"Je me souviens... Les inconnus dans la maison, la maison du canal... des traces de pas... et le suspect!".
Oncle Charles s'est enfermé derrière les volets verts de la chambre bleu. Les inconnues de la maison comme l'ombre chinoise ou la tete d'un homme?... Le frères Rico? Les Pitard?... Ou les fantomes du chapelier? Il etait au bout du rouleau, aprés (les) quatres jours du pauvre homme chez les Flamands quand Cécile est morte. Après le rapport du gendarme et la fuite de monsieur Monde, a quoi bon jurer? Quand vient le froid, la neige était sale et, en cas de malheur, le déménagement est le chemin sans issue.
L'homme qui regardait passer les trains est un homme comme un autre, un nouveau dans la ville qui, comme le clients d'Avrenos, ceux de la soif, voit le fond de la bouteille. Il est le prisonnier de la rue, il est le client le plus obstiné du monde du Liberty Bar mais avec un coupe de vague il arrive, après le haut mal, à un vie comme neuve ou il y encore des noisetiers.
E' un gioco, non sappiamo quanto divertente, ma abbiamo voulto tentare. Scrivere un testo a volte un po' surreale, a volte un po' ermetico, con delle licenze poetico-lessicali costruito però con i titoli dei romanzi di Simenon. Per facilitarvi il compito del riconoscimento abbiamo messo in rosso le parole aggiunte che servono a dare un vago senso compiuto al tutto. Qui di seguito potrete leggere la traduzione in italiano. Bilancio. Su 365 parole di testo, 26 le abbiamo aggiunte noi, poco più del 23%, le altre 339 sono proprio quelle dei titoli dei romanzi e dei Maigret di Simenon.
"Io mi ricordo... gli sconosciuti nella casa, la casa del canale... delle tracce di passi ... e il sospetto!". Zio Charles si era rinchiuso dietro le persiane verdi della camera azzurra. Gli sconosciuti nella casa come l'ombra cinese o la testa di un uomo?... I fratelli Ricò? I Pitard?... O i fantasmi del cappellaio? Era allo stremo, dopo (i) quattro giorni del pover'uomo dai Fiamminghi, quando Cecilia è morta. Dopo il rapporto del gendarme e la fuga del signor Monde, a che serviva giurare? Quando viene il feddo, la neve era sporca e, in caso di disgrazia, la fuga é una strada senza uscita.
L'uomo che passava guardare i treni è un uomo come un'altro, uno nuovo nella città che, come i clienti d'Avrenos, quelli della sete, vede il fondo della bottiglia. E' il prigioniero della strada, é il cliente più ostinato al mondo del Liberty Bar, ma con un colpo di vento arriva, dopo il grande male, ad una vita come nuova dove esistono ancora i nocciòli.
mercoledì 13 aprile 2011
martedì 12 aprile 2011
SIMENON. SODDISFAZIONI MADE IN USA
La permanenza decennale di Simenon negli Stati Uniti, oltre a dargli spunti per continuare a ritmo serrato la sua produzione di romanzi e di Maigret, gli regalò più di una soddisfazione.
Possiamo iniziare dal paragone fatto dal Dashiell Hammett sul Los Angeles Times a proposito del suo La neige était sale (1948) : "...perché é intelligente (Simenon). Per certi versi mi fa pensare a Edgard Poe...". Ottobre 1949, Little Brown, l'editore dell'Ellery Queen's Magazine, gli assegna il primo premio per il racconto poliziesco. Per Simenon è una graticazione notevole, anche per non era in lizza, e quindi totalemtne inaspettto, una sorta di riconsocimento alla sua letteratura di genere.
Nel 1952 viene accolto dalla Accademy of arts and Letters e successivamente nominato addirittura Presidente della Mystery Writers of America. Questo conferma quello che scrisse il giornalista Brendam Gill nel ritratto di Simenon sul New Yorker:"...E' amato da quelli che cercano verità estreme, e non da quelli immobili in una normalità destabilizzante. E' preferito dagli intellettuali, ma i lettori dei tascabili nutrono nei suoi confronti la medesima considerazione che hanno per Spillane o Caldwell...".
Interviste e commenti lusinghieri escono anche sul New York Times, sul Saturday Review, su Life e su Look. Insomma l'europeo Siemenon colpisce e conquista l'America colta che con le sue attenzioni lo coccola. E per lo scrittore è importante, molto importante, almeno a stare a quello che aveva scritto in Problèmes du roman nel 1943 "...gli americani, che sono forse i più autentici romanzieri di questo periodo..."
