giovedì 31 ottobre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. IL CASO TERESA SBURELIN

Partiamo dal testamento di Simenon. Forse lo stesso avrebbe fatto Maigret. O meglio lo scrittore l'avrebbe fatto fare a Maigret. Gli eredi ufficiali erano quattro: Denyse, con cui, per quanto avessero rotto i rapporti già dal '64 cioé da ben 25 anni, erano comunque rimasti ufficialmente sposati, e poi i tre figli, Marc, John e Pierre-Nicolas. I termini del testamento furono blindati. C'erano i diritti delle opere letterarie, degli sfruttamenti cinematografici, televisivi e di qualsiasi altro tipo. E poi case, dipinti, patrimoni in titoli e quant'altro, ma delle divisioni non si seppe praticamente nulla, se non che a Denyse toccò un appartamento a Nyon (Canton de Vaud) e un vitalizio. Tigy, la sua prima moglie aveva avuto quella che era stata la loro casa di Nieul, nella Charentes. E la terza donna di Simenon? Teresa Sburelin già sapeva che a lei sarebbe andata la loro casa di rue des Figuiers.
Ma fermiamoci un attimo e facciamo alcune considerazioni.
Simenon conobbe Regine Renchon, la sua futura prima moglie a Liegi nel 1920, si sposarono nel '23 e si separano ufficialmente nel '50 (anche se da qualche anno la loro unione era solo formale e in seguito si era invece ufficializzato il rapporto con Denyse Ouimet). Quindi rimasero sposati quasi venticinque anni ed ebbero un figlio, Marc. Con Denyse la storia iniziò nel '45, sia pur nella clandestinità, si sposarono nel '50 e andarono avanti fino al 1964. Quindi quasi vent'anni e tre figli John, Marie-Jo e Pierre-Nicolas. Teresa Sburelin era entrata a servizio dei Simenon come femme de chambre nel '61, all'età di 35 anni. La sua relazione con lo scrittore iniziò poco dopo la dipartita di Denyse, quindi '64/'65, e andò avanti fino alla sua morte nel 1989. In tutto 24 anni e nessun figlio.
Sicuramente queste tre donne importanti nella sua vita, dedicarono al loro uomo i migliori anni della propra vita. E dedicarsi ad un personaggio come Simenon non doveva essere certo facile. E, tornando a Teresa, potremmo dire che è stata forse quella che ha dato di più a Simenon. O meglio, quella che, in quel momento non particolarmente felice della sua vita, ha saputo offrirgli quello di cui più aveva bisogno.
Ha scritto Pierre Assouline in Simenon biographie  (1992)  "... dopo aver conosciuto l'amicizia con Tigy, poi la passione con Denyse, scoprirà la tenerezza con Teresa...".
In effetti Teresa si dedicò a Simenon in modo totale, ma discreto e molto  riservato. Ad esempio anche quando erano una coppia ormai ufficiale, lei era spesso dietro le quinte. Nelle occasioni ufficiali si rendeva spesso invisibile, compariva qui e là, per far vedere al suo Georges che lei c'era e che all'occorrenza si sarebbe presa cura di lui, ma gli lasciava la scena, lei non amava apparire. E' raro trovare una sua fotografia o una di loro due insieme.
E poi va considerato che Teresa lo accudì nella fase più critica della sua vita. Lo soccorse quando ad Epalinges cadde mentre era in bagno ed é sempre lei che lo vegliò in ospedale. Nel '74 si prese cura di lui quando si ruppe un femore, e poi tre anni dopo per una più banale intervento alla prostata, ma soprattutto quando, a fine '84, Simenon venne operato di tumore al cervello. Allora erano già cessati i rituali dei Dicteès, ormai da tre anni aveva pubblicato l'ultima sua fatica Mémoires intimes. Ma dopo quell'operazione, finirono anche le ultime letture, più di argomento medico che non letterario. E fu ancora Teresa a riempire le sue giornate vuote, a portarlo sulla carrozzella, sul lungolago di Losanna a predere luce ed aria. Fino agli ultimi giorni. Fino al trapasso, avvenuto mano nella mano.
E va ricordato che, per rispettare la volontà di Simenon, fu lei a tacere della sua  morte, a far cremare il corpo, a spargere le ceneri nel giardino di rue des Figuiers, come lui aveva disperso quelle della figlia Marie-Jo. Solo allora informò  parenti, amici, media, anche se, a causa di una prezzolata soffiata di un dipendente comunale, un quotidiano di Losanna riuscì lo stesso a dare la notizia.
Rimasta sola, Teresa visse ancora qualche mese al 12 di rue des Figuiers. Poi andò via. I figli di Simenon la cercarono, ma invano. Teresa sembrava sparita. Nessuna traccia. Alcune voci raccontavano che si fosse ritirata in un paesino del suo Friuli. Ma nessuna conferma venne mai. Dopo la scomparsa di Simenon disse  ad un giornalista: "... Durante la sua vita sono stata la sua compagna. Ora non sono più nulla. Non mi ha lasciato che i miei ricordi ed essi mi appartengono...". E non volle che nessuno entrasse in casa: "No, la casa mi appartiene; è un luogo di ricordi e non voglio che nessuno ne turbi la quiete...".

