venerdì 29 marzo 2013

SIMENON. MAIGRET, DE MAIGRET E GLI AUGURI

Quando siamo impegnati nella nostra ricerca quotidiana di informazioni, news e novità su Simenon e Maigret, uno dei nomi su cui ci imbattiamo spesso, soprattutto nei media francesi, è De Maigret e più precisamente Caroline Maigret.
Si tratta di una modella francese, una delle più in conosciute, trentottenne, che ha debuttato nel mondo della moda nel '93. Ha lavorato per Chanel, Valentino, Dior, Louis Vuitton... è apparsa sulle copertine e nei servizi fotografici di Vogue, Elle, Glamour.. Insomma si muove nel gotha degli stilisti e delle fotomodelle. Ma perché ne parliamo? Perché oltre a quel "Maigret", la signorina che vedete qui accanto e il nostro commissario hanno in comune un''altra cosa. In particolare Neuilly-sur-Seine. Già, lì la signorina Caroline nacque nel febbraio del 1975 e proprio a Neuilly-sur-Seine Simenon visse per qualche tempo, scrivendo una ventina di racconti sulle inchieste del commissario Jules Maigret. Molti dei quali prima di uscire nei volumi di Gallimard, nel 1944, videro la luce sulle pagine dei giornali Paris Soir-Dimanche, Police-film e Police-roman dal '36 al '38.
Ma si tratta di una località che ritroviamo anche in altri titoli di Simenon, come scenario di Maigret et la Grande Perche (Presses de la Cité - 1951).
Beh, con questa modella De Maigret, Simenon-Simenon augura ai propri lettori i migliori auguri per le festività pasquali. Un'occasione anche per prenderci una piccola vacanza. Auguri a tutti quindi e arriverderci a martedì prossimo.

martedì 26 marzo 2013

SIMENON. ADIEU EPALINGES

L'abbandono della villa, in un foto di Hadrien Ponchette per il quotidiano "Libération"


No. Non ci riferiamo al settembre del 1972, quando Simenon, ancor stordito dall'incapacità di avviare la stesura di un romanzo, Victor (che non vedrà nemmeno l'inizio e che marcherà invece la fine della sua attività di romanziere), all'indomani quindi della decisione di non scrivere più, prese un'altra decisione importante: abbandonare la grande e fastosa villa di Epalinges.
Ormai erano solo lui e Teresa a viverci.
Quella era la sola casa che in tutta la sua vita si era fatto costruire. Anzi, l'aveva progettata lui in persona per soddisfare tutte le esigenze di una famiglia che allora contemplava, oltre a lui e Denyse, Teresa Sburelin, i figli, una folta schiera di persone tra segretari e servitù, stanziali o meno... Una casa, meglio una villa, meglio ancora una grande villa, tutta su un piano, specificamente pensata sin nel più piccolo dettaglio per le sue necessità quelle dei figli, della moglie...
No. Questo ad Epalinges è un addio alla "casona" che molti giudicarono brutta, funzionale sicuramente anche originale, ma brutta al punto di meritarsi vari soprannomi dagli abitanti locali o dai passanti occasionali: l'opedale. il bunker, la clinica, la latteria.. Insomma una costruzione che a giudizio di molti che l'hanno potuta osservare solo dall'esterno (tra questi ci siamo anche noi) non presentava alcun motivo di gradevolezza e contrastava non poco con il bucolico paesaggio di quelle colline appena nei dintorni di Losanna.
Bene, adesso è stato deciso e approvato di demolirla. Da decine d'anni disabitata e in rovina, quella che doveva celebrare il culmine della carriera del romanziere, non ha seguito la sorte della sua fama e del suo valore letterario che invece in quegli stessi anni sono cresciuti nell'apprezzamento della critica e dei lettori.
La villa d'Epalinges ha invece seguito un lento declino, come succede per tutte le cose umane, fino a diventare un rudere inutile, da abbattere per far posto ad una speculazione edilizia... Su quel terreno sorgerà un residence di gran lusso...

domenica 24 marzo 2013

SIMENON. L'INCONTRO / 2


La short-story di questo weekend ce la propone Murielle Gigandet, nostra attachée al Bureau Simenon-Simenon e autrice di altre short-story su questo daily-blog. Stavolta i protagonisti si incontrano su un canale... Una situazione giocata abilmente tra realtà e fiction e decisamente originale. Questa è la seconda parte del racconto pubblicato ieri.
Ricordiamo che chiunque volesse cimentarsi in questa rubrica "...magari come Simenon!", scrivendo dei brevi racconti, potrà farlo proponendosi all'indirizzo 
simenon.simenon@temateam.com






 L'INCONTRO 
di Murielle Gigandet
 
Il commissario Maigret in un'illustrazione di Ferenc Pintér


(segue)
- Ma è una coincidenza!...
- E sono commissario di polizia…
L’altro restò a bocca aperta. Dopo qualche secondo di silenzio e di stupore, scoppiò a ridere. La sua risata era così contagiosa e trascinante che il suo visitatore, abbandonando il suo atteggiamento imbronciato, iniziò a ridere a sua volta. Poi tornò serio per domandare:
- Spero che nel vostro libro non raccontiate vicende inverosimili…
L’altro assunse un’aria strana:
Beh, insomma … invento un po’… anzi parecchio…non conosco davvero il mondo della polizia …so quello che raccontano i giornali…
- Fatemi vedere la vostra storia…
Il viso del futuro romanziere s’illuminò.
- Davvero volete? Vi avviso che non si tratta ancora di buona letteratura…
- Poco importa  - borbottò Maigret – la forma. Voglio solo scoprire se c’è un po’ di verosimiglianza.
I minuti passavano. Si sentivano solamente i martelli del cantiere, le grida dei gabbiani e
lo stropiccìo dei fogli che il commissario teneva in mano. La sua lettura durò parecchio tempo, mentre  il suo ospite lo osservava con un sguardo ansioso, vuotando, senza accorgersene, tutta la bottiglia di ginepro. Infine Maigret sospirando, posò l’ultimo foglio sulla pila. Non disse nulla, riaccese la sua pipa, e lasciò andare il suo sguardo sul canale. L’altro non osava interrogarlo, anche se provava un curiosità furiosa. Il commissario sentì che doveva dire quacosa.
- Vedete – iniziò…
Non trovava il tono giusto. Avrebbe voluto bere un altro bicchiere, ma si accorse che la bottiglia era vuota.
- Non avete altro da bere? – domandò con tono burbero.
Il suo ospite sorrise.
- Non ho più nulla. Ma se volete possiamo andare qui di fronte…
I due uomini abbandonarono la chiatta, traversarono il cantiere ingombro di palanche e aprirono la porta di una piccola costruzione che somigliava appena a un cafè. Il suo ospite spiegò:
- Qui vengono soprattutto gli operai del cantiere. Non servono da mangiare, ma il ginepro è buono…
Si sistemarono in un tavolo e l’oste gli portò subito  un recipiente di pietra, riempito fino al bordo di un ginepro profumato. Dopo aver bevuto un paio di bicchieri, Maigret iniziò:
- Vedete, quello che è difficile nel nostro mestiere…