Possiamo iniziare dal paragone fatto dal Dashiell Hammett sul Los Angeles Times a proposito del suo La neige était sale (1948) : "...perché é intelligente (Simenon). Per certi versi mi fa pensare a Edgard Poe...". Ottobre 1949, Little Brown, l'editore dell'Ellery Queen's Magazine, gli assegna il primo premio per il racconto poliziesco. Per Simenon è una graticazione notevole, anche per non era in lizza, e quindi totalemtne inaspettto, una sorta di riconsocimento alla sua letteratura di genere.
Nel 1952 viene accolto dalla Accademy of arts and Letters e successivamente nominato addirittura Presidente della Mystery Writers of America. Questo conferma quello che scrisse il giornalista Brendam Gill nel ritratto di Simenon sul New Yorker:"...E' amato da quelli che cercano verità estreme, e non da quelli immobili in una normalità destabilizzante. E' preferito dagli intellettuali, ma i lettori dei tascabili nutrono nei suoi confronti la medesima considerazione che hanno per Spillane o Caldwell...".
Interviste e commenti lusinghieri escono anche sul New York Times, sul Saturday Review, su Life e su Look. Insomma l'europeo Siemenon colpisce e conquista l'America colta che con le sue attenzioni lo coccola. E per lo scrittore è importante, molto importante, almeno a stare a quello che aveva scritto in Problèmes du roman nel 1943 "...gli americani, che sono forse i più autentici romanzieri di questo periodo..."
lunedì 11 aprile 2011
SIMENON VA AL CINEMA. SUBITO.
I romanzi di Simenon, si sa, sono risultati assai adeguati al linguaggio cinematografico, oltre che molto telegenici. Ad oggi sono oltre sessanta film in vari paesi i cui soggetti sono tratti dai suoi romanzi e dai Maigret .
L'avventura nel cinema iniziò molto presto e con l'ingresso dalla porta principale, visto che il regista si chiamava Jean Renoir. Era il 1932 il film La nuit de Carrefour tratto dall'omonima inchiesta di Maigret. Quello che stupisce è la velocità di realizzazione tipica delle creazioni che riguardano Simenon. Il libro lo scrisse nell'aprile del 1931. Fayard glielo pubblicò nel luglio dello stesso anno. Il film debuttò nelle sale nell'aprile del 1932. Nemmeno nove mesi dopo l'uscita del libro e appena ad un anno dalla fine della sua scrittura. Insomma sempre lo stesso ritmo infernale della macchina Simenon.
Infatti, stesso anno, il 2 luglio, esce Le chien jaune, stavolta diretto da Jean Tarride, scritto invece nel marzo del '31, pubblicato il mese sucessivo. La catena di montaggio tiene sempre lo stesso ritmo. Per il terzo occorre aspettare ben sette mesi. Febbraio 1933, La tête d'un homme, altro nome di spicco alla regia, Julien Duvivier, uscito però con "calma", quasi tre anni dopo essere stato scritto e quasi due dopo la sua pubblicazione. Ma come avrebbero detto i giovani francesi di qulache decennio fa', ce n'est qu'un debut....
Il cinema lo affascinava, però l'opinione sull'ambiente di Simenon era piuttosto severa. Così il set.
"...Una folla fatta di gente che nella vita fà il rigattiere, lo scroccone, il banchiere o di brava gente che si agita, correndosi incontro, discutendo e affaccendandosi intorno ad un libro, che trasformeranno in soggetto, poi in sceneggiatura e quindi (ma non sempre) in un film... - racconta lo scrittore in un articolo del '32 - E poi un'altro tipo di persone, di cui nessuno conosce il mestiere, che legge, cancella, consiglia, stabilisce dei dialoghi, taglia scene e personaggi...". E infatti dopo questo terzo film occorrerà aspettare dieci anni per veder proiettata un pellicola tratta da un suo romanzo (La maison des sept jeunes filles - Albert Valentin - 1942).
