lunedì 4 novembre 2013

SIMENON. LA BUONA STELLA DI MAIGRET

Ancora una settimana (siamo ormai alla quarta) di permanenza nelle classifiche per l'ultima raccolta di racconti di Maigret. L'Assassinio all'Etoile du Nord si fa quindi largo nella top ten dei "Tascabili" pubblicata sabato dall'inserto TuttoLibri de La Stampa, guadagnandosi il 2° posto. Ieri invece su Cult de La Repubblica la classifica, sempre riservata ai "Tascabili", vedeva il titolo attestarsi nella 5a posizione. Discesa invece nella classifica della "Narrativa straniera", pubblicata dall'allegato La Lettura del Corriere della Sera, della raccolta di racconti maigrettiani, dal 9° al 13° posto.
Sulle piattoforme dei titoli venduti sul web, citiamo Internet Book Shop, dove troviamo la raccolta di Simenon al 14° posto della sua Top 100. Lo troviamo nella 17a piazza su 100 nella classifica della Feltrinelli.it. E' solo 71° invece nella Top 100 di Amazon.
Per quanto riguarda gli ebook, il titolo in questione si piazza al 14° posto sui 100 in classifica nella Fetrinelli.it.

domenica 3 novembre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. COME TI COSTRUISCO UN PERSONAGGIO

Pensate ad una di quelle inchieste che iniziano con un povero diavolo, che passa una notte d'interrogatorio nell'ufficio di Maigret. Il commissario è famoso per la sua aria sorniona mentre sbuffa cortine di fumo dalla sua pipa, per i suoi lunghi  silenzi, quando ravviva il fuoco della stufa o beve lentamente una birra ordinata alla brasserie Dauphine. Ma sono note anche le sue sfuriate improvvise, quelle che in un uomo calmo e tranquillo fanno sempre più effetto. Ecco, sì, immaginate i due faccia a faccia. Questo povero diavolo che magari si è rovinato per una donna, che ha passato, come diceva Simenon, la linea e, per esempio, da piccolo impiegato onesto e modesto era divenuto un ladro e magari, inesperto com'era, ha combinato il "pasticcio" e così per puro caso c'è scappato il morto. Sappiamo bene che Maigret, e Simenon dietro di lui, non è affatto appagato di provare che quel poveraccio sia il colpevole. Lui vuole capire il perchè... perchè è stato attratto da quella donna, perchè ha trascurato la moglie, perchè da mite passacarte si è messo in testa di fare un colpo, neanche fosse un gangster incallito. E ora se lo vede lì, seduto davanti a sè, con gli occhi persi, come fosse rientrato in sé stesso. Come se alla fine avesse preso coscienza di tutto quello che aveva combinato e.... E il personaggio si costruisce da solo, così almeno ci spiega Simenon ne Il romancier (1945) "...I miei personaggi, se sono verosimili, hanno una loro logica contro la quale la mia logica di autore non può nulla..." E ancora. "D'altronde se inizio con dei personaggi inverosimili, me ne accorgo automaticamente. Non credo che, se i miei personaggi fossero falsi potrebbero andar avanti fino alla fine del romanzo... - spiegava Simenon nella famosa intervista a Médicine et hygiène (1968) - E' una cosa che mi ha sempre incuriosito e intrigato...".
Questa costante di creare dei personaggi "veri" e che poi seguano una sorte che lo scrittore può solo assecondare, è un concetto che Simenon ha espresso più volte. Ma chi sono per Simenon i personaggi veri? Gli uomini e le donne qualsiasi che vanno dritti alle conseguenze estreme dei loro gesti e delle loro scelte di vita. Ma é la gente semplice, gente del popolo, quella che non ha maschere e pesanti convenzioni sociali dei ricchi borghesi, dei facoltosi uomini d'affari o dei nobili più o meno decaduti.  "...Ecco perché nella gran parte dei casi scelgo delle persone di origine modesta e di intelligenza media - dichiarava lo scrittore in un'intervista del '70 - Queste vivono molto più liberamente i sentimenti, le emozioni proprio per quello che sono... Credo che non più del 10% dei miei libri raccontino di ambienti socialmente elevati. Ci ho pensato molto verso il 1930-1940. In quel periodo non troverete né ministri, né presidenti, né presidenti di consigli d'amministrazione, né banchieri. Questo è successo in seguito, ma è stato voluto...".
E poi c'è il famoso declic simenoniano, cioé un qualsiasi avvenimento o un incidente, anche di trascurabile importanza, che cambia vite tranquille, a volte monotone, così all'improvviso. "Può trattarsi di qualsiasi cosa che succede al mio protagonista, una lettera che non aspettava e che sconvolge la routine della vita alla quale si era rassegnato" (intervista ad A. Parinaud - 1955)

sabato 2 novembre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. FUGA DALLA FRANCIA... VISTA DA GEORGES E VISTA DA TIGY

