, et garder de chacune les thématiques qui intéressent divers aspects de l'homme et du romancier. Pourquoi ne pas piocher dans chacun des 21 volumes ces thématiques, et les publier sous une nouvelle formule, en quelques volumes qui seraient intitulés: Mes souvenirs d'enfance et de jeunesse, Mes enfants et moi, La femme et moi, Souvenirs de ma vie de romancier, Réflexions à propos de la littérature… L'appel est lancé… 

Murielle Wenger

lunedì 23 novembre 2020

SIMENON SIMENON. E ORA LA PIPA DI SIMENON CI RACCONTA DEL SUO PADRONE

 Simenon Story 

E ORA LA PIPA DI SIMENON CI RACCONTA DEL SUO PADRONE

Tra il serio e il faceto, la pipa (o meglio le pipe) ci svela/no dei segreti dello scrittore, che conosce visto che lo segue dappertutto

SIMENON SIMENON. ET MAINTENANT LA PIPE DE SIMENON NOUS PARLE DE SON PATRON
Entre sérieux et facétieux, la pipe (ou plutôt les pipes) nous révèle(nt) les secrets de l'écrivain, qu'elle connaît puisqu'elle le suit partout
SIMENON SIMENON. AND NOW SIMENON’S PIPE SPEAKS TO US ABOUT ITS BOSS
Between serious and facetious, the pipe (or rather the pipes) reveals(reveal) the writer’s secrets it knows since it follows him everywher                                                                



28 giugno 2019 - Un’icona nell’icona. Ci riferiamo alla pipa che incontestabilmente possiamo assurgere a icona del più famoso personaggio di Georges Simenon, Maigret, lui stesso ormai un’icona della narrativa simenoniana. 
Ma non si tratta solo di Maigret. L’icona riguarda anche lo scrittore che, a stare alle fotografie e ai filmati che abbiamo di lui, non c’è un fotogramma che non veda lo scrittore con la pipa tra i denti, in mano, sul tavolo, accesa o spenta, agitata distrattamente mentre parla, o mentre lo si vede concentrato ad accenderla. Insomma foto di Simenon senza pipa ci sono, ma sono molto rare. 
Ci chiediamo a questo punto, visto che indiscutibilmente si è addirittura verificato, tra autore e personaggio, un “trasferimento dell’icona”, che importanza e quale significato vada dato a tutto ciò. 
Infatti un conto è fumare la pipa ogni tanto dopo aver fatto un buon pranzo, in un giorno freddo d’inverno, o come rituale serotino, una, due, anche tre volte al giorno. Altro invece è avere questo arnese da fumare sempre in mano, con il fornello pieno o vuoto, da solo o in compagnia, la mattina come la sera e, preoccuparsi (perché siamo convinti che alla fine anche di questo si sia trattato) che quando lo fotografavano o lo filmavano la pipa in qualche modo stesse sempre in campo… Mai una volta che fosse rimasta in tasca o su un mobile fuori inquadratura, oppure nascosta da un altro oggetto. 
A questo punto forse vi è più chiaro il perché ci occupiamo di questo argomento che di primo acchitto potrebbe essere risolto con la motivazione “Simenon era un fumatore di pipa, un forte fumatore…”. Ma questo non spiega tutto quello che abbiamo detto più sopra e in definitiva il fatto che lui e la sua pipa, da un punto di vista dell’immagine, sono evidentemente dei comprimari e che questo ruolo di primo piano si è riproposto, senza variazione, nei romanzi del commissario che sarebbero anche potuti intitolarsi: “Maigret, la sua pipa e il caso…..”. 