"Io firmo un minimo di cinque contratti a settimana. Cinque produttori, in dieci giorni si battono per avere i diritti de La Chambre blue, un romanzo di cui si è parlato troppo poco - rispondeva Simenon in un'intervista del 1981 - Altri quattro si disputano Le fantome du chapelier che deve essere realizzato da Chabrol con Aznavour...." E' fin troppo evidente che la storia di Simenone e il cinema è troppa lunga e complessa per ridurla in un post. Ci torneremo sopra, magari con altri post o magari come abbiamo fatto per Maigret, dedicandogli uno speciale per tutta una settimana. Seguiteci.
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L'avventura nel cinema iniziò molto presto e con l'ingresso dalla porta principale, visto che il regista si chiamava Jean Renoir. Era il 1932 il film La nuit de Carrefour tratto dall'omonima inchiesta di Maigret. Quello che stupisce è la velocità di realizzazione tipica delle creazioni che riguardano Simenon. Il libro lo scrisse nell'aprile del 1931. Fayard glielo pubblicò nel luglio dello stesso anno. Il film debuttò nelle sale nell'aprile del 1932. Nemmeno nove mesi dopo l'uscita del libro e appena ad un anno dalla fine della sua scrittura. Insomma sempre lo stesso ritmo infernale della macchina Simenon.
Infatti, stesso anno, il 2 luglio, esce Le chien jaune, stavolta diretto da Jean Tarride, scritto invece nel marzo del '31, pubblicato il mese sucessivo. La catena di montaggio tiene sempre lo stesso ritmo. Per il terzo occorre aspettare ben sette mesi. Febbraio 1933, La tête d'un homme, altro nome di spicco alla regia, Julien Duvivier, uscito però con "calma", quasi tre anni dopo essere stato scritto e quasi due dopo la sua pubblicazione. Ma come avrebbero detto i giovani francesi di qulache decennio fa', ce n'est qu'un debut....
Il cinema lo affascinava, però l'opinione sull'ambiente di Simenon era piuttosto severa. Così il set.
"...Una folla fatta di gente che nella vita fà il rigattiere, lo scroccone, il banchiere o di brava gente che si agita, correndosi incontro, discutendo e affaccendandosi intorno ad un libro, che trasformeranno in soggetto, poi in sceneggiatura e quindi (ma non sempre) in un film... - racconta lo scrittore in un articolo del '32 - E poi un'altro tipo di persone, di cui nessuno conosce il mestiere, che legge, cancella, consiglia, stabilisce dei dialoghi, taglia scene e personaggi...". E infatti dopo questo terzo film occorrerà aspettare dieci anni per veder proiettata un pellicola tratta da un suo romanzo (La maison des sept jeunes filles - Albert Valentin - 1942).
"Io firmo un minimo di cinque contratti a settimana. Cinque produttori, in dieci giorni si battono per avere i diritti de La Chambre blue, un romanzo di cui si è parlato troppo poco - rispondeva Simenon in un'intervista del 1981 - Altri quattro si disputano Le fantome du chapelier che deve essere realizzato da Chabrol con Aznavour...." E' fin troppo evidente che la storia di Simenone e il cinema è troppa lunga e complessa per ridurla in un post. Ci torneremo sopra, magari con altri post o magari come abbiamo fatto per Maigret, dedicandogli uno speciale per tutta una settimana. Seguiteci.
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domenica 10 aprile 2011
SIMENON FA IL CASTELLANO
![]() |
La Richardière |
Una costruzione, solida, come piacevano a Simenon, con un torretta, un cortile interno e tanto spazio, anche per il suo studio e per l'atelier di Tigy, che ancora dipingeva.
"Una cosa mi attraeva molto de La Rochelle - racconta Simenon - come d'altronde ho scritto in molti miei romanzi. Ho trovato nella regione de La Rochelle, soprattutto verso il nord, esattamente la stessa luminosità dell'Olanda, una luminosità del cielo alla Vermeer. Una luminosità eccezionale".
![]() | ||||||
Chateau de Terre-Neuve Simenon e il figlio Marc | |
sabato 9 aprile 2011
SIMENON. PIOVONO LE CRITICHE
Non tutto è sempre stato facile per Simenon. Soprattutto all'inizio quando la sua fama nella letteratura popolare lo condizionava pesantemente sulla produzione dei Maigret, i cui più accaniti critici ritenevano fosse un polar che non rispettava le regole del genere e che sarebbe risultato poco gradito a chi cercava quel tipo di letteratura.Poi quando il successo della serie delle inchieste del commissario fu palpabile ed indiscutibile, e Simenon prese a scrivere quelli che lui chiamava romans durs, gli veniva consigliato più o meno sarcasticamente di tornare alla letteratura poliziesca, perché quella del romanzo non era davvero la sua strada.