Quando il crepuscolo scese sul canale  quasi addormentato, un treno riportava verso la Francia il commissario Maigret, mentre il suo compagno ritornava pensoso alla sua chiatta. Montò, si sedette su una cassa, poi restò qualche minuto immobile. Infine si riscosse, accese la pipa, prese un nuovo foglio di carta, lo infilò nel rullo della sua macchina da scrivere. Le sue dita dapprima sfiorarono la tastiera e poi molto veloci, sempre più veloci le parole s’impressero sul foglio bianco:
Il commissario Maigret, della prima Brigata mobile, alzò la testa ed ebbe l’impressione
che il crepitìo della stufa piantata nel bel mezzo del suo ufficio…

sabato 23 marzo 2013

SIMENON. L'INCONTRO / 1


La short-story di questo weekend ce la propone Murielle Gigandet, nostra attachée al Bureau Simenon-Simenon e autrice di altre short-story su questo daily-blog. Stavolta i protagonisti si incontrano su un canale... Una situazione giocata abilmente tra realtà e fiction e decisamente originale, cui domani seguirà una seconda parte
Ricordiamo che chiunque volesse cimentarsi in questa rubrica "...magari come Simenon!", scrivendo dei brevi racconti, potrà farlo proponendosi all'indirizzo 
simenon.simenon@temateam.com




 L'INCONTRO 
di Murielle Gigandet

Il commissario Maigret in un'illustrazione di Ferenc Pintér

 Era finita. Come sempre al termine di un’inchiesta il sollievo che sentiva si mescolava con una sorta di disgusto, di svuotamento che ormai non cercava nemmeno più di contrastare. Andò a prendere la sua valigia in albergo, dove bevve un ultimo bicchiere di birra, poi si avviò verso la stazione. Aveva tempo, come costatò arrivando: il suo treno non partiva prima di tre quarti d’ora. Siccome non sopportava di aspettare pazientemente sulla banchina ventosa o nelle sale d’aspetto surriscaldate, decise d’attraversare la strada per recarsi al café dove si era fermato il giorno del suo arrivo.
Cercò di aprire la porta che però fece resistenza. Riprovò ancora, quando si accorse guardando attraverso il vetro,che il locale era buio e sembrava vuoto. Pensò che poteva essere il giorno di chiusura e con un certo disappunto, fece meccanicamente il giro della piazza per tre volte. Poi, siccome ne ebbe abbastanza di passare per l’ennesima volta davanti alla stessa casa dai mattoni rossi, con una finestra che incorniciava il viso pallido di una vecchia donna, ogni volta che le sue gambe lo riportavano davanti a quella facciata, si diresse a grandi passi verso il canale.
Non voleva che sembrasse un pellegrinaggio e così…  Per non essere tentato di recarsi  fino davanti alla fattoria, si fermò davanti al cantiere dove era in riparazione una grossa imbarcazione. Il suo sguardo che seguiva gli scarti di legno che galleggiavano, incrociò  un’immagine inusuale: ad una decina di metri più in là, da una chiatta che aveva ritenuto abbandonata, spuntavano delle volute di fumo azzurro. Percepì anche un ticchettìo di cui non riusciva a spiegarsi l’origine.
Incuriosito, si avvicinò, e scoprì, seduto su una cassa, la pipa tra i denti e una bottiglia di liquore al fianco, un uomo che batteva a tutta velocità sui tasti di una macchina da scrivere. L’osservò per un bel po’ senza dire nulla e stava per andarsene quando l’altro alzò la testa al fischio della sirena del cantiere.
I loro sguardi s’incrociarono. E lo stesso stupore si poteva leggere nelle due paia d’occhi e l’uomo della chiatta, per primo fece un gesto indirizzato all’uomo sulla riva del canale.
Non era certo il primo che passava e si fermava ad osservare con curiosità quel “fenomeno” seduto sulla chiatta, mezza piena d’acqua, ma questa volta qualcosa di differente sembrò attirarlo in quell’ennesimo curioso.  La sua pipa, forse, che sbuffava come la propria? Gli fece segno di avvicinarsi e, siccome il passante esitava, gli tese la mano come per aiutarlo a salire sulla chiatta che si mise ad ondeggiare sotto il peso dei due uomini.
Il nuovo arrivato iniziò a guardarsi intorno senza proferir parola: appena indirizzò lo sguardo, che voleva essere discreto, verso la bottiglia di liquore, l’altro sorrise e inizò la conversazione:
- E’ ginepro – disse – lo conosce?
- Si.
- E' francese?
- Sì, e voi?
- Sono d’origine belga.
Il visitatore, messo a suo agio dall’aria vivace e simpatica del suo ospite, provò a fare qualche domanda.
- Come mai vi siete sistemato qui? Non è un posto granché confortevole per scrivere…
- Vedete l’imbarcazione che stanno riparando, laggiù?
L’altro assentì.
- E’ la mia. E lo dico con un certo orgoglio. Di solito  è li che scrivo, ma siccome gli operai sono troppo rumorosi, mi sono sistemato qui per lavorare.
- Siete uno scrittore?
 - No, romanziere – sorrise – Beh, insomma voglio diventare romanziere. Per il momento sperimento, cerco,  vado un po’ a tentoni…
- E’ difficile?
- Abbastanza, ma credo proprio che ci arriverò.
L’uomo ostentata una certa sicurezza, senza falsa modestia, e faceva venir voglia di credergli.
- E cosa scrivete?
- Oh, fino ad oggi, ho scritto molti romanzi brevi per le donnette, dei racconti, insomma della letteratura alimentare… Ma vorrei passare alla tappa successiva.  Cerco un personaggio che mi serva in qualche modo da filo conduttore. Ho scritto qualche settimana fa’ un romanzo il cui eroe era un avventuriero che risolve dei misteri, una sorta di detective non professionista, ma brillante. Pensavo di aver centrato il mio intento, ma non ci siamo ancora…
E, dicendo questo, fece una smorfia di rammarico; era allo stesso tempo divertente e toccante e il suo visitatore dovette  trattenersi per non ridere. L’altro riprese:
- No, credo che dovrò cercare qualche altra cosa… Avrei pensato ad un personaggio della polizia, ma…
S’interruppe guardando l‘aria stranita che andava assumendo il visitatore.
- Credete che non sia una buona idea? I romanzi polizieschi iniziano ad essere di moda, quindi…
L’altro iniziò a brontolare e, bofonchiando un mezzo saluto, si apprestò ad abbandonare la chiatta.
- Aspettate, che vi prende? Ho detto qualcosa che non vi va a genio?
L’altro stava per saltare dalla chiatta, ma l'altro lo trattenne per una manica.
- Vi prego, non andatevene così. Cominciavo a trovarvi simpatico e poi mi avete ascoltato con grande pazienza… almeno fino ad ora…
L’altro esitava ancora. Il suo ospite ebbe un sorriso disarmante e, mostrando la bottiglia, disse:
- Non volete bere un bicchiere con me? Non c’è niente di meglio che bere insieme per entrare in confidenza…
Il visitatore infine acconsentì.
- Ho solamente un bicchiere, ma potremmo bere a turno… se vi va…
Non si poteva resistere davanti a tanta buona volontà di mostrarsi simpatico. Uno dopo l’altro, i due uomini assaggiarono qualche bicchiere: l’alcol bruciava un po’ la gola, ma il calore che scendeva nel corpo era piacevole e faceva percepire quell’ambiente umido, sotto una diversa luce, più gradevole.
Offrì al suo visitatore una cassa, sulla quale quello si sistemò con una certa precauzione. Visto che era di nuovo attento, gli mostrò una pila di fogli accanto alla macchina da scrivere.
- In questo momento, sto provando un nuovo personaggio. E’ un poliziotto. L’ho già fatto lavorare a Marsiglia in un altro romanzo, e questa volta ho deciso di farlo salire a Parigi. Infatti lavora a Quai des Orfèvres.
Senza accorgersi che il suo interlocutore riprendeva un’aria di disapprovazione, prese un foglio dalla pila e cominciò a leggere a voce alta:
- Il fatto in sé sorprese appena il commissario Maigret…
Questa volta il visitatore non si limitò a brontolare. Si alzò all’improvviso, rischiando di far capovolgere la chiatta. L’altro trattenne la macchina da scrivere, che stava scivolando dalla cassa su cui era poggiata, e levò sul suo visitatore uno sguardo sorpreso. L’altro si sentì obbligato a spiegare il suo comportamento. Disse in un fiato:
- Io mi chiamo Maigret (segue)

