giovedì 14 luglio 2011

SIMENON SI TENNE "A DISTANZA" DI CARL GUSTAV JUNG?


Abbiamo già parlato dell'interesse di Simenon per la psicoanalisi e in particolare per Freud e poi per Carl Gustav Jung (vedi il post del 22 novembre 2010). Ma qui vorremmo mettere in luce un'altro aspetto. Sappiamo anche che i due erano estimatori uno dell'altro e avevano letto entrambe le rispettive opere. E se per Jung non deve essere stata solo una passione letteraria, ma quasi un'interesse professionale, visto la quantità di romanzi con numerose note a margine scritte di suo pugno, anche per Simenon deve essersi trattato di qualcosa di più di un interesse teorico.
I due, lo sappiamo, vivevano vicini, entrambe in Svizzera e Simenon aveva espresso più di una volta il desiderio di andarlo a trovare, ma poi ogni volta c'era stato un impedimento di vario tipo che glielo aveva impedito, al punto che qualcuno ha espresso l'ipotesi che ci fossero dei motivi, consci o inconsci, per cui lo scrittore volesse quell'incontro, ma al tempo stesso lo temesse. Poi, come si sa, nel giugno '61 lo psicoanalista morì. Se vogliamo ragionare su questa teoria, e chiederci il perché di questo timore, dobbiamo a nostro avviso partire da alcune delle risposte che Simenon dette nella famosa intervista ai cinque medici e psicologi di Médicine et Hygiene nel '68.
Lo scrittore fa riferimento ad un caso che Jung riportava in un suo libro, in cui raccontava di un collega che, dopo essere stato una ventina d'anni in Cina e aver assimilato usi, costumi e mentalità di quella cultura, tornò in Europa a fare il professore universitario di lingua cinese. Sembrava che, nonostante il suo déplacement non solo fisico e mentale, ma anche filosofico, dalla sua cultura originaria, al rientro si fosse ri-adattato perfettamente. Jung riferisce però che qualche mese dopo il sinologo ebbe un grave crollo, e non solo psicologico, tanto da chiedergli perché non tornasse in Cina. Dopo nemmeno sei mesi finì in un ospedale psichiatrico.
"...E' esattamente di questo genere di esperienze che mi fanno paura, spesso mi trovo davanti a diverse persone che mostrano un disadattamento tale che non può che finire in modo tragico - commenta Simenon - Mi sono sentito molto coinvolto da questi casi...".
E in un altro punto dell'intervista: "...Quello che mi ha davvero impressionato è che agli inizi della sua attività di psichiatra a Zurigo, Jung finisse talmente per integrarsi con il suo paziente, di cui scopriva molte cose, ma tanto da finire per scoprirne altrettante su sé stesso..."
Abbiamo l'impressione che Simenon ravvisasse delle anologie con il suo modo di scrivere. Quel malessere in cui scivolava in certi periodi, quel fare vuoto in sé stesso per far posto al personaggio del momento, quell'essere in état de roman di sé (che può essere letto come un'evasione, temporanea, dalla propria personalità, dalla coscienza) quel mettersi nella pelle degli altri, non fosse che un processo simile a quello subito del sinologo che estraniato dalla sua cultura non aveva retto l'impatto della reintegrazione. A quello capitò dopo vent'anni di vita in Cina, a Simenon  questo déplacement succedeva ogni volta che scriveva un romanzo. E' vero che durava per sette/dieci giorni, ma si era ripetuto centinaia di volte nella sua vita. Perché spesso protestava perché nessuno capiva il suo meccanismo creativo? Perché si lamentava di come gli altri non comprendessero che quello di creare i romanzi era una...malattia?
Forse aveva paura che in un eventuale incontro Jung scoprisse che questo suo disadattamento, sia pure temporaneo, non fosse salutare, nonché indispensabile alla sua capacità di espressione letteraria?
Siemenon che aveva letto molto di Jung non poteva non sapere della sua teoria sulla funzione trascendente che spinge l'individuo fuori di sé, su quello che lo psicoanalista definiva il livello di un pensiero inconscio collettivo. Quando la coscienza è in grado di assumere un atteggiamento positivo in merito ai risultati di questa facoltà, cioè i simboli, spiegava lo stesso Jung, si può riuscire a liberarsi dal disagio, cambiando la propria posizione rispetto ad essi assumendone una "trascendentale".
Ma questo avrebbe influito sulle sue modalità creative? Avrebbe potuto allontanare quei periodi di stato di grazia che erano la sua forza, e che gli permettevano di fare quel mestiere, senza il quale la sua vita non avrebbe avuto probabilmente nessun senso?
Erano forse queste le paure di Simenon?