Mémoires intimes e Souvenir. Due libri di ricordi, di due individui coniugi per oltre venticinque anni. Il primo é dello scrittore e pubblicato nell'81, qualche anno prima di morire. Il secondo della sua prima moglie, Régine Renchon detta Tigy, in un diario rimesso insieme da una nipote di Simenon (Diane figlia di Marc) per Gallimard nel 2004.
Entrambe diari, entrambe rivolti al figlio Marc, come per raccontargli le vicende prima che il tempo le sbiadisse, poi cancellandole. Più momumentale  e ricco di fatti, vicende, ricordi il primo, quasi delle impressioni e riflessioni più personali, ordinate per anno, il secondo, più agile, svelto e asciutto.
Abbiamo voluto cogliere dai due libri un momento fondamentale per la famiglia Simenon (allora, Georges, Tigy e il figlio Marc), cioè la precipitosa partenza dalla Francia nel '45, soprattutto dietro la spinta del dossier che il CNL francese sembrava avesse aperto sullo scrittore, per collaborazione con i tedeschi. A quei tempi non era roba su cui scherzare e, lo scrittore trascinò in fretta e furia moglie e figlio, prima per qualche mese a Londra e poi tutti imbarcati su un cargo che solcando l'Atlantico li portò a New York.
"...Aspettiamo siamo sulla lista. Che lista si tratti non so dirti. Ci raccomandano di non allontanarci dall'albergo: da un momento all'altro può arrivare l'ordine di dirigerci a Southampton, dopo esserci precipitati a prendere i biglietti di una compagnia di navigazione... - scrive Simenon rivolgendosi al figlio Marc - Finalmente arriva la telefonata. Ho avvertito Tigy e sono corso a mettermi in fila davanti ad uno sportello della Cunard Line....Presento invano i miei documenti, quello non mi degna di uno sguardo, beve il te a piccoli sorsi golosi e sgranocchia i biscotti. Passa un'eternità, e io sono sui carboni ardenti, E se perdiamo la nave?...".
"... Noi non ci imbarchiamo solo per l'America, ma per un nuovo periodo della nostra esistenza - è Tigy che appunta nel suo Souvenir, dedicato al figlio Marc descrivendo la situazione tra lei e Georges - Si sarebbe potuto  fare il punto, spiegarci. Spiegare cosa? semplicemente perché ci siamo allontanati pericolosamente uno dall'altro, per un apparente indipendenza e per molte piccole cose. La guerra, elemento destabilizzante, è in parte responsabile di questa mancanza di comprensione?... il battello per Newhaven... ho quasi l'impressione di un esilio, e in tutti i casi la sensazione di abbandonare tutto quello che è stato solido e immutabile..."
Appena arrivati in America Georges incontrerà Denyse, colpo di fulmine per un amante focosa che diverrà prima la sua segreteria particolare e poi la sua seconda moglie. Tigy aveva visto giusto un'altro periodo, un'altra vita per lei per Georges e per Marc.

venerdì 1 novembre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. MA CHE TIPO DI ROMANZO?