venerdì 22 marzo 2013

SIMENON ... TIGY UNA PRESENZA CONTINUA

Iniziamo dall'ultima. Teresa Sburelin, italiana, è stata legata a Simenon per 21 anni, dal 1968 all'anno della scomparsa dello scrittore, nel 1989 (anche se era entrata a servizio nella villa di Epalinges già dal 1961). Prima di lei, la seconda moglie, la canadese Denise Ouimet (anche lei ribattezzata: Denyse), con la quale a New York scoccò da subito un vero un colpo di fulmine. Amanti sin dal primo giorno in cui si conobbero, a fine '45, si sposarono nel giugno del 1950 e si lasciarono definitivamente quando lei abbandonò la casa di Simenon (anche se i due non divorzieranno mai) nel 1964, per un totale quindi di 19 anni.
La prima fu Régine Rénchon, belga, da lui ribattezzata Tigy, conosciuta a Liegi e sua fidanzata dal 1921, che diventò sua moglie nel 1923 e lo rimase fino al giugno del 1950 (anche se erano già almeno una decina d'anni che la loro convivenza era solamente formale), quindi tra fidanzamento e matrimonio ufficiale fanno 29 anni.
Ci sarebbe da considerare anche Henriette Libérge, soprannominata Boule, che entrò sedicenne a servizio dei Simenon come femme de chambre nel '34 e intrattenne con Georges, una consuetudine sessuale quotidiana, ma tra loro si sviluppò anche un affetto reciproco che non possiamo definire "amore", ma una sorta di speciale attaccamento spontaneo tra due esseri sensibli alle percezioni emotive. Tra alti e bassi e alterne vicende, questa situazione andò avanti fino al 1968, quando la contemporanea presenza in casa Simenon di Teresa e Boule divenne incompatibile. Quest'ultima fece perciò le valige dopo 34 anni.
Quindi dai conti fatti, la compagna ufficiale che è stata vicina per più anni a Simenon è Tigy. Ma non è solo un computo meramente aritmetico. Certo, sappiamo che il loro matrimonio aveva delle ombre, ad esempio in un campo che per il romanziere era fondamentale: quello sessuale. Non solo Tigy non aveva una grande propensione per il sesso, ma ignorava (o faceva finta di ignorare) quello che quotidianamente lui faceva con la Boule e con qualsiasi altro essere femminile con cui nella giornata riusciva ad entrare in contatto, prostitute comprese. E che su questo lato Tigy chiudesse un occhio non lo dice solo Boule, che sarebbe una parte interessata, ma lo dimostra anche la clamorosa storia di Simenon con Josephine Baker che la moglie sembrava ignorare del tutto. Ufficialmente lei non sapeva nulla di nulla e Georges era costretto a far tutto di nascosto. Con Denyse da questo punto di vista era tutt'altra musica. Non solo lei aveva una passionalità e una sessualità che sorprese e quasi stordì Simenon, ma gli lasciò libertà assoluta nel praticare le sue quotidiane scorribande sessuali, assecondandolo e alcune volte partecipando anche lei a quelle sortite.
Ma il sesso non era tutto. Negli anni che segnarono la fine del rapporto con Tigy, rimasero comunque insieme per non turbare la crescita del figlio Marc.
Quando, apparsa sulla scena, Denyse da segretaria-interprete, divenne amante ufficiale, Tigy fece il possibile per restare madame Simenon. Ma non si poté opporre alla lunga parentesi e al secondo matrimonio.
Però c'era evidentemente dell'altro che univa i due. Dopo il periodo Denyse, Georges e Tigy rimasero in buoni rapporti. Ad esempio, lei fece da affettuosa "nonna" per tutti i figli (e i nipoti) di Simenon, anche quelli di secondo letto, lui le scrisse spesso lunghe lettere, tennero costanti e buoni rapporti, rimanendo buoni amici fino all'85, quando lei si spense nell'isola di Porquerolles, nella casa del figlio Marc.
Nonostante certe incompatibilità e la difficoltà di fare la moglie di un tale personaggio, Tigy era più rassicurante e... materna di Denyse e questo, soprattutto agli occhi del Simenon maturo e anziano, era una qualità molto apprezzata.

mercoledì 20 marzo 2013

SIMENON ISTINTIVO E INCOSCIENTE

Georges Simenon in una foto di Robert Doisneau

 L'incosciente del titolo, va inteso come "dominato dal subconscio", fuori quindi del territorio della razionalità. Istintivo, invece come priorità data alla spontaneità a scapito della ragione. Queste sono le due caratteristiche principali che si riferiscono a Simenon nel momento in cui va creando un romanzo.
E' un elemento molto importante che porta in ballo la domanda cruciale. Ma davvero Simenon scriveva in stato di trance, non sapeva quasi nulla della vicenda quando iniziava la stesura e men che meno come andasse a finire la storia? Ma soprattutto quanto è vero che, sparito l'état de roman, non era in grado di procedere?
A stare alle dichiarazioni del romanziere era proprio così
"...bisogna che apra la porta alla "ragione" solo quel tanto che è necessario per la vita sociale... Se diventassi razionale, perderei la percezione del mio subconscio..."
E per questo, sosteneva Simenon, che la sua scrittura doveva essere rapida, affinché riuscisse a cogliere appieno quei momenti di incoscienza.
"...d'altronde un romanzo che io scrivessi coscientemente sarebbe probabilmente molto brutto. Non serve che intervenga l'intelligenza durante la scrittura del romanzo...".
Simenon è davvero convinto che la migliore forza creativa si realizzava in quella sorta di trance. Ma questo sarebbe come dire che il merito della qualità delle sue opere non era dello scrittore come persona raziocinante, ma di quelle forze che si agitavano nel suo subconscio di cui lui non aveva conoscenza e che non poteva guidare.
Enon a caso intorno a questo punto si articolò parte della seduta-intervista a Simenon da parte degli psicoanalisti della rivista medica Médecine et Hygiéne. Anche se il parere degli specialisti fu, alla fine, che lo scrittore non si era scoperto del tutto, non si era lasciato andare più di tanto. E quindi molte ombre erano rimaste, soprattutto sulle modalità questo processo creativo che destavano molto interesse.
"...non devo conoscermi per scrivere dei romanzi. Se io mi conoscessi troppo bene, non potrei più scrivere...".
E allora i dieci anni di apprendistato con la letteratura popolare, quella su commissione, quella che lui chiamava "alimentare"? Quell'apprendistato a cosa era servito? E il successivo passo alla "semi-letteratura", cioè ai Maigret, anche quello non era un razionale passo per impadronirsi sempre più degli strumenti della scrittura, ma anche per affinare la capacità di individuare le vicende della gente comune, vicine alle esperienze dei lettori comuni? E il conseguente grado di empatia, che è uno dei legami tra le opere dello scrittore e i suoi lettori, nasce dall'inconscio o dall'esperienza?
Anche perchè poi in molti romanzi, come in diversi Maigret, troviamo brani che si riferiscono a luoghi, persone, situazioni e vicende che l'autore aveva realmente vissuto. E allora?
Sarebbe facile fare una sintesi e affermare che in Simenon le esperienze vissute, venivano sublimate nell'inconscio e che poi venivano a galla durante l'état de romans... E che questo magari aveva però solo il compito di dare l'impulso iniziale e qualche sprazzo creativo qua e là, ma poi il resto era mestiere, eseprienza, capacità sempre più affinata.
Ma chi può dirlo con certezza? E certo non si può farlo nelle poche righe di un post come questo.
E' il mistero di Simenon. E' la bellezza dei suoi romanzi. Chissà se vale davvero la pena farsi tante domande?