mercoledì 13 luglio 2011

SIMENON D'ESTATE SCALA LE CLASSIFICHE

Parliamo de L'Assassino, che inizia a far strage di lettori. Come succede solitamente ai romanzi di Simenon arrivati in libreria, questo, appena apparso, esordiva il 3 luglio nella classifica IBS (Internet Book Shop) al 14° posto.
Nella top ten della narrativa straniera, riportata il 7 luglio da Il Corriere della Sera, entrava nella classifica insediandosi al 6° posto. Secondo TuttoLibri de La Stampa del 9 luglio invece, sempre tra i romanzi non italiani, L'Assassino entrava in graduatoria, ma piazzandosi all'8° posto.Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane, anche perchè è appena uscito Maigret e l'uomo solo che, mi voglio sbilanciare, vedrete come aggredirà la sezione Tascabili. E metterà così in classifica due Simenon, cosa cui siamo per altro abituati nei periodi festivi ed estivi.

martedì 12 luglio 2011

SIMENON, TIGY E BOULE...TUTTI IN ACQUA!

Simenon in acqua e dietro, a destra Tigy, a sinistra Boule
Una delle prime caratteristiche di Simenon cui l'attenzione della stampa e dell'opinione pubblica si appuntarono, fu senz'altro la sua passione per i viaggi in barca su quei canali che allora non permettevano di attraversare solo la Francia, ma consentivano di arrivare in Belgio e ancor più in là in Germania, in Olanda...
Prima una barchetta poi una più grande, ma questo l'abbiamo già raccontato nel post del 19 gennaio Simenon e l'acqua dei canali. Poi venne il Mediterraneo, quindi il Mar del Nord... e infine i mari esotici di Tahiti, Papeete, Galapagos... il Mar Rosso.
Simenon ha sempre avuto un certo rapporto con l'acqua, a parte quella dei canali, e con quella delle isole francesi, come Porquerolles, infatti ha spesso abitato se non sull'acqua, molto vicino.
Nella decina d'anni che passò tra Marsilly, Nieul-sur-mer e Sables d'Olonne era di fatto sulla costa atlantica francese. Quando visse dieci anni in America soggiornò a Bradenton Beach (Florida) sul'Oceano Pacifico e la sua Shadow Rock Farm dove si installò per diversi anni era a Lakeville (Connetticut), proprio a un passo dal Wononskopomuc Lake.
E si ci pensiamo bene, quando tornò in Europa e decise di vivere in Svizzera, la maggior parte della sua vita la passò nei pressi di Losanna e dell'omonimo lago, e gli ultimi anni proprio in una casa molto vicino alle sue rive.
E non è quindi un caso che nei titoli dei romanzi o delle inchieste del commissario Maigret si trovino riferimenti all'acqua di canali, fiumi, laghi, mari... Tanto per esempio, Le port des brumes (1932), Le passager du Polarys (1932), L'ecluse n°1 (1933), Tempet sur la Manche (1944), Les dimanches de Tahiti (in altra versione come Touriste de bananes 1938), La Marie du port (1938). Senza contare poi articoli, resoconti e reportage delle sue esperienze di viaggiatore per mare di cui scriveva sui giornali  (Au fil d'eau, Le Figaro Illustré -1932 • Mare Nostrum, ou la Méditerranée en goélette, Marianne -1934 • Le Drame mistérieux des Iles Galapagos, Paris Soir - 1935 • Long Course sur les rivières  et caneaux, Marianne - 1952).

