venerdì 29 marzo 2013

SIMENON. MAIGRET, DE MAIGRET E GLI AUGURI

Quando siamo impegnati nella nostra ricerca quotidiana di informazioni, news e novità su Simenon e Maigret, uno dei nomi su cui ci imbattiamo spesso, soprattutto nei media francesi, è De Maigret e più precisamente Caroline Maigret.
Si tratta di una modella francese, una delle più in conosciute, trentottenne, che ha debuttato nel mondo della moda nel '93. Ha lavorato per Chanel, Valentino, Dior, Louis Vuitton... è apparsa sulle copertine e nei servizi fotografici di Vogue, Elle, Glamour.. Insomma si muove nel gotha degli stilisti e delle fotomodelle. Ma perché ne parliamo? Perché oltre a quel "Maigret", la signorina che vedete qui accanto e il nostro commissario hanno in comune un''altra cosa. In particolare Neuilly-sur-Seine. Già, lì la signorina Caroline nacque nel febbraio del 1975 e proprio a Neuilly-sur-Seine Simenon visse per qualche tempo, scrivendo una ventina di racconti sulle inchieste del commissario Jules Maigret. Molti dei quali prima di uscire nei volumi di Gallimard, nel 1944, videro la luce sulle pagine dei giornali Paris Soir-Dimanche, Police-film e Police-roman dal '36 al '38.
Ma si tratta di una località che ritroviamo anche in altri titoli di Simenon, come scenario di Maigret et la Grande Perche (Presses de la Cité - 1951).
Beh, con questa modella De Maigret, Simenon-Simenon augura ai propri lettori i migliori auguri per le festività pasquali. Un'occasione anche per prenderci una piccola vacanza. Auguri a tutti quindi e arriverderci a martedì prossimo.

martedì 26 marzo 2013

SIMENON. ADIEU EPALINGES

L'abbandono della villa, in un foto di Hadrien Ponchette per il quotidiano "Libération"


No. Non ci riferiamo al settembre del 1972, quando Simenon, ancor stordito dall'incapacità di avviare la stesura di un romanzo, Victor (che non vedrà nemmeno l'inizio e che marcherà invece la fine della sua attività di romanziere), all'indomani quindi della decisione di non scrivere più, prese un'altra decisione importante: abbandonare la grande e fastosa villa di Epalinges.
Ormai erano solo lui e Teresa a viverci.
Quella era la sola casa che in tutta la sua vita si era fatto costruire. Anzi, l'aveva progettata lui in persona per soddisfare tutte le esigenze di una famiglia che allora contemplava, oltre a lui e Denyse, Teresa Sburelin, i figli, una folta schiera di persone tra segretari e servitù, stanziali o meno... Una casa, meglio una villa, meglio ancora una grande villa, tutta su un piano, specificamente pensata sin nel più piccolo dettaglio per le sue necessità quelle dei figli, della moglie...
No. Questo ad Epalinges è un addio alla "casona" che molti giudicarono brutta, funzionale sicuramente anche originale, ma brutta al punto di meritarsi vari soprannomi dagli abitanti locali o dai passanti occasionali: l'opedale. il bunker, la clinica, la latteria.. Insomma una costruzione che a giudizio di molti che l'hanno potuta osservare solo dall'esterno (tra questi ci siamo anche noi) non presentava alcun motivo di gradevolezza e contrastava non poco con il bucolico paesaggio di quelle colline appena nei dintorni di Losanna.
Bene, adesso è stato deciso e approvato di demolirla. Da decine d'anni disabitata e in rovina, quella che doveva celebrare il culmine della carriera del romanziere, non ha seguito la sorte della sua fama e del suo valore letterario che invece in quegli stessi anni sono cresciuti nell'apprezzamento della critica e dei lettori.
La villa d'Epalinges ha invece seguito un lento declino, come succede per tutte le cose umane, fino a diventare un rudere inutile, da abbattere per far posto ad una speculazione edilizia... Su quel terreno sorgerà un residence di gran lusso...

