venerdì 16 febbraio 2018

SIMENON SIMENON. TWO AUTHORS IN FRONT OF THE BAR

On how Georges Simenon and Louise Penny depict the court 

SIMENON SIMENON. DEUX ECRIVAINS A LA BARRE 
Comment Georges Simenon et Louise Penny dépeignent le tribunal 
SIMENON SIMENON. DUE SCRITTORI ALLA SBARRA
Come Georges Simenon e
Louise Penny descrivono il tribunale

Rereading Georges Simenon’s Maigret in Court became a no-brainer after reading Louise Penny’s new best selling novel Glass Houses. Both protagonists, Jules Maigret and Armand Gamache, become immersed as prosecution witnesses against accused murderers in remarkable courtroom scenes. 
First of all, both novelists uniquely liken the courtroom proceedings to church servicesThus, for Maigret: Waiting to “track the ritualistic ceremony of the court was like being in kind of in a sacristy,” and he “was feeling the same trouble” he felt “at mass in the village church.” It is the same for Gamache“Trials, like masses, were theatrics. He could almost smell the incense and hear a tinny, tiny bell.” 
Both witnesses are physically uncomfortable in court. Their creators single out the role of heat in particular, making the courtroomoppressively hot, forcing the participants to squirm, sweat, and thirst. Maigret: “The radiators were burning hot. An invisible steam, smelling more and more human, rose up from hundreds of bodies, elbow to elbow, from wet clothes, from breaths.” Gamache: “It was hot. Sweltering. […] He could taste perspiration from his upper lip.” In the stifling heat, “it would be superhuman not to perspire. Gamache was sweating freely and willing himself not to take out his handkerchief and wipe his face.” 
Even more so, both witnesses are psychologically uncomfortable in courtMaigret: “The most painful part of his job was testifying in court because “wasn’t everything counterfeit there?” The man, the one who doesn’t like to judge others, suffers “because human beings saw themselves all of a sudden summed up, so to speak, in a few phrases, in just a few sentences.” Gamache: “The witness box was not his favorite place in the world. And far from his favorite thing to do. To testify against another human being.” Yet, there he was, under fire, “in what had become, almost literally, a grilling.” 
And, suddenly, there is a surprise dichotomy: one witness is honest and the other is not. Maigret: “Everything he had just said was true and “his sentences adhered to the truth.” Gamache: “Oui. And there it was. The Chief Superintendent had perjured himself. Indeed, “It was a most serious crime. Perjury. The perversion of justice.”  
And stillthe courtroom drama escalates in both cases. A higher system of justice, one based upon personal conscience, overrules what typically plays out in court. Thus, for Maigret: “Wasn’t he on both sides of the fence at the same time?” Facing the choice of following the “complicated apparatus of Justice” or having a “completely clear conscience, the Chief Inspector is like “the jurors who had to decide in good conscience if….” And for Gamache: “There is a higher court than courts of justice and that is the court of conscience. It supersedes all other courts.” Again and again, his “conscience rose up” to direct his behavior. The Chief Superintendent admitted to himself that while he believed in the law, had spent his career working within the justice system, what he really had to answer to was his conscience. And that was proving to be a pretty harsh judge.” 

David P Simmons 

giovedì 15 febbraio 2018

SIMENON SIMENON. FERENC PINTER: L'ILLUSTRATORE PERFETTO

Mostra a Torino, MEF Outside, fino al 22 aprile 2018 

SIMENON SIMENON. FERNEC PINTER: L'ILLUSTRATEUR PARFAIT 
Exposition à Turin, MEF Outside, jusqu'au 22 avril 2018 
SIMENON SIMENON. FERNEC PINTER: THE PERFECT ILLUSTRATOR 
Exhibition at Turin, MEF Outside, till 22 April 2018 