lunedì 11 luglio 2011

SIMENON. MAIGRET IN ITALIA, LE COLLANE PIU' FAMOSE

Il Romanzo Mensile. Un titolo che non dice nulla a quasi tutti, tranne qualche cultore bibiliofilo. Siamo nel 1903 e l'allora editore de Il Corriere della Sera iniziò le pubblicazioni di questa rivista alla modica cifra di 50 centesimi. Rivista longeva, visto che nel 1929 ancora era in vita e che proprio in qull'anno iniziò a pubblicare quelli che sono in assoluto i primi scritti di Simenon in Italia. Per la precisione si trattava dei romanzi popolari firmati Georges Sim (editi in Francia da Tallandier e Fayard).
Ma veniamo invece al commissario Maigret. Arnoldo Mondadori, che aveva fiuto da venedere, nel 1932 si era accaparrato i diritti di pubblicare in esclusiva per l'Italia qualsiasi scritto di Simenon.
La collana che accoglierà le inchieste del commissario sarà quella dei I Libri Neri e la prima fu L'ombra cinese, nel settembre del '32 (uscito per Fayard nel gennaio dello stesso anno). E la veste grafica di questa collana ricalcava alla virgola quella dell'editore francese. Tra il '32 e il '33 uscirono ben dodici titoli, costo 3,50 lire.
In tutte le prime diciannove inchieste che Simenon scrisse per Fayard, nei titoli non appariva mai il nome di Maigret. E lo stesso successe in Italia. Il personaggio era agli inzi, la sua fama non così estesa e il suo nome in copertina non avrebbe fatto funzionare meglio le vendite, che alla fine non furono proprio un successo.
A quel punto fu trasferito sui Gialli Economici Mondadori, emanazione della più gloriosa serie I Gialli Mondadori che era nata nel '29. Questi erano più a buon mercato di quelli, 2 lire contro 5, ma anche de I Libri Neri.
Altra serie per Maigret fu la B.E.M, la Bilblioteca Economica Mondadori varata nel '54 ma che nel '56 cambierà titolo in Il Girasole, che pubblicherà poco più di una dozzina di titoli inediti, ma che soprattutto inizierà ad avere il nome di Maigret in bella evidenza. Ormai la popolarità del commissario è acclarata e costituisce un forte impulso per lel vendite. Popolare anche il prezzo, fissato a 200 lire.
Poi vennero i cosiddetti telati. La collana tra il  '56 e il '60 è la stessa, ma provvista di una costa telata che varia di colore a secondo del genere: Maigret avrà quella gialla e i romanzi di Simenon quella verde.
Negli anni successivi le inchieste di Maigret uscirono nei Gialli Mondadori, nelle sue varie appendici, nella collana I libri del Pavone. Occorre arrivare al 1966, quando la Rai fece debuttare gli sceneggiati con Gino Cervi, e i quattordici milioni di spettatori convinsero la Mondadori a inaugurare una nuova serie tutta deidicata ai Maigret. Nome del commissario ancora ben in vista, copertine disegnate da Ferec Pinter con un Maigret che ha la faccia di Cervi.
Dal '65, con il lancio degli Oscar, Mondadori riunisce tutte le serie economiche di tutti i generi e dentro finiscono i romanzi di Simenon e le inchieste di Maigret.
Nel '79 verrà creata la divisione Oscar Gialli e i Maigret perdono le meravigliose copertine di Pinter. L'ultima collana mondadoriana per il commissario saranno gli Oscar Scrittori del Novecento dal '94 al '96 (una trentina di titoli). Dopodichè passati sessantaquattro anni in Mondadori, Maigret trasloca e passa sotto il tetto dell'Adelphi, casa editrice però che dal 2006 è per il 48% proprietà della RCS Group, la stessa casa editrice che pubblica Il Corriere della Sera... come succedeva nel 1903 con Il Romanzo Mensile. Come dire, almeno quasi metà di Simenon è tornata a casa.