domenica 24 marzo 2013

SIMENON. L'INCONTRO / 2


La short-story di questo weekend ce la propone Murielle Gigandet, nostra attachée al Bureau Simenon-Simenon e autrice di altre short-story su questo daily-blog. Stavolta i protagonisti si incontrano su un canale... Una situazione giocata abilmente tra realtà e fiction e decisamente originale. Questa è la seconda parte del racconto pubblicato ieri.
Ricordiamo che chiunque volesse cimentarsi in questa rubrica "...magari come Simenon!", scrivendo dei brevi racconti, potrà farlo proponendosi all'indirizzo 
simenon.simenon@temateam.com






 L'INCONTRO 
di Murielle Gigandet
 
Il commissario Maigret in un'illustrazione di Ferenc Pintér


(segue)
- Ma è una coincidenza!...
- E sono commissario di polizia…
L’altro restò a bocca aperta. Dopo qualche secondo di silenzio e di stupore, scoppiò a ridere. La sua risata era così contagiosa e trascinante che il suo visitatore, abbandonando il suo atteggiamento imbronciato, iniziò a ridere a sua volta. Poi tornò serio per domandare:
- Spero che nel vostro libro non raccontiate vicende inverosimili…
L’altro assunse un’aria strana:
Beh, insomma … invento un po’… anzi parecchio…non conosco davvero il mondo della polizia …so quello che raccontano i giornali…
- Fatemi vedere la vostra storia…
Il viso del futuro romanziere s’illuminò.
- Davvero volete? Vi avviso che non si tratta ancora di buona letteratura…
- Poco importa  - borbottò Maigret – la forma. Voglio solo scoprire se c’è un po’ di verosimiglianza.
I minuti passavano. Si sentivano solamente i martelli del cantiere, le grida dei gabbiani e
lo stropiccìo dei fogli che il commissario teneva in mano. La sua lettura durò parecchio tempo, mentre  il suo ospite lo osservava con un sguardo ansioso, vuotando, senza accorgersene, tutta la bottiglia di ginepro. Infine Maigret sospirando, posò l’ultimo foglio sulla pila. Non disse nulla, riaccese la sua pipa, e lasciò andare il suo sguardo sul canale. L’altro non osava interrogarlo, anche se provava un curiosità furiosa. Il commissario sentì che doveva dire quacosa.
- Vedete – iniziò…
Non trovava il tono giusto. Avrebbe voluto bere un altro bicchiere, ma si accorse che la bottiglia era vuota.
- Non avete altro da bere? – domandò con tono burbero.
Il suo ospite sorrise.
- Non ho più nulla. Ma se volete possiamo andare qui di fronte…
I due uomini abbandonarono la chiatta, traversarono il cantiere ingombro di palanche e aprirono la porta di una piccola costruzione che somigliava appena a un cafè. Il suo ospite spiegò:
- Qui vengono soprattutto gli operai del cantiere. Non servono da mangiare, ma il ginepro è buono…
Si sistemarono in un tavolo e l’oste gli portò subito  un recipiente di pietra, riempito fino al bordo di un ginepro profumato. Dopo aver bevuto un paio di bicchieri, Maigret iniziò:
- Vedete, quello che è difficile nel nostro mestiere…

Quando il crepuscolo scese sul canale  quasi addormentato, un treno riportava verso la Francia il commissario Maigret, mentre il suo compagno ritornava pensoso alla sua chiatta. Montò, si sedette su una cassa, poi restò qualche minuto immobile. Infine si riscosse, accese la pipa, prese un nuovo foglio di carta, lo infilò nel rullo della sua macchina da scrivere. Le sue dita dapprima sfiorarono la tastiera e poi molto veloci, sempre più veloci le parole s’impressero sul foglio bianco:
Il commissario Maigret, della prima Brigata mobile, alzò la testa ed ebbe l’impressione
che il crepitìo della stufa piantata nel bel mezzo del suo ufficio…