Dubito esista lettore italiano che non conosca Ferenc Pintér. Anche senza saperlo. Anche ignorandone il nome. Perchè molto probabilmente il primo libro di cui si è innamorato, che ha segnato per sempre il suo amore per la lettura, è stato un Oscar Mondadori. E molto probabilmente aveva una copertina disegnata da Pintér, che da allora è rimasta impressa nella sua memoria, quasi emblema dell'essenza stessa di quell'esperienza. Di quell'avventura. Di quel primo amore. Di quel libro.
Tutto ciò è ben noto agli appassionati simenoniani, che di Pintér giustamente hanno fatto oggetto di culto, perché se è indubbio quanto la fortuna italiana di Simenon deve all’interpretazione televisiva di Gino Cervi, altrettanto lo è che le copertine mondadoriane dei Maigret, disegnate da Pintér, per un’intera generazione, e più, sono indissolubilmente legate al ricordo di quelle letture. Non è certamente un caso se queste copertine regolarmente ripropongono le fattezze di Gino Cervi. Decontestualizzandole però, sottraendole al bianco e nero degli studi televisivi, portandole all’aria aperta, donando loro la vitalità del colore puro. 
C’è una frase di Pinter su cui vale la pena riflettere: “Mi insospettiva la produzione industriale di Simenon, ma poi ho cambiato idea perché mi sono accorto che pochi come lui sanno raccontare una storia e dare un’anima ai personaggi utilizzando pochi elementi essenziali”. 
Dal proprio osservatorio privilegiato Pintér coglie due aspetti centrali della scrittura di Simenon, talmente centrali da condizionare il suo rapporto con i lettori. La serialità, la produzione “industriale”, che non va a discapito della qualità (anche se sicuramente esistono Maigret più o meno riusciti), con buona pace di certa casta di intellettuali tanto schizzinosi quanto, forse, invidiosi di un così clamoroso successo. La capacità di creare personaggi indimenticabili, di avvincere il lettore, di immergerlo fisicamente negli ambienti più diversi, “utilizzando pochi elementi essenziali”.
Ma si tratta di aspetti importanti anche per comprendere l’arte di Pintér, quasi che Pintér, nel parlare di Simenon, parli anche di sé stessoAnche la sua può essere definita arte industriale, sicuramente si tratta di arte applicata, ma sempre, o quasi, è un’arte di altissima qualità, e un’arte in grado di sintetizzare in una singola immagine l’essenza di un libro. Una capacità che però, come per Simenon, non si improvvisa, pur possedendo uno sconfinato talento, ma è il frutto di un lungo percorso. Il noto apprendistato di Simenon volto a prosciugare la propria scrittura dagli stereotipi letterari. Il passaggio dalle tavole dipinte da Pintér alle copertine che tutti conosciamo.
Merito della mostra torinese è appunto anche quello di permetterci di apprezzare tale percorso. Si prenda ad esempio il cartone relativo a “Maigret e la spilungona”, ove il personaggio femminile troneggia al centro in tutta la propria statuaria nudità, mentre nella copertina viene relegato a margine, ridotto ad un paio di gambe, un paio di gambe che però catturano la nostra attenzione, e, si direbbe, quella di Maigret, proprio perché in tale dettaglio, e nelle calze nere, e nelle giarrettiere, si sintetizza tutto il fascino del peccaminoso, lasciando spazio più ampio all’immaginazione del fuori campo. Ed a quella della lettura.
O il vero e proprio quadro all'origine della copertina di "Maigret al Convegno dei Terranova", dipinto su un foglio di giornale francese i cui caratteri traspaiono dall'acqua dello sfondo con un effetto straordinariamente suggestivo. Un effetto sicuramente debitore degli esperimenti delle avanguardie storiche, ma caratteristica di Pintér è la perizia nel declinarne la forza eversiva in immagini capaci di colloquiare intimamente con lo spettatore, senza che ciò significhi in alcun modo sminuirla, banalizzarla. Un'opera a mio parere di bellezza assoluta, dal valore estetico autonomo, ma forse troppo autonoma, troppo “artistica”, per essere posta a servizio del testo.
Ed infatti merito forse ancora maggiore della mostra è quello di farci conoscere la poliedricità di Pintér, non solo creatore di splendide copertine, ma anche artista svincolato dagli obblighi di una committenza, pur nobilissima nelle intenzioni e negli esiti quale quella mondadoriana, con le immagini ispirate ai Tarocchi, a Pinocchio, a Moby Dyck. Anch'esse illustrazioni, certamente. Anch'esse illustrazioni "perfette".  

Luca Bavassano