Abbiamo sempre parlato, in relazione a Simenon, di romanzo popolare, di quello semi-letterario e poi dei romans romans, o romans durs. In realtà la critica ha fatto delle analisi più approfondite e ha per esempioteorizzato dell'appartenenza di Simenon alla schiera degli scrittori realisti. Etichetta che invece lui rifiutava.
"...dicono che sia un scrittore realista. E' assolutamente falso. perché se io fossi realista, scriverei esattamente le cose così come sono - spiega Simenon in un'intervista dell'82 - Invece occore deformarle per conferire loro una maggior verità...". E così confermava nel suo Les trois Crimes de mes amis (1938): "... Impossibile raccontare delle verità con ordine e con chiarezza: sembrebbero meno verosimili che un romanzo...".
Insomma la convinzione di Simenon era che non si dovesse sottilizzare tra schemi e definizioni come il roman-crise o il roman-chronique, che lui pure aveva utilizzato. Il romanzo era il romanzo, una forma d'espressione congeniale al suo periodo storico come la tragedia lo era stata per altri tempi.
E non bisogna scordare che per il nostro scrivere romanzi non era certo un mestiere (o lo era stato quando ancora sfornava romanzi popolari) e neppure una professione. Il romanzo era qualcosa di ineludibile, che si rivelava come una necessità insopprimibile, un bisogno impellente.
"Non posso vivere senza romanzo. Ciò mi disequilibra. Anche fisicamente, E soprattutto mi lascia una scoraggiante sensazione di vuoto e di inutilità...E la gente che pensa che io scriva per guadagnarmi la vita! - scriveva Simenon a Gide - Ogni volta che ho provato a riposarmi, ho rischiato la nevrastenia. Anche solo un Maigret mi calma..."
E d'altronde questo approccio istintuale al romanzo lo poneva in condizione di non soddisfare le aspettative di chi, la critica soprattutto, da lui attendeva un cosiddetto roman-chronique Ma, anche se Simenon avesse voluto, non avrebbe potuto. Anche perchè considerava il roman-chronique come un romanzo di costume, cosa che non lo interessava affatto.
Era tanto preso dal suo modo istintivo e spontaneo di scrittura (quante volte aveva dichiarato che quando iniziava a scrivere un romanzo non sapeva come sarebbe finito?) che addirittura i Maigret, i quali erano letteratura seriale e quindi con delle regole ben precise, avevano iniziato a somigliare sempre più a romans durs. E di questo ne era perfettamente consapevole."...Negli ultimi venti anni i Maigret  si sono avvicinati sempre più ai miei romans-romans - dichiarava Simenon in un'intervista a Bernard Pivot.
Tra tutte queste forme e tipi di romanzi non poteva mancare quello picaresco, una fantasia insoddisfatta che girò a lungo nella testa di Simenon.
" ...scrivere un romanzo picaresco, un lungo racconto senza testa né coda, con delle pause come fosse una passeggiata, con personaggi che appaiono e spariscono senza motivo, con delle storie in secondo piano che chiamano altre storie. Ma penso che non ne sarei capace..." (Quand j'étais vieux -1960)
"Una cosa è certa: non sono quello che si dice un romanziere moralista, come ce ne sono molti; sono piuttosto un romanziere obettivo" (Dictèes - 1970).
Insomma romanziere obiettivo, ma non realista, a stare alle sue dichiarazioni, l'immagine che aveva di sé stesso era quella del romanziere puro. E poi più d'una volta Simenon tirava in ballo l'assenza dell'intelligenza nel processo creativo.
"Un romaziere non è necessariamente un uomo intelligente ...esiste quello che io chiamo romanziere puro. L'uomo che costruisce i romanzi come altri scolpiscono la pietra o dipingono dei quadri, il romanziere che consciamente, o più spesso inconsciamente, assorbe le esperienze umane, le interiorizza fin quando non è costretto a tirarle fuori perchè diventano emozioni ecessive per un sol uomo.  E allora perché vorreste che quest'uomo fosse intelligente? Spesso penso che lo spirito d'analisi gli faccia difetto, parlo sempre di analisi cosciente e ragionata..."(Le romancier -1945)

giovedì 31 ottobre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. IL CASO TERESA SBURELIN