sabato 23 marzo 2013

SIMENON. L'INCONTRO / 1


La short-story di questo weekend ce la propone Murielle Gigandet, nostra attachée al Bureau Simenon-Simenon e autrice di altre short-story su questo daily-blog. Stavolta i protagonisti si incontrano su un canale... Una situazione giocata abilmente tra realtà e fiction e decisamente originale, cui domani seguirà una seconda parte
Ricordiamo che chiunque volesse cimentarsi in questa rubrica "...magari come Simenon!", scrivendo dei brevi racconti, potrà farlo proponendosi all'indirizzo 
simenon.simenon@temateam.com




 L'INCONTRO 
di Murielle Gigandet

Il commissario Maigret in un'illustrazione di Ferenc Pintér

 Era finita. Come sempre al termine di un’inchiesta il sollievo che sentiva si mescolava con una sorta di disgusto, di svuotamento che ormai non cercava nemmeno più di contrastare. Andò a prendere la sua valigia in albergo, dove bevve un ultimo bicchiere di birra, poi si avviò verso la stazione. Aveva tempo, come costatò arrivando: il suo treno non partiva prima di tre quarti d’ora. Siccome non sopportava di aspettare pazientemente sulla banchina ventosa o nelle sale d’aspetto surriscaldate, decise d’attraversare la strada per recarsi al café dove si era fermato il giorno del suo arrivo.
Cercò di aprire la porta che però fece resistenza. Riprovò ancora, quando si accorse guardando attraverso il vetro,che il locale era buio e sembrava vuoto. Pensò che poteva essere il giorno di chiusura e con un certo disappunto, fece meccanicamente il giro della piazza per tre volte. Poi, siccome ne ebbe abbastanza di passare per l’ennesima volta davanti alla stessa casa dai mattoni rossi, con una finestra che incorniciava il viso pallido di una vecchia donna, ogni volta che le sue gambe lo riportavano davanti a quella facciata, si diresse a grandi passi verso il canale.
Non voleva che sembrasse un pellegrinaggio e così…  Per non essere tentato di recarsi  fino davanti alla fattoria, si fermò davanti al cantiere dove era in riparazione una grossa imbarcazione. Il suo sguardo che seguiva gli scarti di legno che galleggiavano, incrociò  un’immagine inusuale: ad una decina di metri più in là, da una chiatta che aveva ritenuto abbandonata, spuntavano delle volute di fumo azzurro. Percepì anche un ticchettìo di cui non riusciva a spiegarsi l’origine.
Incuriosito, si avvicinò, e scoprì, seduto su una cassa, la pipa tra i denti e una bottiglia di liquore al fianco, un uomo che batteva a tutta velocità sui tasti di una macchina da scrivere. L’osservò per un bel po’ senza dire nulla e stava per andarsene quando l’altro alzò la testa al fischio della sirena del cantiere.
I loro sguardi s’incrociarono. E lo stesso stupore si poteva leggere nelle due paia d’occhi e l’uomo della chiatta, per primo fece un gesto indirizzato all’uomo sulla riva del canale.
Non era certo il primo che passava e si fermava ad osservare con curiosità quel “fenomeno” seduto sulla chiatta, mezza piena d’acqua, ma questa volta qualcosa di differente sembrò attirarlo in quell’ennesimo curioso.  La sua pipa, forse, che sbuffava come la propria? Gli fece segno di avvicinarsi e, siccome il passante esitava, gli tese la mano come per aiutarlo a salire sulla chiatta che si mise ad ondeggiare sotto il peso dei due uomini.
Il nuovo arrivato iniziò a guardarsi intorno senza proferir parola: appena indirizzò lo sguardo, che voleva essere discreto, verso la bottiglia di liquore, l’altro sorrise e inizò la conversazione:
- E’ ginepro – disse – lo conosce?
- Si.
- E' francese?
- Sì, e voi?
- Sono d’origine belga.