martedì 19 marzo 2013

SIMENON PAR SIMENON

Un video proposto dal ricco archivio di INA.fr: un filmato realizzato dell'ottobre del 1970. Simenon parla di se e della sua opera, in un programma realizzato da Philippe Lifschitz per la ORTF (Office national de radiodiffusion télévision française).

domenica 17 marzo 2013

SIMENON. MAIGRET UN CASO TUTTO DA RIFARE / 2

La short-story di questo weekend è di Giovanna de Ferraris, una nostra affezionata lettrice. Ci propone un racconto in due puntate (la prima è andata on-line ieri) dove Maigret si trova alle prese con una rivelazione che cambia le carte in tavola di una sua inchiesta.
Ricordiamo che chiunque volesse scrivere un racconto per la rubrica "...magari come Simenon!"  dovrà indirizzarlo a 
simenon.simenon@temateam.com
 
 
 
MAIGRET E UN CASO TUTTO DA RIFARE
di Giovanna Ferraris



(segue) "Gentile commissario Maigret, sono Paulette Juppé e le scrivo per confessarle che sono stata io ad uccidere la moglie di Dassin. Sono andata da lei quando la servitù era in libera uscita. Sono riuscita a farmi ricevere perchè le dissi che avevo delle prove che suo marito aveva un'amante. Lei non mi conosceva, ma credette subito alla mia storia. Probabilmente era l'occasione che aspettava per liberarsi di Gerard. Una volta sole, nella sua stanza da letto, non mi fu difficile metterle le mani al collo e farle fare la fine che meritava. Così avrei avuto il mio Gerard per sempre... Però quando uscii dalla casa incontrai il suo giovane amante musicista, quel Guerin che già conoscevo perchè frequentava la mia brasserie quando ancora vi lavorava Marie. A quel tempo lei vi aveva conosciuto anche Gerard e da lui si lasciò convincere a passare a servizio nella loro casa. Ma aveva appena conosciuto anche Guerin, con cui poi s'era ufficialmente fidanzata. A quell'epoca i miei affari non andavano molto bene e quindi fui felice di fare a meno di versarle il suo assegno mensile. Finchè, proprio a poche centinaia di metri dalla mia brasserie, non costruirono un grande ufficio postale che serviva tutta la regione. Fu la mia fortuna. Da quel giorno un grande afflusso di impiegati e di utenti dell'ufficio cambiarono le cose, Dovetti allargare il locale, assumere un altro cuoco e due camerieri in più. In quel periodo iniziò la mia storia d'amore con Gerard Dassin. Ero sicuro che prima o poi la moglie l'avrebbe scaricato o che lui si sarebbe stufato. Erano evidentemente in crisi, ma i giorni passavano, i mesi e gli anni pure. Io non potevo più aspettare. Non sono più giovane. Avevo paura di perdere Gerard. Così mi decisi. Come dicevo prima, purtroppo avevo incontrato Guerin uscita della casa, dopo aver strangolato la Joelle-Lisabette. Forse era lì perchè andava dalla sua amante... anche lui doveva sapere che quel giorno la servitù era in libertà e Dassin in viaggio... Non potevo aver ucciso l'ostacolo alla mia felicità e rischiare di essere accusata da Guerin. Così, mio fratello René, che dopo sei anni era appena uscito di prigione per aver rapinato e mezzo ammazzato un gioielliere di Saint-Georges, mi aiutò. Lo seguì una notte, dopo un concerto. Guerin stava tornando a casa e, quando si trovarono soli, in un vicolo buio gli saltò addosso e lo pugnalò alle schiena... Ma adesso che Gerard sta per essere accusato dei due omicidi, mi sono decisa... non posso permettere che il mio Gerard sconti per quello che ho fatto... anche se l'ho fatto solo per lui... per amore suo...".
Maigret rigirava tra le mani quella lettera, firmata Paulette Juppé, da un bel po'. La pipa era ormai spenta e la stanza surriscaldata dalla stufa che bruciava da ore.
Doveva fare in fretta. Uscì dal suo ufficio e si diresse verso quello del magistrato. Nessuno lo vide. Frugò tra il mucchio di carte che erano sulla scrivania, finchè non scorse la cartellina del suo rapporto. Rimise tutto a posto.
Tornando nel suo ufficio, chiamò l'ispettore di turno. Era un giovane che non conosceva ancora. Un certo Lapointe.
- Lapointe, è un operazione delicata... Ecco questo è l'indirizzo di una brasserie appena fuori Parigi. Sopra vi abita la proprietaria, Paulette Juppé. La devi arrestare per l'omicidio di Joelle-Lisabette Dassin e per istigazione e complicità nell'omicidio di Joseph Guerin. 
- Posso portare qualcuno?
- Ah.. sì certo, devi portare due agenti... vedi che siano dei veterani.. non dei...
- Non dei...?
- No, no... niente... Piuttosto prendete un'auto e mi raccomando... prudenza e non ve la fate sfuggire.
- Agli ordini commissario.
E Lapointe sparì.
Ormai la notte stava lasciando posto all'aurora e un bagliore color lavanda si intravadeva nel cielo.
Maigret telefonò al casellario giudiziario. Il piantone di turno evidentemente dormiva visto che ci mise parecchio a rispondere.
- Sono il commissario Maigret...ho bisogno dell'ultimo domicilio conosciuto di un certo René Juppé...è appena uscito di prigione... Mi raccomando ho una certa fretta.
Poi fece un'altro numero. Anche questa volta dovette attendere un bel po' prima che rispondessero.
- Chi è? - fece un voce roca, impastata dal sonno.
- Scusa per l'ora caro Janvier... sono Maigret...
- Capo, mi dispiace era ancora a letto...
- Senti... ho una cosa urgente per le mani e non vorrei affidarla a qualche ragazzino... Si tratta di arrestare un omicida... è un delinquente incallito, potrebbe essere pericoloso e...
- Ho capito, capo. Mi dia una mezz'ora e sono da lei.
Maigret riaccese la pipa, apri la cartellina, stracciò il rapporto e iniziò a scriverne uno nuovo... Non amava scrivere i rapporti, poi dopo una nottata come quella... Ma stavolta sentiva il dovere di rimettere le cose a posto.
E intanto fuori l'aurora faceva posto all'alba e dopo poco si sarebbe visto il primo spicchio di sole della mattina.

