martedì 20 novembre 2012

SIMENON, PINTER... L'ESSENZIALITA' PASSA PER MAIGRET

L'intervento di oggi è proposto da una delle nostra attachées, Giovanna Ferraris. Si tratta di un breve ma interessante post su un elemento che lega la scrittura del romanziere e lo stile delle famose copertine mondadoriane del grande Pinter.


Roma - dalla nostra attachée Giovanna Ferraris - Mi è capitato tra le mani, un vecchio Maigret, edito da Mondadori nel 1975 che avevo già letto tempo fa' nell'edizione di Adelphi Maigret e l'affittacamere. Ero in una bancarella di libri malridotti e mischiati alla rinfusa... tre pezzi un euro. So benissimo che è molto difficile trovare dei Simenon usati in queste bancarelle di libri vecchi. Allora lesta, lesta, l'ho infilato tra un manuale di cucina dei Fratelli Mellita e un libro della Signora in Giallo, ho pagato e sono andata via di corsa. Mi sono disfatta dei due volumi superflui e appena comoda a casa, mi sono gustata, prima della rilettura, questa bellissima copertina di Ferènc Pinter. Oltre che un'appassionata del commissario, sono anche un'ammiratrice di Pinter, del suo modo di fissare gli attimi, della sua abilità nel portare l'attenzione su particolari a prima vista banali, ma in effetti molto significativi. Devo dire che amo di più le copertina del secondo periodo, quelle appunto meno disegnate, dove il tratto si fa più rarefatto, dove i due o tre particolari raccontano una storia completa. Anche questa nostante si vedano solo le bretelle di Maigret riflesse in uno specchio, un portaspazzolino da denti, un lavandino e la pipa poggiata sul bordo.
Pochi tratti, dominanza di due colori, il celeste intenso, e il bianco. Si capisce benissimo che Maigret, in maniche di camicia sta facendo pipì. Ma l'immagine è elegante e raffinata, perché essenziale. A Pinter bastano due colori e alcuni semplici tratti, per relizzare un capolavoro di copertina. E questo mi ha fatto pensare alla scrittura di Simenon. Linguaggio sintetico, frasi brevi, pochi aggettivi, dialoghi secchi. Ma questo gli bastava per creare una vicenda, dare spessore ai personaggi e farci ritrovare in un certo ambiente.
Essenziale. Essenziale come Pinter, o se si vuole, Pinter è l'illustratore giusto per Simenon, perchè essenziale come lui.
Questà è una delle qualità dell'arte. Dire tutto, con le sole parole che servono, non una virgola di più. Usare il disegno e il colore necessari, solo quelli indispensabili a creare un'opera figurativa completa e alla quale non si può togliere una pennellata o aggiungere un tratto. Chissà se Simenon e Pinter si sono conosciuti? Forse il nostro specialista Andrea Franco, o anche Maurizio Testa, lo potrebbero scoprire.

lunedì 19 novembre 2012

SIMENON E ROTH. QUANDO E' ORA DI SMETTERE DI SCRIVERE...

