mercoledì 15 giugno 2011

SIMENON DETTA....DETTA... DETTA...

Come si dice, Simenon smise di scrivere nel 1972 quando, pubblicato quello che sarebbe stato l'ultimo Maigret (Maigret et monsieur Charles), si mise al lavoro sul suo nuovo romanzo, che si sarebbe dovuto chiamare Victor, ma, come forse mai nella sua vita, non cadde in état de roman, non ebbe alcuna ispirazione, non riusci a "mettersi nella pelle" di Victor... E quindi da qui la decisione che non avrebbe più scritto. Ma non scrivere non voleva dire interrompere la sua attività letteraria. Certo non era più un romanziere, ma poteva ancora essere uno scrittore. Scoprì quasi casualmente l'uso del registratore. "...a rue de Bourg comprai il modello più semplice di registratore - racconta Simenon appunto in uno dei suoi Dictées del '77 - Per me era una specie di giocattolo, una sorta di passatempo, come fare per esempio delle parole crociate...". Ma poi capì che quello poteva essere lo strumento per continuare. Certo non si trattava di narrare delle storie, di ragionare sul mondo e compiere analisi psicologiche, ma c'erano tante cose di sé che a settant'anni Simenon aveva ancora voglia di raccontare, voleva ancora esprimere certe sue opinioni, le riflessioni sulla sua vita e sulle sue esperienze. Insomma possiamo dire che iniziò una nuova fase, quella dei libri autobiografici, che somigliavano un po' ad un diaro quotidiano, un giornale intimo.
Iniziò nel 1973 e per sei anni andò avanti per un totale di ventuno Dictées (nel '74 dettò anche il famoso "Lettre à ma mère", che non rientra però nei titoli classificati Dictées). Anche in questa fase quindi un bel ritmo, ben più di tre all'anno.
L'intenzione era quella di intitolarli Mon magnétophone et moi, ma poi prevalse la sceltà più semplice ed  essenziale, come d'altronde era diventata semplice ed essenziale la vita di Simenon nella sua casetta al 12 di avenue de Figuiers.
Le parole dello scrittore sono chiare: "... Non è letteratura. Insomma si tratta solatanto di pensieri che passano nella testa di un vecchio uomo, più o meno giorno per giorno, e anche il resoconto di come impiego il tempo. In altre parole, niente di che, poiché tutto questo non appartiene a nessun genere..."
Eppure la sua foga, il suo ritmo con cui in quei sei anni si buttò su questa particolare forma di scrittura dimostra come in qualche modo non volesse comporre per i posteri, non ambiva ad una serie di titoli da far publicare postumi.
Erano, quelli che metteva nei Dictées, gli ultimi sprazzi di energia, la residua voglia di raccontarsi e l'estrema volontà di tenere ancora tirato il filo con i propri lettori. Ma andiamo a leggere come la vedeva Simenon:
"...Se ho scritto circa duecentoventi romanzi e se una volta ritiratomi dalla scrittura, ho continuato a dettare con tanto accanimento, significa che per me è un bisogno. Bisogno di che? Forse di cacciare i miei fantasmi..."

martedì 14 giugno 2011

SIMENON. MAIGRET E IL COMMISSARIO...RICHARD!

Jean Richard. Commissario? Sì, ma nella finzione dei telefilm trasmessi in Francia tra il 1967 e il 1990.
E' infatti stato il primo Maigret televisivo dei francesi...un attore particolare, diplomato al conseravatorio di arti drammatiche, aveva esordito nel cinema, riuscendo a recitare in un film diretto da Jean Renoir, ma poi il suo insopprimibile amore per gli animali ebbe la meglio e, dopo averlo portato ad essere il creatore del primo parco di divertimenti a tema in Francia (la Mer de sable), lo portò a creare uno zoo. Sempre il suo amore per gli animali lo portò ad avvicinarsi al mondo circense e a diventare addirittura direttore di un circo. Dopodiché tornò a calcare le tavole del palcoscenico in commedie musicali (una delle quali con Charles Aznavour). Ma il vero successo arrivò a cinquantun'anni. Gli venne offerta la parte  del commissario Maigret nella prima serie televisiva che la tv francese realizzò sul personaggio simenoniano.
Per oltre vent'anni e in 92 episodi Richard sarà la faccia di Maigret per milioni di spettatori francesi. La sua imponenza, la sua bonaria tranquillità e l'essere un accanito fumatore di pipa lo fecero scegliere tra altri attori, anche di livello, in lizza per quella parte.
A raccontare in parte questa storia, in Francia è uscito da poco un libro di Pierre Fenouillette, Jean Richard il rischia-tutto dello spettacolo (Éditions du Bastinguage - collana Arts et Société). Il libro viene pubblicato in occasione del decimo anniversario della sua morte ed è un modo per ricordare un volto tanto noto ai francesi, una biografia di un visionario, come recita una frase in copertina.
In Italia Gino Cervi aveva iniziato un paio d'anni prima ad interpretare Maigret alla tv, con sedici sceneggiati tra il '64 e il '72, già famoso, ma acquisendo una popolarità che forse nemmeno la serie cinematografica di "Don Camillo e Peppone" recitata insieme a Fernandel gli aveva procurato.
In Francia Richard continuò fino al '90, dopo gli successe Bruno Cremer, che lo interpretò "solo" in 54 episodi, tra il 1991 e il 2005.