Il visitatore, messo a suo agio dall’aria vivace e simpatica del suo ospite, provò a fare qualche domanda.
- Come mai vi siete sistemato qui? Non è un posto granché confortevole per scrivere…
- Vedete l’imbarcazione che stanno riparando, laggiù?
L’altro assentì.
- E’ la mia. E lo dico con un certo orgoglio. Di solito  è li che scrivo, ma siccome gli operai sono troppo rumorosi, mi sono sistemato qui per lavorare.
- Siete uno scrittore?
 - No, romanziere – sorrise – Beh, insomma voglio diventare romanziere. Per il momento sperimento, cerco,  vado un po’ a tentoni…
- E’ difficile?
- Abbastanza, ma credo proprio che ci arriverò.
L’uomo ostentata una certa sicurezza, senza falsa modestia, e faceva venir voglia di credergli.
- E cosa scrivete?
- Oh, fino ad oggi, ho scritto molti romanzi brevi per le donnette, dei racconti, insomma della letteratura alimentare… Ma vorrei passare alla tappa successiva.  Cerco un personaggio che mi serva in qualche modo da filo conduttore. Ho scritto qualche settimana fa’ un romanzo il cui eroe era un avventuriero che risolve dei misteri, una sorta di detective non professionista, ma brillante. Pensavo di aver centrato il mio intento, ma non ci siamo ancora…
E, dicendo questo, fece una smorfia di rammarico; era allo stesso tempo divertente e toccante e il suo visitatore dovette  trattenersi per non ridere. L’altro riprese:
- No, credo che dovrò cercare qualche altra cosa… Avrei pensato ad un personaggio della polizia, ma…
S’interruppe guardando l‘aria stranita che andava assumendo il visitatore.
- Credete che non sia una buona idea? I romanzi polizieschi iniziano ad essere di moda, quindi…
L’altro iniziò a brontolare e, bofonchiando un mezzo saluto, si apprestò ad abbandonare la chiatta.
- Aspettate, che vi prende? Ho detto qualcosa che non vi va a genio?
L’altro stava per saltare dalla chiatta, ma l'altro lo trattenne per una manica.
- Vi prego, non andatevene così. Cominciavo a trovarvi simpatico e poi mi avete ascoltato con grande pazienza… almeno fino ad ora…
L’altro esitava ancora. Il suo ospite ebbe un sorriso disarmante e, mostrando la bottiglia, disse:
- Non volete bere un bicchiere con me? Non c’è niente di meglio che bere insieme per entrare in confidenza…
Il visitatore infine acconsentì.
- Ho solamente un bicchiere, ma potremmo bere a turno… se vi va…
Non si poteva resistere davanti a tanta buona volontà di mostrarsi simpatico. Uno dopo l’altro, i due uomini assaggiarono qualche bicchiere: l’alcol bruciava un po’ la gola, ma il calore che scendeva nel corpo era piacevole e faceva percepire quell’ambiente umido, sotto una diversa luce, più gradevole.
Offrì al suo visitatore una cassa, sulla quale quello si sistemò con una certa precauzione. Visto che era di nuovo attento, gli mostrò una pila di fogli accanto alla macchina da scrivere.
- In questo momento, sto provando un nuovo personaggio. E’ un poliziotto. L’ho già fatto lavorare a Marsiglia in un altro romanzo, e questa volta ho deciso di farlo salire a Parigi. Infatti lavora a Quai des Orfèvres.
Senza accorgersi che il suo interlocutore riprendeva un’aria di disapprovazione, prese un foglio dalla pila e cominciò a leggere a voce alta:
- Il fatto in sé sorprese appena il commissario Maigret…
Questa volta il visitatore non si limitò a brontolare. Si alzò all’improvviso, rischiando di far capovolgere la chiatta. L’altro trattenne la macchina da scrivere, che stava scivolando dalla cassa su cui era poggiata, e levò sul suo visitatore uno sguardo sorpreso. L’altro si sentì obbligato a spiegare il suo comportamento. Disse in un fiato:
- Io mi chiamo Maigret (segue)