L’idea di pipa, quella che riassume tutte le pipe innumerevoli possedute da Simenon e le altrettante, immaginarie e letterarie usate dal commissario, svolge quindi una funzione metaforica sia nella vita che nella letteratura del romanziere. 
Certo, si dirà, in quegli anni il consumo delle sigarette era ancora molto ridotto e i sigari erano ancora un fumo per pochi, pensiamo soprattutto a quelli che venivano dal Centro-America. Le pipe in radica si diffusero in Europa intorno al 1800, e nei primi del ‘900 ebbero il massimo della loro popolarità. 
Sicuramente non era in assoluto uno "status symbol" da esibire, visto che esistevano pipe di legno d’infima qualità, accanto a costosissimi modelli in radica lavorati in Inghilterra. 
Insomma la ragione di questo rapporto quasi compulsivo con la pipa deve avere le sue radici in altri ambiti. 
Potremmo azzardare che quello della pipa è in grandissima parte un elemento di utilizzo maschile. Potrebbe aver a che vedere con qualche complesso di virilità? Certo di Simenon non si può dire che avesse dei problemi con le donne, anzi semmai... Questo forse potrebbe valere per Maigret che invece è un casto e fedele marito… senza scappatelle o tradimenti. 
Ma la pipa potrebbe essere un testimone. Un punto fisso nella tormentata e movimentata vita di Simenon, che tra deplacement dai luoghi e le oltre trenta abitazioni, mogli o compagne, viaggi, idiosincrasie per il consesso dei letterati, l’acool che in alcuni momenti della sua vita era divenuto quasi una dipendenza e che poi abbandonò praticamente del tutto. Le accuse di essere discendente degli ebraici di Simon, tacciato di fare il collaborazionista con i tedeschi nella Francia occupata, guardato con sussiego dai critici letterari che continuavano a vedere in lui uno scrittore di polizieschi e non un romanziere, con l’aggravante di scrivere troppo veloce, cosa che non veniva ritenuta una garanzia per la qualità dei suoi scritti. 
Insomma la rutilante vita di Simenon ha naturalmente compreso anche una serie di insicurezze, di situazioni poche chiare, di disillusioni e di amarezze, e forse la pipa potrebbe simboleggiare un elemento di continuità e di stabilità. Una sorta di testimonial, come se solo l’essere presente le consentisse di garantire le autentiche caratteristiche del letterato e dell’uomo. Un punto fisso semplice attorno a cui ha girato la sua vita e quella del suo commissario. 
Ma può un pipa assolvere a tutto ciò? 
Crediamo di sì. Come un qualsiasi elemento che assuma un valore simbolico e rappresentativo, aldilà delle sue caratteristiche materiali, e inoltre, come abbiamo prima detto della pipa, si tratta di un’idea di pipa che riunisce in sé tutte le pipe che hanno accompagnato la vita di Simenon e tutte quelle che lo scrittore ha fatto fumare al suo commissario. (m.t.)

