"...sono stato forse un po' snob, in qualche periodo della mia vita? Mi sono compiaciuto di gettare fumo negli occhi, di assumere certi atteggiamenti, di frequentare certi ambienti? Me la sono posta questa domanda, credo di poter rispondere in tutta sincerità: no..."
E' una frase tratta dalle prime pagine di Mémoires intimes. Già perché, da un certo momento in poi, Simenon visse indiscutibilmente nel lusso e, con lui, quelli che gli erano intorno, mogli, figli, femmes de chambre... Insomma se le frequentazioni erano spesso (ma non sempre) quelle della crema della società, ricchi magnati, artisti famosi, uomini di potere, individui di successo o famosi proprio come lui, resta un mistero del perché nei suoi romanzi trattasse di uomini e donne della condizione sociale più bassa, dei diseredati, di quelli caduti in disgrazia, dei senza speranza.
Questa era una delle domande ricorrenti che gli ponevano nelle innumerevoli interviste che gli furono fatte durante la sua vita
Simenon non aveva difficoltà ad ammettere il suo status e le sue frequentazioni, ma... Ma leggiamo quello che scriveva lui stesso "...Guidavo la mia Chrysler, fatta venire appositamente dagli Stati Uniti, che a quel tempo era oggetto di attenzioni e di stupore, o anche la Delage decappottabile con il suo cofano lungo e aerodinamico. Avevo un tavolo riservato sia da Maxim che da Fouquet e facevo parte di non so quante associazioni di gastronomi.... nonostante questo, senza sapere né perché né per come, riuscivo a scrivere un romanzo dopo l'altro.... ma quando volevo farmi venire idee per un nuovo romanzo, mi facevo un giretto attraversando il ponte lì nei pressi e mi infilavo nelle vie piene di folla e di vita come Puteaux o Billiancourt... andavo a bere al banco, nelle autentiche osterie, insieme agli operai che lavoravano nelle fabbriche della Renault o in altri stabilimenti e mi trovavo meglio con loro che con i miei amici..." .
Insomma un vero uomo double-face in grado di pranzare con banchieri, grandi editori, produttori cinematografici, ma di giocare a carte e scolarsi una birra con operai e barboni. Tutto vero o solo per sembrare un homme comme les autres? Negli anni del suo decollo della sua carriera di scrittore, decollavano anche le sue finanze e una certa rivalsa rispetto alla vita grama che aveva dovuto fare nei primi anni, sconosciuto e povero, è anche comprensibile. Poi però questo trend di vita continuò anche in America, dove magari diradò le frequentazioni mondane, ma anche abitando in piccole cittadine di provincia, il suo standard di vita rimase alto. E, se possibile, ancora più alto fu quando tornò in Europa, e decise di stabilirsi in Svizzera, paese tranquilo quanto si vuole, con un sistema fiscale e bancario molto congeniale a chi possedeva ingenti patrimoni, ma non si può dire che fosse una della nazioni più economiche d'Europa. Poi come prima residenza scelse una sorta di castello a Echandens, in seguito si fece costruire la famosa villa di Epalinges. Poi il gran rifiuto. Quando si trovò solo, con i figli ognuno per la sua strada, le mogli ormai lontane, solo Teresa a prendersi cura di lui, allora lasciò tutto. La grande villa, i libri, le auto, i quadri, tutti i simboli della ricchezza e della popolarità. Si rinchiuse con poche cose essenziali, prima in un appartamentino all'ottavo piano di un palazzone di Losanna e poi in una casetta ad un piano con un piccolo giardino. Basta viaggi o incontri mondani, ridotti all'osso quelli professionali....allora e solo allora iniziò a vivere una vita come gli altri.
Ma a quel punto aveva settant'anni. Tutta la sua vita era trascorsa in ben altro modo, anche se Simenon aveva più e più volte affermato di sentirsi vicino alla piccola gente, proprio quella da cui proveniva lui, una famiglia anche se non povera, ma certamente molto modesta.
E in un Dictée del '76 rivendica di aver ben presto disprezzato la ricca borghesia . "... fin dall'adolescenza ho odiato la borghesia che non è altro che la perpetrazione delle abitudini, dei modi di vedere, di pensare di tempi che considero ormai passati... E' curioso invece che, quando ho avuto dei figli a mia volta, abbia voluto educarli non necessariamente come anti-borghesi, cosa che non mi riguardava, ma come degli uomini, semplicemente indifferenti alle classi sociali. Ora i miei quattro figli, malgrado le brevi rivolte ispirate dalle mode, sono tutti e quattro dei bravi borghesi. Non gliene voglio. Non è colpa loro. La colpa è dovuta al successo inaspettato dei miei primi romanzi che mi hanno, per così dire, obbligato a condurre per un certo numero di anni un tipo di vita che non corrispondeva all'educazione che avrei voluto impartire loro..."
mercoledì 29 febbraio 2012
martedì 28 febbraio 2012
SIMENON. BELA TARR, L'UOMO DI...PECS
All'inizio di febbraio, la Film Society del Lincoln Center di New York ha tenuto una retrospettiva del regista Béla Tarr (nato a Pecs, nel sud dell'Ungheria), che si è conclusa con il debutto negli Stati Uniti di The Turin Horse, il film che lo stesso Tarr ha dichiarato che sarà il suo ultimo lavoro cinematografico.
Parliamo di lui perché il regista portò sullo schermo nel 2007 uno dei primi romans-durs di Simenon L'homme de Londres, l'ultimo pubblicato nel '33 da Fayard, prima di passare nel gotha di Gallimard.
Il romanzo racconta di un omicidio con furto, della caccia di un uomo ad un altro che però gradualmente si trasforma in un sorta di complicità tra i due. Ma gli avvenimenti precipitano e un'altro omicidio porterà ad una tragica conclusione della storia. La vicenda però descrive anche del cambiamento che il denaro può indurre in un individuo abituato a vivere modestamente e che ritrovandosi, per una serie di coincidenze a disporre di una cospicua cifra di denaro, inizia a trasfomarsi, a sentirsi sicuro di sé, in grado di soddisfare i suoi desideri, cosa che gli dà un'ebbrezza sconosciuta.
E' un romanzo di quelli neri dove la trama poliziesca è solo un pretesto per scavare nell'animo degli uomini con i loro chiaroscuri e le loro contraddizioni. E la bravura di Simenon sta nel rendere tutto questo in romanzo tutto sommato breve, con un atmosfera particolare, una vicenda serrata e un finale niente affatto scontato.
Il grande regista ungherese nel 2007 decide di girare un film un po' diverso da quelli che lo avevano reso celebre e lo fà portando sul grande schermo uno dei primi romanzi di Simenon, L'homme de Londres appunto, sempre con il suo inconfodibile stile, contraddistinto da lunghi piani sequenza, dal bianco-nero e da una colonna sonora essenziale. I film, che è a quanto ci risulta l'ultimo tratto dalle opere di Simenon, è alquanto suggestivo e rispecchia le intenzioni di Tarr che dichiarò di non voler realizzare una semplice trasposizione cinematografica del'opera letteraria, ma bensì una "traduzione visiva" di un romanzo che amava molto. La lavorazione del film fu piuttosto lunga, a causa di alcuni problemi di budget, ma alla fine fu presentato nel 2007 al Festival di Cannes, nella sezione Concorso, pur senza ottenere riconoscimenti.
In conclusione vogliamo riportare un commento al film di John, figlio di Georges, che tra l'altro ha dichiarato su questo film:"... le vicende di certi personaggi delle opere di mio padre non sono affatto semplici da rendere al cinema o in televisione. Ed é anche il caso de L'Homme de Londres dove la cinepresa cerca di ricreare quella suspense che ritroviamo nell'animo dei personaggi. Un obiettivo a prima vista molto difficile, ma Béla Tarr con il suo particolarissimo stile è riuscito a emozionarmi profondamente..."
Parliamo di lui perché il regista portò sullo schermo nel 2007 uno dei primi romans-durs di Simenon L'homme de Londres, l'ultimo pubblicato nel '33 da Fayard, prima di passare nel gotha di Gallimard.
Il romanzo racconta di un omicidio con furto, della caccia di un uomo ad un altro che però gradualmente si trasforma in un sorta di complicità tra i due. Ma gli avvenimenti precipitano e un'altro omicidio porterà ad una tragica conclusione della storia. La vicenda però descrive anche del cambiamento che il denaro può indurre in un individuo abituato a vivere modestamente e che ritrovandosi, per una serie di coincidenze a disporre di una cospicua cifra di denaro, inizia a trasfomarsi, a sentirsi sicuro di sé, in grado di soddisfare i suoi desideri, cosa che gli dà un'ebbrezza sconosciuta.
E' un romanzo di quelli neri dove la trama poliziesca è solo un pretesto per scavare nell'animo degli uomini con i loro chiaroscuri e le loro contraddizioni. E la bravura di Simenon sta nel rendere tutto questo in romanzo tutto sommato breve, con un atmosfera particolare, una vicenda serrata e un finale niente affatto scontato.
Il grande regista ungherese nel 2007 decide di girare un film un po' diverso da quelli che lo avevano reso celebre e lo fà portando sul grande schermo uno dei primi romanzi di Simenon, L'homme de Londres appunto, sempre con il suo inconfodibile stile, contraddistinto da lunghi piani sequenza, dal bianco-nero e da una colonna sonora essenziale. I film, che è a quanto ci risulta l'ultimo tratto dalle opere di Simenon, è alquanto suggestivo e rispecchia le intenzioni di Tarr che dichiarò di non voler realizzare una semplice trasposizione cinematografica del'opera letteraria, ma bensì una "traduzione visiva" di un romanzo che amava molto. La lavorazione del film fu piuttosto lunga, a causa di alcuni problemi di budget, ma alla fine fu presentato nel 2007 al Festival di Cannes, nella sezione Concorso, pur senza ottenere riconoscimenti.
In conclusione vogliamo riportare un commento al film di John, figlio di Georges, che tra l'altro ha dichiarato su questo film:"... le vicende di certi personaggi delle opere di mio padre non sono affatto semplici da rendere al cinema o in televisione. Ed é anche il caso de L'Homme de Londres dove la cinepresa cerca di ricreare quella suspense che ritroviamo nell'animo dei personaggi. Un obiettivo a prima vista molto difficile, ma Béla Tarr con il suo particolarissimo stile è riuscito a emozionarmi profondamente..."
lunedì 27 febbraio 2012
SIMENON. TUTTI I POSTI DEI MALOU
Oggi la tradizionale rassegna delle varie posizioni dei libri di Simenon nell'ambito dei libri più venduti, soprattutto per quello che riguarda l'ultima uscita, Il destino dei Malou.
Stavolta iniziano dagli ebook analizzati da IBS nell'ultima settimana. L'uscita più recente di Simenon occupa la 27a posizione (43a la scorsa settimana). Poi, sempre in formato elettronico, troviamo ancora anche La Pazza d'Itteville al 15° posto (dal 19°), quindi Maigret e la ballerina dei Gai-Moulin al 26° (dal 20°) e L'impiccato di Saint Pholien 41° (dal 47°).
Passiamo ora alle classifiche pubblicate nel weekend dagli inserti dei quotidiani.
Sabato TuttoLibri de La Stampa pubblicava la consueta indagine di Nielsen Bookscan che vede Il destino dei Malou al secondo posto della sezione "Narrativa Straniera". Invece i dati Eurisko pubblicati ieri nella sezione Cult de La Repubblica, lo piazzano, sempre nella "Narrativa Straniera", al 5°posto. E concludiamo con il dorso La Lettura, abbinata la domenica al Corriere della Sera, che riporta sempre dati Nielsen Bookscan secondo i quali Il destino dei Malou è 10° nella "Top Ten" e occupa il 3° posto nella "Narrative Straniera".
Stavolta iniziano dagli ebook analizzati da IBS nell'ultima settimana. L'uscita più recente di Simenon occupa la 27a posizione (43a la scorsa settimana). Poi, sempre in formato elettronico, troviamo ancora anche La Pazza d'Itteville al 15° posto (dal 19°), quindi Maigret e la ballerina dei Gai-Moulin al 26° (dal 20°) e L'impiccato di Saint Pholien 41° (dal 47°).
Passiamo ora alle classifiche pubblicate nel weekend dagli inserti dei quotidiani.
Sabato TuttoLibri de La Stampa pubblicava la consueta indagine di Nielsen Bookscan che vede Il destino dei Malou al secondo posto della sezione "Narrativa Straniera". Invece i dati Eurisko pubblicati ieri nella sezione Cult de La Repubblica, lo piazzano, sempre nella "Narrativa Straniera", al 5°posto. E concludiamo con il dorso La Lettura, abbinata la domenica al Corriere della Sera, che riporta sempre dati Nielsen Bookscan secondo i quali Il destino dei Malou è 10° nella "Top Ten" e occupa il 3° posto nella "Narrative Straniera".
domenica 26 febbraio 2012
SIMENON OGGI SALUTA L'HISTORIAL
Ieri sera l'incontro tenuto da John Simenon, figlio di Georges, dal titolo Travail, souffrance et libre arbitre dans l'œuvre de Simenon, ha costituito la vigilia della chiusura della mostra Georges Simenon, de la Vendée aux quatre coins du monde", inaugurata il 30 settembre e che ha tenuto banco all'Historial di Les Lucs-sur-Boulogne (a sud di Nantes) per quasi cinque mesi. Oggi la giornata conclusiva con dei concerti di quel jazz che piaceva Simenon, soprattutto al giovane Simenon.
Avevamo presentato a suo tempo (vedi il post del 18 settembre Simenon. Ancora un evento in Vandea) la manifestazione che quest'anno va considerata la più importante dedicata alla scrittore, non solo per la durata, ma anche per i circa duecento tra oggetti, documenti, fotografie, libri (molti provenienti dalla Fondazione Georges Simenon) che hanno fatto di questa esposizione una vera attrazione per gli apassonati lettori del romanziere e non solo.
Certo è ancora presto per tirare le somme, non ci sono ancora i numeri dei visitatori, ma commenti e reazioni all'iniziativa sono stati positivi. La mostra ha preso il titolo dalla permamenza di Simenon in questa regione per oltre cinque anni, durante i quali fece diversi viaggi nelle zone più lontane ed esotiche del mondo, ma dove ebbe anche modo di continuare la sua incessante attività letteraria, partorendo ad esempio il famosissimo Pedigree.
