mercoledì 26 maggio 2021

SIMENON SIMENON - POURQUOI M.ME MAIGRET EST BLONDE


Dans ses romans, Simenon ne donne pas de descriptions détaillées du physique de Maigret. On sait qu'il a une face large, des sourcils épais et de gros yeux (qui peuvent se faire « tout petits » quand il se veut ironique). La couleur de ses cheveux n'est donnée que dans un seul roman (Pietr le Letton) : ils sont d'un châtain sombre ; quant à celle de ses yeux, il est noté, dans Liberty Bar, qu'ils sont d'un « gris glauque, après une nuit sans sommeil » ; donc des yeux plutôt clairs : gris, verts ou peut-être même bleus, mais ni marron, ni noirs.
Quant à Mme Maigret, on en sait encore moins : elle est plutôt potelée, mais « elle n'est pas grosse, elle est dodue. […] une petite boulotte », comme l'expliquait Simenon à Roger Stéphane. Sur ses cheveux, le romancier ne dit rien, si ce n'est qu'elle met des bigoudis pour les faire onduler. Quelle est la couleur de sa chevelure ? Je pense qu'elle est blonde. À cet effet, j'avance trois arguments.
Dans Maigret et le voleur paresseux, le commissaire rencontre Éveline Schneider, la modiste amie d'Honoré Cuendet. Elle est « assez petite, aux cheveux blond clair, […] yeux bleus », et elle est alsacienne. Simenon écrit : « Mme Maigret aussi était alsacienne et avait conservé à peu près la même taille, le même embonpoint ». À mon avis, la comparaison s'étend aussi à la couleur des cheveux.
Maigret a un faible pour les blondes, ou, du moins, c'est avec une blonde que son créateur l'a décrit éprouvant le plus grand émoi. En effet, Else Andersen, dans La Nuit du carrefour, est blonde, et il n'y a pas de doute que Maigret s'est senti attiré par elle. On trouve aussi dans les romans un certain nombre de jeunes femmes potelées et aux cheveux blonds qui éveillent la sympathie du commisssaire.
L'argument le plus décisif est celui-ci : Simenon a dit une fois que Mme Maigret était son idéal amoureux. Or, le romancier aimait les femmes blondes et potelées, comme en témoigne son attachement très fort pour Boule, qui avait exactement ce type physique. Et pour terminer ma démonstration, relevons que dans les romans, Maigret n'appelle jamais sa femme autrement que « Mme Maigret ». Il l'appelle « Louise » seulement dans Les Mémoires de Maigret. Or, dans la nouvelle L'Amoureux de Madame Maigret (écrite bien avant les Mémoires), le commissaire appelle sa femme « Henriette ». Certains ont pensé qu'il s'agissait d'un lapsus révélateur, la mère de Simenon se nommant Henriette. Mais le prénom véritable de Boule était… Henriette... (m.w.)

martedì 25 maggio 2021

SIMENON SIMENON "SOUVENIR" . MAIGRET: PIATTO,FORCHETTA E PIPA... LA TAVOLA E' APPARECCHIATA

Il pranzo è servito. Piatto, pipa e forchetta. Una strana tavola apparecchiata appositamente per Maigret. Una tavola ideale per un pranzo fantastico... ma significativo. Un pranzo che il commissario però si ritrova a consumare tutti i giorni.