domenica 22 novembre 2020

sabato 21 novembre 2020

SIMENON SIMENON. MAIGRET ET LE COMMODORE AU COL DE LA SCHLUCHT

  post storici / billets historiques / historical posts 

MAIGRET ET LE COMMODORE AU COL DE LA SCHLUCHT

A propos des lieux d’action dans les romans

SIMENON SIMENON. MAIGRET E IL COMMODORE AL COL DE LA SCHLUCHT
A proposito dei luoghi di azione nei romanzi
SIMENON SIMENON. MAIGRET AND THE COMMODORE AT THE COL DE LA SCHLUCHT
About the places of the plot in the novels



3 dicembre 2019 - «[Simenon] se sent totalement étranger à la démarche d’un Zola photographiant les lieux de l’action, ou d’un Flaubert se livrant à des repérages. Il lui substituera toujours le lent travail de décantation de la mémoire » (Pierre Assouline, in Simenon).
Cette phrase du biographe résume bien cet aspect du travail du romancier, qui recrée, à plusieurs années d’intervalle, un décor qu’il a connu, pour le placer dans le cadre d’un roman. En effet, il est très rare que Simenon ait écrit sur les lieux mêmes où se déroule un roman, parce qu’il préférait s’abstraire de l’ambiance qu’il avait autour de lui pour se plonger dans l’atmosphère qu’il insufflait à son texte. D’où les rideaux tirés dans son bureau, pour ne pas voir le décor extérieur, le bureau devenant cette camera obscura où il allait peu à peu dérouler le film de son roman sur papier.
Il existe cependant quelques exceptions. Strip-tease, écrit à Cannes et dont l’action a lieu au même endroit ; de même que Le Port des brumes (Ouistreham), La Tête d’un homme (Paris), La Marie du port (Port-en-Bessin), La Jument-Perdue (Tucson), Maigret chez le coroner (Tucson), Le Fond de la bouteille (Tumacacori), ainsi que les nouvelles Monsieur Lundi (Neuilly), La Pipe de Maigret (Paris), Madame Quatre et ses enfants (Les Sables-d’Olonne).
Mais généralement, Simenon avait besoin d’une période de décantation pour faire revivre un lieu où il avait séjourné auparavant. Il écrivait sur un « principe de distanciation spatiale », comme le note Michel Carly. Le roman Les Rescapés du Télémaque, rédigé à Igls au Tyrol, se déroule à Fécamp. La préoriginale, dans le journal Le Petit Parisien, présentait un texte de Simenon, dans lequel il disait : « l’envie d’écrire un roman lourd de soleil ne m’est jamais venue qu’en Hollande, en Norvège, voire […] dans une petite île de l’océan Glacial, alors que j’avais faim de lumière chaude […]. De même, cet hiver, vivant au Tyrol […] ne voyant à perte de vue que des champs de neige éclatante, la nostalgie m’est venue d’autres hivers, inséparables pour moi de l’odeur du fil en six et du hareng grillé. J’aurais voulu débarquer à Fécamp, respirer […] la forte odeur du poisson salé […]. Il n’y eut qu’à fermer les persiennes et, près d’un gros poêle en faïence, à écrire Les Rescapés du « Télémaque ». […] Et tous les pins du Tyrol ne m’empêchaient pas de sentir la saumure. »
Les romans « rochelais » de Simenon ont été rédigés à Porquerolles (Le Testament Donadieu), Fontenay-le-Comte (Le Voyageur de la Toussaint), Saint Andrews au Canada (Le Clan des Ostendais), Tumacacori (Les Fantômes du chapelier)… Quant aux Sables-d’Olonne, on sent vivre la ville dans Le Fils Cardinaud (écrit à Fontenay) et dans Les Vacances de Maigret (écrit à Tucson). On pourrait multiplier les exemples à l’infini…
En dehors de Paris, le cadre le plus fréquent dans l’œuvre (une ville où pourtant Simenon n’a écrit presque aucun roman), certains lieux ont été privilégiés par le romancier. La Rochelle en particulier, mais aussi Fontenay-le-Comte, Liège, Bruxelles, Cannes, Caen, Fécamp, Concarneau, etc. Ce qui fait qu’on pourrait imaginer que des personnages, d’un roman à l’autre, auraient pu se rencontrer au même endroit dans la même ville… Ainsi, comme le remarquent Michel Carly et Christian Libens dans leur ouvrage La Belgique de Simenon, Elie Nagéar (Le Locataire), Michel Maudet (L’Aîné des Ferchaux) et Maigret (dans la nouvelle Peine de mort) sont tous les trois descendus au Palace à Bruxelles. Et plus d’une fois, les lieux d’action se répondent entre les romans de la saga de Maigret et les romans durs. Dans L’Affaire Saint-Fiacre, Maigret déambule dans les rues de Moulins, et il aurait pu y croiser le Loursat des Inconnus dans la maison.
Parfois, les liens peuvent sembler moins évidents, mais ils existent cependant. On se souviendra que Maigret a eu affaire à plusieurs reprises au Commodore, le fameux escroc international. Or, le protagoniste central du Relais d’Alsace est en réalité le Commodore, venu s’installer dans une auberge au col de la Schlucht ; aura-t-on remarqué que dans Maigret s’amuse, il est dit que le commissaire et sa femme ont souvent passé des vacances dans un chalet au col de la Schlucht ? Et si Maigret avait rencontré alors le Commodore ?...