Avevamo presentato a suo tempo (vedi il post del 18 settembre Simenon. Ancora un evento in Vandea) la manifestazione che quest'anno va considerata la più importante dedicata alla scrittore, non solo per la durata, ma anche per i circa duecento tra oggetti, documenti, fotografie, libri (molti provenienti dalla Fondazione Georges Simenon) che hanno fatto di questa esposizione una vera attrazione per gli apassonati lettori del romanziere e non solo.
Certo è ancora presto per tirare le somme, non ci sono ancora i numeri dei visitatori, ma commenti e reazioni all'iniziativa sono stati positivi. La mostra ha preso il titolo dalla permamenza di Simenon in questa regione per oltre cinque anni, durante i quali fece diversi viaggi nelle zone più lontane ed esotiche del mondo, ma dove ebbe anche modo di continuare la sua incessante attività letteraria, partorendo ad esempio il famosissimo Pedigree.
sabato 25 febbraio 2012
SIMENON, ELLROY E LO SPETTRO MATERNO / 2
Quello che abbiamo iniziato ieri, non è tanto un confronto, ma piuttosto la ricerca di uno stesso filo per quanto sottile, ma distinguibile, tra Lettre à ma mére e My Dark Places. In effetti i due libri sono d'impostazione completamente diversa. Quello di Ellroy è la ricostruzione molto particolareggiata delle indagini sull'omicidio della madre (sia di quelle ufficiali che di quelle poi messe in atto dallo stesso scrittore), mentre il testo di Simenon è un'insieme di rifessioni che partono dagli ultimi momenti passati quattro anni prima al capezzale della madre che lo portano a comprendere quella rudezza nei suoi confronti (ma anche nei riguardi di sé stessa) e quella forza, che a volte finiva anche per sopraffare soprattutto Georges e suo padre Desiré, con la convinzione di portare avanti la famiglia. Insomma anche se da parte della madre persisteva una diffidenza, anche nei confronti della popolarità e della ricchezza di Georges, come se non fossero meritate (e che invece secondo lei sarebbero dovute toccare al figlio prediletto Christian). Da qui parte una serie di riflessioni, di ricordi, di riconsiderazioni che cambiano l'atteggiamento di un Simenon, ricordiamolo, ormai quasi settantenne.
Invece Ellroy, quando scrive My Dark Places, ha solo 48 anni e ci racconta di un avvenimento di quasi quarant'anni prima. Una precisa a volte pedante ricostruzione dell'inchiesta, con tanto di verbali di polizia, di trascrizioni degli interrogatori, di testimonianze virgolettate. Ma nel libro ci sono anche capitoli interi dedicati ai ricordi che un bambino di dieci anni può avere della madre cui, dopo il divorzio quando aveva appena sette anni, era legato da un rapporto di amore e odio, di attrazione e di rifiuto. Questo anche perché il padre lo istigava a spiare la madre e a raccontargli degli uomini che frequentava, cercando di convicerlo che era una poco di buono, una sorta di sgualdrina. E tutto questo, a quell'età, ebbe un effetto devastante. Alla fine di un capitolo Ellroy scrive queste parole ".. la odiavo e la concupivo. Poi smise di vivere". Morta la madre, James visse con il padre che però non si occupò molto di lui e che morì quando Ellroy aveva dicissette anni, lasciandolo allo sbando più totale. Ed lì iniziò il suo periodo nero.
Nel libro ogni tanto sono inseriti dei brani, tra un capitolo e l'altro, cinque in tutto. Messi tutti insieme costituiscono una vera lettera alla madre. Ecco qualche estratto:
"...la via di scampo che avevi imboccato, ti offrì solo un breve rinvio Mi avevi portato con te come portafortuna. Fallii come talismano - dunque oggi testimonio per te. La tua morte caratterizza la mia vita. Voglio trovare l'amore di cui fummo privi ed esercitarlo in tuo nome..."
" ...tu perseguivi una rettitudine severa. Il sabato sera la infrangevi. Le tue brevi rassegnazioni ti gettarono nel caos. Non voglio ritrarti in quel modo Non voglio dar via così bassamente i tuoi segreti... Voglio apprendre dov'é che hai sepolto il tuo amore..."
"... non riesco a udire la tua voce. Sento il tuo odore e il sapore del tuo alito. Ti sento. Stai stringendoti a me. Sei andata, e io voglio di più".
Sono grida disperate di dolore che non troviamo certo in Simenon. Il famoso pudore dei Simenon non concedeva paltealità. E infatti sul letto di morte la madre guarda in silenzio il figlio e lui fà altrettanto.
Un'altra prova di una incomprensione durata una vita, ma che va sciogliendosi, almeno da parte di Georges.
"...Madre, io non ho niente da rimproverarti, non ti rimprovero niente, lo vedi bene. Hai seguito il corso della tua vita, con una fedeltà rara, rarissma anzi, al tuo scopo - scrive Simenon nelle ultime pagine del libro - Lo hai raggiunto. Forse per questo nel letto d'ospedale il tuo sguardo è così sereno, per questo a tratti vi brilla persino un tratto d'ironia. Per dirtela chiara: Li hai messi tutti nel sacco!".
"Li hai fatti fessi tutti. Ti concedevi a piccole dosi - scrive invece Ellroy - e ti reinventavi a tuo piacimento...".
Due sensibilità diverse, due storie differenti, uno scrittore americano ed uno europeo, un modo di concepire la scrittura divergente, ma leggendo tra le righe questi due libri, entrambe autobiografici, potrebbero costituire un punto di contatto tra i due.
Invece Ellroy, quando scrive My Dark Places, ha solo 48 anni e ci racconta di un avvenimento di quasi quarant'anni prima. Una precisa a volte pedante ricostruzione dell'inchiesta, con tanto di verbali di polizia, di trascrizioni degli interrogatori, di testimonianze virgolettate. Ma nel libro ci sono anche capitoli interi dedicati ai ricordi che un bambino di dieci anni può avere della madre cui, dopo il divorzio quando aveva appena sette anni, era legato da un rapporto di amore e odio, di attrazione e di rifiuto. Questo anche perché il padre lo istigava a spiare la madre e a raccontargli degli uomini che frequentava, cercando di convicerlo che era una poco di buono, una sorta di sgualdrina. E tutto questo, a quell'età, ebbe un effetto devastante. Alla fine di un capitolo Ellroy scrive queste parole ".. la odiavo e la concupivo. Poi smise di vivere". Morta la madre, James visse con il padre che però non si occupò molto di lui e che morì quando Ellroy aveva dicissette anni, lasciandolo allo sbando più totale. Ed lì iniziò il suo periodo nero.
Nel libro ogni tanto sono inseriti dei brani, tra un capitolo e l'altro, cinque in tutto. Messi tutti insieme costituiscono una vera lettera alla madre. Ecco qualche estratto:
"...la via di scampo che avevi imboccato, ti offrì solo un breve rinvio Mi avevi portato con te come portafortuna. Fallii come talismano - dunque oggi testimonio per te. La tua morte caratterizza la mia vita. Voglio trovare l'amore di cui fummo privi ed esercitarlo in tuo nome..."
" ...tu perseguivi una rettitudine severa. Il sabato sera la infrangevi. Le tue brevi rassegnazioni ti gettarono nel caos. Non voglio ritrarti in quel modo Non voglio dar via così bassamente i tuoi segreti... Voglio apprendre dov'é che hai sepolto il tuo amore..."
"... non riesco a udire la tua voce. Sento il tuo odore e il sapore del tuo alito. Ti sento. Stai stringendoti a me. Sei andata, e io voglio di più".
Sono grida disperate di dolore che non troviamo certo in Simenon. Il famoso pudore dei Simenon non concedeva paltealità. E infatti sul letto di morte la madre guarda in silenzio il figlio e lui fà altrettanto.
Un'altra prova di una incomprensione durata una vita, ma che va sciogliendosi, almeno da parte di Georges.
"...Madre, io non ho niente da rimproverarti, non ti rimprovero niente, lo vedi bene. Hai seguito il corso della tua vita, con una fedeltà rara, rarissma anzi, al tuo scopo - scrive Simenon nelle ultime pagine del libro - Lo hai raggiunto. Forse per questo nel letto d'ospedale il tuo sguardo è così sereno, per questo a tratti vi brilla persino un tratto d'ironia. Per dirtela chiara: Li hai messi tutti nel sacco!".
"Li hai fatti fessi tutti. Ti concedevi a piccole dosi - scrive invece Ellroy - e ti reinventavi a tuo piacimento...".
Due sensibilità diverse, due storie differenti, uno scrittore americano ed uno europeo, un modo di concepire la scrittura divergente, ma leggendo tra le righe questi due libri, entrambe autobiografici, potrebbero costituire un punto di contatto tra i due.
venerdì 24 febbraio 2012
SIMENON, ELLROY E LO SPETTRO MATERNO /1
Oggi vogliamo addentrarci in uno spericolato paragone tra un libro di Simenon e uno di uno scrittore molto lontano da lui, ma che per certi versi ci hanno fatto pensare uno all'altro.
Stiamo parlando della famosa Lettre à ma mére (Lettera a mia madre - 1974) del romanziere belga e di My Dark Places (I miei luoghi oscuri - 1996) dello scrittore americano James Ellroy. I pur diversissimi rapporti con la propria madre dei due furono molto importanti, al punto di influenzare non solo la loro vita, ma anche le rispettive produzioni letterarie.
A più d'uno forse si rizzeranno i capelli, ma cerchiamo, per chi non avesse letto il libro dello scrittore americano (o nemmeno quello di Simenon) i punti di contatto e quelli di divergenza.
Partiamo da due scrittori che più diversi non potrebbero essere, anzi come diceva Simenon, due romazieri, perché nonostante tutti i distinguo che si possono sollevare, Ellroy é incontestabilemente un romanziere testimone dello spirito del tempo e della sua cultura. Esattamente come Simenon, che se vogliamo era più cosmopolita, ma alla fine l'ossatura della sua cultura europea é sempre presente.
Un po' diversi anche nel loro modo di scrivere, ma non molto dissimili nelle motivazioni di fondo. Simenon affermava che la scrittura l'aveva salvato, perchè altrimenti sarebbe diventato un ribelle, se non un delinquente.
La stessa cosa possiamo dire per Ellroy. Scrittura come salvezza, dichiarò "... la letteratura è una vocazione profonda. Ne sono stato cosciente anche nel punto più basso della mia vergogna..." Già perché con tutti i problemi che ebbe Simenon da piccolo, il cattivo raporto con la madre, la morte del padre, l'ingresso precoce nel mondo del lavoro, la sua infanzia fu decisamente migliore del collega americano cui uccisero la madre e né le indagini ufficiali della polizia, né quelle che anni dopo avvviò lui stesso con un detective privato, riuscirono a spiegare chi e perchè commise quell'assassinio. La vita del piccolo James, di appena dieci anni, fu scossa e fu l'inzio del suo periodo nero, sempre in bilico: la morte del padre, la piccola deliquenza, il riformatorio, la droga, l'ossessione delle ragazze, i piccoli furti e anche la prigione. E fu la letteratura, che lo salvò. Quella stessa impellenza a scrivere di cui parlava anche Simenon, fu la fortuna di Ellroy.
Simenon non ebbe modo di conoscerlo, nemmeno letterariamente, anche perchè il sucesso mondiale di Ellroy data alla fine degli anni '80, quando Simenon non leggeva ormai più e poi nell'89 morì. Nè risulta che l'americano si sia mai interessato alle opere dell'europeo.
Invece l'asciuttezza dello stile era una idea fissa per entrambe... per Ellroy addirittura un chiodo fisso "...soggetto, predicato, complemento, soggetto, predicato, complemento..." ama ripetere. Che non è proprio il pas litteraire simenoniano, ma tendere all'essenziale e a uno stile scarno era una caratteristica comune, anche se l'americano utilizzava pure lo slang (ad esempio quello dei poliziotti) per essere più aderente alla realtà. E anche qui i due si somigliano nella loro voglia di raccontare la realtà così com'è, anche cruda e crudele. Certo Simeon manifesta un più accentuato taglio psicologico e un interesse maggiore per l'individuo, mentre Ellroy inquadra le storie dei suoi personaggi in un contesto storico-sociale, quella storia sotterranea dell'America (come la definiva lui stesso), dove non risparmia nessuno, politici, poliziotti, servizi segreti, sindacati, mafia e nemmeno le icone nazionali come ad esempio i Kennedy.
Questa lunga (ma forzatamente non esaustiva) introduzione era necessaria per inquadrare il tormentato rapporto dei due con le rispettive madri.
"...non cercavo di scavare da nessuna parte. Non volevo esorcizzare nessun demone. Volevo solo scoprire chi aveva ucciso mia madre e nel fare questo ho dovuto scrivere pezzi della mia biografia. L'ho scritto per onorare mia madre. Non è stato un libro difficile: ho solo dovuto dire la verità..." Questo afferma Ellroy che però in molti dei suoi romanzi (primo tra tutti Black Dahlia, ad esempio) fa sentire l'eco e le conseguenze di quella tragedia.
C'è un'altra frase che invece la madre di Simenon disse allo scrittore e che è molto significativa del loro rapporto. La pronunciò quando il figlio, dopo parecchi anni che non si vedevano, tornò Liegi per assisterla nella sua agonia. "Perchè sei venuto, Georges?".... continua
Stiamo parlando della famosa Lettre à ma mére (Lettera a mia madre - 1974) del romanziere belga e di My Dark Places (I miei luoghi oscuri - 1996) dello scrittore americano James Ellroy. I pur diversissimi rapporti con la propria madre dei due furono molto importanti, al punto di influenzare non solo la loro vita, ma anche le rispettive produzioni letterarie.
A più d'uno forse si rizzeranno i capelli, ma cerchiamo, per chi non avesse letto il libro dello scrittore americano (o nemmeno quello di Simenon) i punti di contatto e quelli di divergenza.
Partiamo da due scrittori che più diversi non potrebbero essere, anzi come diceva Simenon, due romazieri, perché nonostante tutti i distinguo che si possono sollevare, Ellroy é incontestabilemente un romanziere testimone dello spirito del tempo e della sua cultura. Esattamente come Simenon, che se vogliamo era più cosmopolita, ma alla fine l'ossatura della sua cultura europea é sempre presente.