domenica 10 luglio 2011

SIMENON. "LA STAMPA", L'ASSASSINO E QUALCHE CONSIDERAZIONE

Tra gli inserti culturali dei grandi giornali di questo weekend, vogliamo segnalarvi un articolo di ampio rispiro che il TuttoLibri de La Stampa ha dedicato nel paginone centrale al, romanzo di Simenon pubblicato da qualche giorno, vedi il post su L'assassino. Una buona recensione, quella sull'edizione Adelphi, tradotta da Raffaela Fontana.
Stavolta il protagonista, il dottor Kuperus, compie il cosiddetto passaggio della linea, e da irreprensibile e stimato medico, diventa un duplice assassino (uccide la moglie e un avvocato suo amico, dopo che una lettera anonima gli ha svelato come i due fossero amanti). Piano piano gli amici e la gente iniziano a scansarlo. La sua disgrazia sarà proprio sentirsi sempre più solo e indesiderato. Nessuno sostiene apertamente che l'omicida sia lui, anzi al principio viene addirittura sostenuto dalla comunità. Ma poi con il passare del tempo, con il propagarsi della notizia che è divenuto, come dice lui stesso, "l'amante di Neel, la mia cameriera", l'attegiamento della gente cambia.
Keperus, al contrario di altri personaggi in medesime situazione di diversi romanzi di Simenon,  non fugge, non vuole fuggire, cerca forsennatamente di ricreare una normalità. Lui e Neel dormono, pranzano, vivono insieme, fanno l'amore, assumono una giovane che faccialei la cameriera. Intanto la Neel, anche se non molto convinta, dovrebbe prendere il posto della moglie. Lo farà perchè costretta? Forse non sarebbe quella la sua scelta... tra l'altro aveva già un altro amante...che...
Ma non sveliamo l'intreccio e i risvolti psicologici che sono i punti forti di questo romanzo di Simenon dove, quello che lui chiamava il declic, cioè l'elemento banale che fa scattare tutta la tragedia, è un mezzo fiorino. Una somma così trascurabile, eppure metterà in moto una serie di meccanismi che alla fine porteranno tutti ad allontanarsi da lui. Il giudice Groven suo amico di famiglia, che indaga sul caso, quasi gli ordina di prendersi una lunga vacanza. Interrogata, Neel gli riporta quello che la gente dice: che lui partirà a breve. Il medico Der Greef, chiamato da Kuperos per un malore, gli dice che non ha bisogno di medicine, ma di una vacanza, di andar in un altro posto. E intanto Beetje, la giovane servetta maltrattata e presa schiaffi dal suo padrone, andrà in giro a dire che lui è un pazzo. Un'altro suo amico, l'avvocato Van Malderen, rifiuta di assisterlo in una causa di diffamazione che Kuperes vorrebbe intentare contro non si sa bene chi, per difendere il proprio onore. E gli consiglia di non rivolgersi a nessun altro avvocato perché nessuno lo difenderebbe. Ormai viene scansato e guardato stranamente da tutti. I ragazzini arrivano addirittura a mettergli biglietti nella cassetta della posta con su scritto "assassino".  E infine anche la Neel, quando lui sembrerebbe intenzionato a partire, sotto la pressione generale, gli risponde che non lo seguirebbe, non vuole lasciare la sua città. Insomma anche lei lo abbandonerebbe.
La recensione di Gabriella Bosco, è ovviamente diversa da quella appena tratteggiata da noi, tocca altri tasti e si chiude con una parallelo tra la Neel e la femme de chambre "storica" di Simenon Boule. Su questo dissentiamo. Sia il carattere, sia la vicenda delle duesono così diverse che Simenon non può aver preso spunto dall'una per creare l'altra.
Simenon e Boule avevano un rapporto sessuale, quasi quotidiano, e un legame affettivo molto forte e esisteva una reciproca stima tra i  due. Ma Boule era anche un elemento della famiglia Simenon, diremmo, indispensabile e da tutti considerata e benvoluta.
La Neel di Kuperos é invece obbligata dalla situazione a cedere al suo padrone, a prendere il posto della moglie. E' timorosa, chiusa, reticente. Mentre Boule era solare, aperta, sincera, sempre dalla parte di Simenon, anche quando la moglie Tigy scoprì i loro quotidiani appuntamenti sessuali. E non prese mai il posto di M.me Simenon. E poi la crisi vera tra Georges e Tigy, non fu nel '35, ma successiva. In quell'anno come scrive la stessa Tigiy nel suo "Souvenirs"  (Gallimard 2004) in quell'anno fanno il giro del mondo insieme,  e poi ha carta bianca nell'arredare e sistemare il prestigioso appartamento che hanno preso in boulevard Richard-Wallace. E poi d'inverno vanno insieme a fare le vacanze sulla neve a Combloux (Haute-Savoie) dove  Simenon scrive proprio L'assassino.