Ne scrivevamo proprio l'altro giorno. Simenon smise di scrivere a neanche settant'anni. Neanche si fà per dire, visto che aveva iniziato quasi una cinquantina di anni prima.
In questi giorni un'altro grande della letteratura, il romanziere americano Philp Roth ha fatto sapere che non avrebbe scritto più. Già, una delle punte di diamante della letteratura contemporanea, anche lui vicino ai settant'anni, conclude coscientemente e senza motivi condizionanti la sua attività. In realtà sembra che fossero un paio d'anni che stesse ponderando questa decisione, ma afferma di averci voluto pensare con calma e a fondo per vedere se non fosse una decisione affrettata e dettata da motivi contingenti. Adesso è ormai certo di non voler più scrivere e la notizia è diventata ufficiale.
In realtà somiglia alla decisione che Simenon prese nel settembre del 1972, quando si rese conto che il suo famoso état de roman non funzionava più, anche se fu più improvvisa ed istintiva e la comunicazione ufficiale avvenne in un'intervista (al "24 Heures di Losanna / Henry Charles Tauxe) solo qualche mese dopo, nel febbraio dell'anno successivo.
Oggi il quotidiano La Repubblica riporta un articolo del NewYork Times News Service, a firma di Charles McGrath, dove sono citate alcune affermazioni del romanziere americano. Il suo ultimo romanzo Nemesi, uscito nel 2010 ha chiuso un'attività iniziata nel '53 a ventisei anni, con il racconto Addio Columbus.
Certo tra i due c'è una generazione di mezzo. Quando Roth nasceva, Simenon aveva già completato la sua  prima serie dei Maigret e iniziava a scrivere dei romanzi. Quando morì Simenon, Roth era ormai uno scittore affermato con il famoso Lamento di Portnoy già scritto nel 1969 ed una ventina di titoli al suo attivo. Nei dieci anni che Simenon visse negli States (1945-1955), Roth era impegnato ancora negli studi.
In definitiva non possiamo dire che tra i due scrittori ci siano delle analogie, tranne questa coincidenza. Roth ha scritto storie più autobiografiche, Simenon raccontava la vita degli altri vista da dentro i personaggi. Roth è stato spesso rimproverato per la sua scrittura cruda e a volte scurrile, Simenon era controllato ed essenziale. Roth ha scritto di media un titolo l'anno, per Simenon sia va dai cinque/sei dei primi anni ai tre dell'ultimo periodo.
Però un cosa ci ha colpito. Su La Repubblica di oggi abbiamo letto "... So che non riuscirò più a scrivere bene come scrivevo prima. Non ho più la forza di sopportare la frustrazione. Scrivere è una frustrazione, una frustrazione quotidiana, per non parlare dell'umiliazione - spiega Roth - E' come il baseball: due terzi del tempo sabgli... Non ce la faccio più ad immaginare di passare altre giornate in cui scrivi cinque pagine e le butti via. Non ce la faccio più...".
La stanchezza, l'insicurezza di non riuscire più a tenere quel livello... Ci vengono in mente le parole di Simenon che abbiamo pubblicato qualche giorno fa' "... ho cercato sempre di semplificare, di raccogliere le mie impressioni, di sopprimere l'inutile, di eliminare l'aneddoto. Poi poco prima dei miei settant'anni ho avuto l'impressione che non fossi più capace di andare avanti senza danneggiare la mia salute e forse anche il mio equilibrio mentale... A settant'anni ho deciso di non scrivere più romanzi. In fondo per paura. Ho intuito confusamente quale prezzo avrei pagato per le mie opere future. Sapevo che continuare a creare dei personaggi, a sforzarmi a metterli sulla carta, costituiva una sorta di suicidio...(vedi il post relativo).

SIMENON. MAIGRET E IL CASO DEI SALSICCIOTTI A NOVEMBRE

Adolescenza in campagna. Gusto per le cose semplici. E anche in fatto di cibi il commissario Maigret sappiamo che e sue preferenze andavano per i piatti contadini o di origine rurale.
Oggi vogliamo fare un particolare incrocio, tra i gusti del commmissario, il mese di novembre, alcune inchieste scritte da Simenon e il famoso libro dell'altrettanto famoso cuoco francese Robert J. Courtin  Le cahier de recettes de madame Maigret (1974).
E qui, nella sezione dedicata agli Intermezzi lo chef parla di salsicciotti. Già, quelli tradizionali, preparati con il filo e le budella non tagliate. E prende spunto proprio da due inchieste Maigret et le voleur paresseux pubblicato nel novembre el 1961 Maigret et le client du samedi uscito l'anno successivo, sempre a novembre (entrambe edite da Presses de La Cité).
Nel primo caso cita una delle rituali richieste di Maigret su dove mangiare e cosa, durante lo svolgersi dell'inchiesta.
"... - Come si mangia al Petit-Saint Paul?
-...E' la padrona che cucina. Se le piacciono le salsicce non c'è niente di meglio in questa zona..."
Nell'indagine del '62 invece Courtin prende spunto da una scena tra il commissario e la moglie.
"...Egli mangiò il suo arrosto di vitello senza apetito. e sua moglie si domandò perché le dicesse tutto a un tratto: Domani preparerai dei salsicciotti...".
E allora vediamo come sono e soprattutto come si preparano questi salsicciotti che Maigret ama tanto (vengono citati anche in 'Maigret et le Fantome' e in 'Maigret e l'indicateur').
Courtin inizia citando la salsiccia di Troyes che è la più conosciuta, ma passa in rassegna anche altri tipi come ad esempio quelle di Vauvray, di Chantilly sur Loire, Aubagne... In Francia la scelta è ricca. Per cuocerle consiglia di bucare ogni salsiccia con la punta del coltello in una dozzina di punti. A questo punto vanno messe sulla griglia, aumentando pian piano la fiamma  in modo che la pelle diventi appena screpolata e dorata, facendo però atenzione a non bruciarla.
E di contorno? Manco a dirlo Maigret ama le patatine fritte, anche se il raffinato chef preferirebbe abbinare un legume che bilanci il grasso della salsiccia, ad esempio il crescione fatto in purea... un raffinatezza che non siamo sicuri che Maigret avrebbe apprezzato.
Vino semplice per un piatto semplice: del beaujolais.