Una forchetta per infilzare le ghiottonerie che gusta a casa propria, alla brasserie Dauphine, o in qualsi altro bistrot... Una posata che simboleggia il suo rapporto con il cibo, che non è solo un modo di dimostrarsi un mangione, ma nasconde un modo di essere, una concezione della vita, delle origini di un certo tipo.
Un piatto bianco, semplice, un po' rustico che riassume in sé le preferenze di Maigret per le cose essenziali, senza fronzoli, un po' grossier, ma davvero funzionali al loro utilizzo, una filosofia che vale per i suoi vestiti, le sue pipe, i mobili del suo ufficio (in casa, a boulevard Richard Lenoir, è diverso, lì c'è il tocco di M.me Maigret). E poi la pipa. Un elemento fuori contesto tra piatto, forchetta, ma un'icona del personaggio creato da Simenon. E sarebbe sbrigativo argomentare che il commissario fuma la pipa perché anche il suo autore era un gran fumatore. Invece, la pipa si integra nel personaggio in modo totale. Ma, ad esempio, in modo molto diverso da come succede ad un altro celebre investigatore fumatore di pipa, Sherlock Holmes. Lui fuma solo in certi momenti, magari quando è assorto nelle sue elecubrazioni seguendo le sue oscure vie della mente che lo portano a scoprire cose che altri non troveranno mai... Maigret no. Se ci si passa il termine, è un fumatore seriale, che accende la sua pipa di mattina, dopo pranzo, addirittura alla sera quando va a letto. Fuma la pipa quando interroga i sospettati e quando è in giro per farsi un'idea sul caso in corso. Fuma quando beve un birra fresca per dissetarsi o un vigoroso calvados per scaldarsi.
Dicevamo che é connaturata alla sua persona.  Anche  spenta la tiene tra i denti, in mano, sulla scrivania sotto il suo sguardo, la stringe con il pugno quando ce l'ha in tasca.
La pipa è forse la pistola di Maigret? In certi film d'azione americani l'eroe di turno ha sempre una pistola in mano, o nella fondina sotto l'ascella, con un'altra legata alla caviglia, oppure infilata nella cinta... Maigret ha sempre con sè la sua pipa. La pipa è un catalizzatore, che gli fa scattare un déclic, quando è nel bel mezzo di un caso irrisolvibile, che gli dà la forza di portare avanti interrogatori lunghissimi che sfiniscono il sospettato (che spesso finisce per confessare). La pipa invece lo distende quando passeggia sul lungo Senna inseguendo con la mente i suoi pensieri e con gli occhi le volute del fumo in aria.
Piatto, forchetta e pipa, quasi un quadro... fedele quanto strampalata rappresentazione di Maigret.