Ma ci voleva ben altro per smontare Simenon, che aveva convinto Fayard a pubblicare i Maigret anche se l'editore era convinto che ci avrebbe rimesso un bel po' di soldi.
Robert Brasillach nel '32 su L'Action Francaise commentava: "Più attento , liberato dal suo pubblico, dalle sue strutture che era obbligato a utilizzare, se monsieur Simenon scrivesse meno velocemente, chissà se ci regalerebbe un giorno un romanzo che ci sorprenderebbe?.... Semmai monsieur Simenon acquisisse la cultura letteraria che gli manca, siamo sicuri che non potremmo attenderci qualcosa da lui?..."
Non passano due anni che dal 'piano' Fayard Simenon sale diversi gradini ed entra dalla porta principale alla maison Gallimard, accompagnato nientemeno che da André Gide. Ma le critiche sono anche di ordine... economico. Infatti il patron Arthéme Gallimard gli rimprovera: "...E' certo che l'aver abbandonato da parte vostra il genere poliziesco (Maigret) ha diminuito, come era facile prevedere, la vendita dei vostri libri...".
Anche l'uscita di titoli importanti come "Il testamento Donadieu" (1937) suscita delle critiche. Su Le Figaro André Rousseax scriveva:"...La frittata alla cipolla ha fatto carriera. Il piccolo bistrò diventa così un ristorante alla moda... E' un 'capolavoro' grezzo, una specie di 'capolavoro' sospeso. Così si scopre l'oro in certe sabbie. Occorre soltanto sapere se l'oro potrà essere mai estratto un giorno da queste sabbie..."
Ancora nel '38 altre rampogne economiche, gliele rivolge ancora Gallimard: "...Pensate che se faccio un bilancio del Simenon alla NFR, devo constatare che vi ho versato a tutt'oggi 500.000 franchi di diritti, non ammortizzati dalle vendite, e che i costi industriali rappresentano altri 400.000 franchi e che così arrivo ad un deficit totale di circa un milione...".
E anche nel '45, quando è negli Stati Uniti, arrivano staffilate come quelle di Andrè Billy su La Bataille:" Su cosa scherza Simenon? Cosa lo autorizza a proferire sciocchezze così gravi? Il romanzo classico dopo di lui, sarebbe il romanzo-crisi, e il romanzo-crisi starebbe al romanzo, come la drammaturgia di Shakespeare sta al teatro?...".
Ma nemmeno questo spaventa Simenon che risponde a tutti: "Io sono un romanziere. E resterò un romanziere. Ho lasciato i reportage e le pubblicazioni delle mie opere sui giornali, perchè tengo prima di tutto alla mia completa indipendenza... Venderò le mie opere quando vorrò, al prezzo che riterrò equo, perché solo io sono responsabile della mia reputazione...".
E, come è noto, alla fine ebbe ragione lui, sui critici e sugli editori.
Ma ci voleva ben altro per smontare Simenon, che aveva convinto Fayard a pubblicare i Maigret anche se l'editore era convinto che ci avrebbe rimesso un bel po' di soldi.

Non passano due anni che dal 'piano' Fayard Simenon sale diversi gradini ed entra dalla porta principale alla maison Gallimard, accompagnato nientemeno che da André Gide. Ma le critiche sono anche di ordine... economico. Infatti il patron Arthéme Gallimard gli rimprovera: "...E' certo che l'aver abbandonato da parte vostra il genere poliziesco (Maigret) ha diminuito, come era facile prevedere, la vendita dei vostri libri...".
Anche l'uscita di titoli importanti come "Il testamento Donadieu" (1937) suscita delle critiche. Su Le Figaro André Rousseax scriveva:"...La frittata alla cipolla ha fatto carriera. Il piccolo bistrò diventa così un ristorante alla moda... E' un 'capolavoro' grezzo, una specie di 'capolavoro' sospeso. Così si scopre l'oro in certe sabbie. Occorre soltanto sapere se l'oro potrà essere mai estratto un giorno da queste sabbie..."
Ancora nel '38 altre rampogne economiche, gliele rivolge ancora Gallimard: "...Pensate che se faccio un bilancio del Simenon alla NFR, devo constatare che vi ho versato a tutt'oggi 500.000 franchi di diritti, non ammortizzati dalle vendite, e che i costi industriali rappresentano altri 400.000 franchi e che così arrivo ad un deficit totale di circa un milione...".