venerdì 22 marzo 2013

SIMENON ... TIGY UNA PRESENZA CONTINUA

Iniziamo dall'ultima. Teresa Sburelin, italiana, è stata legata a Simenon per 21 anni, dal 1968 all'anno della scomparsa dello scrittore, nel 1989 (anche se era entrata a servizio nella villa di Epalinges già dal 1961). Prima di lei, la seconda moglie, la canadese Denise Ouimet (anche lei ribattezzata: Denyse), con la quale a New York scoccò da subito un vero un colpo di fulmine. Amanti sin dal primo giorno in cui si conobbero, a fine '45, si sposarono nel giugno del 1950 e si lasciarono definitivamente quando lei abbandonò la casa di Simenon (anche se i due non divorzieranno mai) nel 1964, per un totale quindi di 19 anni.
La prima fu Régine Rénchon, belga, da lui ribattezzata Tigy, conosciuta a Liegi e sua fidanzata dal 1921, che diventò sua moglie nel 1923 e lo rimase fino al giugno del 1950 (anche se erano già almeno una decina d'anni che la loro convivenza era solamente formale), quindi tra fidanzamento e matrimonio ufficiale fanno 29 anni.
Ci sarebbe da considerare anche Henriette Libérge, soprannominata Boule, che entrò sedicenne a servizio dei Simenon come femme de chambre nel '34 e intrattenne con Georges, una consuetudine sessuale quotidiana, ma tra loro si sviluppò anche un affetto reciproco che non possiamo definire "amore", ma una sorta di speciale attaccamento spontaneo tra due esseri sensibli alle percezioni emotive. Tra alti e bassi e alterne vicende, questa situazione andò avanti fino al 1968, quando la contemporanea presenza in casa Simenon di Teresa e Boule divenne incompatibile. Quest'ultima fece perciò le valige dopo 34 anni.
Quindi dai conti fatti, la compagna ufficiale che è stata vicina per più anni a Simenon è Tigy. Ma non è solo un computo meramente aritmetico. Certo, sappiamo che il loro matrimonio aveva delle ombre, ad esempio in un campo che per il romanziere era fondamentale: quello sessuale. Non solo Tigy non aveva una grande propensione per il sesso, ma ignorava (o faceva finta di ignorare) quello che quotidianamente lui faceva con la Boule e con qualsiasi altro essere femminile con cui nella giornata riusciva ad entrare in contatto, prostitute comprese. E che su questo lato Tigy chiudesse un occhio non lo dice solo Boule, che sarebbe una parte interessata, ma lo dimostra anche la clamorosa storia di Simenon con Josephine Baker che la moglie sembrava ignorare del tutto. Ufficialmente lei non sapeva nulla di nulla e Georges era costretto a far tutto di nascosto. Con Denyse da questo punto di vista era tutt'altra musica. Non solo lei aveva una passionalità e una sessualità che sorprese e quasi stordì Simenon, ma gli lasciò libertà assoluta nel praticare le sue quotidiane scorribande sessuali, assecondandolo e alcune volte partecipando anche lei a quelle sortite.
Ma il sesso non era tutto. Negli anni che segnarono la fine del rapporto con Tigy, rimasero comunque insieme per non turbare la crescita del figlio Marc.
Quando, apparsa sulla scena, Denyse da segretaria-interprete, divenne amante ufficiale, Tigy fece il possibile per restare madame Simenon. Ma non si poté opporre alla lunga parentesi e al secondo matrimonio.
Però c'era evidentemente dell'altro che univa i due. Dopo il periodo Denyse, Georges e Tigy rimasero in buoni rapporti. Ad esempio, lei fece da affettuosa "nonna" per tutti i figli (e i nipoti) di Simenon, anche quelli di secondo letto, lui le scrisse spesso lunghe lettere, tennero costanti e buoni rapporti, rimanendo buoni amici fino all'85, quando lei si spense nell'isola di Porquerolles, nella casa del figlio Marc.
Nonostante certe incompatibilità e la difficoltà di fare la moglie di un tale personaggio, Tigy era più rassicurante e... materna di Denyse e questo, soprattutto agli occhi del Simenon maturo e anziano, era una qualità molto apprezzata.