lunedì 24 maggio 2021

SIMENON SIMENON "SOUVENIR". UNA PERIFERIA DI OTTANT'ANNI FA' CHE PIACE ANCORA


Faubourg. Periferia, traducendolo in italiano. Un'ambiente, ma anche una regione dell'anima. Come i sobborghi sembrano lontani dal centro pulsante di una città, così appaiono il luoghi e le persone che abbiamo allontanato dal cuore della nostra vita.
Sembra. Perché in realtà le persone vanno e vengono dal centro alla periferia, ma anche le situazioni e gli eventi si ripetono e a volte ritornano, più o meno inaspettatamente nelle pieghe della vita.
Stiamo parlando  di un tema caro a Simenon e in particolare di un romanzo, Faubourg, finito di scrivere proprio nell'ottobre di ottanta anni fa'. E' un romanzo di grande attrazione dove la figura principale, De Ritter, un avventuriero di piccolo cabotaggio, non troppo furfante per essere un malvivente, ma troppo furbetto per essere una persona perbene, è il simbolo di certi personaggi simenoniani, borderline, non cattivi, ma predisposti alla cattiva sorte, ingenui e presuntuosi, millantatori e meschini, compagnoni ma in realtà soli.
De Ritter aveva abbandonato quella provincia, percepita come un'asfittica periferia dell'anima ed era approdato ad un esistenza nient'affatto cosmopolita, ma tutt'al più apolide, caratterizzata da truffe, piccoli imbrogli, velleità di facili successi regolarmente abortite, con fughe e spostamenti altrettanto repentini quanto frequenti. L'idea era forse quella di far fortuna e tornare in quella periferia per dimostrare quello di cui era stato capace.
Ma così in effetti non è. Quando De Ritter con la sua compagna Lea, un'ex prostituta, scendono dal treno alla stazione della sua cittadina, lui non è davvero nessuno e la baldanza e le arie che lo circondano non hanno motivo di essere.
Ben deciso a rimanere in disparte e a spiare personaggi, ambienti e farsi un'idea di cosa è diventata la sua cittadina, De Ritter sulle prime rimane quasi nascosto, nell'ombra, ma poi piano piano non resiste all'attrazione di farsi vedere in giro e di farsi riconoscere. Ma perché?
La stessa domanda bisognerebbe porsela in merito ai motivi che l'hanno spinto a ritornare. Evidentemente è una spinta interna cui uno come De Ritter non riesce a resistere. Probabilmente è più forte di lui e delle intenzioni più o meno razionali con cui parte. E, come René, uomo d'affari in attesa di ricevere dei soldi dai propri soci, inizia chiedere soldi a delle vecchie conoscenze, mentre Lea ricomincia ad esercitare la sua antica professione, per guadagnare quello che consente ai due di sopravvivere. Ma la cose non vanno come René-De Ritter vorrebbe. Il credito di cui gode in città si esaurisce ben presto, Lea allaccia una relazione con il proprietario dell'albergo di un cui alloggiano. La moglie dell'albergatore si dice pronta a pagare il nostro protagonista pur di allontanare Lea.
De Ritter prende i soldi e scappa. Anzi scappano insieme, lui e Lea, si  stabiliscono in un altro punto della città e ricominciano i loro traffici. I passi successivi di De Ritter saranno quello di andare dalla madre, portandole costosi regali, per farle credere di esser diventato ricco e poi quello di riallacciare i rapporti con una sua vecchia fiamma, Marthe, che poi, in pieno accordo con Lea sposa solo per interesse. Ma in realtà Lea non prende così bene la cosa o perlomeno si consola in un gratificante rapporto con un giovane redattore.
Quando De Ritter lo scopre, si comporta da quel provinciale, gretto ed egoista che evidentemente è, e non da quell'uomo di mondo, evoluto e cosmopolita che cerca di far credere agli altri. Preda della più vecchia, banale e cieca passione, la gelosia, uccide il giovane amante di Lea e decreta così lo sgretolamento di quel castello di carte che era riuscito fin ad allora a tenere in piedi.
Simenon teneva molto a questo roman-dur, al punto di fare a Gallimard una richiesta per lui insolita: spendere dei soldi in messaggio radiofonici per fare pubblicità a Faubourg. Il vecchio Gaston non lo prese in considerazione, ma comunque l'episodio dimostra quanto Simenon ci contasse.
E non aveva torto perché ancor oggi, ad ottant'anni passati dalla sua stesura, Faubourg riscuote ancora l'interesse degli appassionati e l'attenzione dei critici.

domenica 23 maggio 2021

SIMENON SIMENON WEEKEND N.14 - GEORGES E IL SUO RAPPORTO CON IL MONDO DELLA MEDICINA - GEORGES ET SA RELATION AVEC LE MONDE DE LA MÉDECINE

Una diagnosi (sbagliata), il timore di non farcela (il ricordo di suo padre morto quando lui era ancora giovane) e la preoccupazione di lasciare il figlio piccolo senza un ricordo del padre e la decisione di scrivere un libro di memorie: Pedigree. E poi a speranza di una nuova diagnosi che negava la precedente escludendo la malattia...

Le commissaire a rencontré de nombreux médecins au cours de sa carrière, avec lesquels il s’est senti une certaine affinité, due au fait que lui-même avait envisagé de devenir médecin... 

Simenon concesse molte interviste nella sua vita, ma questa fu davvero speciale. Un equipe medica (e redazione di un rivista di medicina) mise per un‘intera giornata lo scrittore “sur le gril”...