E anche nel '45, quando è negli Stati Uniti, arrivano staffilate come quelle di Andrè Billy su La Bataille:" Su cosa scherza Simenon? Cosa lo autorizza a proferire sciocchezze così gravi? Il romanzo classico dopo di lui, sarebbe il romanzo-crisi, e il romanzo-crisi starebbe al romanzo, come la drammaturgia di Shakespeare sta al teatro?...".
Ma nemmeno questo spaventa Simenon che risponde a tutti: "Io sono un romanziere. E resterò un romanziere. Ho lasciato i reportage e le pubblicazioni delle mie opere sui giornali, perchè tengo prima di tutto alla mia completa indipendenza... Venderò le mie opere quando vorrò, al prezzo che riterrò equo, perché solo io sono responsabile della mia reputazione...".
E, come è noto, alla fine ebbe ragione lui, sui critici e sugli editori.
venerdì 8 aprile 2011
SIMENON. DA POLICE MAGAZINE A DÉTECTIVE
Lo abbiamo già detto, spesso negli anni '30 i romanzi di Simenon uscivano in anteprima in "feuilletton". Cioè a puntate sui giornali, prima che rilegati in un libro. Questo può sembrarci strano oggi, ma non lo era certo per quei tempi, anzi si trattava di una prassi ben consolidata. Dalla letteratura russa a quella francese non c'erano quasi eccezioni. Qui però vogliamo puntare l'attenzione su un tipo di pubblicazioni, che avevano il loro analogo negli Stati Uniti, anche lì negli anni '30, i cosiddetti pulp-magazine, giornali con una veste editorale modesta, una grafica, come si dice, urlata, dove però pubblicavano quelli che poi sarebbero diventati i padri dell'hard-boiled-school, su Black Mask, gente come Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Cornwell Woolrich. In Francia Georges Simenon scriveva sui due più famosi corrispondenti francesi di questi pulp-magazine come Police Magazine e Détective. Erano anche qui giornali con copertine ad effetto, con la solita miscela donne-poliziotti-malviventi, riviste con molte foto e su cui si parlava di fatti di cronaca nera, ma dove venivano anche pubblicati in anteprima, e a puntate, i romazi. Qui vediamo un'esempio della copertina di Police Magazine con La folle d'Ittiville.
Détective invece era una pubblicazione di Gallimard, che risentiva dell'autorevolezza della casa editrice, ma che stuzzicava lo stesso la curiosità della gente sugli omicidi e spesso chiamava a scrivere su casi irrisolti anche firme famose come quella di Simenon. Una letteratura popolare, nella quale ovviamente Simenon si muoveva a suo agio, che avvicinava comunque molta gente alla lettura e poi magari alla lettura dei libri della "Série Noir"(sempre di Gallimard). Questo a conferma che, continuando la tradizione dell'800 di Balzac, c'era in Francia anche nel '900 una letteratura non alta, ma che allargava la base dei lettori che poi man mano raffinavano il loro palato e magari pian piano passavano a letture pù impegnative. Al contrario dell'Italia dove la letteratura popolare è quasi sempre stata segnata a dito dagli intellettuali e non mai avuto respiro per esapandersi. Con la conseguenza che la letteratura alta è rimasta tradizionalmente patrimonio per pochi e l'Italia si è ritrovata ad essere uno dei paesi in cui si legge di meno. Ma questa è un'altra storia.
Détective invece era una pubblicazione di Gallimard, che risentiva dell'autorevolezza della casa editrice, ma che stuzzicava lo stesso la curiosità della gente sugli omicidi e spesso chiamava a scrivere su casi irrisolti anche firme famose come quella di Simenon. Una letteratura popolare, nella quale ovviamente Simenon si muoveva a suo agio, che avvicinava comunque molta gente alla lettura e poi magari alla lettura dei libri della "Série Noir"(sempre di Gallimard). Questo a conferma che, continuando la tradizione dell'800 di Balzac, c'era in Francia anche nel '900 una letteratura non alta, ma che allargava la base dei lettori che poi man mano raffinavano il loro palato e magari pian piano passavano a letture pù impegnative. Al contrario dell'Italia dove la letteratura popolare è quasi sempre stata segnata a dito dagli intellettuali e non mai avuto respiro per esapandersi. Con la conseguenza che la letteratura alta è rimasta tradizionalmente patrimonio per pochi e l'Italia si è ritrovata ad essere uno dei paesi in cui si legge di meno. Ma questa è un'altra storia.
giovedì 7 aprile 2011
SIMENON IN "ETAT DE ROMANS" E MAIGRET "EN TRANSE"?