sabato 16 marzo 2013

SIMENON. MAIGRET E UN CASO TUTTO DA RIFARE

La short-story di questo weekend è di Giovanna de Ferraris una nostra affezionata lettrice. Ci propone un racconto in due puntate (la seconda sarà on-line domani) dove Maigret si trova alle prese con una rivelazione che cambia le carte in tavola di una sua inchiesta.
Ricordiamo che chiunque volesse scrivere un racconto per la rubrica "...magari come Simenon!"  dovrà indirizzarlo a 
simenon.simenon@temateam.com






MAIGRET E UN CASO TUTTO DA RIFARE
di Giovanna Ferraris





Maigret era solo nel suo ufficio. Fuori buio pesto, dentro uffici e corridoi della Polizia Giudiziaria immersi nella penombra e nel silenzio.
Il commissario aveva avvertito M.me Maigret che non avrebbe cenato a casa.
La brasserie Dauphine gli aveva mandato su un paio di sandwich e una birra. Dei panini non c'era più traccia. La bottiglia era a metà. Maigret fumava a grandi boccate e ogni tanto mandava giù un sorso. Era pensoso.
Davanti, la solita pila di pratiche, rapporti, dichiarazioni, moduli, lettere anonime... Lo smaltimento di quella pila si era bloccato quando le mani di Maigret aveva incontrato una busta lunga, color paglierino.
"Al commissario della Brigata omicidi, Jules Maigret - Quai des Orfévres"
La solita busta da lettera anonima? Una volta aperta, Maigret lesse la lettera che cambiava del tutto il caso Dassin. Era firmata.
Questo lo aveva bloccato.
Nella sua mente rivedeva quelle indagini, come assistesse ad un film, e il protagonista era anche lui. A partire dalla chiamata per l'omicidio di Joelle-Elisabette, detta Joeli, signora Dassin.
Gerard, il marito viaggiatore di commercio, al momento dell'omicidio non era in casa... e nemmeno a Parigi. Ma nessun alibi credibile. Quindi primo sospettato. Lui diceva di lavorare molto, ma non guadagnava altrettanto. Lei invece era molto ricca di suo e vivevano nella sua bella casa, vicino a Place des Vosges. Lei era anche più giovane di lui. Maigret cercò subito un amante. Era banale, ma realistico. E infatti lo trovò senza fatica. Joseph Guerin, giovane insegnante di piano, una delle attività che riempivano le giornate della signora, mentre il marito viaggiava per vendere qualche carabattola. Un amante chiama l'altro e così avevano scoperto che anche lui aveva un'amante. Paulette Juppé, matura e ancor piacente, proprietaria di una modesta brasserie nella banlieu parigina. Donna decisamente benestante, anche se non ricca, più anziana e meno attraente di Joeli. Tutti stentavano a credere che Dassin avesse ucciso una moglie come la sua per cosa? Per andare a vivere con Paulette?...
Di mezzo c'era anche Marie, la cameriera ufficialmente fidanzata con Guerin, la quale aveva confessato di avere avuto una relazione, anche se molto fisica e poco sentimentale, con il padrone, il signor Dassin. Forse una ripicca per aver scoperto che il fidanzato se la faceva con la padroncina? Una seconda sospettata? No. Maigret l'aveva esclusa. Quella piccola donna la sua piccola vendetta già se l'era presa con quella relazione con Dassin. Il quale però negava tutto. Di essere l'amante di Paulette, di aver avuto una tresca con Marie, di conoscere la relazione della moglie con Guerin e soprattutto di aver ucciso la sua Joeli... Troppo!
La birra di Maigret era finita. Il tabacco no. Continuava a fumare la pipa. Il fumo di faceva denso nel suo ufficio. Un cono di luce si concentrava sulla sua scrivania. Bussarono alla porta. 
Era il piantone notturno.
- Mi scusi, commissario. Non mi avevano detto che era ancora in ufficio. Avevo
visto la luce e...
- Niente Collon... ne avrò ancora per un bel po'...
- Buon lavoro, commissario.
- A te, Collon.
Di quel film c'era un secondo tempo. E anche un secondo morto: il giovane Guerin. Mentre la Joeli era stata strangolata nel proprio letto il pianista era stato accoltellato alla schiena in mezzo ad una strada. Lei, anche da morta, sembrava dormisse. Lui era immerso in una gran pozza di sangue. Come se l'assassino avesse avuto dei riguardi per lei e si fosse invece accanito su di lui. Sospettato: sempre Dassin, prima aveva ucciso la moglie per punirla della sua infedeltà e per ereditarne i beni, poi aveva fatto fuori Guerin, forse perché poteva denunciarlo o ricattarlo... magari in qualche modo era stato testimone del fatto o sapeva qualcosa... Anche qui Dassin era senza alibi.
Dassin continuava ad avere la bocca cucita. Insisteva solo sulla propria innocenza. Non c'era stato modo di farlo parlare. L'unica cosa che alla fine aveva ammesso era la relazione con Paulette. Ma perchè con una moglie così giovane, bella e ricca si era impegolato in quella relazione con una come Paulette? A suo dire, la moglie lo trattava con sufficienza... lui non era di una famiglia della buona società come lei, non aveva la sua cultura e poi perchè era lei che teneva i cordoni della borsa e quindi lo teneva al guinzaglio. Invece Paulette lo faceva sentire a suo agio, erano allo stesso livello, s'intendevano bene e con lei poteva dire la sua senza essere messo a tacere. 
Sulle prime non gli avevano creduto. Questa storia del complesso d'inferiorità rispetto alla moglie non convinceva nessuno, soprattutto a fronte di un patrimonio di svariati milioni di franchi, azioni, immobili, opere d'arte... che avrebbe ereditato. E poi quella minuta e graziosa Joelle-Lisabette, che tutti definivano gentile e premurosa, come poteva essere l'arcigna donna che umiliava in quel modo il marito? E Maigret ancor prima si era fatto un'altra domanda. Perchè lei l'aveva sposato? Scoprì che all'epoca del matrimonio Gerard Dassin poteva ereditare un patrimonio enorme. Orfano, madre e padre morti in un incidente d'auto, aveva vissuto con il nonno. Vissuto... più che altro era cresciuto nella casa del nonno. Già perchè il nonno non c'era mai. Era un'industriale dell'acciaio, una società con filiali in tutti i paesi del mondo, una delle colonne dell'industria francese e un nome conosciuto in tutte le borse internazionali. Conoscenze altolocate e viaggi all'estero, vita nella società che conta, passava con il piccolo Gerard solo il Natale, qualche weekend e talvolta una settimanza di vacanze d'estate. Oltre Gerard aveva solo un altro nipote, un certo Pierre Jurat. Gerard era più simpatico al nonno e comunque era come un figlio per lui, ma Jurat aveva la sua stessa stoffa. Aveva creato una piccola industria che produceva vetro per l'edilizia. Certo era arrogante e ambizioso e questo non piaceva al nonno che, dall'alto del suo successo mondiale, sembrava preferire più la simpatia scanzonata di Dassin che la caparbietà di Jurat.
Ma alla fine nel testamento aveva lasciato quasi tutto in mano al discendente che gli era più simile. A Gerard arrivarono pochi spiccioli e una casa. E così Dassin, ormai sposato con la ricca Joeli, era diventato da potenziale multi-milionario, il coniuge povero e non più all'altezza della moglie.
In quella situazione evidentemente Dassin aveva paura di essere ben presto congedato dalla sua Joeli e di tornare di nuovo povero, anche perchè la natura della moglie era quella. La polizia aveva scoperto infatti che prima di sposare Dassin, la Joelle-Lisabette aveva avuto un precendente marito, poi scaricato senza complimenti quando aveva conosciuto l'allora promettente Gerard. E così gli elementi a carico del viaggiatore di commercio si erano accumulati uno sull'altro. Prove non ce n'erano, ma gli indizi portavano a lui e gira gira anche i moventi cadevano tutti sulla sua testa.
Quindi alla fine era stato arrestato e incriminato. Maigret aveva chiuso l'inchiesta e consegnato il suo rapporto al magistrato proprio quella mattina.
Ma adesso quella lettera. (segue)