mercoledì 30 ottobre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. PEDIGREE E ANDRE' GIDE


Ci pensava da tempo. Da quando aveva scritto Le Testament Donadieu (1937). Lanciato ormai nella letteratura ed entrato in Gallimard, la casa editrice più raffinata di Francia, anelava ad un'opera che lasciasse il segno, un romans, un journal, delle mémories... Non aveva ancora ben chiaro cosa, anche se pian piano si faceva strada l'idea di una grande opera che fosse un ritorno al mondo della sua infanzia. Siamo nel '40 è scoppiata la guerra e Simenon si è ritirato, nel suo castello a Fontanay-le-Comte, quasi isolato al mondo. E' il periodo in cui dopo che un medico avendogli scoperto una grave anomalia al cuore, gli aveva dato un paio d'anni di vita o poco più (diagnosi rivelatasi poi falsa). Lo spettro della morte (vero o creduto) è un'altro fattore importante di quel periodo. In più c'era la sollecitazione di André Gide a concentrarsi su un opera importante.
Autunno del '40. La coincidenza di questi fattori, fà scattare in Simenon quel famoso declic e si butta a corpo morto su quello che sarà poi Pedigree. Sa da dove partirà, ma non sa quell'impresa dove lo porterà e cosa quell'opera sarà alla fine.
L'intenzione dichiarata all'editore è quella di " ...un canzone di gesta della piccola gente, quelli che fanno quello che gli si dice, senza che sappiano dove andranno a finire e che provano lo stesso ad andare da qualche parte, e che si ostinano, arrampicandosi, e cadendo, aggrappandosi, disperandosi e poi sperando nuovamente... Partirò dal 1903 e arriverò... non si fino a quando... La mia  personale esperienza conterà poco, ma tutto sarà tragicamente vero, nomi compresi..."
Una prima stesura ancora non completa viene inviata all'editore senza neanche una rilettura. Forse Simenon è timoroso, ha perso qualcosa dell'entusiasmo iniziale. Ora iniziano ad affiorare i dubbi. Si sente come un debuttante e in qualche senso lo è per il tipo di opera che ha avuto l'ambizione di scrivere. E non è più sicuro di quello che ha creato.
In questi momenti di smarrimento, il non ancora quarantenne scrittore, si rivolge al suo maestro, Gide, che sembra l'unico in grado di capirlo e di dargli sicurezza. In una lettera gli chiede, però, un'analisi spietata:
"...Non è che scrivendo per il mio piacere,  per il gusto di liberarmi infine di ogni regola, ma anche dell'affanno di una pubblicazione immediata, sarò arrivato a scrivere solo per me stesso e vicende che hanno sapore e valore soltanto per me?... Forse dovreste riportarmi alla realtà...So che sarete sincero. Ve lo domando. Vi supplico....". Nel frattempo Gallimard ha girato la bozza a Gide.
Tutti sono in attesa delle sue parole.
"Mi è piaciuto il tono. I personaggi si stagliano immediatamente, la voglia di conoscerli maggiormente, di seguirli si rinnova ad ogni pagina - commenta Gide - Attendo con impazienza il seguito".
Ma a lettura finita il suo giudizio sarà impietoso. "E' toccante, ma confuso. Come non mai, è con le migliori intenzioni che si fa della cattiva letteratura". E ancora "...senza sostanza, senza arte... - e rivolgendosi all'editore - si rischia di andare incontro ad una catastrofe."
La posizione di Gide è molto severa, ma la sua stima per Simenon riamane, anche se si chiede "Ora quello che ci si aspetta da Simenon è di capire com'è diventato quello che è oggi; ma forse lui stesso non sarà capace di farlo".
Insomma parere negativo. Ora si tratta di farlo sapere a Simenon, questo è il problema di Gide e di Gallimard. L'editore decide per la via diretta. Gli fa pervenire la relazione integrale di Gide. Per Simenon è un colpo micidiale, ma è un buon incassatore, ribatte che è una prima stesura, materiale ancora grezzo che ha bisogno di essere rielaborato e integrato. Questa vota non scrive in état de romans, pianifica, organizza, non chiude tutto in dieci giorni... la strada e lunga e non si è dato scadenze. E infatti, in un modo assolutamente inconsueto, lavora per un anno intero al libro. Gide ne fà, a più riprese, una puntigliosa revisione. Il libro verrà faticosamente terminato, Simenon ha dato il meglio di sé stesso, di più non avrebbe potuto.
Gide chiuse la questione dichiarando che " Simenon vale più della sua reputazione". Gallimard alla fine pubblicherà il libro a guerra finita, nel '48.
Aldilà della sua riuscita artistica, Pedigree è sicuramente un libro che ha lasciato un segno, ha influenzato Simenon, positivamente, costringendolo a prendere maggior coscienza di sé e liberandosi anche di certi fantasmi che lo perseguitavano.