 

sabato 9 luglio 2011

SIMENON SI RICORDA...

Copia di Je me souviens con dedica di Simenon
Abbiamo già accennato al fatto che nel '40, quando abitava A Fontney-le-Comte, a Simenon, in seguito ad una diagnosi sbagliata, fu pronosticato una fine prossima, due o tre anni, a causa del cuore malato e a patto che non si stancasse, smettesse di scrivere, fumare, bere, fare sesso... altrimenti la fine si sarebbe fatta più prossima. E questo portò ad una serie di conseguenze per le quali vi rimandiamo al post del 9 gennaio Paura di morire o fiuto per la comunicazione?.  A parte tutte le altre vicende annesse e connesse, vere o immaginate, una conseguenza tangibile di quell'episodio fu uno dei suoi primi libri autobiografici. Proprio ottant'anni fa', nell'estate del '41 Simenon finì la prima stesura di Je me souviens... che nelle sue intenzioni serviva a lasciare al figlio Marc, nato da appena un anno, qualcosa che gli ricordasse il padre, le sue ascendenze, com'era, cosa aveva fatto.
E' un libro particolare. Niente a che vedere con quelli scritti di otto/dieci giorni in état de roman. Qui ci fu una prima stesura che richiese circa sei mesi (dicembre '40-giugno '41) poi il libro rimase a "decantare" fino al '45, quando nel gennaio, a Sables d'Olonne, Simenon ne fece una revisione e a fine anno Presses de La Cité lo pubblicò. Ma poi ci fu una seconda edizione rivisitata nel '61.
Anche la lunghezza è particolare, sono in tutto diciotto capitoli (diciannove nella seconda edizione) dove l'intento è quello di ricreare il suo mondo, quello della sua adolescenza, la storia delle famiglie del padre e della madre, i momenti drammatici della guerra. I nomi non sono quelli veri e una nota di Simenon ci tiene a sottolinearlo. Ma poi nell'edizione del '61 torneranno a coincidere con quelli reali. Qualcuno ha addirittura azzardato che in questa opera ci siano delle vicende che potrebbero essere una sorta di messaggi in codice... ma poi per chi? La realtà che nel libro si sente la pressione di qualcuno che vuole  trasmettere al figlio tutto un mondo che lui non potrà raccontargli e che lo fa pressato dal (vero o presunto) timore di morire (anche se i tempi di stesura e di pubblicazione tutta questa fretta non la confermerebbero). Comunque si tratta di una tappa importante per le opere biografiche di Simenon che passeranno per Pedigree (1943), poi per i Dictées arrivando infine a Mémoires intimes (1981).
Particolare da sottolineare, il titolo fu scelto dall'editore, Sven Nielsen e Simenon non digerì mai del tutto la cosa. Ma d'altronde si trattava come abbiamo detto di un'opera fuori-serie, cioè basara su canoni diversi dalla sua letteratura: siamo in bilico tra una vera confessione e una ricostruzione romanzata del suo passato familiare. Je me souviens vive una genesi travagliata, la lunga gestazione, l'oblio per quattro anni, passaggi sopressi e poi ripristinati e infine una nuova edizione del '61. Altro che romanzi scritti d'istinto sotto l'impulso dell'ispirazione! E anche l'attenzione alla lingua e allo stile è ben altra cosa. E lo dice proprio Simenon, in  una nota scritta in occasione della seconda edizione.
"...Non si tratta in effetti di un'opera letteraria, ma di una specie di documento. Lo stile è piuttosto quello parlato, familiare, di un padre che si rivolge al figlio e non lo stile scritto di un romanziere. Sopprimere le ripetizioni, evitare i luoghi comuni, gli errori? Bisognerebbe riscrivere tutto e ho paura che un tale trattamento toglierebbe a queste pagine la loro spontaneità...".