 

lunedì 13 giugno 2011

SIMENON SIMENON SLIDESHOW

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domenica 12 giugno 2011

SIMENON. MAIGRET E I CRIMINALI

"In fondo non c'è nulla che somigli ad un romanzo come un'inchiesta di polizia".
Simenon ancora una volta sintetizza questo suo pensiero nel corso di un incorntro con Roger Stephane.
Ma questo perchè il suo Maigret conduce le inchieste in un modo del tutto particolare, motivo per cui lo stesso Simenon, artefice dietro le quinte, lo fa spesso redarguire dal suo diretto superiore, il giudice Comelieu, il quale farebbe invece molto spesso retate, setacciamenti di massa, azioni insomma in qualche modo visibili e anche rassicuranti nei confronti dei cittadini. Questo perché nella concezione di Simenon il giudice è già un po' politico e deve anche preoccuparsi dell'apparenza e del consenso. Invece Maigret è un tecnico delle attività criminali, ha un solido background, ormai sa come vanno le cose.
"E poi lui non é lì per giudicare". Altra frase ricorente ed emblematica di come il commissario concepiva il suo lavoro, o meglio come voleva Simenon che lo concepisse.
Certe volte viene da pensare che, specialmente quando uno scrittore crea un personaggio seriale, con un suo ambiente, con una sua mentalità, con i suoi personaggi più o meno comprimari, lo faccia in parte anche perchè vuole ricostruire un mondo che proceda secondo le proprie convinzioni e i propri "desiderata".
Che Simenon volesse fare lo scrittore non c'è ombra di dubbio, ma sappiamo che non gli sarebbe dispiaciuto fare il medico e lo ha detto in più occasione, dimostrando peraltro una certa confidenza con la classe medica e frequentando i convegni medici (mentre disertava le manifestazioni letterarie) e, per tornare a Maigret, dando a lui e consorte come più cari amici un medico, il dottor Pardon e moglie.
E poi se è vero che il metodo del romanziere e quello del poliziotto erano simili (la caduta en "état de roman" per lo scrittore e quella "en trance" per il commissario, la condizione per cui nessuno dei due all'inizio aveva la minima idea di come andasse a finire il romanzo per l'uno e l'inchiesta per l'altro, l'istintività  con cui entrambe procedevano...) è anche vero che l'attegiamento di Simenon per i suoi personaggi e di Maigret per i suoi indagati assomiglia un po' anche a quello del medico per il malato. Non deve giudicare deve guarirlo. E non è quello che diceva Simenon per Maigret? Non è lì per giudicare, ma spesso per aggiustare i destini.
Ma chi erano i criminali per lo scrittore? "...un uomo di quarantacinque anni; oggi, domenica, è un uomo come tanti, fa parte della società. Dopo cinque minuti questo signore per un motivo qualsiasi, meno importante di una goccia d'acqua, commette un crimine e di colpo non apprtiene più alla comunità umana, diventa un mostro. Ha vissuto per quarantacinque anni come un uomo accettato dalla società e cinque minuti dopo lo si guarda con disgusto... - afferma Simenon durante la famosa intervista con Médicine et Hygiène (1968) -  Non so se avete mai assistito a dei processi...ma è impressionante la solitudine di quest'uomo in mezzo ai due gendarmi, sa che nessuno lo capisce più, nessuno parla più il suo stesso linguaggio...".
E tutto questo finisce dritto dritto nella mentalità di Maigret.