martedì 29 ottobre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. "L'AFFAIRE PENSIONE"

"Al giorno d'oggi il mondo cambia ... Non c'è quasi più niente di sicuro, è tutto uno scombussolamento ... Ma una cosa non cambia, una sola: la pubblica amministrazione!... E alla fine c'è sempre la pensione, vale a dire la certezza che, qualunque cosa succeda, si potrà concludere decentemente la propria esistenza ...".Questa frase non è stata pronunciata oggi, e non è uscita dalla bocca di qualche compiaciuto impiegato statale alla vigilia della sospirata pensione, oppure da qualche politico in vena di promesse per cercare di aumentare il suo bacino di elettori.
L'ha scritta Simenon nella Francia dell'anteguerra, settantatre anni fa', in un suo romanzo "Touriste de bananes" (Gallimard 1938). Ovviamente Simenon in pensione non ci andò mai... l'ingente patrimonio accumulato, sin da quando aveva circa trent'anni, lo teneva...  al riparo da qualsiasi problema, anche se manteneva, almeno fino ad un certo punto, un tenore di vista decisamente molto sostenuto.
La pensione, quella che in francese si dice retraite (che letteralmente significherebbe ritirata) lo scrittore la intendeva proprio come una ritirata dalla vita che aveva condotto fino a settant'anni, quando iniziò a non trovare più l'état de roman che lo mettva in condizione di creare le sue opere, quando iniziò a non sopportare più le lussuose e principesche abitazioni che aveva sempre abitato (l'ultima faraonica ad Epalinges che si era fatta costruire a misura precisa delle sue esigenze), le diverse macchine costose, tutti i quadri di pittori famosi... Da quel momento ebbe bisogno di semplicità, di essenzialità. E in questo l'assecondava la sua compagnia della tarda età, Teresa, che con lui andò a vivere a Losanna in un appartamento di un gran palazzone, con pochi mobili e lo stretto indispensabile.
"Je suis à la retraite", amava rispondere. sì, insomma si era ritirato dal suo mondo ed ora viveva "A l'abrie de notre arbre" (cioè "al riparo del nostro albero" che poi era un titolo di uno dei suoi Dictées), riferendsi al grande cedro del Libano che troneggiava nel piccolo giardino dell'ultima casa della sua vita, una costruzione piccola, dai muri rosa, su un solo piano, non lontana dal lago di Losanna. Lì si era davvero ritirato Simenon e i titoli dei suoi Dicteès sono eblematici di questo suo stato Tant que je serais vivant (1978), La main dans la main (1979), Au delà de ma porte-fenetre (1978).
E altrettanto significativo è un passo di un'intervista rilasciata a Le Monde nell'81: "...Ormai passa tutto per il mio ufficio, qui non conservo nulla. Neanche una copia di un mio libro. Non ne sopporto nemmeno più la vista. Ho regalato i miei vestiti, i miei cappelli, tutta la mia roba ad una troupe teatrale di Losanna. I miei quadri (Cézanne, Picasso, De Vlamink...) sono ormai in un magazzino..."
Simenon era davvero in pensione.