"Ci siamo il capo è in trance". Questo è un'affermazione che leggiamo nei Maigret e che viene pronunciata dai suoi ispettori che commentano la fase preliminare allo stato in cui il loro capo inizia a immedesimarsi nei personaggi che gravitano intorno al reato o ai sospettati. Quando sarà in grado di pensare e reagire come loro, saprà in quale direzione avviare l'inchiesta e allora il colpevole non avrà più molto tempo.
Insomma la creazione di un romanzo un po' come la preparzione di un'inchiesta. Metodi analoghi anche perchè sono simili le motivazioni. Simenon cerca il perché i suoi protagonisti si comportino in un quel determinato modo e li portino poi alle estreme conseguenze. E pure Maigret non é solo interessato a chi ha commesso il reato, ma molto di più al perché, a quali sono i motivi che hanno portano quell'individuo a quel gesto.
Qui non si tratta tanto di analogie tra Simenon e Maigret, quanto piuttosto di un modo di concepire la scrittura che non differisce granché quando l'autore si accinge a comporre un roman dur o un Maigret. D'altronde lo confessa anche lo stesso Simenon in un 'intervista a Bernard Pivot : "... alla fine ho un po' confuso, e sono andato più in là con i miei personaggi, Maigret con gli altri... i romanzi...".
Questo anche se, nelle dichiarzioni ufficiali dell'autore, i seriali continuavano ad essere "semi-letteratura", che lui scriveva per divertirsi, gli altri erano invece "letteratura" che gli costavano sforzi e una gravosa concentrazione.
SIMENON CI METTE LA FACCIA... IN COPERTINA



mercoledì 6 aprile 2011
SIMENON. MAIGRET, MAGRITTE E' O NON E' UNA PIPA?
"Ceci n'est pas une pipe". Chi non conosce questa allocuzione divenuta famosa perchè messa dall'autore come didascalia del famoso dipinto La Trahison des images (1928) di Magritte (belga pure lui)? Maigret-Magritte, una pipa che non è un pipa e un commmissario che la fuma continuamente. La fuma così tanto da essere talmente connaturata al personaggio da permetterle di rappresentare il tutto con una parte. Basta la pipa per pensare a Maigret? E allora nemmno questa é una pipa? E' solo una forma che ci rimanda all'idea del personaggio? E' personaggio lei stessa, quindi. E allora é vero, non è più una pipa.
Non è un gioco di parole, né un circolo artificioso. Ma una riflessione che ci sottopone Alain Bertrand nel suo Georges Simenon (1988) dove afferma "...Boutade? Punto d'incontro, semmai. Perché lo scrittore approfitta del rapporto metonimico stabilito nel corso della serie tra il commissario e questo attributo per appropriarsi per analogia dell'allocuzione di Magritte....". Ma se la pipa è Maigret, la pipa è anche Simenon.
Qualcuno ha fatto caso che, salvo in quelle scattate da bambino, nelle fotografie di Simenon non manca mai una pipa? O è in bocca allo scrittore, oppure in mano, altrimenti é lui a posare davanti ad una parte della sua collezione di pipe o a quelle tutte in fila già pronte e caricate sul suo tavolo di scrittura. Simenon era molto attento alla comunicazione, figuriamoci a quella visiva. Le fotografie dovevano sempre suggerire qualcosa di quel suo istante di vita, del posto in cui si trovava, di chi era vicino a lui in quel momento e, diciamo noi, del suo maniacale rapporto con la pipa.
E' davvero difficile trovare una foto in cui si faccia beccare senza un pipa che almeno gli spunti dal taschino.
Nel '78 in un'intervista, unidici anni prima di morire, confidò "...Ho iniziato a fumarla a tredici anni e non ho più smesso...". Il che significa che a settantacinque anni erano già 63 anni che fumava la pipa. Come poteva allora un personaggio come Maigret nascere senza pipa?