sabato 17 novembre 2012

SIMENON, MONET. LA CHIAVE DEL SUO "MISTERO": E SE NON AVESSE SMESSO DI SCRIVERE?

Cosa si agitava nella mente di Simenon quando, scriveva in ètat de romans? E perché nel '72 quando stava per iniziare il suo romanzo Victor fu come se tutto si spegnesse. E quella repentina decisione. Non scrivere più. Nemmeno ripensarci, neanche provarci di nuovo. Perchè?
Qualche lume su questi bui e tormentosi quesiti ce li fornisce Simenon stesso in uno dei suoi Dictés (Le petits hommes - 1974 - Presses de La Cité) e più particolarmente in un passo in cui tratta di Monet e del proprio stupore-invidia per un artista che a settantacinque anni, per di più cieco da un occhio, si mise a dipingere Les Nymphéas... "...ammiro certamente Les Nimphéas. Ma lo amo davvero almeno quanto i quadri che l'hanno preceduto? Non sarà il riflesso di una mania, che definirei senile? Non è che le opere di un uomo che aveva brillato di un entusiasmo incontenibile, abbiano lasciato il passo all'opera di un uomo che poco a poco è diventato una sorta di teorico?..."
E qui la riflessione di Simenon sull'opera di Monet diventa autoriflessione e punta su sè stesso l'attenzione.
"...anche io per quasi cinquant'anni ho lavorato per realizzare un linguaggio impressionista, ho lasciato nascere i miei romanzi come se non mi appartenessero. Scaturivano dal mio essere più profondo, ma un essere che io non conoscevo. In altre parole nascevano da mio subconscio...".
Ma l'autoanalisi continua e continua anche questa sorta di parallelo con il pittore.
"...Come Monet ho cercato sempre di semplificare, di raccogliere le mie impressioni, di sopprimere l'inutile, di eliminare l'aneddoto. Poi poco prima dei miei settant'anni ho avuto l'impressione che non fossi più capace di andare avanti senza danneggiare la mia salute e forse anche il mio equilibrio mentale... - Simenon sta entrando nel cuore della decisione più importante della sua vita  - ...guardando Monet e Les Nimphéas ho fatto marcia indietro. A settant'anni ho deciso di non scrivere più romanzi. In fondo per paura. Ho intuito confusamente quale prezzo avrei pagato per le mie opere future. Sapevo che continuare a creare dei personaggi, a sforzarmi a metterli sulla carta, costitiuva una sorta di suicidio..."
Questa paura è un elemento che raramente è  presente nelle tante interpretazioni della sua fine come romanziere. E' un elemento così umano e che ci rende la fragilità di quella che invece veniva considerata una macchina da romanzi, collaudata, inarrestabile e prolifica. E invece...
"... in fondo può darsi che io abbia amato più la vita che la mia opera... Agli inizi ho scritto sei romanzi all'anno, poi quattro, poi tre. Ma siccome erano sempre più complessi, almeno dal mio punto di vista, mi corrrodevano poco a poco..."-
E alla fine di questa riflessone Simenon torna a parlare de Les Nimphéas e a riconsiderare le sue opinioni sul carattere senile dell'opera di Monet  "... probabilmente ho torto, d'altronde Les Nimphéas sono considerate universalmente come il capolavoro di Monet...Se è così, ho sbagliato a smettere. Forse sarei arrivato anch'io al capolavoro supremo....".