lunedì 28 ottobre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. QUESTO E' IL PRINCIPIO

Si è parlato varie volte dell'incontro tra Simenon e Colette nella redazione de Le Matin. In quel quotidiano la famosa scrittrice, allora cinquantenne, era responsabile della pagina culturale e della rubrica Les Mille et un Matin, dove venivano pubblicati ogni giorno dei racconti. E Simenon, dopo molti tentativi (e dopo aver seguito i consigli della stessa Colette che lo spronava a sfrondare il suo stile dalla "letteratura") vide pubblicato il suo racconto La Petite Idole. Era il 29 settembre del '23. Possiamo prendere questa data come l'ingresso nella letteratura ad appena nove mesi dal suo arrivo a Parigi, anche se firmato come Georges Sim.
Ma questo La Petite Idole cosa raccontava? Si tratta di due coniugi in vacanza (dove non ci viene detto, ma si tratta di una località di mare. La Costa Azzurra o una delle stazioni balneari alla moda dell'Atlantico come Biarritz...). L'ambiente che trovano è molto spumeggiante, vi incontrano anche degli amici e cosi entrano a far parte di una compagnia dove i flirt, i tradimenti, le gelosie e gli addii si susseguono. Lei, M.me Arnal, non gradisce granchè l'intimità con questo ambiente dalle relazioni facili, un po' libertine e degli amori usa e getta. Avrebbe preferito un posto più tranqullo, meglio la solitudine. E in più si preoccupa per il marito quando guarda con eccessiva attenzione le giovani donne del posto. Questa insicurezza ci viene raccontata e motivata da Simenon riportando il dialogo avuto nel viaggio in treno, in cui lei chiedeva confema del suo amoreal marito, il quale una volta la chiamava il suo "piccolo idolo". Una volta, perchè veniamo a sapere che adesso lei ha quarant'anni. M. Arnal cerca di rassicurarla in ogni modo.
Ma certo lei non era più quella di vent'anni prima, il fisico non più "felino", ma "arrondi" che non vuol dire arrotondato, ma piuttosto ammorbidito, ma conservava tut'ora un fascino di cui il marito era davvero ancora preso.
Ma lei, circondata sulla spiaggia e all'hotel di giovani donne slanciaciate e flessuose, allungava il tempo della sua toilette, il marito un po' la prenderva in giro, un po' la rassicurava che non aveva bisogno di passare tutto quel tempo a truccarsi e a cambiarsi d'abito... a lui piaceva lo stesso, così com'era.
Ma lei sapeva che mentiva, aveva percepito come guardava le giovani che giravano loro intorno.
E non aveva torto, perché agli occhi del marito quella gioventù femminile, non poteva che risvegliare un certo desiderio.
In un dialogo alla fine del racconto, lei triste cerca ancora rassicurazioni, chiede al marito prima di stringerla forte a sè, poi di chiamarla ancora "piccolo idolo" e infine di partire per un altro posto, magari di tornare a casa, con la scusa che il mare la deprimeva. Il marito, sembra non capirla, cerca infatti di minimizzare, giudicando il tutto solo il frutto di un po' di nostalgia. Si dice convinto che la compagnia e la vacanza l'avrebbero distratta e alla fine le avrebbero giovato.
E così M.me Arnal capisce che non sarà mai più il suo "Petite Idole".
Tutto qui? In effetti la trama di un racconto breve (meno di 4000 battute), non poteva essere più articolata, non ci sono descrizioni dei personaggi, che però risaltano bene, e alcune informazioni le apprendiamo dai dialoghi.
C'è qualche aggettivo speso per il paesaggio, per le acconciature della protagonista. Ma quella semplicità e linearità che predicava Colette si riscontra nell'essenzialità dello stile e nel dialogo diretto che ha una sua preponderanza, ma che rende vivo e dà un'impressione di "presa diretta" , se coì si può dire, a suo modo efficace.
Ma é solo il primo degli ottanta racconti che fino al '29 scriverà per Le Matin.