venerdì 15 marzo 2013

SIMENON E MAIGRET IN MANO AGLI PSICHIATRI


"... respingerli, estrometterli, privarli della sicurezza di appartenere ad una comunità, di essere uno come gli altri. E' quindi l'alienato, l'intoccabile, l'appestato...
- E' esattamente, quello che ammiriamo in Maigret, che consente al criminale di essere reinserito nella comunità rendendogli il rispetto di lui stesso. Maigret che rappresenta la società, poiché appartiene al corpo della polizia, può identificarsi in lui, comprenderlo e amarlo..."
Questo botta e risposta avviene ad Epalinges nel 1968 tra Siemenon che pronuncia le prime parole e un gruppo di cinque medici e psichiatri che gli rispondono. Nella fattispecie sono i redattori della pubblicazione scientifica svizzera Médecine et Hygiéne la quale, in occasione del proprio venticinquennale, decide di sottoporre lo scrittore ad una sorta di seduta psicoanalitica, che sarebbe stata poi pubblicata, e Simenon, dal canto suo, si presta di buon grado. I medici sono il dottor Rentchnik, professore associato di medicina interna a Ginevra, lo psichiatra Charles Durand, l'internista Samuel Cruchaud, lo psichiatra dottor Kaech e il dottor Burgermeister, attaché alla clinica universitaria di psichiatria a Ginevra. Tra i cinque ce ne sono due che Simenon conosce bene (e quindi legati al segreto professionale): il dottor Durand psichiatra della famiglia Simenon (dello scrittore di sua moglie Denyse e della figlia Marie-Jo) e il suo medico personale, il dottor Cruchaud.
Uno dei temi toccati riguarda evidentemente il rapporto tra lo scrittore e la sua creatura più famosa, il commissario Maigret. I medici stessi dichiarano il loro interesse per "... il meccanismo psicologico che porta all'azione e il passaggio all'azione stessa... Questo passaggio in Maigret è lo sforzo di comprensione fenomenologica che conduce spesso dalla comprensione alla simpatia e che poi conferisce all'insieme del processo, nel momento del dialogo o dell'incontro,  quasi un aspetto psicoterapeutico che potrebbe riassumersi così: Io so tutto del vostro passato, delle vostre ombre delle vostre luci, e anche la vostra verità; io so quello che avete fatto e perché l'avete fatto e continuo a capirvi e ad amarvi; io non vi ripudio, non vi giudico, vi accetto per quello che siete... E' evidente che i medici si riconoscono facilmente in Maigret...".
Il rapporto tra il romanziere e il suo commissario è quindi un snodo fondamentale (anche se non il solo) per comprendere l'atteggiamento psicologico di Simenon, quel suo mettersi nella pelle dell'altro e il suo metodo, più unico che raro, di creare personaggi, vicende e ambientazioni. E tutto questo aldilà del suo valore letterario e della qualità della sua scrittura.
E su questo punto tra gli specialisti e lo scrittore c'è una analogia di vedute:
"... Maigret è pagato dalla società per arrestare dei criminali che non giudica mai..."
Insomma il comportamento di Maigret diventa un po' il simbolo di quello che una volta individuato il colpevole, occorrerebbe fare. E nonostante il dottor Rentchnik, promotore di questo incontro, ammette quanto sia stato difficile, se non a volte impossibile, spingere Simenon ad aprirsi completamente e senza riserve, la relazione conclusiva di questo incontro è quanto mai lusignhgiera per il romanziere "...se noi, medici specializzati, abbiamo la possibilità di raggiungere questo tipo di relazione con un criminale, lo dobbiamo a voi, monsieur Simenon, e quindi vi dobbiamo molto. E' grazie a voi che abbiamo capito quello che può passare nella mente di un criminale e che abbiamo potuto demistificare il personaggio del criminale. Meglio di qualsiasi trattato di psichiatria, meglio di quanto qualsiasi esperienza vissuta abbia potuto mostrarci, è la relazione Maigret-malato, che abbiamo potuto trasporre in quella del medico con il suo paziente ed è ciò che ci permette di dirvi che il personaggio del medico, nella vostra opera, è Maigret".

mercoledì 13 marzo 2013

SIMENON A... "NUDO" DI FRONTE AI FIGLI

Foto del settimanale "Le Soir Illustré" tratta da www.trussel.com
 Come ormai tutti sanno, Mémoires intimes è un'autobiografia scritta da Simenon negli ultimi anni della sua vita e in buona parte rivolta ai propri figli (nella realtà a tre dei suoi figli, perché Marie-Jo, la sua unica femmina, a quell'epoca si era già suicidata), per raccontar loro, se non tutta la sua vita, almeno i fatti salienti. Ma quello che preoccupa Simenon non è dare una buona immagine di sè ma, almeno nelle intenzioni, raccontare loro la realtà, anche quando questa non è magari edificante. A questo proposito ci sono dei brani molto esplicativi. Eccone uno.
"... nei miei figli c'è anche una piccola parte di me, e dunque hanno tutto il diritto di conoscermi ... i miei figli non hanno bisogno di avere un'immagine lusinghiera del loro padre e dei loro antenati. Hanno bisogno di sapere, per esempio, che anch'io ho avuto gli stessi difetti e le stesse debolezze di cui loro stessi si vergognano e di cui non devono, di conseguenza, arrossire. Hanno bisogno di conoscermi. Come sono, come sono stato nei diversi periodi della mia vita e non come mi vedono forse nei loro ricordi da bambini. E hanno il diritto di conoscere gli errori che posso aver commesso guidandoli più o meno maldestramente negli anni della loro giovinezza...".
E quindi rivolto direttamente a loro conclude "... non ho niente da insegnarvi. Ho imparato più io da voi quattro che voi da me. Siamo simili e diversi, voi ed io, e siete così anche tra voi...".
Qui si nota che si rivolge ai suoi "quattro figli", come se Marie-Jo fosse ancora viva. E in parte questo è vero. Quella figlia che aveva sempre contato molto per lui (ma anche lui aveva contato moltissimo per Marie-Jo, forse troppo... lei aveva fatto un'investimento affettivo su di lui ben aldilà di quello che una figlia è bene faccia sul proprio padre). Quando Simenon scrive le sue memorie, Marie-Jo è morta da quasi tre anni, ma per lui rimane una presenza costante, quotidiana, quasi fisica. E non a caso proprio Mémoires intimes uscì comprendendo anche il cosiddetto Livre de Marie-Jo, dove sono raccolti scritti, lettere, poesie testi di canzoni, riflessioni e sfoghi della giovane che, sopratutto negli ultimi anni, stentava a trovare un suo equilibrio psichico.
E a questo proposito è illuminante una frase apparsa in un'intervista su Le Monde:
"...ho iniziato queste Mémoires il 16 febbraio 1980, per mia figlia... E' stato duro. Molto duro... Mentre scrivevo, piangevo...".