venerdì 16 novembre 2012

SIMENON. IN DIRETTA DALLA SUA CAMERA DI LOSANNA



A fine maggio del '75 il giornalista Yves Mourousiparla con Simenon dell'attualità, deil mondo e del suo mondo, i suoi oggetti, i suoi ricordi. L'intervista fu effettuata in occasione di un edizione speciale del giornale  dedicata a Simenon. Il video è come sempre di proprietà del l'I.N.A. (Institut Nationale de l'Audiovisuel) e ha una durata di circa dieci minuti.

giovedì 15 novembre 2012

SIMENON. SCORPIRE O CAPIRE? CRIMINAL MINDS COME MAIGRET?

Capire. Non c'è dubbio. A Maigret, e a Simenon quindi, interessa prima capire. Capire perchè quella certa persona ha compiuto quel delitto. Capire cosa l'ha spinto, cosa c'è sotto o meglio cosa c'é dietro a quell'uomo, quale situazione, quale mentalità, quale ambiente. Capire sì, ma Maigret è pur sempre un commissario di polizia giudiziara della brigata omicidi e deve anche scoprire. Scoprire e acciuffare il colpevole.
Non che questo gli interessi meno. Ma é la fase dell'indagine che viene da sé... quando uno ha capito. Conosce i meccanismi, sa dove mettere le mani, ha introiettato il suo modo di pensare, di agire e di reagire. Il sospettato diventa prevedibile e quindi scoprirlo è più facile. A quel punto, essendosi messo nei suoi panni, il commissario sa quale sarà la prossima mossa e anche catturarlo sarà più semplice.
Ecco il succo dei Maigret. Un poliziesco psicologico come è stato diverse volte definito, dove l'azione è ridotta al minimo indispensabile e dove gli spari e gli inseguimenti si contano in oltre cento, tra romanzi e racconti, sulle dita di una mano o poco più.
Ed è la rivoluzione che Simenon ha compiuto nel romanzo poliziesco degli anni trenta, almeno di quelli più popolari e di maggior successo. Non una mente sopraffina, quasi sovrumana. Nessuna performace fisica fuori del normale. Niente strumenti complicati e procedure scientifiche per scoprire prove e indizi.
Scrive il critico Pierre Assouline riferendosi a Maigret "...meno è professionale e più ci é vicino.Il poliziotto, come il romanziere, si interessano meno al criminale e più all'uomo che si nasconde dietro. La loro empatia è tale che ne fanno sovente un irresponsabile e ci portano a rendere scusabile il suo gesto fatale: invece di perseguire per 250 pagine un assassino fantasma, si scopre progressivamente il criminale e si viene portati pian piano ad ammettere la necessità psicologica del proprio gesto...".
Capirete quanto fosse poco digeribile, e forse anche poco comprensibile, ad un editore come Fayard (che inizialmente non voleva pubblicarlo) un'impostazione di questo tipo del genere poliziesco, con un protagonista quasi banale, ma con una costruzione complessa e articolata come questa, rispetto alle muscolose e eroiche gesta degli altri protagonisti dei polizieschi dell'epoca.
E poi questa metodica d'indagine a noi sembra moderna, molto moderna. Vicina ad esempio a quelle delle fiction televisive più raffinate. Prendete ad esempio Criminal Minds. Quanto le tecniche della famosa Unità di Analisi Comportamentale e dei loro profiler, a cominciare da Aaron "Hotch" Hotchner, somigliano a quelle di Maigret? E le conclusioni? Quanto sono davvero responsabili i serial killer più brutali che alla fine vengono catturati, proprio per essersi messi nella loro pelle e nella loro mente?