Un po' diversi anche nel loro modo di scrivere, ma non molto dissimili nelle motivazioni di fondo. Simenon affermava che la scrittura l'aveva salvato, perchè altrimenti sarebbe diventato un ribelle, se non un delinquente.
La stessa cosa possiamo dire per Ellroy. Scrittura come salvezza, dichiarò "... la letteratura è una vocazione profonda. Ne sono stato cosciente anche nel punto più basso della mia vergogna..." Già perché con tutti i problemi che ebbe Simenon da piccolo, il cattivo raporto con la madre, la morte del padre, l'ingresso precoce nel mondo del lavoro, la sua infanzia fu decisamente migliore del collega americano cui uccisero la madre e né le indagini ufficiali della polizia, né quelle che anni dopo avvviò lui stesso con un detective privato, riuscirono a spiegare chi e perchè commise quell'assassinio. La vita del piccolo James, di appena dieci anni, fu scossa e fu l'inzio del suo periodo nero, sempre in bilico: la morte del padre, la piccola deliquenza, il riformatorio, la droga, l'ossessione delle ragazze, i piccoli furti e anche la prigione. E fu la letteratura, che lo salvò. Quella stessa impellenza a scrivere di cui parlava anche Simenon, fu la fortuna di Ellroy.
Simenon non ebbe modo di conoscerlo, nemmeno letterariamente, anche perchè il sucesso mondiale di Ellroy data alla fine degli anni '80, quando Simenon non leggeva ormai più e poi nell'89 morì. Nè risulta che l'americano si sia mai interessato alle opere dell'europeo.
Invece l'asciuttezza dello stile era una idea fissa per entrambe... per Ellroy addirittura un chiodo fisso "...soggetto, predicato, complemento, soggetto, predicato, complemento..." ama ripetere. Che non è proprio il pas litteraire simenoniano, ma tendere all'essenziale e a uno stile scarno era una caratteristica comune, anche se l'americano utilizzava pure lo slang (ad esempio quello dei poliziotti) per essere più aderente alla realtà. E anche qui i due si somigliano nella loro voglia di raccontare la realtà così com'è, anche cruda e crudele. Certo Simeon manifesta un più accentuato taglio psicologico e un interesse maggiore per l'individuo, mentre Ellroy inquadra le storie dei suoi personaggi in un contesto storico-sociale, quella storia sotterranea dell'America (come la definiva lui stesso), dove non risparmia nessuno, politici, poliziotti, servizi segreti, sindacati, mafia e nemmeno le icone nazionali come ad esempio i Kennedy.
Questa lunga (ma forzatamente non esaustiva) introduzione era necessaria per inquadrare il tormentato rapporto dei due con le rispettive madri.
"...non cercavo di scavare da nessuna parte. Non volevo esorcizzare nessun demone. Volevo solo scoprire chi aveva ucciso mia madre e nel fare questo ho dovuto scrivere pezzi della mia biografia. L'ho scritto per onorare mia madre. Non è stato un libro difficile: ho solo dovuto dire la verità..." Questo afferma Ellroy che però in molti dei suoi romanzi (primo tra tutti Black Dahlia, ad esempio) fa sentire l'eco e le conseguenze di quella tragedia.
C'è un'altra frase che invece la madre di Simenon disse allo scrittore e che è molto significativa del loro rapporto. La pronunciò quando il figlio, dopo parecchi anni che non si vedevano, tornò Liegi per assisterla nella sua agonia. "Perchè sei venuto, Georges?".... continua
giovedì 23 febbraio 2012
SIMENON. LE CAMPANE DEL SUCCESSO
Alla fine di ottobre del 1962 Simenon finì la stesura di uno dei suoi più significativi romanzi. Si trattava de Les anneaux de Bicêtre. In quegli anni é oramai stabilmente domiciliato in Svizzera, la crisi con Denyse è arrivata ad un livello di allarme rosso (tanto che dopo due anni si separeranno definitivamente). Insommma non è uno dei suoi periodi migliori (vedi il post precedente), anche se da quando è tornato dall'America, i riconoscimenti, le manifestazioni di stima e gli attestati di popolarità si sono susseguiti. Basti pensare a Marcel Achard, membro dell'Accademia francese, che gli scriveva "... sono stato in campagna una decina di giorni, dove ho fatto la mia cura annuale dei Simenon... Lei è un maestro assoluto...". Oppure Marcel Pagnol che si rivolgeva a lui scrivendo " ... lei è un forgiatore di caratteri e alle volte riesce ad esserlo in una decina di righe...". Ma anche la critica inizia ad esprimirsi con saggi di autori come Bernard de Fallois, Quentin Ritzen, Anne Richter e così pure la stampa. Les Nouvelles littéraires mostra una considerazione notevole per "Le President", Le Figaro parla di "un grande Simenon" per "Le petit homme d'Arkhangelsk", il London New Daily classifica finalmente tra le opere di narrativa il best seller "Pedigree".
E arriviamo al romanzo di cui vogliamo occuparci oggi. Racconta in terza persona di René Maugras, un uomo colpito da emiplegia (deficit motorio, causato da un danno cerebrale). E' un ultra-cinquantenne di successo, direttore di un importante quotidiano parigino, che, in seguito ad un ictus, sviene durante una cena in un famossisimo ristorante della capitale, le Grand Véfour. Al suo risveglio si trova in un letto d'ospedale, paralizzato, riesce solo a sentire delle campane (quelli citati nel titolo, "anneaux" sono in realtà anelli... degli anelli sonori come quelli concentrici e che si espandono come le onde sonore emesse dai rintocchi di una campana. Il titolo poteva anche essere "Les cloches de Bicêtre", ma in francese "cloches" si presta ad una lettura ambiga e quindi Simenon optò per anneaux. Nelle altre lingue, invece fu tradotto con "campane" ). Per l'uomo è un'occasione per riflettere sulla sua vita passata e per interrogarsi su quello che desidera davvero. E, ricordando il mondo della sua infanzia e osservando i semplici gesti della vita degli anziani pazienti dell'ospedale, viene preso dalla voglia di ritrovarsi tra la "piccola gente", definizione cara a Simenon il quale la utilizza spesso perchè è prorio lui che, di tanto in tanto, é tentato di tornare ad essere un homme comme les autres. Insomma Maugras si trova tra il sogno di rifarsi un vita, lontana dal potere, dalla società che conta, dalla frenesia del lavoro e del successo e la sua realtà, i colleghi, la moglie alcolizzata (e qui il riferimento a Denyse è chiarissimo) che invece vorrebbero reintegrarlo in quello che era stato il suo mondo, mondo in cui però Maugras omai non crede più.
Qui ci fermiamo con il racconto della trama.
Ma su questo libro c'è molto da dire e abbiamo scelto di parlarne perché, non solo è stato scritto esattamente cinquant'anni fa', ma anche perchè fu un gran successo di vendite e soprattutto perchè fu un libro preparato e scritto in un modo un po' particolare.
Per esempio, sembra che la stesura del romanzo abbia richiesto più di venti giorni, cosa assolutamente inconsueta per il ritmo di scrittura di Simenon. E anche la fase della revisione fu decisamente più lunga dei soliti tre/quattro giorni, arrivò ad una decina. E ancor prima, durante la preparazione, questa volta non bastarono gli appunti sulla busta gialla. La documentazione fu approfondita, ad esempio andò a sentire il parere di tre neurologi per informarsi della fasi e delle modalità della malattia e del sucessivo recupero. Ad uno di questi inviò addirittura una sorta di questionario con una decina di domande. Visitò l'ospedale, volle mettersi nella posizione dei malati lungodegenti e da lì osservare la loro visuale, conoscere tempi e ritmi della vita dei malati, dell'organizzazione ospedaliera, avendo la conferma che, per un malato inchiodato ad un letto, anche i rumori di fuori sono importanti e anzi possono scandire il ritmo della giornata. E qui il suono delle campane (quelle delle chiese nei dintorni) avrà la sua importanza non solo nel titolo, ma anche nello svolgersi della vicenda.
Ma torniamo all'insolito percorso di questo romanzo, che ebbe anche una promozione paticolare. Infatti Simenon volle inviarne in anteprima qualche centinaio di copie ad altrettanti medici. E così avvenne addirittura che alcuni docenti inserirono il romanzo tra i libri di testo affinchè gli studenti potessero avere un'idea della vita in ospedale vista da parte di un degente.
E poi interviste sui giornali, apparizioni in televisione, conferenze stampa proprio nel ristorante Grand Véfour... insomma tutto quello cui Simenon cercava normalmente di sottrarsi.
E qui la stampa e la critica risposero positivamente. Le Monde lo definsce "...un romanzo-tragedia che evidenzia la gravità e l'interiorità stessa dello scrittore..". Francois Mauriac su Le Figaro Littéraire dichiara che nel romanzo "...l'agnostico Simenon predica meglio della maggior parte delle opere religiose...". Anche il Tagespiel di Berlino dice di Simenon "... è un romanziere serio che, chiarmente, consoce non solo i problemi e le tecniche della prosa moderna, ma ne afferra anche il potenziale epico...". E dall'Inghlterra il Times Literary Supplement afferma che Simenon "... descrive la malattia in modo eccezionale..." e da oltreoceano il New York Times include il romanzo tra ilibri che vanno assolutamente letti, grandi elogi anche dal Washington Post che sottolinea il passaggio di Simenon dalla letteratura popolare a quella più alta, e l'Atlantic Monthly scrive che il libro è "... un romanzo psicologico di una profondità e di una potenza degne di grande considerazione...".
Chiudiamo con un frase che Simenon ripeteva in quell'occasione ai giornalisti che lo intervistavano: "... accetto che mi si rubi il portafoglio o un oggetto di valore, ma non che mi si sottragga il tempo. Gli oggetti si sostiuiscono, ma chi sa quanto tempo ci resta da vivere?"
E arriviamo al romanzo di cui vogliamo occuparci oggi. Racconta in terza persona di René Maugras, un uomo colpito da emiplegia (deficit motorio, causato da un danno cerebrale). E' un ultra-cinquantenne di successo, direttore di un importante quotidiano parigino, che, in seguito ad un ictus, sviene durante una cena in un famossisimo ristorante della capitale, le Grand Véfour. Al suo risveglio si trova in un letto d'ospedale, paralizzato, riesce solo a sentire delle campane (quelli citati nel titolo, "anneaux" sono in realtà anelli... degli anelli sonori come quelli concentrici e che si espandono come le onde sonore emesse dai rintocchi di una campana. Il titolo poteva anche essere "Les cloches de Bicêtre", ma in francese "cloches" si presta ad una lettura ambiga e quindi Simenon optò per anneaux. Nelle altre lingue, invece fu tradotto con "campane" ). Per l'uomo è un'occasione per riflettere sulla sua vita passata e per interrogarsi su quello che desidera davvero. E, ricordando il mondo della sua infanzia e osservando i semplici gesti della vita degli anziani pazienti dell'ospedale, viene preso dalla voglia di ritrovarsi tra la "piccola gente", definizione cara a Simenon il quale la utilizza spesso perchè è prorio lui che, di tanto in tanto, é tentato di tornare ad essere un homme comme les autres. Insomma Maugras si trova tra il sogno di rifarsi un vita, lontana dal potere, dalla società che conta, dalla frenesia del lavoro e del successo e la sua realtà, i colleghi, la moglie alcolizzata (e qui il riferimento a Denyse è chiarissimo) che invece vorrebbero reintegrarlo in quello che era stato il suo mondo, mondo in cui però Maugras omai non crede più.
Qui ci fermiamo con il racconto della trama.
Ma su questo libro c'è molto da dire e abbiamo scelto di parlarne perché, non solo è stato scritto esattamente cinquant'anni fa', ma anche perchè fu un gran successo di vendite e soprattutto perchè fu un libro preparato e scritto in un modo un po' particolare.
Per esempio, sembra che la stesura del romanzo abbia richiesto più di venti giorni, cosa assolutamente inconsueta per il ritmo di scrittura di Simenon. E anche la fase della revisione fu decisamente più lunga dei soliti tre/quattro giorni, arrivò ad una decina. E ancor prima, durante la preparazione, questa volta non bastarono gli appunti sulla busta gialla. La documentazione fu approfondita, ad esempio andò a sentire il parere di tre neurologi per informarsi della fasi e delle modalità della malattia e del sucessivo recupero. Ad uno di questi inviò addirittura una sorta di questionario con una decina di domande. Visitò l'ospedale, volle mettersi nella posizione dei malati lungodegenti e da lì osservare la loro visuale, conoscere tempi e ritmi della vita dei malati, dell'organizzazione ospedaliera, avendo la conferma che, per un malato inchiodato ad un letto, anche i rumori di fuori sono importanti e anzi possono scandire il ritmo della giornata. E qui il suono delle campane (quelle delle chiese nei dintorni) avrà la sua importanza non solo nel titolo, ma anche nello svolgersi della vicenda.
Ma torniamo all'insolito percorso di questo romanzo, che ebbe anche una promozione paticolare. Infatti Simenon volle inviarne in anteprima qualche centinaio di copie ad altrettanti medici. E così avvenne addirittura che alcuni docenti inserirono il romanzo tra i libri di testo affinchè gli studenti potessero avere un'idea della vita in ospedale vista da parte di un degente.
E poi interviste sui giornali, apparizioni in televisione, conferenze stampa proprio nel ristorante Grand Véfour... insomma tutto quello cui Simenon cercava normalmente di sottrarsi.
E qui la stampa e la critica risposero positivamente. Le Monde lo definsce "...un romanzo-tragedia che evidenzia la gravità e l'interiorità stessa dello scrittore..". Francois Mauriac su Le Figaro Littéraire dichiara che nel romanzo "...l'agnostico Simenon predica meglio della maggior parte delle opere religiose...". Anche il Tagespiel di Berlino dice di Simenon "... è un romanziere serio che, chiarmente, consoce non solo i problemi e le tecniche della prosa moderna, ma ne afferra anche il potenziale epico...". E dall'Inghlterra il Times Literary Supplement afferma che Simenon "... descrive la malattia in modo eccezionale..." e da oltreoceano il New York Times include il romanzo tra ilibri che vanno assolutamente letti, grandi elogi anche dal Washington Post che sottolinea il passaggio di Simenon dalla letteratura popolare a quella più alta, e l'Atlantic Monthly scrive che il libro è "... un romanzo psicologico di una profondità e di una potenza degne di grande considerazione...".