Simenon a parfois décrit son héros retenu au lit ou gardant la chambre pour cause de grippe. La maladie de Maigret a une influence sur sa manière de mener son enquête...

sabato 22 maggio 2021

SIMENON SIMENON WEEKEND N.14 - MEDICI E MALATTIE - MÉDECINS ET MALADIES


D’accordo, l’argomento può non essere dei più piacevoli, ma da una parte conosciamo bene l’interesse di Simenon per la medicina, per la psicoanalisi e per il ruolo che avrebbe voluto ricoprissero nella società.
D’altra parte il suo rapporto con le malattie. E’ un momento sempre delicato per tutti, ma il modo di reagire, il modo di accettare o no la malattia dice molto di noi e questo vale ovviamente anche per Simenon.



Certes, le thème peut ne pas être des plus plaisants, mais d’une part on connaît bien l’intérêt de Simenon pour la médecine, pour la psychanalyse et le rôle qu’il aurait voulu qu’elle joue dans la société.
D’autre part, sa relation aux maladies. C’est un moment toujours délicat pour chacun, mais la façon de réagir, d’accepter ou non la maladie en dit beaucoup sur nous et ceci vaut évidemment aussi pour Simenon.

giovedì 20 maggio 2021

SIMENON SIMENON - DOMANI ON LINE IL NUOVO "WEEKEND"


Domani il nostro appuntamento settimanale sarà quasi obbligatorio... come un check-up del tutto necessario per tenere sotto controllo la propria alterazione febbrile 
nei confronti di Simenon e di Maigret!
Sarà un'esplorazione di un'altro dei temi più ricorrenti nella narrativa di Simenon, che riveste un notevole interesse e che rivela anche pieghe più nascoste che ci completano la conoscenza del profilo del romanziere. Buona lettura!


Demain, notre rendez-vous hebdomadaire sera presque obligatoire... comme un check-up tout à fait nécessaire pour tenir sous contrôle cette maladie fébrile qui nous tient 
à propos de Simenon et de Maigret !
Il s'agira d'une exploration d'un autre des thèmes les plus récurrents dans l’œuvre de Simenon, qui présente un intérêt considérable et qui révèle aussi des replis plus secrets qui complètent notre connaissance du profil du romancier. Bonne lecture!