martedì 12 marzo 2013

SIMENON. SU "LA STAMPA" I LUOGHI DI MAIGRET... MA DOPO DIECI ANNI

Su La Stampa di oggi viene publicato un corposo articolo che riguarda i luoghi di Parigi, quelli che Simenon utilizzava come scenari delle inchieste del suo commissario. Nel titolo si parla di 120 luoghi della capitale francese che concorrono a costuire quell'atmosfera parigina in bilico tra gli anni '30 e i decenni successivi, ma che hanno impresso nell'immaginario collettivo la fotografia di una città unica, romantica e culla della cultura mondiale del '900.
L'analisi e la rievocazione di quella Parigi però non sono frutto dell'autore dell'articolo, Alberto Mattioli, ma tratte dalla citazione di un prezioso (per i cultori simenoniani) di Michel Carly, Maigret - Traversées de Paris, edito dalla Omnibus nell'aprile del 2003.
Perchè un quotidiano, che di solito insegue l'attualità, gli anniversari e le ricorrenze, abbia voluto a dieci anni dell'uscita del libro tornarci sopra, non viene spiegato  (non ci risulta che sia ora o sia in vista un traduzione italiana di quel libro). Noi siamo comunque felici, che le pagine della cultura di un grande quotidiano se ne occupino, dal momento che, a nostro avviso, ogni occasione è buona per raccontare Simenon attraverso i suoi presonaggi e soprattutto attraverso quello più famoso e popolare.
Vorremmo però fare qualche precisazione in merito alle affermazioni che l'articolista fa a margine della presentazione del libro.
Per esempio Simenon non ha vissuto così a lungo a Parigi. Ma si può dire che l'abbia amata? Certo non quando nel dicembre del '22, scendendo nella fredda e inospitale Gare du Nord si ritrovò in una città che non gli spalancò le braccia e che poi gli fece fare un dura gavetta (e nei primi momenti addirittura la fame). Ma per lui quella città costituiva un trampolino di lancio. Il fermento culturale che vi regnava all'epoca, era l'ambiente giusto per tentare la fortuna. O meglio per mettere in atto il suo piano ben preciso: dedicarsi prima ad un periodo di apprendistato, dandosi da fare con i racconti sui giornali, romanzi brevi commissionati da editori popolari (a quell'epoca la letteratura di quel genere, tra feuilletton e livre de poche, significava vendite di milioni di copie a settimana). Finito quello stadio si sarebbe dedicato alla narrativa semi-letteraria, non più commissionata, ma creata e decisa da lui, con personaggi, vicende e ambientazioni che iniziassero ad avere un loro specifico letterario (saranno poi le inchieste del commissario Maigret). Terza ed ultima fase, quella della letteratura tout-court, quella che lo stesso Simenon avrebbe poi chiamato dei romans-durs. Parigi quindi era soprattutto un mezzo per raggiungere tutto ciò. E la prova è nel fatto che, una volta diventato famoso con il commissario Maigret (1931-1934) e una volta entrato nelle edizioni Gallimard (1933) lo scrittore allentò i legami con Parigi e nel 1938 si trasferì in Vandea, dove rimase fino al '45, anno in cui partì per l'America. Da allora, pur tornandoci di frequente, non abitò più a Parigi e, tornato dagli States, decise di stabilirsi in Svizzera, nei pressi di Losanna.
Altra affermazione di Simenon che si sente ripetere e si vede scritta più volte è quella secondo cui Gino Cervi fosse il miglior attore che avesse interpretato Maigret. Che Simenon abbia apprezzato l'interpretazione dell'attore italiano non c'è dubbio, ma il Maigret che aveva nel cuore e nella testa era quello del suo amico Jean Gabin. Certo, possiamo dire che uno è la faccia televisiva e l'altro quella cinematografica. Ma rimangono famose le parole di Simenon dopo che per tre volte l'attore francese aveva interpretato il commissario sul grande schermo "... adesso ogni volta che mi siedo a scrivere un Maigret me lo immagino con la faccia di Gabin... non vorrei che prima o poi mi venisse a chiedere i diritti di immagine!...".
Un'ultimissima e piccola precisazione. E' vero, gli esterni degli sceneggiati Rai non vennero girati a Parigi (e soprattuto oggi ce se ne accorge subito). Ma la sigla invece sì. 

lunedì 11 marzo 2013

SIMENON. LE CLASSIFICHE INIZIANO DA UN DIECI E LODE

Già, dieci e lode. Un traguardo da scuola elementare, dirà qualcuno. Un traguardo irrangiungibile e irragiunto ricorderà qualcun altro. Il voto di cui parliamo oggi è quello che, nella sua rubrica settimanale La Pagella, Antonio d'Orrico ha assegnato ad un libro in classifica su La Lettura del Corriere della Sera. Il romanzo in oggetto è Le singorine di Concarneau e il voto, come abbiamo detto, è stato il massimo possibile.
Il titolo dell'articolo è esemplicativo. "Semplicità: la prima legge del racconto" e l'incipit è altrettanto esplicito: "...La perfezione è di questo mondo ed è di questo breve romanzo di Georges Simenon...".
E conclude D'Orrico "... La prima legge della narrativa di Georges Simenon, quella principale, quella da cui discendono tutte le altre, dice che se piove basta scrivere che piove: non che il cielo piange o che scendono gocce grandi o piccole. Basta dire semplicemente che piove. Basta dire che Georges Simenon semplicente scrive ed è la semplicà della perfezione. Ma non c'è cosa più difficile dell'essere semplici...".
Chapeau D'Orrico. Siamo perfettamente d'accordo. Non c'è bisogno di alcun commento.
Nella classifica proposta ieri da La Lettura, Simenon con le sue signorine è dato al settimo posto della "Narrativa straniera".
Sabato anche La Stampa lo dava alla settima posizione dei romanzi oltreconfine.
Per i titoli venduti  sul web la classifica di I.B.S assegna a Le signorine di Concarneau il 16° posto, mentre Amazon il 33° nella sezione "Bestseller".

sabato 9 marzo 2013

SIMENON. LE PENTOLE DELLA SIGNORA JUSTINE


Questa settimana la short-story di sabato viene presentata da Paolo Secondini, un nostro affezionato e attento amico, che questa volta ha deciso di volerla far precedere da una dedica: A Murielle. Sì proprio Murielle Wenger, la nostra specialista (tra l'altro anche attachées del Bureau Simenon-Simenon). Un tributo alla sua competenza? Una dedica all'indomani della "Festa della Donna"? Sicuramente un riconscimento alla sua "autorevolezza" maigrettiana e simenoniana.
Ecco a voi quindi il commissario Legros, almeno qui ben più espansivo del taciturno Maigret...