Chiudiamo con un frase che Simenon ripeteva in quell'occasione ai giornalisti che lo intervistavano: "... accetto che mi si rubi il portafoglio o un oggetto di valore, ma non che mi si sottragga il tempo. Gli oggetti si sostiuiscono, ma chi sa quanto tempo ci resta da vivere?"
mercoledì 22 febbraio 2012
SIMENON. ALLA SCOPERTA DEL PROPRIO MALESSERE
Alla fine degli anni '50 Simenon vive un periodo di crisi. Non si tratta del suo consueto stato di malessere che prelude alla necessità di mettersi nella pelle di un'altro e di iniziare un nuovo romanzo nell'ormai noto état de roman. Si tatta di qualcosa più profondo. Innanzitutto le tensioni coniugali, in gran parte dovute all'instabilità psichica della moglie, si fanno più frequenti con l'aggravarsi dello stato di Denyse. Simenon inizia a chiedersi in un primo momento dove abbia sbagliato, se in qualche modo possa essere stato lui stesso a provocare quel progressivo peggioramento. Ma, quando la situazione si fà più critica, subentra nei confronti della sua compagna un 'ostilità crescente.
E questa situazione si riflette nei romanzi di quel periodo, come ad esempio Le passage de la ligne (1958) dove il protagonista, Steve un uomo ricco e di successo, vive una pessima relazione matrimoniale, che sfocia in un divorzio con il quale la moglie riesce a potargli via il suo patrimonio e lui dovrà rifarsi una vita, lontano, adattandosi ad un tenore di vita assai modesto.
E' questa una paura di Simenon? Non solo, in questo periodo affiorano anche i dubbi sulla qualità di quello che pubblica. A volte ha la sensazione di essere solo una star cui in quel momento mancano però le qualità per scrivere. Addirittura si spaventa quando nel '58 non riesce a far decollare un nuovo romanzo e si vede costretto ad un periodo di inattività che lo deprimerà non poco. Per la cronaca va detto che si trattò di soli quattro mesi. Ma si sa, Simenon non poteva considerarla una normale pausa, bensì qualcosa di pericolosamente vicino ad uno stop. Nel '59 ne esce imponendosi di scrivere un'inchiesta del commissario Maigret aux assises (1960). Dopo la parentesi mondana del Festival di Cannes in cui fu presidente della giuria, si dedica ad un'altro poliziesco, Maigret et les vieillards (1960) per poi iniziare finalmente un nuovo romanzo. E' Le train (1961), una vicenda che si svolge durante la guerra, in cui il protagonista si sente legato per la sua mentalità conformista alla moglie e per questo rinuncia ad una probabile nuova vita con un'altra donna. Questa, alla fine del romanzo, si troverà in una grave situazione e, dopo avergli invano chiesto aiuto, verrà uccisa. Anche qui i vincoli matrimoniali sono vissuti come una specie di gabbia e addirittura forieri di disgrazie. E poi viene Betty (scritto nell'ottobre del '60), la storia di una donna che inizia male e finisce peggio. Qui il matrimonio non c'entra, ma l'atmosfera è cupa, pessimistica e il romanzo è un disperato noir.
A testimonianza della depressione di questo periodo ci sono le riflessioni che ritroviamo in quella sorta di diario che é Quand jétais vieux (scritto tra il 1960 e il 1963, ma pubblicato solo nel '70), dove ritroviamo tutti motivi della sua crisi, individuati nel fallimento del suo matrimonio, nei dubbi sulla sua opera e nell'inesorabile avvicinarsi della vecchiaia.
Ancora più chiaramente tutto questo è espresso in un saggio, Le roman de l'homme, tratto da una conferenza tenuta a Bruxelles nel '58 e finito prima a puntate sul settimanale Arts e poi in un omonimo volume nel '60. E nei successivi romanzi L'ours de peluche (1960) e Les anneaux de Bicetre (1962) primeggia il tema della sconfitta di uomini famosi e potenti.
Insomma Simenon si sente vulnerabile, sente la mancanza di una vera compagna (la relazione con Teresa è ancora lontana) ed è tormentato dai dubbi. Ricorderà quegli anni come un periodo nero, fatto di cui si trova traccia anche in altre sue opere autobiografiche come i Dictées.
E questa situazione si riflette nei romanzi di quel periodo, come ad esempio Le passage de la ligne (1958) dove il protagonista, Steve un uomo ricco e di successo, vive una pessima relazione matrimoniale, che sfocia in un divorzio con il quale la moglie riesce a potargli via il suo patrimonio e lui dovrà rifarsi una vita, lontano, adattandosi ad un tenore di vita assai modesto.
E' questa una paura di Simenon? Non solo, in questo periodo affiorano anche i dubbi sulla qualità di quello che pubblica. A volte ha la sensazione di essere solo una star cui in quel momento mancano però le qualità per scrivere. Addirittura si spaventa quando nel '58 non riesce a far decollare un nuovo romanzo e si vede costretto ad un periodo di inattività che lo deprimerà non poco. Per la cronaca va detto che si trattò di soli quattro mesi. Ma si sa, Simenon non poteva considerarla una normale pausa, bensì qualcosa di pericolosamente vicino ad uno stop. Nel '59 ne esce imponendosi di scrivere un'inchiesta del commissario Maigret aux assises (1960). Dopo la parentesi mondana del Festival di Cannes in cui fu presidente della giuria, si dedica ad un'altro poliziesco, Maigret et les vieillards (1960) per poi iniziare finalmente un nuovo romanzo. E' Le train (1961), una vicenda che si svolge durante la guerra, in cui il protagonista si sente legato per la sua mentalità conformista alla moglie e per questo rinuncia ad una probabile nuova vita con un'altra donna. Questa, alla fine del romanzo, si troverà in una grave situazione e, dopo avergli invano chiesto aiuto, verrà uccisa. Anche qui i vincoli matrimoniali sono vissuti come una specie di gabbia e addirittura forieri di disgrazie. E poi viene Betty (scritto nell'ottobre del '60), la storia di una donna che inizia male e finisce peggio. Qui il matrimonio non c'entra, ma l'atmosfera è cupa, pessimistica e il romanzo è un disperato noir.
A testimonianza della depressione di questo periodo ci sono le riflessioni che ritroviamo in quella sorta di diario che é Quand jétais vieux (scritto tra il 1960 e il 1963, ma pubblicato solo nel '70), dove ritroviamo tutti motivi della sua crisi, individuati nel fallimento del suo matrimonio, nei dubbi sulla sua opera e nell'inesorabile avvicinarsi della vecchiaia.
Ancora più chiaramente tutto questo è espresso in un saggio, Le roman de l'homme, tratto da una conferenza tenuta a Bruxelles nel '58 e finito prima a puntate sul settimanale Arts e poi in un omonimo volume nel '60. E nei successivi romanzi L'ours de peluche (1960) e Les anneaux de Bicetre (1962) primeggia il tema della sconfitta di uomini famosi e potenti.
Insomma Simenon si sente vulnerabile, sente la mancanza di una vera compagna (la relazione con Teresa è ancora lontana) ed è tormentato dai dubbi. Ricorderà quegli anni come un periodo nero, fatto di cui si trova traccia anche in altre sue opere autobiografiche come i Dictées.
martedì 21 febbraio 2012
SIMENON INTERPRETA SIMENON, DA AUTORE AD ATTORE
1959. Esce un cortometraggio per la regia di Jean-François Hauduroy. Titolo Simenon. E' una produzione elevetica interpretata proprio da Georges Simenon, nella parte di sè stesso, da Michel Simon, voce fuori campo dell'attore Paul Meurisse, sceneggiatura dello stesso regista e colonna sonora di Philippe Arthuys. Una piccola produzione, e non conosciuta dai più, che fu presentata al Festival di Locarno del 1960, nella sezione "Cortometraggi in concorso". E' una performance che per lo più i biografi non riportano. In fondo più che un documentario con un filo conduttore, è un'insieme di flash che vedono lo scrittore ripreso nei luoghi a lui familiari: Parigi, la Normandia, la sua abitazione ad Echandens in Svizzera. L'intento del regista era quello di mostrare come Simenon scrivesse un romanzo. La scelta dell'opera che doveva appunto spiegare il processo creativo cadde su Le President del 1957, che lo scrittore aveva ambientato tra Parigi e la Normandia, presidente che viene impersonato da Michel Simon (ruolo che nel film, tratto nel'61 dal romanzo, sarà di Jean Gabin). Simenon e Simon, l'autore e il personaggio, si alternano davanti alla cinepresa in una sorta di puzzle che intreccia realtà e fiction, il metodo della scrittura e il personaggio nella pelle del quale il romanziere ogni volta entrava, immmedesimandosi nei suoi comportamenti e nella sua mentalità.
lunedì 20 febbraio 2012
SIMENON. OGGI MAIGRET FESTEGGIA CON LA... MOUCLADE
Il 20 febbraio è una data speciale per il commissario. E' la sua data di nascita... letteraria. Insomma un compleanno, magari non importante come quello dell'altr'anno, quando cadevano gli ottant'anni dal lancio delle sue inchieste. Oggi questo personaggio ne compie 81. Potremmo dire, con una tipica frase fatta in queste circostanze, che non li dimostra affatto. Ma noi siamo di parte e capiamo che questi giudizi lasciano per i non appassionati il tempo che trovano.
Torniamo quindi alla nascita del nostro che Simenon lanciò in un momento di grande fervore culturale, quando nella capitale francese lavoravano artisti come Picasso (che allora si dedicava alle forme plastiche e si cimentava nella scultura), Ernest Hemingway (che lavorava a "Death in the Afternoon"), Salvador Dali (che frequentava il circolo dei surrealisti), Paul Valery (che pubblicava "Regards sur le monde actuel"), André Gide (allora mentore di Simenon), Maurice Ravel (reduce dai trionfi del suo "Bolero") e potremmo andare avanti per molto.
Era il 1931 e Simenon realizzava anche il passaggio dalla letteratura alimentare (quella popolare scritta su ordinazione) a quella semi-alimentare (creando secondo la sua ispirazione e dando forma al suo stile). Un momento cruciale per la sua crescita letteraria la nascita di quel personaggio le cui modalità vi abbiamo già raccontato nei post Nasce Maigret. La versione di Georges e Nasce Maigret. Come è andata davvero.
Oggi Maigret è entrato con successo anche nel mondo degli ebook, dimostrazione di come si porti bene gli anni, di come le sue tematiche, il suo modo di raccontare, anche nel genere poliziesco, riscuota l'interesse dei lettori d'oggi, anche di quelli tecnolgicamente più avanzati.
Vorremmo festeggiare questo giorno come sarebbe piaciuto al commissario, facendogli idealmente gustare uno di suoi piatti preferiti, preparati dalla sua premurosa moglie o cucinato in qualche ristorante di quelli giusti (niente lusso, ma occhio alla sostanza), e che spesso Simenon citava nelle sue inchieste.
Ecco un brano tratto da La maison du juge (1942)
Thérese (una cameriera dell'Hotel du Port) aveva chiesto a Maigret:
- Le piace la "mouclade"?
- Che cos'è?
- Cozze alla panna... Una specialità del posto...
- Io non sopporto la panna - dichiarò Méjat (un ispettore di Lucon, cittadina dove si svolge l'azione)
... peccato (pensava Maigret) che la conversazione avesse avuto luogo proprio mentre stava mangiando le cozze, che erano un capolavoro.
E allora vediamo la ricetta come ce la presenta il famoso cuoco Courtin nel suo Le cahier de recettes de madame Maigret (1974).
• Mouclade des boucholeurs
- Raschiare e lavare con molta acqua 3 kg di cozze
- Mettere in una grossa pentola 1/4 lt. di vino bianco secco, 125 gr. di burro delle Charentes, 8 scalogni, 4 spicchi d'aglio pestati, un abbondante pizzico di pepe. Portare a ebollizione e gettarvi dentro le cozze. Coprire.
- Quando le valve si saranno aperte, versare il contenuto della pentola in un'altra casseruola.
- Portare a ebollizione, aggiungere un pizzico di cumino e due cucchiai da minestra di curry. Lasciare bollire per due minuti.
- Versare nella casseruola 40 gr. di burro maneggiato con un cucchiaio di farina. Mescolare bene con un cucchiaio di legno. Aggiungere, fuori della fiamma, un decilitro di latte bollente e poi due decilitri di panna fresca. Passare al setacccio.
- Liberare le cozze della età dei loro gusci. Metterli su un gran piatto fondo: Ricoprire con la salsa e servire.
Buon appetito!
Ah dimenticavamo, Courtine suggerisce di abbinare un vino bianco dell'Ile de Ré.
Auguri e alla salute, commissario!
Torniamo quindi alla nascita del nostro che Simenon lanciò in un momento di grande fervore culturale, quando nella capitale francese lavoravano artisti come Picasso (che allora si dedicava alle forme plastiche e si cimentava nella scultura), Ernest Hemingway (che lavorava a "Death in the Afternoon"), Salvador Dali (che frequentava il circolo dei surrealisti), Paul Valery (che pubblicava "Regards sur le monde actuel"), André Gide (allora mentore di Simenon), Maurice Ravel (reduce dai trionfi del suo "Bolero") e potremmo andare avanti per molto.
Era il 1931 e Simenon realizzava anche il passaggio dalla letteratura alimentare (quella popolare scritta su ordinazione) a quella semi-alimentare (creando secondo la sua ispirazione e dando forma al suo stile). Un momento cruciale per la sua crescita letteraria la nascita di quel personaggio le cui modalità vi abbiamo già raccontato nei post Nasce Maigret. La versione di Georges e Nasce Maigret. Come è andata davvero.
Oggi Maigret è entrato con successo anche nel mondo degli ebook, dimostrazione di come si porti bene gli anni, di come le sue tematiche, il suo modo di raccontare, anche nel genere poliziesco, riscuota l'interesse dei lettori d'oggi, anche di quelli tecnolgicamente più avanzati.
Vorremmo festeggiare questo giorno come sarebbe piaciuto al commissario, facendogli idealmente gustare uno di suoi piatti preferiti, preparati dalla sua premurosa moglie o cucinato in qualche ristorante di quelli giusti (niente lusso, ma occhio alla sostanza), e che spesso Simenon citava nelle sue inchieste.