SIMENON SIMENON. VA IN SCENA UN AMORE E UN DRAMMA DI NOME MARIE-JO


20 maggio. Era una primavera inoltrata del 1978 quando una notizia che proveniva da Parigi colpì Simenon, che abitava a Losanna, con la potenza di una fucilata. La sua unica figlia, la più amata dei suoi quattro, aveva tentato un'altra volta il suicidio e questa volta purtroppo c'era riuscita. I soccorsi erano stati vani.
Poco tempo prima lo scrittore aveva ricevuto una lettera dalla figlia  in cui, tra l'altro si percepiva il forte disagio per il suo malessere, per la sua insicurezza e per le sue paure. Scriveva "...oh, Dad, se tu potessi essere qui vicino a me, prendermi tra le tue braccia come quando ero piccola e farmi dimenticare tutto..." .
Il rapporto di Georges e Marie-Jo. Padre e figlia uniti da un legame un po' troppo speciale, da sempre. E tutto quell'affetto Simenon l'aveva percepito e ricambiato fin dall'infanzia, lei l'unica femmina e la più piccola per sei anni (fino all'arrivo di Pierre-Nicholas). Lui la viziava e lei lo metteva in una certa difficoltà, come quando Simenon, che voleva farle per regalo un ciondolo da bambini, si sentì chiedere una "fede d'oro" come quella di mamma Denyse, con in più la pretesa che il papà gliela infilasse al dito anulare... con tutto quello che questo poteva significare.
Questo avvenimento era foriero delle gioie e dei dolori che lei stessa subirà dall'evoluzione del rapporto tra Georges e Denyse, dell'influenza non certo benefica dell'instabilità psichica di sua madre, dell'ammirazione sconfinata per il padre, sicuramente oltre il normale affetto che una figlia prova per un papà... E ancora la fragilità di una ragazza che da giovane donna ricercava nei suoi rapporti sentimentali con uomini più grandi, come se volesse trovare un rapporto che sostituisse quello impossibile con il genitore...
Tragedia preannunciata? Beh non era difficile immaginarlo. Certo come accennavamo prima, va valutata anche l'influenza negativa della madre, soprattutto perché Georges non era un padre sempre presente. Ma forse proprio per questo più desiderato?
Marie-Jo in una delle ultimissime missive al suo "Dad", dopo essersi lamentata del suo malessere, delle sue incertezze e delle sue insicurezza, scrive "...oh, Dad, se tu potessi essere qui vicino a me, prendermi tra le tue braccia come quando ero piccola e farmi dimenticare tutto..."
Una sorta di fuga dalla realtà, direbbero gli psicologi, una soluzione che Marie-Jo sa essere impossibile, ma che continua a ricercarla senza sosta, cosa che è uno dei motivi della sua disperazione.
Certamente Simenon conosceva il precario equilibrio mentale della figlia, come non poteva non allarmarsi e forse addirittura prepararsi ad un gesto definitivo (per quanto possa farlo un padre di fronte all'idea di un tale dramma), ad una fine preannunciata? Infatti la ragazza aveva provato a suicidarsi già nel maggio del 1976, trangugiando una dose quasi letale di barbiturici. Come poteva sentirsi Simenon ormai settantacinquenne, lì a Losanna, lontano dalla sua amata figlia cui lo legava qualche telefonata e qualche lettera che gli arrivavano da Parigi? Poteva fare qualcosa? Che cosa che non fece? Magari, avrebbe potuto trattenerla con sé, qualche mese prima della tragedia, quando lei andò a trovarlo per l'ultima volta nella sua piccola casa rosa? Poteva organizzare per lei un'assistenza psichiatrica più efficace di quelle sedute cui ogni tanto Marie-Jo faceva a Parigi. Il fratello grande, Marc, primogenito e figlio di Tigy, impegnato nel cinematografo, abitava anche lui a Parigi, forse avrebbe potuto assisterla di più? Esserle più vicino?
Nelle sue lettere Marie-Jo é sempre esplicita nei riguardi dei sentimenti per suo padre, ma anche sull'impossibilità di realizzarli e sull'impossibilità di evitare una fine drammatica "... Salvami Daddy, sto per morire. Io non sono più nulla. non vedo il mio posto. Sono sperduta tra lo spazio, il silenzio e la morte. Dimentica le mie lacrime, ma ti prego, credi nel mio sorriso di quando ero la tua piccolina, ormai parecchi anni fa'. Sii felice per me. Ricordati del mio Amore anche se è stato folle. E' per questo che io ho vissuto ed è per questo che io adesso muoio..." .
Ad aggravare la situazione ci si mise la conflittualità esplosa tra Georges e Denyse che, anche quando era ormai non abitavano più insieme a Épalinges, il loro scontro continuava,  per così dire, a livello editoriale.
Lei aveva lanciato il primo colpo con Un oiseau pour le chat, un libro che puntava dritto il dito su Simenon indicando le sue innumerevoli colpe e le sue carenze in diversi ambiti, mischiando verità a menzogne. E' inutile dire che l'iniziativa suscitò uno scandalo più che per le accuse di Denyse, per la notorietà e la fama dell'oggetto delle critiche.
Anche un tale evento non poteva essere indifferente per Marie-Jo, che ne era stata talmente ferita da chiedere al padre di non difendersi dalle accuse di quel libro, per lei orribili, libro che comunque aveva voluto leggere fino all'ultima riga.
E poi quell'avvenimento di cui spesso si parla. La vacanza a Villars-sur-Ollon, madre e figlia sole, nel '64, esperienza da cui Marie-Jo uscì pesantemente scioccata. Allora aveva undici anni e si rifiutava di parlarne. Ma in seguito sarà noto che la madre aveva traumatizzato la figlia masturbandosi davanti a lei, tentando una sorta d'incesto e addirittura lanciando degli anatemi "...non sarai mai in grado di essere una vera femmina di fronte ad un uomo, perché ti verrà in mente per sempre questa scena... delle mie dita che cercano il piacere nel mio sesso...".
Quanto ci sia di vero non si saprà mai con certezza, anche perché sia la madre che la figlia soffrivano di un'instabilità mentale. Ma non c'è dubbio che qualunque cosa sia avvenuta a Villars-sur-Ollon fu qualcosa che lasciò un segno indelebile su un soggetto, che già di suo soffriva di problemi psichici
A Simenon rimanevano da vivere poco più di dieci anni, ma certo questo fu un colpo da cui non si riprese. Nonostante le amorevoli attenzioni di Teresa, era come se il suo orizzonte si fosse spento. E a poco gli valse spargere le ceneri della figlia nel suo piccolo giardino della casa rosa, all'ombra del grande cedro del Libano. Ormai Marie-Jo era lontana, più lontana di quanto mai fosse stata durante la vita.
Lo scrittore sapeva che si sarebbero riuniti. Aveva dato direttive affinché anche le sue ceneri, una volta morto, fossero sparse lì dove erano quelle della figlia. E allora, solo allora, si sarebbero davvero riuniti.