mercoledì 20 marzo 2013

SIMENON ISTINTIVO E INCOSCIENTE

Georges Simenon in una foto di Robert Doisneau

 L'incosciente del titolo, va inteso come "dominato dal subconscio", fuori quindi del territorio della razionalità. Istintivo, invece come priorità data alla spontaneità a scapito della ragione. Queste sono le due caratteristiche principali che si riferiscono a Simenon nel momento in cui va creando un romanzo.
E' un elemento molto importante che porta in ballo la domanda cruciale. Ma davvero Simenon scriveva in stato di trance, non sapeva quasi nulla della vicenda quando iniziava la stesura e men che meno come andasse a finire la storia? Ma soprattutto quanto è vero che, sparito l'état de roman, non era in grado di procedere?
A stare alle dichiarazioni del romanziere era proprio così
"...bisogna che apra la porta alla "ragione" solo quel tanto che è necessario per la vita sociale... Se diventassi razionale, perderei la percezione del mio subconscio..."
E per questo, sosteneva Simenon, che la sua scrittura doveva essere rapida, affinché riuscisse a cogliere appieno quei momenti di incoscienza.
"...d'altronde un romanzo che io scrivessi coscientemente sarebbe probabilmente molto brutto. Non serve che intervenga l'intelligenza durante la scrittura del romanzo...".
Simenon è davvero convinto che la migliore forza creativa si realizzava in quella sorta di trance. Ma questo sarebbe come dire che il merito della qualità delle sue opere non era dello scrittore come persona raziocinante, ma di quelle forze che si agitavano nel suo subconscio di cui lui non aveva conoscenza e che non poteva guidare.
Enon a caso intorno a questo punto si articolò parte della seduta-intervista a Simenon da parte degli psicoanalisti della rivista medica Médecine et Hygiéne. Anche se il parere degli specialisti fu, alla fine, che lo scrittore non si era scoperto del tutto, non si era lasciato andare più di tanto. E quindi molte ombre erano rimaste, soprattutto sulle modalità questo processo creativo che destavano molto interesse.
"...non devo conoscermi per scrivere dei romanzi. Se io mi conoscessi troppo bene, non potrei più scrivere...".
E allora i dieci anni di apprendistato con la letteratura popolare, quella su commissione, quella che lui chiamava "alimentare"? Quell'apprendistato a cosa era servito? E il successivo passo alla "semi-letteratura", cioè ai Maigret, anche quello non era un razionale passo per impadronirsi sempre più degli strumenti della scrittura, ma anche per affinare la capacità di individuare le vicende della gente comune, vicine alle esperienze dei lettori comuni? E il conseguente grado di empatia, che è uno dei legami tra le opere dello scrittore e i suoi lettori, nasce dall'inconscio o dall'esperienza?
Anche perchè poi in molti romanzi, come in diversi Maigret, troviamo brani che si riferiscono a luoghi, persone, situazioni e vicende che l'autore aveva realmente vissuto. E allora?
Sarebbe facile fare una sintesi e affermare che in Simenon le esperienze vissute, venivano sublimate nell'inconscio e che poi venivano a galla durante l'état de romans... E che questo magari aveva però solo il compito di dare l'impulso iniziale e qualche sprazzo creativo qua e là, ma poi il resto era mestiere, eseprienza, capacità sempre più affinata.
Ma chi può dirlo con certezza? E certo non si può farlo nelle poche righe di un post come questo.
E' il mistero di Simenon. E' la bellezza dei suoi romanzi. Chissà se vale davvero la pena farsi tante domande?