Ecco un brano tratto da La maison du juge (1942)
Thérese (una cameriera dell'Hotel du Port) aveva chiesto a Maigret:
- Le piace la "mouclade"?
- Che cos'è?
- Cozze alla panna... Una specialità del posto...
- Io non sopporto la panna - dichiarò Méjat (un ispettore di Lucon, cittadina dove si svolge l'azione)
... peccato (pensava Maigret) che la conversazione avesse avuto luogo proprio mentre stava mangiando le cozze, che erano un capolavoro.
E allora vediamo la ricetta come ce la presenta il famoso cuoco Courtin nel suo Le cahier de recettes de madame Maigret (1974).
• Mouclade des boucholeurs
- Raschiare e lavare con molta acqua 3 kg di cozze
- Mettere in una grossa pentola 1/4 lt. di vino bianco secco, 125 gr. di burro delle Charentes, 8 scalogni, 4 spicchi d'aglio pestati, un abbondante pizzico di pepe. Portare a ebollizione e gettarvi dentro le cozze. Coprire.
- Quando le valve si saranno aperte, versare il contenuto della pentola in un'altra casseruola.
- Portare a ebollizione, aggiungere un pizzico di cumino e due cucchiai da minestra di curry. Lasciare bollire per due minuti.
- Versare nella casseruola 40 gr. di burro maneggiato con un cucchiaio di farina. Mescolare bene con un cucchiaio di legno. Aggiungere, fuori della fiamma, un decilitro di latte bollente e poi due decilitri di panna fresca. Passare al setacccio.
- Liberare le cozze della età dei loro gusci. Metterli su un gran piatto fondo: Ricoprire con la salsa e servire.
Buon appetito!
Ah dimenticavamo, Courtine suggerisce di abbinare un vino bianco dell'Ile de Ré.
Auguri e alla salute, commissario!
SIMENON. E I MALOU DEBUTTANO IN CLASSIFICA
Come di consueto un'occhiata alle classifiche delle vendite a poco meno di una quindicina di giorni dall'uscita de Il Destino dei Malou (vedi la presentazione nel post del 14 febbraio scorso Simenon. Un destino chiamato Malou) Il suo debutto nelle classifiche lo vede posizionato al 10° posto della Narativa Straniera riportata dall'inserto La Lettura di ieri del Corriere della Sera. In quelle uscite su Cult di La Repubblica, sempre di ieri, conquista invece la decima posizione della Top Ten e la terza nella Narrativa straniera. Anche su TuttoLibri de La Stampa (di sabato) si affaccia alla classifica della Narrativa Straniera, ma al quarto posto. Per quanto riguarda la sua versione ebook, l'ultima classifica di I.B.S ce lo segnala come debbuttante al 37° posto.
Ma la presenza dei Simenon nella classifica I.B.S. dei libri digitali si concretizza anche in un 18° posto per la Pazza d'Ittevile (dal 16°), e nei primi Maigret "elettronici" con La ballerina del Gai-Moulin al 19°(dal 6°), con L'impiccato di Saint-Pholien al 47° (dal 12°) e con Il defunto signor Gallet al 48° (dall'8°).
Ma la presenza dei Simenon nella classifica I.B.S. dei libri digitali si concretizza anche in un 18° posto per la Pazza d'Ittevile (dal 16°), e nei primi Maigret "elettronici" con La ballerina del Gai-Moulin al 19°(dal 6°), con L'impiccato di Saint-Pholien al 47° (dal 12°) e con Il defunto signor Gallet al 48° (dall'8°).
domenica 19 febbraio 2012
SIMENON L'ESOTICO, PRIMA E... DOPO
Uno dei generi frequentati dal primo Simenon, quello della letteratura su ordinazione, riguardava le avventure esotiche ambientate nei luoghi più impervi e più dispersi della Terra. Lo attiravano soprattutto le atmosfere equatoriali, i climi torridi, ma anche le situazioni marine. Insomma dava sfogo alle sue velleità alla Conrad o alla Stevenson. Solo che questi racconti o romanzi brevi esotici erano scritti senza muoversi da Parigi e dalla sedia del suo studio a Place des Vosges 21. E fecero un salto di qualità quando, appena se lo potè permettere, acquistò un atlante illustrato Larousse. Quello fu il vero mezzo di trasporto di Simenon che portava lui e i suoi lettori in mondi di sogno, in avventure estreme alla scoperta di terre inesplorate, dove le insidie, dalle belve feroci ai sanguinari cannibali, si nascondvano dietro ogni pianta e ogni roccia.
Siamo negli anni '20 in cui Simenon produce una quantità di titoli per editori come Ferenczi o Tallandier. E le pretese di questi sulla precisione e sull'attendibiltà di quello che veniva scritto erano scarse. L'importante era un titolo ad effetto, una storia con un eroe affascinante (meglio se con un amore contrastata con una principessa o una indigena bella e selavggia). Altri ingredienti, l'ambientazione quanto più lontana possibile da quella quotidiana di chi leggeva e l'azione: una lotta serrata, contro nemici ed eventi naturali implacabili. Ovviamente in questo Simenon era bravissimo, come bravo era ad inventare pseudonimi con cui firmava tali romazi, ne usava circa un ventina (vedi il post del 20 novembre 2010 Chi sono io?). E i titoli, come accennavamo prima, sono molto esplicativi del tono della storia: La Pretresse des Vaudoux (Tallandier 1925), Le desért du froid qui tue (Ferenczi 1928), Les pirates du Texas (Ferenczi 1929), Seul parmi les gorilles (Ferenczi 1928), questi ad esempio tutti firmati come Christian Brulls.
Tutto ciò grosso modo avveniva prima del 1930, in sostanza prima che Simenon lanciasse la serie dei Maigret. Infatti quella del commissario non fu solo un salto di qualità letterario entrando, come diceva Simenon stesso nella semi-letteratura. Costituì anche un sostanziale miglioramento della sua situazione finanziaria, e di conseguenza, anche la possibilità di fare dei viaggi. Prima nei canali francesi e di tutta Europa, poi girando il Mediterraneo e quindi permettendosi una lunga scorrbanda nel continente africano. Il passo successivo fu quello del giro del mondo. Dalle isole caraibiche, all'America del Sud, dall'Australia agli arcipelaghi del Pacifico.
A quel momento il suo punto di vista era molto cambiato. Ora si trattava di esperienze vissute direttamente e non solo con l'occhio del turista che guarda e passa, ma con l'ottica di chi in un posto si ferma almeno per qualche mese. Tutti questi chilometri percorsi lasciarono una traccia indelebile che si tradusse in reportage per i giornali parigini, ma in seguito in una serie di romanzi di ambientazione esotica. Nel frattempo, non va scordato, Simenon aveva iniziato a scrivere quelli che lui chiamava dei romans-durs, e stava entrando nella letteratura con la "L" maiuscola e dalla porta principale visto che nel '34 avrebbe firmato per pubblicare con Gallimard.
Quella raccontata da questi romanzi esotici è spesso un vicenda che prende lo spunto dalle condizioni misere e miserabili in cui la colonizzazione delle nazioni europee aveva ridotto l'Africa e altre parti del mondo. Ingiustizia, sfruttamento, segregazione sono situazioni che Simenon denuncia nei propri reportage, ma che ritroviamo anche nei romanzi. Questa razza europea governa tali paesi con una classe amministrativa gretta, egoista, spesso incapace, chiusa nelle sue cerchie, spesso corrotta e ormai schiava dell'alcol o delle droghe. Insomma tra l'esotismo sognato con la letteratura popolare e quello vissuto e riportato in romanzi come Quartier nègre (Gallimard 1935), 45° à l'ombre (Gallimard 1936), Le Blanc aux lunettes (Gallimard 1936), Touriste de bananes (Gallimard 1938), tanto per citare qualche titolo significativo, c'è una differenza abissale.
Si sente in queste opere che Simenon è dalla loro parte e non solo per un senso di giustizia, ma forse anche perché negli indigeni dei paesi in cui si era fermato, anche se in parte corrotti dalla presenza coloniale dei bianchi, Simenon aveva intravisto qualcosa di molto vicino a quell' "uomo nudo" che andava cercando. Africani, giamaicani, taithiani non erano ancora del tutto costretti dalle sosvrastrutture della civiltà occidentale, non del tutto corrotti, ancora spontanei e ancora lontani dalle logiche della società industriale, finanziaria e da quelle del profitto che Simenon non amava certo. Celebri sono rimaste alcune sue frasi. In risposta ad una campagna pubblicitaria che aveva come slogan "L'Africa vi chiama", lui aveva risposto nei suoi reportage con un duro "L'Africa vi chiama e vi dice merde". E poi contro il colonialismo "Chi tra belgi, inglesi e francesi si farà mettere per primo alla porta dagli africani?".
Siamo negli anni '20 in cui Simenon produce una quantità di titoli per editori come Ferenczi o Tallandier. E le pretese di questi sulla precisione e sull'attendibiltà di quello che veniva scritto erano scarse. L'importante era un titolo ad effetto, una storia con un eroe affascinante (meglio se con un amore contrastata con una principessa o una indigena bella e selavggia). Altri ingredienti, l'ambientazione quanto più lontana possibile da quella quotidiana di chi leggeva e l'azione: una lotta serrata, contro nemici ed eventi naturali implacabili. Ovviamente in questo Simenon era bravissimo, come bravo era ad inventare pseudonimi con cui firmava tali romazi, ne usava circa un ventina (vedi il post del 20 novembre 2010 Chi sono io?). E i titoli, come accennavamo prima, sono molto esplicativi del tono della storia: La Pretresse des Vaudoux (Tallandier 1925), Le desért du froid qui tue (Ferenczi 1928), Les pirates du Texas (Ferenczi 1929), Seul parmi les gorilles (Ferenczi 1928), questi ad esempio tutti firmati come Christian Brulls.
Tutto ciò grosso modo avveniva prima del 1930, in sostanza prima che Simenon lanciasse la serie dei Maigret. Infatti quella del commissario non fu solo un salto di qualità letterario entrando, come diceva Simenon stesso nella semi-letteratura. Costituì anche un sostanziale miglioramento della sua situazione finanziaria, e di conseguenza, anche la possibilità di fare dei viaggi. Prima nei canali francesi e di tutta Europa, poi girando il Mediterraneo e quindi permettendosi una lunga scorrbanda nel continente africano. Il passo successivo fu quello del giro del mondo. Dalle isole caraibiche, all'America del Sud, dall'Australia agli arcipelaghi del Pacifico.
A quel momento il suo punto di vista era molto cambiato. Ora si trattava di esperienze vissute direttamente e non solo con l'occhio del turista che guarda e passa, ma con l'ottica di chi in un posto si ferma almeno per qualche mese. Tutti questi chilometri percorsi lasciarono una traccia indelebile che si tradusse in reportage per i giornali parigini, ma in seguito in una serie di romanzi di ambientazione esotica. Nel frattempo, non va scordato, Simenon aveva iniziato a scrivere quelli che lui chiamava dei romans-durs, e stava entrando nella letteratura con la "L" maiuscola e dalla porta principale visto che nel '34 avrebbe firmato per pubblicare con Gallimard.
Quella raccontata da questi romanzi esotici è spesso un vicenda che prende lo spunto dalle condizioni misere e miserabili in cui la colonizzazione delle nazioni europee aveva ridotto l'Africa e altre parti del mondo. Ingiustizia, sfruttamento, segregazione sono situazioni che Simenon denuncia nei propri reportage, ma che ritroviamo anche nei romanzi. Questa razza europea governa tali paesi con una classe amministrativa gretta, egoista, spesso incapace, chiusa nelle sue cerchie, spesso corrotta e ormai schiava dell'alcol o delle droghe. Insomma tra l'esotismo sognato con la letteratura popolare e quello vissuto e riportato in romanzi come Quartier nègre (Gallimard 1935), 45° à l'ombre (Gallimard 1936), Le Blanc aux lunettes (Gallimard 1936), Touriste de bananes (Gallimard 1938), tanto per citare qualche titolo significativo, c'è una differenza abissale.
Si sente in queste opere che Simenon è dalla loro parte e non solo per un senso di giustizia, ma forse anche perché negli indigeni dei paesi in cui si era fermato, anche se in parte corrotti dalla presenza coloniale dei bianchi, Simenon aveva intravisto qualcosa di molto vicino a quell' "uomo nudo" che andava cercando. Africani, giamaicani, taithiani non erano ancora del tutto costretti dalle sosvrastrutture della civiltà occidentale, non del tutto corrotti, ancora spontanei e ancora lontani dalle logiche della società industriale, finanziaria e da quelle del profitto che Simenon non amava certo. Celebri sono rimaste alcune sue frasi. In risposta ad una campagna pubblicitaria che aveva come slogan "L'Africa vi chiama", lui aveva risposto nei suoi reportage con un duro "L'Africa vi chiama e vi dice merde". E poi contro il colonialismo "Chi tra belgi, inglesi e francesi si farà mettere per primo alla porta dagli africani?".
sabato 18 febbraio 2012
SIMENON TRA GALLIMARD E PRESSES DE LA CITE'
Non se parla molto. Ma nel passaggio tra le edizioni Gallimard e La Presses de La Cité, ci furono tre romanzi pubblicati da un piccolo editore, le Edition de La Jeune Parque. Erano ormai una decina d'anni che Simenon faceva parte della scuderia di patron Gaston, ma i rapporti si erano andati via via deteriorando. Simenon con il passare degli anni aveva sempre più alzato le sue pretese, anche quando i suoi romanzi non si rivelavano un successo commerciale immediato. Il romanziere attribuiva le scarse vendite all'organizzazione editoriale (da un resoconto del '42 risultavano ad esempio per "Le Locataire" '34 25.541 copie, "Le Pitard" '35 addirittura 10.970 copie per risalire alle 12.255 di "Le Bourgmestre de Furne"). Con queste vendite Gallimard aveva tagliato le tirature abituali quasi del 50%, cosa che mandò su tutte le furie Simenon, come quando il comitato dei lettori dette parere negativo su uno dei suoi romanzi. E poi c'era un altro fattore. In mezzo a tutti i grandi nomi della casa editrice, Simenon si sentiva uno dei tanti e quindi non sufficientemente considerato. Insomma la sua insoddisfazione lo portò a forzare i rapporti con l'editore proprio in vista del rinnovo del contratto, forse da un parte cercando la rottura, ma forse anche per sentirsi più considerato. E gli andò bene. Il suo acconto salì dal 10 al 12% fino a 10.000 copie, per aumentare fino al 15% fino a 30.000 copie, e addirittura al 18% oltre quella soglia. In più ottenne di poter pubblicare con un altro editore i suoi prossimi tre romanzi. Gallimard, che con lui aveva un contratto fino al 1946, era un po' con le spalle al muro. Non avrebbe voluto perdere una firma come Simenon, ma per lui si trattava di un passivo non indifferente, nessun un guadagno, ma quello che più di tutto gli interessava era mantenere aperta la possibilità di continuare ad annoverarlo tra la sua scuderia di autori.