domenica 27 ottobre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. TANTI PERSONAGGI UN SOLO PROTAGONISTA


Bernard Buffet -  Homme nu dans chambre -1948
Il Simenon dei romanzi. Lo scrittore che, libero da vincoli di commissione e di generi, scriveva in libertà, in preda ai suoi état de roman. Il romanziere che prefereriva la gente comune come protagonista delle sue storie. Le persone più semplici lo attraevano e assurgevano a personaggi catalizzatori nelle vicende da lui narrate.
Su questo suo tratto distintivo sono stati versati fiumi d'inchiostro e formulate teorie le più diverse.
Quello che nessuno, o quasi, contesta, è la forte influenza che ebbero gli anni dell'adolescenza e prima ancora quella dell'infanzia. Già perchè i Simenon di Liegi, nel '900 erano se non proprio dei poveri, ma comunque una famiglia che sbarcava il lunario, con molte rinunce e parecchie ristrettezze. E mentre questo era una fonte di ineusaribile frustrazione per la madre Henriette, che proveniva dalla buona borghesia, non lo era per il padre. Desiré Simenon, impiegato semplice di una società di assicurazioni, era invece il tipo che si accontentava del proprio stato, non voleva più di quello che possedeva ed era del tutto estraneo all'istinto dell'ambizione.
Simenon era interessato dalla gente che vive assillata dai problemi quotidiani e dalle passioni comuni. Quella, a suo avviso, era le più genuina e spontanea, per quanto sempre influenzata dai condizionamenti culturali e sociali e anche abbastanza lontana da quell'ideale personaggio de "l'uomo nudo" che Simenon ha sempre rincorso nei suoi romanzi e di cui ci occuperemo in seguito.
Ma come li definiva Simenon i suoi personaggi?
"...i miei personaggi sono veri e hanno una loro propria logica nei confronti della quale la mia logica non può nulla..."(Le Romancier - 1945). E questa sarebbe la conseguenza dell'ètat de roman e del "mettersi nella pelle dell'altro", per cui la propria volontà viene annullata e la storia e il destino del personaggio va avanti fino alla conclusione aldilà delle volontà e desideri dell'autore. 
"... i miei personaggi hanno tutti una professione, hanno delle caratteristiche; se ne conosce l'età la situazione familiare e tutto il resto. E io tento di rendere ciascuno di questi personaggi pesante come una statua e fratello di tutti gli uomini della terra..." (intervista a Carver Collins - 1956). Ogni lettore avrebbe dovuto quindi indentificarsi nel protagonista, sia per la sua forza d'attrazione, ma anche per una certa contiguità di problemi, stili di vita, mentalità e destino.
Ma sappiamo che quello che cercava presentarci Simenon nei suoi romanzi era quello che lui stesso aveva definito l'uomo nudo... un'idea. Un uomo spoglio di tutte le sovrastrutture sociali, religiose e di ogni condizionamento ideologico, che rispondesse solo agli stimoli naturali ed esprimesse quindi solo sentimenti e pulsioni umane. E' chiaro che si trattava di una tensione, che un individuo così "asettico" non esisteva e il suo era solo il tentativo di mettere più a nudo possibile l'uomo, inserendolo in situazioni limite rappresentate dal "passaggio della linea" e dal seguire il proprio destino fino alle estreme conseguenze.
"...io mi rapporto all'uomo, all'uomo tutto nudo, all'uomo che é solo faccia a faccia con il suo destino, cosa che considero l'apice del romanzo..."(Le Romancier - 1945).

sabato 26 ottobre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY - SIMENON E ROTH. QUANDO E' ORA DI SMETTERE DI SCRIVERE...