Murielle Wenger

venerdì 20 novembre 2020

SIMENON SIMENON. IL COMMISSARIO: LA PIPA E LA STUFA

Maigret raccontato da Simenon-Simenon/ Maigret raconté par Simenon-Simenon/ Maigret related by Simenon-Simenon 

IL COMMISSARIO: LA PIPA E LA STUFA

Due oggetti con i quali Simenon caratterizza il commissario e che hanno qualcosa in comune
SIMENON SIMENON. LE COMMISSAIRE: LA PIPE ET LE POELE
Deux objets avec lesquels Simenon caractérise le commissaire, et qui ont quelque chose en commun
SIMENON SIMENON. THE CHIEF INSPECTOR: THE PIPE AND THE STOVE
Two objects with which Simenon characterizes the Chief Inspector and have something in common



10 ottobre 2018 - Freddo pungente. Umidità che entra nelle ossa. L'inverno, e non solo, a Parigi è fatto di brine, di spifferi gelati, di pioggia ghiacciata, di nebbie che s'insinuano nei vestiti. Non è casuale infatti che Maigret indossi quasi sempre un pesante cappotto dal collo di velluto e che la moglie, prima che lui esca di casa, gli annodi una pesante sciarpa al collo. Le scarpe sono pesanti, con suole così spesse che rendono più pesante ancora il passo del commissario. 
Nei confronti di questo freddo umido però i vestiti non bastano. Direte voi, ecco perché le frequenti fermate ai bistrot per bere un calvados o un bicchiere di bianco... Ecco perchè nel suo ufficio ogni occasione è buona per far salire su delle birre dalla brasserie Dauphine... L'acool è una difesa contro il freddo? Beh anche... ma non è solo questo, ma qui si aprirebbe un lungo capitolo.
Quello di cui vogliamo parlare oggi è qualcosa di più caldo... vorremmo parlare di fuoco e di brace che con il commissario hanno un rapporto assai stretto.
Nello specifico sono due gli oggetti che si legano a Maigret a doppio filo. Stiamo parlando della pipa (o meglio delle sue innumerevoli pipe) e di quella famosa stufa a carbone che troneggia nel suo ufficio a Quai des Orfèvres.
Da un punto di vista letterario sono due oggetti che distinguono e caratterizzano la figura del commissario. Non possiamo imaginare Maigret senza pipa, mentre cammina pensieroso e infagottato sui nebbiosi lungosenna. Oppure mentre si gode una bella fumata sulla piattaforma aperta di un autobus. E ancora in ufficio sulla scrivania ingombra dove ce ne sono sempre più d'una. Ma anche a casa, dopo cena... addirittura con l'ultima boccata quando è già a letto e posa la pipa, non ancora spenta del tutto, sul comodino.
L'altro oggetto è forse meno caratterizzante, ma molto presente. La stufa a carbone è nel suo ufficio, abbiamo detto, e Maigret riesce ad ottenere il permesso di conservarla lì, anche quando a Quai des Orfèvres adottano un più moderno sistema di riscaldamento centralizzato con i radiatori.
Vediamo non di rado, il commissario che riempie di carbone la stufa fino all'inverosimile, l'accende e la fà andare finché non si arroventa ben bene. Non sappiamo se cogliere analogie tra il caricamento della pipa e quello della stufa, anche perché per la prima ci vuole una perizia e un tecnica che si affina con il tempo, con la seconda bisogna usare soprattutto i muscoli. 
Però l'idea che ispira la loro funzione è un po' la stessa. La pipa se vogliamo è una piccola stufa portatile che, anche se non riesce a scaldare fisicamente Maigret, gli regala un senso di calore sia pur psicologico. La stufa a carbone può essere vista come una grande pipa, una specie di madre di tutte le pipe, Maigret la carica e l'accende all'incirca come fà con le sue pipe, la deve rinfocolare, come deve pressare e riaccendere il tabacco durante la fumata. E poi siamo convinti che intorno alla stufa ci sono una quantità di pezzetti di carbone sparsi qua e la quando la carica. Come sulla scrivania abbondano gli sfrizzoli di tabacco di quando carica la pipa e la cenere di quando la vuota.
E poi la stufa la immaginiamo panciuta un po' come il fornello di certe pipe, con quel lungo tubo che porta fuori il fumo, che somiglia vagamente al cannello. Forse questa non impossibile rimando tra i due oggetti ha spinto Maigret a chiedere di conservarla.
Sono parte del calore e del personaggio e degli ambienti che Simenon ha saputo sapientemente creare e che costituiscono uno delle tante "sfiziose" tessere di quel puzzle che compone il personaggio del commissario. (m.t.)