Ed ecco questa specie di intervallo che porta Simenon a pubblicare con la piccola Edition del La Jeune Parque tre romanzi non da poco che nel temp la critica avrebbe apprezzato. Si tratta infatti del famoso La Fenetre des Rouet (1945), del notevole La Fuite de Monsieur Monde (1947), considerato uno dei capolavori dello scrittore e in seguito anche Le Passeger clandestin (1947).
In quel periodo Simenon fa la conoscenza di Sven Nielsen, che dopo diverse esperienze editoriali aveva aperto una distribuzione di libri, Messaggeries du Livre, ma che da tempo aveva intenzione di sperimentare l'attività di editore. Quando nel '45 i due si incontrano a Parigi si piacquero e subito nacque un feeling che porterà alla nascità de La Presses de La Cité, una società editrice di cui il 45% era detenuto da Simenon stesso. L'altro 45% era di Nielsen e il rimanente 10% di un agente letterario americano, Max Becker.
E così la scelta di Simenon era fatta. Il piccolo invece del più prestigioso degli editori francesi. La possibilità di decidere, controllare e dettare la strategia editoriale di tutta la sua produzione. E delle condizioni he avrebbero fatto tremare i polsi a Gallimard stesso: il 15% fino a 20.000 copie, e il 20% sopra quel livello, in più 300.000 franchi per iniziare e la cessione dei diritti per dieci anni. Simenon inoltre tenne per sè il 100% di tutti i diritti delle pubblicazioni all'estero, dei diritti cinematografici e di ogni altro diritto etra-letterario.
Certo si trattava di condizioni davvero molto draconiane, che probabilmente nessun altro editore avrebbe accettato, ma detenere l'esclusiva delle opere di Simenon, negli anni successivi dimostrerà invece quanta lungimiranza editoriale e commerciale avesse dimostrato Sven Nielsen, con cui Simenon continuò a pubblicare fino alla propria scomparsa.
Ed ecco questa specie di intervallo che porta Simenon a pubblicare con la piccola Edition del La Jeune Parque tre romanzi non da poco che nel temp la critica avrebbe apprezzato. Si tratta infatti del famoso La Fenetre des Rouet (1945), del notevole La Fuite de Monsieur Monde (1947), considerato uno dei capolavori dello scrittore e in seguito anche Le Passeger clandestin (1947).
In quel periodo Simenon fa la conoscenza di Sven Nielsen, che dopo diverse esperienze editoriali aveva aperto una distribuzione di libri, Messaggeries du Livre, ma che da tempo aveva intenzione di sperimentare l'attività di editore. Quando nel '45 i due si incontrano a Parigi si piacquero e subito nacque un feeling che porterà alla nascità de La Presses de La Cité, una società editrice di cui il 45% era detenuto da Simenon stesso. L'altro 45% era di Nielsen e il rimanente 10% di un agente letterario americano, Max Becker.
E così la scelta di Simenon era fatta. Il piccolo invece del più prestigioso degli editori francesi. La possibilità di decidere, controllare e dettare la strategia editoriale di tutta la sua produzione. E delle condizioni he avrebbero fatto tremare i polsi a Gallimard stesso: il 15% fino a 20.000 copie, e il 20% sopra quel livello, in più 300.000 franchi per iniziare e la cessione dei diritti per dieci anni. Simenon inoltre tenne per sè il 100% di tutti i diritti delle pubblicazioni all'estero, dei diritti cinematografici e di ogni altro diritto etra-letterario.
Certo si trattava di condizioni davvero molto draconiane, che probabilmente nessun altro editore avrebbe accettato, ma detenere l'esclusiva delle opere di Simenon, negli anni successivi dimostrerà invece quanta lungimiranza editoriale e commerciale avesse dimostrato Sven Nielsen, con cui Simenon continuò a pubblicare fino alla propria scomparsa.
venerdì 17 febbraio 2012
SIMENON. THE ART OF FICTION
Quest'oggi vogliamo portare la vostra attenzione sulla famosa intervista a Simenon che Carvel Collins realizzò per il n° 9 della prestigiosa The Paris Review. Si svolse a gennaio, quando il romanziere abitava a Lakeville nel Conneticut, pochi mesi prima che lasciasse definitivamente gli States (marzo) per far ritorno nella sua vecchia Europa.
L'inchiesta sonda un po' tutte le curiosità che secondo il giornalista, il pubblico della sofistica rivista nutriva su uno scrittore che ormai, dopo una decina d'anni, era naturalizzato americano. Nessuno sapeva che quello sarebbe stato l'ultimo anno negli Usa di Simenon. Infatti quando uscì l'articolo si era già sistemato a Mougiens (Alpes Maritimes). In vari post vi abbiamo riportato alcuni brani di questa intervista, ma ora ve ne offriamo qui di seguito un incipit e poi con un link potreteleggerla inversione integrale.
" Studio di mister Simenon nella sua casa bianca sul bordo di Lakeville, Connecticut, il dopopranzo di un giorno assolato di gennaio. La stanza riflette il carattere del romanziere: allegro, efficiente, ospitale, controllato. Sulle pareti vi sono libri di diritto e di medicina, due campi in cui si è fatto una cultura, elenchi telefonici provenienti da molte parti del mondo che gli servono nel assegnare nomi e cognomi dei suoi personaggi, la mappa di una città in cui ha ambientato il suo quarantanovesimo romanzo di Maigret e il calendario su cui sono barrati con una X i giorni trascorsi scrivere il Maigret, un giorno un capitolo, ed i tre giorni dedicati alla revisione, un lavoro che ha generosamente interrotto per questa intervista..." - Georges Simenon -The Art of Fiction n° 9 - Summer 1955
L'inchiesta sonda un po' tutte le curiosità che secondo il giornalista, il pubblico della sofistica rivista nutriva su uno scrittore che ormai, dopo una decina d'anni, era naturalizzato americano. Nessuno sapeva che quello sarebbe stato l'ultimo anno negli Usa di Simenon. Infatti quando uscì l'articolo si era già sistemato a Mougiens (Alpes Maritimes). In vari post vi abbiamo riportato alcuni brani di questa intervista, ma ora ve ne offriamo qui di seguito un incipit e poi con un link potreteleggerla inversione integrale.
" Studio di mister Simenon nella sua casa bianca sul bordo di Lakeville, Connecticut, il dopopranzo di un giorno assolato di gennaio. La stanza riflette il carattere del romanziere: allegro, efficiente, ospitale, controllato. Sulle pareti vi sono libri di diritto e di medicina, due campi in cui si è fatto una cultura, elenchi telefonici provenienti da molte parti del mondo che gli servono nel assegnare nomi e cognomi dei suoi personaggi, la mappa di una città in cui ha ambientato il suo quarantanovesimo romanzo di Maigret e il calendario su cui sono barrati con una X i giorni trascorsi scrivere il Maigret, un giorno un capitolo, ed i tre giorni dedicati alla revisione, un lavoro che ha generosamente interrotto per questa intervista..." - Georges Simenon -The Art of Fiction n° 9 - Summer 1955
giovedì 16 febbraio 2012
SIMENON. COSCIENTE O INCOSCIENTE... QUESTO E' IL PROBLEMA
Etat de roman. Trance creativa. Stato di grazia. Incoscienza narrativa. Quante sono le definizioni che Simenon, la critica, i biografi hanno usato per identificate quei momenti di "assenza da sé" che lo scrittore ha sempre indicato come quelli durante cui scriveva i suoi romanzi?
Questi stati erano preceduti da tre fasi. Quella del declic. E' il momento in cui scatta l'idea, o come preferiva dire Simenon "l'intuizione" che poi metterà in moto il meccanismo del romanzo. La seconda è quella in cui entra in ètat de roman, cioè in cui fà vuoto dentro di sè per poter far spazio all'altro, cioè il personaggio del romanzo. Terza fase, quella di "mettersi nella pelle di...". Dopo aver fatto il vuoto, Simenon cerca di entrare dentro il suo personaggio, di pensare come lui, di esprimersi nel suo modo, di muoversi nel suo mondo come avrebbe fatto lui.
Molti di quelli che non hanno mai scritto nulla (nemmeno per il proprio piacere), ma anche non pochi di quelli che scrivono per professione, fanno spesso fatica a credere che si possa comporre un romanzo in stato di perfetta incoscienza. Simenon spiegava: "...il più difficile è entrare in quello che chiameremo stato di grazia, vale a dire creare un vuoto completo di sé stessi, perchè bisogna far posto all'altro. Poi, durante tutto il romanzo, essere l'altro, restare l'altro senza farsi distrarre da sé stessi, nè da nessuno...".
Questo lo affermava nel 1973 (Un homme come un autre), ma gia nel '39 in una lettera a Gide illustrava lo stesso concetto: "-... lo stato di grazia. Rimanerci, costi quel che costi. Se sono partito da un'aria di Bach, bisogno che l'ascolti ogni giorno alla stessa ora. Nulla può cambiare nella cronologia della giornata. Il minimo imprevisto e rischia di far franare tutto. Niente corrieri o telefono... Non sapendo in cosa consiste questo stato di grazia, mi ingegno a ricostruire ogni giorno gli stessi avvenimenti, fin nei più piccoli dettagli...".
Insomma sembrerebbe essere di fronte ad una serie di rituali che, in mancanza della consapevolezza di cosa sia e di cosa generi questo état de roman, Simenon cerca di replicare una serie di condizioni che non provochino il minimo cambiamento. E a questo l'autore lega anche la sua proverbiale velocità di scrittura che, più che un dono, sembra essere una necessità. E' quanto si evince dalle sue risposte nella famosa intervista del '68 agli psicoanalisti del magazine Médicine et hygiene. "... ecco grosso modo in cosa consiste: durante la scrittura di un libro, occorre che io scriva più rapidamente possibile e pensandoci il meno possibile, in modo di lasciar lavorare al massimo l'inconscio. In fondo un romanzo che io scrivessi coscientemente sarebbe probabilmente scadente. Non c'è bisogno che l'intelletto intervenga durante la scrittura del romanzo... Devo afferrare delle ventate d'incoscienza e, se lascio passare il momento, c'è il rischio che questo stato svanisca... ".
Insomma Simenon conferma questa divisione netta tra la normale vita cosciente di tutti i giorni e queste parentesi creative di sette/dieci giorni in cui si annulla, diventa qualcun'altro e partorisce quei romanzi. Non si chiede perchè, gli interessa solo il risultato. Sembra arrendersi a questo "mistero", purchè i risultati siano quelli che poi riesce ad ottenere. Sempre nell'intervista a Médicine et hygiene sottolinea inoltre: "... passo la mia vita tra l'incoscienza e la ragione, non credo al mio mestiere se non fatto nell'incoscienza. Quindi non devo conoscermi per scrivere dei romanzi. Se mi conoscessi troppo bene, non potrei più scrivere. Occorre che io socchiuda la porta alla ragione giusto il necessario per condurre una vita sociale. Se io diventassi del tutto raziocinante, perderei la percezione del mio subconscio...".
E quindi precisa ancora in Un homme comme un autre: "... è per questo che non ho mai potuto stabilire una scaletta. Non sono io che dirigo l'azione: sono i miei personaggi...".
Insomma Simenon più chiaro di così non potrebbe essere. Ed è una tesi che non solo ha sostenuto tutta la vita, ma che dimostra anche una certa umiltà, dato che, stanti così i fatti, il merito della bontà della sua opera non andrebbe ascritta al suo intelletto, bensì al suo subconscio.
E forse il mistero di Simenon è proprio questo: raziocinio o incoscienza? Ragione o subconscio?
Questi stati erano preceduti da tre fasi. Quella del declic. E' il momento in cui scatta l'idea, o come preferiva dire Simenon "l'intuizione" che poi metterà in moto il meccanismo del romanzo. La seconda è quella in cui entra in ètat de roman, cioè in cui fà vuoto dentro di sè per poter far spazio all'altro, cioè il personaggio del romanzo. Terza fase, quella di "mettersi nella pelle di...". Dopo aver fatto il vuoto, Simenon cerca di entrare dentro il suo personaggio, di pensare come lui, di esprimersi nel suo modo, di muoversi nel suo mondo come avrebbe fatto lui.
Molti di quelli che non hanno mai scritto nulla (nemmeno per il proprio piacere), ma anche non pochi di quelli che scrivono per professione, fanno spesso fatica a credere che si possa comporre un romanzo in stato di perfetta incoscienza. Simenon spiegava: "...il più difficile è entrare in quello che chiameremo stato di grazia, vale a dire creare un vuoto completo di sé stessi, perchè bisogna far posto all'altro. Poi, durante tutto il romanzo, essere l'altro, restare l'altro senza farsi distrarre da sé stessi, nè da nessuno...".
Questo lo affermava nel 1973 (Un homme come un autre), ma gia nel '39 in una lettera a Gide illustrava lo stesso concetto: "-... lo stato di grazia. Rimanerci, costi quel che costi. Se sono partito da un'aria di Bach, bisogno che l'ascolti ogni giorno alla stessa ora. Nulla può cambiare nella cronologia della giornata. Il minimo imprevisto e rischia di far franare tutto. Niente corrieri o telefono... Non sapendo in cosa consiste questo stato di grazia, mi ingegno a ricostruire ogni giorno gli stessi avvenimenti, fin nei più piccoli dettagli...".