Partiamo dal testamento di Simenon. Forse lo stesso avrebbe fatto Maigret. O meglio lo scrittore l'avrebbe fatto fare a Maigret. Gli eredi ufficiali erano quattro: Denyse, con cui, per quanto avessero rotto i rapporti già dal '64 cioé da ben 25 anni, erano comunque rimasti ufficialmente sposati, e poi i tre figli, Marc, John e Pierre-Nicolas. I termini del testamento furono blindati. C'erano i diritti delle opere letterarie, degli sfruttamenti cinematografici, televisivi e di qualsiasi altro tipo. E poi case, dipinti, patrimoni in titoli e quant'altro, ma delle divisioni non si seppe praticamente nulla, se non che a Denyse toccò un appartamento a Nyon (Canton de Vaud) e un vitalizio. Tigy, la sua prima moglie aveva avuto quella che era stata la loro casa di Nieul, nella Charentes. E la terza donna di Simenon? Teresa Sburelin già sapeva che a lei sarebbe andata la loro casa di rue des Figuiers.
Ma fermiamoci un attimo e facciamo alcune considerazioni.
Simenon conobbe Regine Renchon, la sua futura prima moglie a Liegi nel 1920, si sposarono nel '23 e si separano ufficialmente nel '50 (anche se da qualche anno la loro unione era solo formale e in seguito si era invece ufficializzato il rapporto con Denyse Ouimet). Quindi rimasero sposati quasi venticinque anni ed ebbero un figlio, Marc. Con Denyse la storia iniziò nel '45, sia pur nella clandestinità, si sposarono nel '50 e andarono avanti fino al 1964. Quindi quasi vent'anni e tre figli John, Marie-Jo e Pierre-Nicolas. Teresa Sburelin era entrata a servizio dei Simenon come femme de chambre nel '61, all'età di 35 anni. La sua relazione con lo scrittore iniziò poco dopo la dipartita di Denyse, quindi '64/'65, e andò avanti fino alla sua morte nel 1989. In tutto 24 anni e nessun figlio.
Sicuramente queste tre donne importanti nella sua vita, dedicarono al loro uomo i migliori anni della propra vita. E dedicarsi ad un personaggio come Simenon non doveva essere certo facile. E, tornando a Teresa, potremmo dire che è stata forse quella che ha dato di più a Simenon. O meglio, quella che, in quel momento non particolarmente felice della sua vita, ha saputo offrirgli quello di cui più aveva bisogno.
Ha scritto Pierre Assouline in Simenon biographie  (1992)  "... dopo aver conosciuto l'amicizia con Tigy, poi la passione con Denyse, scoprirà la tenerezza con Teresa...".
In effetti Teresa si dedicò a Simenon in modo totale, ma discreto e molto  riservato. Ad esempio anche quando erano una coppia ormai ufficiale, lei era spesso dietro le quinte. Nelle occasioni ufficiali si rendeva spesso invisibile, compariva qui e là, per far vedere al suo Georges che lei c'era e che all'occorrenza si sarebbe presa cura di lui, ma gli lasciava la scena, lei non amava apparire. E' raro trovare una sua fotografia o una di loro due insieme.
E poi va considerato che Teresa lo accudì nella fase più critica della sua vita. Lo soccorse quando ad Epalinges cadde mentre era in bagno ed é sempre lei che lo vegliò in ospedale. Nel '74 si prese cura di lui quando si ruppe un femore, e poi tre anni dopo per una più banale intervento alla prostata, ma soprattutto quando, a fine '84, Simenon venne operato di tumore al cervello. Allora erano già cessati i rituali dei Dicteès, ormai da tre anni aveva pubblicato l'ultima sua fatica Mémoires intimes. Ma dopo quell'operazione, finirono anche le ultime letture, più di argomento medico che non letterario. E fu ancora Teresa a riempire le sue giornate vuote, a portarlo sulla carrozzella, sul lungolago di Losanna a predere luce ed aria. Fino agli ultimi giorni. Fino al trapasso, avvenuto mano nella mano.
E va ricordato che, per rispettare la volontà di Simenon, fu lei a tacere della sua  morte, a far cremare il corpo, a spargere le ceneri nel giardino di rue des Figuiers, come lui aveva disperso quelle della figlia Marie-Jo. Solo allora informò  parenti, amici, media, anche se, a causa di una prezzolata soffiata di un dipendente comunale, un quotidiano di Losanna riuscì lo stesso a dare la notizia.
Rimasta sola, Teresa visse ancora qualche mese al 12 di rue des Figuiers. Poi andò via. I figli di Simenon la cercarono, ma invano. Teresa sembrava sparita. Nessuna traccia. Alcune voci raccontavano che si fosse ritirata in un paesino del suo Friuli. Ma nessuna conferma venne mai. Dopo la scomparsa di Simenon disse  ad un giornalista: "... Durante la sua vita sono stata la sua compagna. Ora non sono più nulla. Non mi ha lasciato che i miei ricordi ed essi mi appartengono...". E non volle che nessuno entrasse in casa: "No, la casa mi appartiene; è un luogo di ricordi e non voglio che nessuno ne turbi la quiete...".