Simenon smise di scrivere a neanche settant'anni. Neanche si fà per dire, visto che aveva iniziato quasi una cinquantina di anni prima.
Circa un anno fa', un'altro grande della letteratura, il romanziere americano Philp Roth ha fatto sapere che non avrebbe scritto più. Già, una delle punte di diamante della letteratura contemporanea, anche lui vicino ai settant'anni, conclude coscientemente e senza motivi condizionanti la sua attività. In realtà sembra che fossero un paio d'anni che stesse ponderando questa decisione, ma afferma di averci voluto pensare con calma e a fondo per vedere se non fosse una decisione affrettata e dettata da motivi contingenti. Adesso è ormai certo di non voler più scrivere e la notizia è diventata ufficiale.
In realtà somiglia alla decisione che Simenon prese nel settembre del 1972, quando si rese conto che il suo famoso état de roman non funzionava più, anche se fu più improvvisa ed istintiva e la comunicazione ufficiale avvenne in un'intervista (al "24 Heures di Losanna / Henry Charles Tauxe) solo qualche mese dopo, nel febbraio dell'anno successivo.
Oggi il quotidiano La Repubblica riporta un articolo del NewYork Times News Service, a firma di Charles McGrath, dove sono citate alcune affermazioni del romanziere americano. Il suo ultimo romanzo Nemesi, uscito nel 2010 ha chiuso un'attività iniziata nel '53 a ventisei anni, con il racconto Addio Columbus.
Certo tra i due c'è una generazione di mezzo. Quando Roth nasceva, Simenon aveva già completato la sua  prima serie dei Maigret e iniziava a scrivere dei romanzi. Quando morì Simenon, Roth era ormai uno scittore affermato con il famoso Lamento di Portnoy già scritto nel 1969 ed una ventina di titoli al suo attivo. Nei dieci anni che Simenon visse negli States (1945-1955), Roth era impegnato ancora negli studi.
In definitiva non possiamo dire che tra i due scrittori ci siano delle analogie, tranne questa coincidenza. Roth ha scritto storie più autobiografiche, Simenon raccontava la vita degli altri vista da dentro i personaggi. Roth è stato spesso rimproverato per la sua scrittura cruda e a volte scurrile, Simenon era controllato ed essenziale. Roth ha scritto di media un titolo l'anno, per Simenon sia va dai cinque/sei dei primi anni ai tre dell'ultimo periodo.
Però un cosa ci ha colpito. Su La Repubblica di oggi abbiamo letto "... So che non riuscirò più a scrivere bene come scrivevo prima. Non ho più la forza di sopportare la frustrazione. Scrivere è una frustrazione, una frustrazione quotidiana, per non parlare dell'umiliazione - spiega Roth - E' come il baseball: due terzi del tempo sabgli... Non ce la faccio più ad immaginare di passare altre giornate in cui scrivi cinque pagine e le butti via. Non ce la faccio più...".
La stanchezza, l'insicurezza di non riuscire più a tenere quel livello... Ci vengono in mente le parole di Simenon che abbiamo pubblicato qualche giorno fa' "... ho cercato sempre di semplificare, di raccogliere le mie impressioni, di sopprimere l'inutile, di eliminare l'aneddoto. Poi poco prima dei miei settant'anni ho avuto l'impressione che non fossi più capace di andare avanti senza danneggiare la mia salute e forse anche il mio equilibrio mentale... A settant'anni ho deciso di non scrivere più romanzi. In fondo per paura. Ho intuito confusamente quale prezzo avrei pagato per le mie opere future. Sapevo che continuare a creare dei personaggi, a sforzarmi a metterli sulla carta, costituiva una sorta di suicidio...(vedi il post relativo).