mercoledì 19 maggio 2021

SIMENON SIMENON "SOUVENIR" - DOVE ANDARE A CERCARE IL SUO STILE ?


..
. Lo stile è il ritmo, il ritmo del personaggio...". E ancora "... lo stile è innanzitutto movimento...". E poi " ... lo stile è l'uomo...".
Le prime due sono affermazioni di Simenon. La prima in un intervista del 1955, la seconda scritta in Quand j'étais vieux, nel '60. La terza invece è di André Gide, ma riportata sempre da Simenon in uno dei suoi Dictées, nel '77 (Au dela de ma porte fenetre).
Sullo stile di Simenon sono state scritte un'infinità di cose tali che, come si dice a Roma, ci si potrebbe far camminare un treno, e anche Simenon-Simenon ne ha parlato spesso (vedi Lo stile, la scrittura, le parole di Simenon del 21 novembre 2010, o anche Simenon. Lo stile che cambia e le mots-matiére del 23 maggio 2011 oppure Simenon romanziere, è solo una tecnica o no? del 3 settembre 2011). Noi però qui non vogliamo far camminare nessun treno, ma ci interessa fare qualche passo in avanti nella comprensione di quanto e in che modo lo stile, che è molto spesso la cifra distintiva di uno scrittore, valesse per Simenon.
Sappiamo che nella sua scrittura lo stile non ha nulla a che fare con l'eleganza e la ricercatezza dei termini o con la bella costruzione della frase. Anzi, sappiamo che la sua prosa, scarna ed essenziale, faceva appositamente uso di quelle mots-matière che come spiegava lo stesso scrittore: "... io utilizzo le stesse mots-matière che hanno lo stesso significato in almeno venticinque città di una decina di nazioni diverse...".
E questo ci fà fare un bel passo avanti. La preoccupazione pricipale di Simenon non era quindi quella di realizzare una bella scrittura, ma di scrivere in linguaggio comprensibile alla maggior parte dei lettori, anche non di lingua francese. Insomma il ricordo del vecchio consiglio di Colette "via tutta questa letteratura" aveva attecchito in un terreno fertile.
Non a caso negli anni '60, andando a rileggere degli articoli che aveva scritto agli inzi degli anni '30, Simenon commentava "... all'inizio ebbi la sorpresa di constatare che il mio stile di allora era pieno di sfaccettature, molto più brillante di quello odierno e questo mi ha fatto piacere perché, durante gli anni, il mio principale sforzo è stato di semplificare, di condensare, di rendere il mio stile più neutro possibile, in modo di aderire più adeguatamente ai pensieri dei miei personaggi..."
E torniamo così alla prima affermazione di Simenon " lo stile è il ritmo del personaggio". E, in effetti, aveva più volte dichiarato che solo uno stile neutro poteva consentirgli di entrare meglio nella mente del proprio personaggio ed esprimersi come lui e pensare come lui pensava.
E l'affermazione di Gide, Simenon la spiegava con la simbiosi che ci doveva essere tra lo stile in cui scriveva il romanziere e l'uomo che era in lui. Simenon aveva asciugato il suo linguaggio, ridotto la sua terminologia, economizzato gli aggettivi, gli avverbi. Eppure questa scrittura, accreditata di non più di duemila vocaboli, riusciva a rendere perfettamente stati d'animo, atmosfere, i pensieri e e le angosce più profondi... Questo, a nostro avviso, è il suo stile.