Insomma sembrerebbe essere di fronte ad una serie di rituali che, in mancanza della consapevolezza di cosa sia e di cosa generi questo état de roman, Simenon cerca di replicare una serie di condizioni che non provochino il minimo cambiamento. E a questo l'autore lega anche la sua proverbiale velocità di scrittura che, più che un dono, sembra essere una necessità. E' quanto si evince dalle sue risposte nella famosa intervista del '68 agli psicoanalisti del magazine Médicine et hygiene. "... ecco grosso modo in cosa consiste: durante la scrittura di un libro, occorre che io scriva più rapidamente possibile e pensandoci il meno possibile, in modo di lasciar lavorare al massimo l'inconscio. In fondo un romanzo che io scrivessi coscientemente sarebbe probabilmente scadente. Non c'è bisogno che l'intelletto intervenga durante la scrittura del romanzo... Devo afferrare delle ventate d'incoscienza e, se lascio passare il momento, c'è il rischio che questo stato svanisca... ".
Insomma Simenon conferma questa divisione netta tra la normale vita cosciente di tutti i giorni e queste parentesi creative di sette/dieci giorni in cui si annulla, diventa qualcun'altro e partorisce quei romanzi. Non si chiede perchè, gli interessa solo il risultato. Sembra arrendersi a questo "mistero", purchè i risultati siano quelli che poi riesce ad ottenere. Sempre nell'intervista a Médicine et hygiene sottolinea inoltre: "... passo la mia vita tra l'incoscienza e la ragione, non credo al mio mestiere se non fatto nell'incoscienza. Quindi non devo conoscermi per scrivere dei romanzi. Se mi conoscessi troppo bene, non potrei più scrivere. Occorre che io socchiuda la porta alla ragione giusto il necessario per condurre una vita sociale. Se io diventassi del tutto raziocinante, perderei la percezione del mio subconscio...".
E quindi precisa ancora in Un homme comme un autre: "... è per questo che non ho mai potuto stabilire una scaletta. Non sono io che dirigo l'azione: sono i miei personaggi...".
Insomma Simenon più chiaro di così non potrebbe essere. Ed è una tesi che non solo ha sostenuto tutta la vita, ma che dimostra anche una certa umiltà, dato che, stanti così i fatti, il merito della bontà della sua opera non andrebbe ascritta al suo intelletto, bensì al suo subconscio.
E forse il mistero di Simenon è proprio questo: raziocinio o incoscienza? Ragione o subconscio?
mercoledì 15 febbraio 2012
SIMENON E MAIGRET, PRIMI... INTER PARES?
Limitiamoci quindi ai romanzi, ai film e agli sceneggiati tv che dimostrano come il personaggio creato da Simenon avesse in sé una versatilità che l'autore stesso non immaginava.
Certo questo è stato il destino dei protagonisti dei seriali letterari di genere giallo o simile. Il loro appeal per il cinema prima e la televisione poi riguarda molti pesonaggi detective. Ma anche qui Maigret ha dei punti in più rispetto a molti suoi... colleghi grosso modo contemporanei, analogamente a Simenon. Riteniamo che sia l'unico scrittore ad essere accreditato come grande giallista e forse ancor di più come uno dei grandi letterati del '900, ma altrettanto non si può dire per i suoi... colleghi. Lasciando da parte Edgard Allan Poe che è stato il capostipite e in grado di inventare con il suo Dupin il prototipo dell'investigatore, ma in grado di scrivere romanzi, poesie, di cimentarsi nella letteratura fantastica, nell'horror, ma (e pochi lo sanno) anche nei racconti umoristici, non vediamo altri scrittori all'altezza di Simenon. Facciamo quindi una sintetica disamina dei più famosi.
Conan Doyle. Il suo grande Sherlock Holmes (che però deve molto al Dupin di Poe) ha fatto scuola, è ancor oggi seguitissimo e apparso in quattro romanzi e una sessantina di racconti. Circa una quarantina sono i film tratti dall'opera di Doyle (ma molti sono remake, ad esempio del "Mastino dei Baskerville" si contano almeno sei versioni cinematografiche e due televisive). Poi ci sono due serie tv una inglese e una made in Usa.
Altro grande autore britannico: la scrittrice Agatha Christie che pubblicò una quarantina di romanzi del suo Poirot (ma anche dodici romanzi e quattro raccolte con Miss Marple), poi altre serie minori e addirittura una raccolta di poesie, un'autobiografia e un diario. Furono mandati in onda sessanta episodi di una produzione televisiva inglese su Poirot. Sul lato cinematografico sono una dozzina i film prodotti sull'investigatore belga.
Poi Rex Stout con all'attivo oltre quaranta avventure del suo Nero Wolfe, che approdò anche sei volte sul grande schermo e che acquisto popolarità mondiale con nove lunghe serie televisive prodotte in Usa. Altri grandi giallisti americani come Hammett e Chandler, con i loro famosissimi romanzi attrassero le produzioni cimenatografiche che realizzarono dei film-culto, ma solo il secondo approdò alla televisione con due brevi serie.
Maigret con oltre un centinaio tra romanzi e racconti, può vantare una dozzina di adattamenti cinematografici e svariate serie televisive prodotte autonomamente in Francia, Italia, Germania, Olanda, Inghilterra, Russia, Giappone. Sul grande schermo ritroviamo il commissario di Quai des Orfévres dodici volte.
Diciamo quindi che, nonostatnte l'eccellenza e la popolarità dei propri... colleghi, possiamo considerare le inchieste del commissario per quantità e per qualità le più internazionali e le più letterarie e questo grazie alla versatilità del suo autore. Infatti nessuno tra quelli citati riuscì mai ad essere considerato un letterato tout court. Questo anche se, ad esempio, ai suoi esordi Rex Stout si cimentò in un romanzo sperimentale che ebbe il plauso della critica, ma non il seguito del pubblico. Conan Doyle fece morire il suo personaggio per dedicarsi alla sua passione, i romanzi storici, quelli con cui voleva essere ricordato dai posteri. Ma né i suoi lettori, né il suo editore, gradirono e Doyle dovette far resuscitare il suo detective. Per Hammett e Chandler il discorso è diverso. con il passare del tempo i loro romanzi sono stati rivalutati e talvolta considerati al livello di quelli di Hemingway.
Ma nessuno di loro può vantare la produzione e i riconoscimenti di Simenon. E questo, a nostro avviso, fà del romanziere e del suo personaggio dei primi inter pares.
martedì 14 febbraio 2012
SIMENON. UN DESTINO CHIAMATO MALOU
E' apparso in questi giorni sugli scaffali di tutte le librerie italiane un'altro romanzo "americano" di Simenon: Il destino dei Malou, (Le Destin des Malou). Uscì nel 1947 poco dopo il famosissimo Lettre à mon juge e qualche mese prima di Le passeger clandestin. Scritti tutti e tre nello stesso anno e tutti in Florida, in una casa chiamata Coral Sands a Bradenton Beach, prima che lo scrittore si trasferisse in Arizona.
Cuvée straordinaria quella del "Simenon 1947" che vide in libreria, oltre ai succitati romanzi, anche Au Bout de rouleau (maggio), Le Clan des Ostendais (settembre) e in più Maigret a New York (a luglio, ma con stesura del '46) e due speciali di Maigret, il primo, La pipe de Maigret dove troviamo anche Maigret se fâche (sempre a luglio, ma scritti però nel '45) e la raccolta di quattro racconti intitolata Maigret et l'inspecteur malchanceux (ottobre, ma terminati sempre nel '46). Insomma cinque romanzi e tre Maigret, di cui due antologie... un'uscita ogni mese e mezzo!... Un ritmo da rivista...
Ma occupiamoci del romanzo che Adelphi ha ripubblicato in Italia dopo il debutto nell'edizione de I Libri della Palma di Mondadori nel '52 . Si tratta di una delle storie ambientate nella piccola provincia francese, dove il fallimento professionale del titolare di una società edile, provoca il suo suicidio, riduce sul lastrico la famiglia e mette in giro voci e dicerie che, vere o non vere, screditano la famiglia. E a quel punto la coesione familiare (se mai c'è stata) va in pezzi e ognuno cerca la salvezza per conto suo, trova delle soluzioni secondo le proprie inclinazioni, ma ognuno per sé, nell'assenza completa di una qualsiasi forma di solidarietà tra madre e flgli o tra fratelli. Il protagonista della vicenda è il piccolo Alain, il primo a scoprire il suicidio del padre, il primo a portare la notizia alla famiglia e l'unico che, sfidando tutto e tutti (e contrariamente agli altri componenti della famiglia), rimarrà nella piccola città, con l'intento di capire chi sia stato veramente il padre. Poi un segreto... alcune carte in una valigia... Alain attraverso una sorta di indagine tra coloro che hanno conosciuto bene sue padre, ne scopre i lati nascosti, i sogni libertari della giovinezza ed altri dettagli decisamente più tragici. E così inizia un cammino che lo porterà a capire di più e mglio suo padre, la sua situazione e ad acquisire una certa consapevolezza della situazione... le sue scelte verranno di conseguenza, secondo il destino dei Malou.
Un romanzo che tratteggia l'ambiente e la mentalità della provincia che Simenon conosce bene per averci vissuto (abitò in Vandea per oltre dieci anni). Una rappresentazione sapiente di una famiglia che esplode sotto la pressione delle sollecitazoni esterne, ma che nella tragedia rivelerà la vera fisionomia, prima celata dietro convenzioni e convenienze. E, quando non c'è più nulla da perdere, ecco che saltano le sovrastrutture, le maschere, i comportamenti ombra e appare l'uomo nudo, come diceva Simenon, con tutte le sue pulsioni primarie, il suo spirito di conservazione e le sue reazioni più spontanee. Ma c'é anche la formazione del giovane Alain che maturerà e diventerà un uomo adulto dopo essere riuscito a superare con le sue sole forze questa tragedia.
• Il libro oltre che in formato cartaceo è disponibile anche come ebook.
lunedì 13 febbraio 2012
SIMENON E MILLER: RELIGIONE O SESSO? O... RELIGIONE DEL SESSO?
Amici. Sì, per quanto differenti, Georges Simenon ed Henry Miller erano amici. Si erano conosciuti in occasione della permanenza americana del primo. Il loro primo approccio era stato epistolare: Miller il primo a scrivere. Poi si erano visti in America, poi in occasione del Festival del Cinema di Cannes del 1960 (dove Simenon era presidente della giuria e Miller giurato) e poi in Svizzera nel castello di Echandens, anche insieme al comune amico Charlie Chaplin.
Ma come successe con Fellini, anche con Miller fu soprattutto un'intenso scambio epistolare.
Dicevamo che il primo contatto fu la lettera di Miller, la scrisse dopo aver letto Lettre a mon juge (1946) e in cui esprime la sua ammirazione: "...per noi americani che vi stiamo scoprendo grazie alle traduzioni, siete come una nuova stella che è spuntata all'orizzonte. Assolutamente unico tra gli atori di grande successo tra il pubblico... c'è una tenerezza in voi che non ritrovo abitualmente negli scrittori francesi. Sarà il vostro essere belga?.... ".
Lo scrittore americano aveva vissuto una quindicina d'anni a Parigi fino al '40 quando rientrò negli Usa per stabilirsi in California. E con Simenon, che allora era in America, ricordavano con nostalgia la vita e l'effervescenza intellettuale della capitale francese, come pure i suoi bistrot, la sua vita notturna e le donne e le compagnie eccellenti.
Mentre Miller è un accanito lettore dei romanzi di Simenon, altrettanto non si può dire del nostro romanziere che aveva sì letto il Tropico del Cancro (1934), rimanendone impressionato, ma quando concordarono un scambio di libri e si vide arrivare un'intera collezione dell'opera milleriana... beh.... Simenon non riusciva ad appassionarsi agli altri scrittori, anche queli che lo stimavano... era successo addirittura con Andrè Gide affascinato dal talento di Simenon, il quale però non riusciva a leggere le opere del "maestro", come pure lo definiva. D'altronde il modo di scrivere e di concepire un romanzo di Miller era lontano anni luce da quelli dell'amico europeo. Ma avevano alcuni tratti in comune, come ad esempio il fatto di detestare l'establishment letterario, oppure l'approccio alla religione e al sesso. La studiosa Anne Richter lì defini "religiosi senza religione", piuttosto erano entrambe affamati della vita, erano dei bulimici sessuali. Ma tutti e due non riuscivano a vedere contrapposti due concetti come quello di Dio e del sesso, che invece percepivano come necessari e innati.
A tale proposito Miller ricorda le lunghe chiacchierate fatte ad Echandens sul sesso e puntualizza "... Invece di parlare di Dio, parlo di sesso. Il sesso in un certo senso sostituisce Dio... questo può apparire sacrilego, ma non è così che va considerato. Perchè ero allo stesso tempo anche un uomo religioso....Non ho mai perduto questo senso...".
Anche per Simenon, e ne abbiamo conferma in molti suoi romanzi, la sensualità pura è sinonimo di innocenza e di purezza. E d'altronde il corpo è devvero importante nella visione simenoniana, senza corpo l'uomo non è tale e la purezza non passa certo attraverso la negazione del piacere, ma al contrario per il suo viverla nella più totale pienezza.
• Qui potete leggere un brano dell'articolo di Miller pubblicato su Candide nel maggio del '61, durante una delle sue visite a casa di Simenon nel castello di Echandens >>>
Ma come successe con Fellini, anche con Miller fu soprattutto un'intenso scambio epistolare.
Dicevamo che il primo contatto fu la lettera di Miller, la scrisse dopo aver letto Lettre a mon juge (1946) e in cui esprime la sua ammirazione: "...per noi americani che vi stiamo scoprendo grazie alle traduzioni, siete come una nuova stella che è spuntata all'orizzonte. Assolutamente unico tra gli atori di grande successo tra il pubblico... c'è una tenerezza in voi che non ritrovo abitualmente negli scrittori francesi. Sarà il vostro essere belga?.... ".
Lo scrittore americano aveva vissuto una quindicina d'anni a Parigi fino al '40 quando rientrò negli Usa per stabilirsi in California. E con Simenon, che allora era in America, ricordavano con nostalgia la vita e l'effervescenza intellettuale della capitale francese, come pure i suoi bistrot, la sua vita notturna e le donne e le compagnie eccellenti.