venerdì 8 luglio 2011

SIMENON. MAIGRET E IL CASO DELL'OMICIDA DIVENUTO UOMO SOLITARIO

Non cercatelo. "Maigret e l'omicida" non è uscito
ll caso è questo. Fino a qualche giorno fa (ne avevamo dato conto in un post del 4 luglio, con tanto di foto) l'Adelphi annunciava come anteprima l'uscita di una nuova inchiesta del commissario: Maigret e l'omicida. Poi cala l'ombra del mistero e come nei migliori noir (o in questo caso sarebbe meglio scrivere polar), ritrovata la luce, ci si accorge che non sempre tutto è come sembrava. Infatti l'anteprima si trasformava in novità, cioè nell'uscita in libreria, ma il titolo cambiava. Addio all'omicida, arrivava un altro individuo. Nelle librerie infatti potrete trovare Maigret e l'uomo solitario, che è tutta un'altra inchiesta rispetto a quella annunciata. Quest'ultima scritta nel febbraio del 1971, in assoluto uno degli ultimi Maigret e l'altro invece finito circa un anno prima.
Qui (con l'uomo solitario e non con l'omicida) siamo a Parigi, Les Halles, in un bollente agosto degli anni '60 e un clochard, a suo modo distinto, viene trovato ucciso da tre colpi di pallottola. Chi poteva aver interesse a uccidere un barbone? E poi come poteva aver tratti così signorili e addosso stracci così malridotti?
"....Aveva una certa età e lunghi capelli argentati, con riflessi azzurrini. Anche gli occhi erano azzurri ma la loro fissità metteva Maigret a disagio e il commissario glieli chiuse. Aveva baffi bianchi leggermente arricciati e un pizzo bianco alla Richelieu. Era rasato di fresco e Maigret ebbe una nuova sorpresa scoprendo che le mani del morto erano curatissime...".
Cherchez la femme. In effetti tutto ruota attorno a motivazioni banali come l'amore, la rivalità, la gelosia, ma la souzione del caso non sarà affatto facile per Maigret. E per noi sarà facile o no risolvere il caso dell'anteprima che cambia titolo quando diventa novità?

SIMENON: MATITE O MACCHINA PER SCRIVERE?