Qualcuno ha fatto caso che, salvo in quelle scattate da bambino, nelle fotografie di Simenon non manca mai una pipa? O è in bocca allo scrittore, oppure in mano, altrimenti é lui a posare davanti ad una parte della sua collezione di pipe o a quelle tutte in fila già pronte e caricate sul suo tavolo di scrittura. Simenon era molto attento alla comunicazione, figuriamoci a quella visiva. Le fotografie dovevano sempre suggerire qualcosa di quel suo istante di vita, del posto in cui si trovava, di chi era vicino a lui in quel momento e, diciamo noi, del suo maniacale rapporto con la pipa.

martedì 5 aprile 2011
SIMENON. MA QUANTE PAGINE PER UN ROMANZO?
Oggi non è più un tabù. Forse è il frutto una spinta dell'industria editoriale, più che l'esigenza espressiva degli autori contemporanei? Su questo andrebbe fatta una riflessione più profonda in una sede più idonea di questa. Ci riferiamo alla lunghezza dei romanzi. Ormai 500/600 pagine sono quasi la regola e se non proprio la regola sicuramente una media per i libri che affollano le librerie. Non sono un'eccezione nemmeno le 800/900 pagine. E addirittura il superamento del muro delle 1000 pagine non sono più casi che si contano sulle dita di una mano.
A questa regola però, ai suoi tempi, non scappò neanche uno come Simenon che con Mémoires intimes (più Le livre de Marie Jo) arrivò poco oltre le 1200 pagine. Ma fu davvero un'eccezione. Di solito i suoi romans durs sono tra le 150 e le 200 pagine, con poche punte fino a 250 pagine ed oltre. A parte Mémoires intimes, vanno fuori media Long cours (1935) con 380 pagine e Le testament Donadieu (1936) con oltre 390.
Però come dicevamo sopra, la stragrande produzione simenonia dei romans durs si attesta tra le 150 e le 200 pagine. E, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di romanzi cui non manca nulla: trama, atmosfera, personaggi, considerazioni, descrizioni, dialoghi... insomma tutto quello che serve, né di più, né di meno, e tutto ad un certo livello, spesso ad alto livello. E sono quelli che gli hanno valso il riconoscimento della critica e la celebrità tra il pubblico e che ancora oggi, ad ogni riedizione, costituiscono dei titoli da classifica, non solo Francia, ma anche da noi, in Italia, e pure in altri paesi.
Però in Simenon c'era talvolta il sogno di scrivere in modo diverso, romanzi differenti, magari anche di maggior respiro, come afferma in una lettera del '62 al suo editore, Sven Nielsen, in cui specifica "...Per esempio sogno da molto tempo di scrivere un romanzo davvero lungo pieno di personaggi che s'incrociano. E' probabile che non lo scriverò mai. E' come credere che io sia stato costruito per correre su una certa lunghezza, per esempio i cento metri, se non addirittura i 60 metri, come per gli junior!..."
A questa regola però, ai suoi tempi, non scappò neanche uno come Simenon che con Mémoires intimes (più Le livre de Marie Jo) arrivò poco oltre le 1200 pagine. Ma fu davvero un'eccezione. Di solito i suoi romans durs sono tra le 150 e le 200 pagine, con poche punte fino a 250 pagine ed oltre. A parte Mémoires intimes, vanno fuori media Long cours (1935) con 380 pagine e Le testament Donadieu (1936) con oltre 390.
Però come dicevamo sopra, la stragrande produzione simenonia dei romans durs si attesta tra le 150 e le 200 pagine. E, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di romanzi cui non manca nulla: trama, atmosfera, personaggi, considerazioni, descrizioni, dialoghi... insomma tutto quello che serve, né di più, né di meno, e tutto ad un certo livello, spesso ad alto livello. E sono quelli che gli hanno valso il riconoscimento della critica e la celebrità tra il pubblico e che ancora oggi, ad ogni riedizione, costituiscono dei titoli da classifica, non solo Francia, ma anche da noi, in Italia, e pure in altri paesi.
Però in Simenon c'era talvolta il sogno di scrivere in modo diverso, romanzi differenti, magari anche di maggior respiro, come afferma in una lettera del '62 al suo editore, Sven Nielsen, in cui specifica "...Per esempio sogno da molto tempo di scrivere un romanzo davvero lungo pieno di personaggi che s'incrociano. E' probabile che non lo scriverò mai. E' come credere che io sia stato costruito per correre su una certa lunghezza, per esempio i cento metri, se non addirittura i 60 metri, come per gli junior!..."
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