Mentre Miller è un accanito lettore dei romanzi di Simenon, altrettanto non si può dire del nostro romanziere che aveva sì letto il Tropico del Cancro (1934), rimanendone impressionato, ma quando concordarono un scambio di libri e si vide arrivare un'intera collezione dell'opera milleriana... beh.... Simenon non riusciva ad appassionarsi agli altri scrittori, anche queli che lo stimavano... era successo addirittura con Andrè Gide affascinato dal talento di Simenon, il quale però non riusciva a leggere le opere del "maestro", come pure lo definiva. D'altronde il modo di scrivere e di concepire un romanzo di Miller era lontano anni luce da quelli dell'amico europeo. Ma avevano alcuni tratti in comune, come ad esempio il fatto di detestare l'establishment letterario, oppure l'approccio alla religione e al sesso. La studiosa Anne Richter lì defini "religiosi senza religione", piuttosto erano entrambe affamati della vita, erano dei bulimici sessuali. Ma tutti e due non riuscivano a vedere contrapposti due concetti come quello di Dio e del sesso, che invece percepivano come necessari e innati.
A tale proposito Miller ricorda le lunghe chiacchierate fatte ad Echandens sul sesso e puntualizza "... Invece di parlare di Dio, parlo di sesso. Il sesso in un certo senso sostituisce Dio... questo può apparire sacrilego, ma non è così che va considerato. Perchè ero allo stesso tempo anche un uomo religioso....Non ho mai perduto questo senso...".
Anche per Simenon, e ne abbiamo conferma in molti suoi romanzi, la sensualità pura è sinonimo di innocenza e di purezza. E d'altronde il corpo è devvero importante nella visione simenoniana, senza corpo l'uomo non è tale e la purezza non passa certo attraverso la negazione del piacere, ma al contrario per il suo viverla nella più totale pienezza.
• Qui potete leggere un brano dell'articolo di Miller pubblicato su Candide nel maggio del '61, durante una delle sue visite a casa di Simenon nel castello di Echandens >>>
domenica 12 febbraio 2012
LE COPERTINE "QUADRI" DI PINTER IN MOSTRA A TORINO
Vi abbiamo già parlato delle iniziative editoriali della Little Nemo (Torino) per i tipi della quale Santo Alligo ha curato il cofanetto con i tre volumi che racchiudono il lavoro di illustratore del grande Ferenc Pintér per la Mondadori. E, in un'intero volume (Tutti i Maigret di Pinter), sono raccolte le splendide copertine di innumerevoli titoli di Simenon che l'impareggiabile artista che firmò
Il post in cui ve ne abbiamo parlato è recente (Simenon, Maigret "raccontato" da Pinter) e vi fornivano anche le coordinate per acquistare sia il libro singolarmente che il confanetto, ordinandoli on-line.
Oggi vi anticipiamo che ci sarà la presentazione di questa iniziativa editoriale, cui va il nostro plauso, che si svolgerà a Torino il prossimo sabato 18 febbraio, presso la Galleria Little Nemo in via Ozanam, 7 alle ore 18.00, cui partecipareanno oltre Alligo, anche Antonio Pintér, Vittore Armanni e Stefano Salis.
Non solo. Infatti nella stessa sede, dal 21 febbraio al 3 marzo, si svolgerà la mostra "La Pittura Grafica di Ferenc Pintér" con l'esposizione di ben cento opere dell'artista.
Assolutamente da non perdere.
• Per avere un'idea del lavoro di Pinter, andate a guardare la Galleria delle copertine di Maigret (cliccare sull'immagine per ingrandire le copertine)
Il post in cui ve ne abbiamo parlato è recente (Simenon, Maigret "raccontato" da Pinter) e vi fornivano anche le coordinate per acquistare sia il libro singolarmente che il confanetto, ordinandoli on-line.
Oggi vi anticipiamo che ci sarà la presentazione di questa iniziativa editoriale, cui va il nostro plauso, che si svolgerà a Torino il prossimo sabato 18 febbraio, presso la Galleria Little Nemo in via Ozanam, 7 alle ore 18.00, cui partecipareanno oltre Alligo, anche Antonio Pintér, Vittore Armanni e Stefano Salis.
Non solo. Infatti nella stessa sede, dal 21 febbraio al 3 marzo, si svolgerà la mostra "La Pittura Grafica di Ferenc Pintér" con l'esposizione di ben cento opere dell'artista.
Assolutamente da non perdere.
• Per avere un'idea del lavoro di Pinter, andate a guardare la Galleria delle copertine di Maigret (cliccare sull'immagine per ingrandire le copertine)
sabato 11 febbraio 2012
SIMENON. L'ULTIMO ROMANZO... FU UN MAIGRET
Come sarebbe stato il romanzo Victor? |
Come avrebbe detto Simenon stesso, stava per "passare la linea", ma non lo sapeva.
Quella per lui fu una data fondamentale, la fine della sua carriera di romanziere.
Infatti circa tre mesi dopo, a settembre, compiuti i consueti riti preparatori, si dedicò alla stesura di un nuovo romanzo. Aveva già in mente il protagonista, gli aveva trovato un nome che avrebbe funzionato anche come titolo del romanzo: Victor.
Solo che, alla fine della giornata, non era riuscito a scrivere una riga e nemmeno a buttare giù tutti gli appunti preparatori che di consueto scriveva sulle famose buste gialle. Niente.
Mancava quella trance creativa che lui chiamava état de roman? Era un momento di sovraffaticamento? Lo avevano colpito particolari stress emotivi? C'era qualche problema particolare che lo assillava?
A queste domande dobbiamo rispondere no. Il legame con la moglie si era ormai definitavamente troncato, con la partenza di Denyse otto anni prima. La madre, con cui aveva avuto un conflitto perenne, era morta ormai da due anni. I figli più o meno sistemati, Marc, con la sua famiglia e la sua attività di cineasta, Johnny negli Stati Uniti a studiare legge, Pierre tredicenne andava ancora a scuola. Le uniche preoccupazioni venivano da Marie-Jo, che a Parigi non trovava la sua strada e sprattutto il suo equilibrio mentale. Ma non era un problema nuovo, bensì una situazione critica di cui da tempo Simenon era ben cosciente. E, se vogliamo, la presenza di Teresa, sua nuova compagna, invece lo riempiva di serenità e di sicurezza.
Insomma possiamo fare delle ipotesi, ma un problema evidente e scatenante non possiamo citarlo...
L'indomani aspettò inutilmente quel déclic che faceva scattare il meccanismo, come era stato per centinaia di volte. Ma non successe nulla. A Teresa disse "... se anche domani mi troverò in questa condizione, potrò annunciarti che smetterò di scrivere...". E così fu.
Il fatto è che Simenon non provò nemmeno, almeno così sembra accertato, a rimandare. Magari alla settimana successiva. Non pensò nemmeno di fare una pausa di qualche mese e attendere l'ispirazione per un altro romanzo.
La decisione di smettere di scrivere fu come dettata dalla consapevolezza che il suo meccanismo di trance creativa non avrebbe funzionato più. Perchè? Su questo evidentemente Simenon non si fece domande, come non se lo era chiesto per tutti gli anni in cui aveva seguito quell'état de romance che gli dava l'ispirazione, che lo portava a scrivere, che lo guidava senza fargli sapere dove il romanzo sarebbe andato a parare. Era stato il suo modo più spontaneo di scrivere per quasi quarant'anni, un modo istintivo e, come sottolineava spesso Simenon, onesto nei confronti dei lettore. Scriveva solo quello che sentiva veramente, null'altro, niente di di artificioso o di costruito.
Anni dopo quella scelta, spiegò che volendo avrebbe potuto continuare a scrivere Maigret o romanzi "alla Simenon". Dopo centinaia di volte, aveva di certo il mestiere, l'esperienza e la capacità necessari per mettere insieme delle opere, con temi, stile, linguaggio, atmosfere tipicamente "simenoniani" e di cui forse nessuno avrebbe colto la differenza con i precedenti. Ma, affermava, non sarebbe stato spontaneo e soprattutto non sarebbe stato onesto con i propri lettori.
In definitiva smise di scrivere, o meglio di scrivere romanzi. Per la precisione infatti va detto che (aldilà dei "Dictées" che erano delle "sbobinature" delle sue registrazioni su nastro magnetico) materialmente scrisse solo due libri: Lettre à ma mére (1974) e Mémoires intimes (1981), due opere a fortissima connotazione autobiografica, di grande interesse, ma non certo romanzi, come per decenni Simenon ci aveva abituato.
Precismnte quarant'anni fa la sua macchina da scrivere tacque. Il suo état de roman fu solo un ricordo. La scrittura, suo vero motivo di vita, perse senso. E infatti questo "passaggio della linea" si manifestò con una svolta globale. Lasciò la sua gran villa di Epalinges per un modesto appartamento all'ottavo piano di un condominio di Losanna. Rinunciò ai suoi libri, alle sue autovetture, ai suoi quadri di valore, alla servitù. Con poche essenziali effetti personali entrò con Teresa in una fase della vita che lo portò ad essere, secondo una sua espressione, "un homme comme les autres", come moltissimi protagonisti dei suoi romanzi.
venerdì 10 febbraio 2012
SIMENON FA' LA MORALE ALLA... POLIZIA
Il video che vi proponiamo questa volta è anch'esso tratto dagli archivi dell'I.N.A. e riguarda una intervista realizzata per la televisione francese da Roger Stéphane, che tratta il delicato tema della concezione della morale tra le forze dell'ordine. Nel video Simenon, partendo da Maigret e parlando in generale della polizia, afferma che loro non seguono nessuna morale, ma solamente la legge, addentrandosi poi sul diverso approccio che della morale hanno i poliziotti e i giudici e infine sull'evoluzione del concetto di morale. Si tratta di circa un paio di minuti, di un'intervista registrata nel 1963, ma il cui tema è ancora di grande attualità
VAI AL VIDEO >>>
mercoledì 8 febbraio 2012
SIMENON. LA DOLCE MORTE
Il tema dell'eutanasia scuote tutt'oggi il dibattito delle coscienze tra chi appoggia posizioni antagoniste. Da un parte si rivendica l'autodeterminazione dell'individuo che, lucido e consapevole, può decidere per l'eutanasia nel caso dovesse cadere in stato vegetativo o vittima di dolori terminali insopportabili. Dall'altra chi sostiene invece, per convinzioni religiose o etiche, che la natura o una divina volontà superiore va rispettata e la vita debba fare il suo corso costi quel che costi, al malato e a chi gli è vicino.
Parliamo di questo perchè Simenon aveva un'opinione precisa e netta su questo argomento, tanto da parlarne in un 'intervista del novembre 1981. Ecco un'estratto dell'articolo apparso su Paris Match a firma del giornalista Paul Giannoli.
"...il giorno in cui mi sentirò così male al punto di costituire non solo un peso per gli altri, ma di divenire insopportabile a mé stesso, sono certo, perché glielo ho chiesto, che Teresa mi farà l'iniezione necessaria, con molta gentilezza, abbracciandomi e così tutto sarà finito....".
Il tema è da prendere con le molle. Lo stesso scrittore negli ultimi anni della sua vita, dopo aver sopportato drammi affettivi (il suicidio della figlia Marie-Jo) e problemi fisici (l'operazione alla prostata nel'77 e quella al cervello dell'84 e infine la semi-paralisi che lo costrinse nell'ultimo anno su una carrozzella), non era che il pallido ricordo del brillante romanziere cittadino del mondo. La sua memoria è intermittente, anche la sua lucidità ormai e ridotta a sprazzi saltuari.
Chi l'ha visto in quel periodo racconta di una parte paralizzata, gamba e braccio immobili, la mano rattrappita e una guancia gonfia. Ormai ascolta solamente, non parla quasi più. Però non smette di fumare... è Teresa che gli riempe la pipa, l'accende e gliela mette in bocca. Teresa, la sola che capisca con un'occhiata le sue esigenze, Teresa che è ormai il suo tramite con la gente e con il mondo.
La siringa, di cui lui aveva parlato nell'intervista, Teresa non la usò e forse non ci pensò nemmeno mai.
Lei era troppo importante per lui. Simenon disse ai figli, come riferisce Pierre-Nicholas " ...Senza lei, sarei morto. Ho un fucile sotto il letto, l'avrei utilizzato...".
E invece morì nel suo letto, mano nella mano con Teresa, dicendole "...Alla fine, vado a riposarmi...". Erano le 3.30 del 4 settembre 1989.
Parliamo di questo perchè Simenon aveva un'opinione precisa e netta su questo argomento, tanto da parlarne in un 'intervista del novembre 1981. Ecco un'estratto dell'articolo apparso su Paris Match a firma del giornalista Paul Giannoli.
"...il giorno in cui mi sentirò così male al punto di costituire non solo un peso per gli altri, ma di divenire insopportabile a mé stesso, sono certo, perché glielo ho chiesto, che Teresa mi farà l'iniezione necessaria, con molta gentilezza, abbracciandomi e così tutto sarà finito....".
Il tema è da prendere con le molle. Lo stesso scrittore negli ultimi anni della sua vita, dopo aver sopportato drammi affettivi (il suicidio della figlia Marie-Jo) e problemi fisici (l'operazione alla prostata nel'77 e quella al cervello dell'84 e infine la semi-paralisi che lo costrinse nell'ultimo anno su una carrozzella), non era che il pallido ricordo del brillante romanziere cittadino del mondo. La sua memoria è intermittente, anche la sua lucidità ormai e ridotta a sprazzi saltuari.
Chi l'ha visto in quel periodo racconta di una parte paralizzata, gamba e braccio immobili, la mano rattrappita e una guancia gonfia. Ormai ascolta solamente, non parla quasi più. Però non smette di fumare... è Teresa che gli riempe la pipa, l'accende e gliela mette in bocca. Teresa, la sola che capisca con un'occhiata le sue esigenze, Teresa che è ormai il suo tramite con la gente e con il mondo.
La siringa, di cui lui aveva parlato nell'intervista, Teresa non la usò e forse non ci pensò nemmeno mai.
Lei era troppo importante per lui. Simenon disse ai figli, come riferisce Pierre-Nicholas " ...Senza lei, sarei morto. Ho un fucile sotto il letto, l'avrei utilizzato...".
E invece morì nel suo letto, mano nella mano con Teresa, dicendole "...Alla fine, vado a riposarmi...". Erano le 3.30 del 4 settembre 1989.
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