La domanda posta nel titolo potrebbe sembrare superflua. Invece ha un significato non solo simbolico, ma anche metodologico. Anche se dichiarazioni, interviste e scritti autobiografici al riguardo sembrano un po' contraddittori. Si legge spesso che agli inizi Simenon scriveva con le matitie e poi una dattilografa era incaricata di ribatterla a macchina. Poi avrebbe iniziato anche lui ad utilizzare direttamente la macchina per scrivere. Ma per un periodo, nei primi anni '60 tornò per alcuni romanzi a fare le due cose insieme. Prima la versione scritta a mano e poi quella battuta a macchina. Perchè?
Ce lo spiega un'intervista a Simenon fatta da Francis Lacassin (in Conversation avec Simenon - 1990). "...la prima redatta a mano e la seconda dattilografata. Per rasicurarsi, per rendere la dattilografia dell'indomani meno stancante, aveva preso l'abitudine verso la fine del pomeriggio di scrivere con la matita il capitolo che avrebbe dovuto dattilografare il mattino seguente. Ma si poneva una questione: quando batteva a macchina consultava il manoscritto del giorno prima?..."
Era solo una sorta di rete di protezione come per gli equilibristi? Oppure un vero e proprio ancoraggio che gli dava sicurezza? La risposta di Siemenon é categorica.
"No, non serviva concretamente a nulla, se non a farmi perdere tempo... e poi due sedute di lavoro ogni giorno... era un fatica...".
Già, la fatica e torna il ricordo del suo stato mentre scriveva.
"...scrivevo in un tale stato! d'altronde non dimenticate che io terminavo un capitolo di venti pagine in circa due ore e che alla fine avevo perso ottocento grammi. Abbiamo fatto l'esperimento con Teresa: lei pesava i vestiti puliti prima di darmeli. Infatti avevo degli indumenti che servivano solo a scrivere, quasi una superstizione: due camicie una rossa e una marrone a scacchi. Le avevo comperate a New York. Ebbene dopo ogni seduta di scrittura pesavano ottocento grammi di più..."
"Cinque chili e mezzo per ogni romanzo?"
"Esatto, ma li recuperavo in meno di un mese, però li perdevo in sette giorni... Allora, quando uno scrive in queste condizioni, vi garantisco che non pensa a mettere delle idee. Si pensa ad incarnare il proprio personaggio, e a rimanere, dico io, in état de roman..."
E questo, l'abbiamo detto più volte, è il motivo per cui Simenon era così rapido nello scrivere. Doveva aver finito prima che svanisse quello stato di grazia.
"...all'inizio durava fino ad undici giorni, poi dieci, poi nove ed ore sette. Siccome ormai dopo sette giorni sparisce, stato è per questo motivo che i miei romanzi sono passati da undici, a nove, fino a sette capitoli...".
Insomma la matita che sembrava funzionale a scrivere un brogliaccio per poi tagliarlo, modificarlo e correggerlo nella scrittura a macchina, via via perse importanza, anche perchè il ritmo veloce della scrittura a macchina si confaceva alla sua scrittura istintiva che lasciava poco spazio ai ripensamenti, alle considerazioni e ai cambiamenti.
Anzi la risposta che stavolta Simenon dà a Lacassin sembre rivoltare un po' le cose.
"...Notate che io ho sempre scritto i miei romanzi direttamente a macchina. Come sapete ho iniziato la carriera come giornalista: allora trovavo che scrivere a mano fosse troppo lento. Ho smesso di scrivere a mano quando avevo quindici, sedici anni. Quando ho iniziato a scivere i romanzi ho usato la macchina, era così naturale... Da allora ho sempre scritto a macchina e sono stato sempre più veloce di tutte le mie segretarie. Battevo senza problemi una media di novanta parole al minuto. Dei giornalisti amiricani una volta sono venuti anche a controllarlo...".
E allora tutte quelle matite ben appuntite sulla scrivania che ci facevano? Un accenno, non proprio una risposta, la troviamo in un Dictée del'78 "...Credo di conservare una certa nostalgia dei miei lavori benedettini perché sono anni che non mi servono più, ma le mie matite sono sempre sul mio tavolo nel loro cilindro di cuoio...".