A Murielle 

LE PENTOLE DELLA SIGNORA JUSTINE
di Paolo Secondini


Le otto del mattino.
«Buona giornata, Isidore. Stai attento, mi raccomando… Bada che non t’accada qualcosa di…»
«Cosa vuoi che mi accada, Justine? Ho mai commesso imprudenze in vita mia?»
«No, no… non dico questo… Ma ogni volta che esci di casa, per recarti al Quai des Orfèvres, io… io…»
«Sta’ tranquilla, mia cara,» rispose, sorridendo, suo marito. «Non farò un passo, un movimento, se prima non ripenso, almeno due volte, alle tue raccomandazioni.» Si batté la mano sul petto e ve la trattenne. «Lo prometto solennemente.»
«Sono contenta,» concluse la signora Justine, e baciò il marito con molta dolcezza.
Si trovavano sul pianerottolo del loro modesto appartamento in Rue de la Roquette.
Isidore scese le scale canticchiando. Era allegro, quella mattina, per nessuna ragione particolare, forse perché la vita è semplicemente meravigliosa.
La signora Justine chiuse pian piano la porta e, a passi decisi, si diresse verso la cucina. Quando fu sull’uscio, si fermò un momento a osservare i fornelli, l’acquaio, il tavolo, le pentole di rame appese in bell’ordine alla parete.
Era, quello, il suo luogo abituale di lavoro, dove trascorreva gran parte del giorno a impastare la farina, a capare legumi e verdure, soprattutto a preparare, per quel golosone del marito, raffinati e squisiti manicaretti.
Entrando in cucina, si sentì soddisfatta di se stessa, come tale doveva sentirsi Isidore nel mettere piede, ogni volta, nel suo ufficio al Quai des Orfèvres.
In fondo, pensava Justine, anche la sua attività di massaia esigeva continuamente le stesse premure che suo marito, il commissario Legros della Polizia Giudiziaria, profondeva nelle indagini.
Non indagava anche lei, nel quartiere, per scoprire quale pizzicagnolo offrisse il prosciutto migliore a buon mercato? O chi, ogni mattina, disponesse sopra il bancone soltanto le uova di giornata? O chi fosse più onesto nel pesare la carne, la frutta o gli ortaggi? O chi vendesse olio genuino di oliva anziché la solita, pessima mistificazione?
Piccole cose, piccoli accorgimenti, piccole attenzioni, di cui la signora Justine andava fiera. E quale soddisfazione per lei quando il marito, a tavola, le diceva:
«La bistecca di vitello, quest’oggi, è molto tenera.»
Oppure:
«I tortellini nel brodo di gallina… quelli acquistati da Nicola l’italiano… sono stati squisiti.»
O anche:
 «Ho mangiato una pera matura al punto giusto. Brava! Hai saputo sceglierle bene… Sono orgoglioso di te, Justine.»
«Ma… ma…» rispondeva sua moglie, come sempre confusa da quei complimenti, «non credo abbia fatto qualcosa di speciale.»
«Oh sì, invece! Sì, sì!» esclamava il marito e si chinava in avanti, il sorriso sulle labbra, a baciarle la mano.
E la brava signora Justine osservava quel gesto  col cuore che traboccava di gioia.
Era davvero felice in quei momenti, soprattutto perché sentiva che era felice il suo Isidore, per quel che di semplice e buono sapeva offrirgli.

venerdì 8 marzo 2013

SIMENON SI SERVIVA DI GOSTH WRITER?

Tutto nasce dalle ottanta pagine al giorno che era capace di scrivere. Tutto nasce della media di cinque romanzi all'anno che è riuscito a tenere per oltre quarant'anni. Tutto nasce dagli oltre quattrocento titoli che costituiscono il corpus della sua opera dai romanzi popolari ai racconti, dai Maigret ai romans-durs.
E, se la vogliamo dirla tutta, tutto nasce dall'invidia.
Già perchè in ballo non c'è solo una rilevante quantità di titoli, ma anche un qualità media piuttosto alta (pure nel periodo della letteratura popolare ci sono opere godibili).
Stiamo parlando dell'accusa (o per alcuni addirittura l'assodata convinzione) che Simenon si servisse di gosth writer che gli permettessero una produzione così ricca e ad un ritmo così sostenuto.
Conseguenza di questo era una critica "ufficiale", che si era pressoché disinteressata alla sua produzione nel periodo della letteratura popolare. Periodo per altro contraddistinto da quasi un ventina di pseudonimi, cosa che quindi,  non solo non lo rendeva ben identificabile come singolo autore, ma dava adito al sospetto che dietro a tutti quei nomi l'autore non fosse sempre lo stesso.
Ma l'accusa di essere un "industriale" della letteratura e non un letterato vero e proprio, magari con degli impiegati della letteratura alle sue dipendenze, prese corpo quando Simenon passò ai Maigret e cioè a quella che lui definiva semi-letteratura. Lì venne a galla il suo passato di estensore di testi commissionati, romanzi brevi o racconti, da editori di romanzi popolari come Tallandier, Ferenczi, Prima, Fayard... e  si poneva sempre l'accento sulla velocità di scrittura: in una decina d'anni circa duecento titoli! Questo non piaceva alla critica. Come non piacque che, passato ai Maigret e con il suo vero nome, Simenon sfornasse nel primo anno della serie poliziesca ben nove volumi (considerando che il lancio avvenne a fine febbraio, quasi un libro al mese). Poteva essere quella letteratura degna dell'attenzione benevola dei critici più paludati? No. Ne erano piene le pagine dei settimanali, da quelli femminili a quelli d'attualità, le cronache mondane dei quotidiani (soprattutto per il modo in cui era stato lanciato).
E questo inarcare il ciglio da parte della critica letteraria, si registra soprattutto all'inizio, vuoi perchè si trattava di letteratura di genere, vuoi per il ritmo delle uscite, troppo più simili a quelle dei periodici, che non a quelle delle opere dei grandi scrittori.
Da qui le illazioni e le voci che Simenon si servisse di quelli che oggi chiamiamo gosth-writers.
Ma del fatto non ce n'è traccia in nessuna biografia, in alcuna testimonianza di chi ha vissuto con lui e di chi lo conosceva bene. Non ne fa cenno nemmeno chi aveva motivi di vendetta, come ad esempio la seconda moglie Denyse, che quando uscì dalla vita di Simenon ne disse (e ne scrisse) di tutti i colori, mischiando verità e menzogne... Eppure l'accusa di essersi servito di gosth writers non venne mai fuori.
Ma se non bastasse l'assenza di prove, c'è da considerare la psicologia di Simenon. Per lui la letteratura era tutto. Per riuscire in questa, aveva lasciato a diciotto anni Liegi, un posto da giornalista ben remunerato con una promettente carriera, la promessa sposa Régine, la casa materna... A Parigi fece a fame, poi si adattò a fare modesti lavori di segreteria, quindi iniziò con umilità a scrivere qualsiasi cosa gli venisse chiesto, dell'argomento e della lunghezza commissionati. E lui, sentendosi come un qualunque artigiano, finiva il più presto possibile ed era sempre puntuale a consegnare la sua "merce". Un periodo massacrante in cui non diceva mai di no a nessuno e arrivava a scrivere le famose ottanta pagine al giorno.
Questo atteggiamento rispetto alla scrittura e quel programma che aveva così chiaro in mente fin da quando pose piede a Parigi (letteratura popolare, poi la semi-letteratura ed infine i romans-durs), sono le migliori smentite al fatto che Simenon abbia fatto ricorso a qualche gosth-writer. Ve lo immaginate come sarebbe stato sapendo che i destini dei suoi protagonisti e le inchieste del suo amato commissario erano nelle mani e dipendevano dalla penna di qualcun'altro?
No. Noi non crediamo a questa favola dei gosth writer.
Ma perchè proprio oggi questo post così battagliero proprio su questo argomento?
Perché ci è capitato sotto mano un vecchio post del giornalista Luca Telese (ultimamente fondatore e direttore del quotidiano "Pubblico", pubblicato per circa quattro mesi) in cui parlando del fenomeno (?) Fabio Volo, scriveva a proposito di gosth-writers "... li aveva anche Simenon, ma nessuno lo sminuisce per questo, anche sceglierseli è un talento...".
Così, en passant, dandolo per scontato... Anche se è roba vecchia (fine dicembre 2011) non potevamo lasciarla passare... così.