SIMENON-SIMENON SU LA REPUBBLICA... GRAZIE A LOREDANA

Consentiteci uno stringato post autoreferenziale. Ieri Loredana Lipperini ha citato questo sito/blog nella sua rubrica "Internet Club" su La Repubblica, nella sezione R2Cult. Un grazie doveroso a Loredana e a tutti coloro che in questi mesi hanno fatto crescere in fretta questa inizativa un po' particolare. Non possiamo fare a meno di ricordare a tutti il blog sulla letteratura che Loredana tiene da qualche anno, ormai indiscutibile punto di riferimento sul tema per autorevolezza e completezza: http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/

sabato 11 giugno 2011

SIMENON. COLETTE, POCA O TANTA "LETTERATURA"

E' un classico della biografia simenonia. Era fine settembre del 1932, Simenon era arrivato a Parigi da poco più di nove mesi e, dopo una serie di lavori e lavoretti per sbarcare il lunario, dopo aver iniziato a scrivere racconti e a cercare chi glieli pubblicasse, approdò anche al quotidiano Le Matin. Qui la famosa scrittrice Colette era responsabile della pagina letteraria. Simenon portava a lei i suoi racconti, nella speranza che li accettasse e li publicasse. Allora lui firmava con lo pseudonimo, Georges Sim, aveva appena vent'anni e si confrontava con una Colette che al tempo ne aveva una cinquantina, costituiva un punto di riferimento della cultura e dell'arte parigina, nominata Cavaliere della Repubblica Francese, nonché insignita della Legion d'Onore per meriti letterari.
E' normale che la scrittrice si rivolgesse a quel ragazzo con un ormai famoso "mon petit Sim". Infatti ogni volta che portava un racconto la scrittrice lei lo criticava, dicendogli che era una scrittura ancora troppa intrisa di letteratura. Intendendo che si trattava di una scrittura troppo ridondante, aulica e che non funzionava. "Meno letteratura - ripeteva Colette ogni volta che Simenon tornava con una nuova versione del racconto - Meno letteratura...". E di questo il futuro romanziere fece tesoro, asciugando la propria scrittura riuscendo per l'intanto a pubblicare il suo primo racconto La petite idole, e poi facendo una cifra della sua opera la progressiva semplificazione dello stile e la sempre maggiore essenziaità del linguaggio. Fino alla famosa affermazione di non utilizzare più di duemila vocaboli per scrivere i suoi romanzi, dando quindi la sua preferenza alle parole semplici, di sgnificato univoco e di universale comprensione, quelle che lui stesso definiva "les mots matière". Insomma Simenon non ha mai fatto segreto della sua riconoscenza nei confronti di Colette per avergli insegnato un principio che fu una caratteristica principale del suo successo. 
A questo proposito è interessante andare a vedere quello che raccontava Simenon cinquant'anni dopo:
"...I suoi consigli mi sono stato molto utili, quello che invece trovavo sorprendente era che lei stessa scrivesse in un modo così impreziosito e ridondante . Non dimenticate che a quell'epoca Anatole France era considerato una sorta di Papa degli scrittori francesi; tutti parteggiavano per lui. Personalmente  ne avevo orrore, consideravo le sue opere come il pizzo elaborato, con la frase per la frase, la parola per la parola, l'aggettivo ricercato, insomma quello che chiamano lo stile. E io invece, al contrario, già cercavo di sbarazzarmi di questi elementi, pur non essendo allora andanto troppo avanti su questa strada. Avevo portato i miei due primi racconti a Colette - racconta Simenon nel 1983 in un'intervista - e me li restituì la settimana successiva dicendomi: 'Diffidate, mon petit Sim, c'è troppa letteratura, è troppo letterario, evitate di fare letteratura...'
Ed é quello che ho fatto.Ho subito cercato di semplificare la mia scrittura. Preferisco rischiare delle scorrettezze, cosa che mi accade anche adesso, piuttosto che raffinare il mio stile. Quando eseguo la revisione di un mio scritto, non aggiungo mai nulla, io taglio, tolgo gli aggettivi, levo gli avverbi, escludo le frasi che filano troppo bene, quelle che io chiamo i 'versi bianchi'...".