mercoledì 30 ottobre 2013

SIMENON-SIMENON REPLAY. PEDIGREE E ANDRE' GIDE


Ci pensava da tempo. Da quando aveva scritto Le Testament Donadieu (1937). Lanciato ormai nella letteratura ed entrato in Gallimard, la casa editrice più raffinata di Francia, anelava ad un'opera che lasciasse il segno, un romans, un journal, delle mémories... Non aveva ancora ben chiaro cosa, anche se pian piano si faceva strada l'idea di una grande opera che fosse un ritorno al mondo della sua infanzia. Siamo nel '40 è scoppiata la guerra e Simenon si è ritirato, nel suo castello a Fontanay-le-Comte, quasi isolato al mondo. E' il periodo in cui dopo che un medico avendogli scoperto una grave anomalia al cuore, gli aveva dato un paio d'anni di vita o poco più (diagnosi rivelatasi poi falsa). Lo spettro della morte (vero o creduto) è un'altro fattore importante di quel periodo. In più c'era la sollecitazione di André Gide a concentrarsi su un opera importante.
Autunno del '40. La coincidenza di questi fattori, fà scattare in Simenon quel famoso declic e si butta a corpo morto su quello che sarà poi Pedigree. Sa da dove partirà, ma non sa quell'impresa dove lo porterà e cosa quell'opera sarà alla fine.
L'intenzione dichiarata all'editore è quella di " ...un canzone di gesta della piccola gente, quelli che fanno quello che gli si dice, senza che sappiano dove andranno a finire e che provano lo stesso ad andare da qualche parte, e che si ostinano, arrampicandosi, e cadendo, aggrappandosi, disperandosi e poi sperando nuovamente... Partirò dal 1903 e arriverò... non si fino a quando... La mia  personale esperienza conterà poco, ma tutto sarà tragicamente vero, nomi compresi..."
Una prima stesura ancora non completa viene inviata all'editore senza neanche una rilettura. Forse Simenon è timoroso, ha perso qualcosa dell'entusiasmo iniziale. Ora iniziano ad affiorare i dubbi. Si sente come un debuttante e in qualche senso lo è per il tipo di opera che ha avuto l'ambizione di scrivere. E non è più sicuro di quello che ha creato.
In questi momenti di smarrimento, il non ancora quarantenne scrittore, si rivolge al suo maestro, Gide, che sembra l'unico in grado di capirlo e di dargli sicurezza. In una lettera gli chiede, però, un'analisi spietata:
"...Non è che scrivendo per il mio piacere,  per il gusto di liberarmi infine di ogni regola, ma anche dell'affanno di una pubblicazione immediata, sarò arrivato a scrivere solo per me stesso e vicende che hanno sapore e valore soltanto per me?... Forse dovreste riportarmi alla realtà...So che sarete sincero. Ve lo domando. Vi supplico....". Nel frattempo Gallimard ha girato la bozza a Gide.
Tutti sono in attesa delle sue parole.
"Mi è piaciuto il tono. I personaggi si stagliano immediatamente, la voglia di conoscerli maggiormente, di seguirli si rinnova ad ogni pagina - commenta Gide - Attendo con impazienza il seguito".
Ma a lettura finita il suo giudizio sarà impietoso. "E' toccante, ma confuso. Come non mai, è con le migliori intenzioni che si fa della cattiva letteratura". E ancora "...senza sostanza, senza arte... - e rivolgendosi all'editore - si rischia di andare incontro ad una catastrofe."
La posizione di Gide è molto severa, ma la sua stima per Simenon riamane, anche se si chiede "Ora quello che ci si aspetta da Simenon è di capire com'è diventato quello che è oggi; ma forse lui stesso non sarà capace di farlo".
Insomma parere negativo. Ora si tratta di farlo sapere a Simenon, questo è il problema di Gide e di Gallimard. L'editore decide per la via diretta. Gli fa pervenire la relazione integrale di Gide. Per Simenon è un colpo micidiale, ma è un buon incassatore, ribatte che è una prima stesura, materiale ancora grezzo che ha bisogno di essere rielaborato e integrato. Questa vota non scrive in état de romans, pianifica, organizza, non chiude tutto in dieci giorni... la strada e lunga e non si è dato scadenze. E infatti, in un modo assolutamente inconsueto, lavora per un anno intero al libro. Gide ne fà, a più riprese, una puntigliosa revisione. Il libro verrà faticosamente terminato, Simenon ha dato il meglio di sé stesso, di più non avrebbe potuto.
Gide chiuse la questione dichiarando che " Simenon vale più della sua reputazione". Gallimard alla fine pubblicherà il libro a guerra finita, nel '48.
Aldilà della sua riuscita artistica, Pedigree è sicuramente un libro che ha lasciato un segno, ha influenzato Simenon, positivamente, costringendolo a prendere maggior coscienza di sé e liberandosi anche di certi fantasmi che lo perseguitavano.