lunedì 17 maggio 2021

SIMENON SIMENON "SOUVENIR" - LA PRIMA INCHIESTA DI MAIGRET, MA...L'ULTIMA?


Quando Simeon presentò alla Boule Blanche nel febbraio de 1931 la serie dei Maigret, lo fece con due titoli scritti in precedenza, M. Gallet, décédé et Le pendu de Saint-Pholien (entrambe compilati nell'estate del 1930 a Morsang). In realtà il primo ad essere stato scritto era stato Pietr-Le-Letton, la cui stesura era stata completata a Delfzijl nel settembre del '29. Ma qui stiamo paralndo della compilazione letteraria delle inchieste del commissario. Infatti Simenon non rispetta una cronologia biografica precisa. Infatti nella prima inchiesta il nostro Maigret è già commissario ben installato a Quai des Orfèvres e nel pieno delle sue prerogative, titolare delle indagini, lavora con i suoi sottoposti. Non c'è notizia della sua carriera in polizia, fin da quando entrò come gendarme e faceva la ronda in bicicletta.
E quando nel 1933 Simenon pensò di aver chiuso con i primi diciannove romanzi scritti per Fayard, concluse la serie con un semplice Maigret, mandando il suo poliziotto in pensione a Meung-sur-Loire a fare il giardiniere.
La prima inchiesta di Maigret invece è esattamente il titolo di un libro scritto nel '48 che narra appunto un caso in cui Maigret non è ancora commissario, ma solo segretario del commissario del quartiere di Saint-Georges. Però è la prima inchiesta che conduce, e con successo, al punto che una nota di merito ne favorirà il trasferimento dal commissariato di quartiere all'ambìto Quai des Orfèvres. Certo con la cronologia non ci siamo, ma Simenon come altri giallisti (vedi Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes) cercano, dopo un po', di scrollarsi di dosso quel personaggio che riscuote talmente tanto successo da indentificare il proprio autore con l'eroe creato.
In effetti da Holmes, a Maigret, ma anche ad altri (pensiamo per esempio al Nero Wolfe di Rex Stout), invece poi seguono ineluttabilmente il proprio creatore fino alla sua scomparsa. Per Simenon fu decisamente diverso però. I suoi romans-durs riveleranno alla fine le sue capacità letterarie, convincendo anche i più scettici ed equagliando, anche in quantità, i Maigret.
L'ultima inchiesta di Maigret era sembrata quindi quella del '33, quando appunto la serie pareva conclusa. E invece l'ultima inchiesta (da un punto di vista di cronologia letteraria) fu Maigret et monsieur Charles, scritta nel '72, che per ironia della sorte, Simenon non immaginava certo fosse l'ultima ed infatti non è, come era stata la precedente, la conclusione di un ciclo. Simenon non sapeva che il suo état de romans sarebbe sparito da lì a qualche mese impedendogli di scrivere il roman-dur Victor