giovedì 7 luglio 2011

SIMENON E I SUOI LETTORI

Quello cui Simenon teneva di più era la possibilità che i propri lettori  si indentificassero con i personaggi dei suoi romanzi, con i loro pregi, i loro difetti, le loro vicende. Insomma voleva raccontare le cose di tutti i giorni che possono capitare alla gente comune.
E lo spiega benissmo durante la famosa intervista con il giornale medico svizzero Médicine et Hygiène.
"...quando il lettore vede un personaggio che gli somiglia, che ha i suoi stessi sintomi, che si vergogna per le stesse cose, che ha i medesime turbamenti interiori, si dice: non sono quindi il solo, non sono un mostro...E io voglio dimostrare che i piccoli drammi che li angosciano, di cui non vogliono parlare a nessuno, non sono soltanto loro e che molti altri esseri umani vivono gli stessi tormenti...".
Insomma una sorta di intento terapeutico, come se si prefigesse di aiutare quanti leggono i suoi romanzi.
D'altronde non va dimenticato che anche nei Maigret troviamo un po' la stessa filosofia. Quando il commissario è guidato dal principio di capire e non giudicare, è un po' utilizzare lo stesso concetto visto da un'angolazione diversa. Non c'è nessun giudizio da dare, anche per quelli che hanno commesso dei reati gravi, perché quelle stesse pulsioni, quegli stessi meccanismi inconsci li ritroviamo in tutti noi, anche nelle stimate persone della buona società.
E infatti quanti personaggi dei romanzi di Simenon sono rispettabili e inappuntabili, finchè non succede qualcosa che li rende diversi?
Ma torniamo ai lettori, a quelli che scrivevano al romanziere e ai quali considerava un dovere rispondere. Nonostate ricevesse migliaia di lettere dai suoi ammiratori, non sempre riguaravano i giudizi sui suoi romanzi.
"...sembrano le lettere che un individuo scrive al suo medico o al suo psicanalista: Voi siete uno che mi capisce. Mi sono riconosciuto spesso nei vostri romanzi - tanto per confermare quello che abbiamo riportato più sopra - E poi ci sono delle pagine di confidenze; e non si tratta di idioti, certo ci sono anche quelli, ma molti al contrario, sono delle persone che... insomma anche di personaggi importanti. Ne sono davvero sorpreso...".
Erano lettere che Simenon affermava arrivare soprattutto da giovani e da persone anziane. E mentre i primi gli chiedevano consigli sulla professione di scrittore, o sullo stile della scrittura,  la corrispondenza dei suoi lettori più anziani erano testimonianze della loro vita, o ancora delle confidenze e più spesso la spiegazione di un loro problema.
Insomma, come accade ad uno scrittore di successo come Simenon, fra i suoi lettori c'era un po' di tutto e, come spiega in uno dei suoi Dictées: "...tra chi si riconosce nei personaggi dei miei romanzi, ci sono quelli preoccuapati che si domandano se il loro avvenire sarà così drammatico come nei miei romanzi e se sono destinati a finire così tragicamente. Queste sono quasi tutte delle persone umili, che non hanno accanto qualcuno che possa confortarli e mi emoziona che si rivolgano ad un estraneo i cui scritti danno loro confidenza...".

mercoledì 6 luglio 2011

SIMENON. UNA MOSTRA SUI SUOI MANOSCRITTI A BRUXELLES


Gérard Lhéritier, Presidente del Museo delle lettere e dei manoscritti di Parigi che fu iniziato nel 2004 e inaugurato nel 2010 sul boulevard Saint-Germain, ha annunciato la creazione di un secondo Museo delle lettere e dei manoscritti, questa volta però a Bruxelles.
Come era facile prevedere, il museo, appena finito, ha in calendario, in occasione del debutto della struttura, una manifestazione sul romanziere Georges Simenon. Saranno ovviamente esposti dei manoscritti, alcuni inediti, altri famosi come le buste gialle di Manila sulle quali il romanziere appuntava i nomi dei suoi personaggi, qualche caratteristica come l’età, il lavoro, i gradi di parentela, un minimo di cronologia. “Era del tutto naturale – ha dichiarato Gérard Lhéritier in una conferenza stampa - per questo Museo scegliere il famosissimo romanziere belga per l’esposizione inaugurale, che si terrà il 23 settembre 2011".