venerdì 1 agosto 2014

SIMENON SIMENON. UN COLPO DA TRE MILIONI DI EURO AL 36 QUAI DES ORFEVRES... E MAIGRET?

Nemmeno Maigret nella finzione letteraria era arrivato ad indagare su un colpo colossale come quello efettuato nei giorni scorsi alla quasi ex-sede della Polizia Giudiziaria parigina, il celebrerrimo 36 Quai des Orfévres.
Si tratta di droga. Per la precisione 51 chiogrammi di cocaina che si sono volatilizzati nei caveau blindati della storica sede della polizia, non ancora del tutto trasferita nella nuova sede di Batignolles (il trasloco definitivo sarà completato nel 2017),.
Insomma un giallo non da poco. Complicità all'interno? Speranza che nel caos del trasloco l'ammanco fosse scoperto il più tardi possibile? Certamente non si tratta di ladri improvvisati, ma forse nemmeno di professionisti. Bastava qualcuno che conoscesse bene abitudini, organizzazione e sistemi di sicurezza del Quai. E infatti, non a caso, sono arrivati i cosiddetti "affari interni", cioè, per quei pochi che non lo sapessero, i poliziotti più odiati, cioé quelli che indagano sui propri colleghi. In Francia li chiamano boeuf-carottes, che "cucinano" a lungo i poliziotti sospetti. Sono arrivati in forze e con i cani anti-droga.  La cocaina proveniva da un sequestro effettuato i primi di luglio ad un'organizzazione senegalese che opera a nord di Parigi.
Maigret non ha mai indagato un collega, però è stato lui stesso accusato in Maigret sotto inchiesta (Maigret se défend - 1964 - Epalinges), addirittura per molestie sessuali, quindi sottoposto a sorveglianza, in più si sente richiedere persino le dimissioni.
Ma cosa avrebbe fatto Maigret alle prese con un furto del genere? Se l'idea del colossale colpo fosse nata all'interno di Quai des Orfèvres con qualche complice esterno? O se al contrario fossero dei civili che si fossero serviti di una talpa interna? Il nostro commissario per la prima volta non avrebbe avuto nessun bisogno di tempo per conoscere l'ambiente, per impregnarsi di quell'atmosfera. Era un posto e della gente che conosceva benissimo, da anni e anni, come le sue tasche. Anche lì però avrebbe dovuto affidarsi al suo fiuto. Il colpevole poteva essere chiunque... cinque milioni di euro possono cambiare la vita... e le intenzioni di ognuno... non si può mai sapere, anche i più fidati... Oppure... magari alla fine avrebbe scoperto che era solo un regolamento di conti tra due commissari che non si erano mai sopportati, o... tra due fazioni che cercavano di arraffare qualcosa sottrendola una all'altra. L'analisi psicologica l'avrebbe aiutato molto, in un posto di bocche davvero cucite, di complicità segretissime e di doppi giochi. Non sarebbe stata l'inchiesta preferita del commissario... non sarebbe potuto uscire, non avrebbe potuto fermarsi ai vari bistrot e brasserie... tutt'al più sarebbe potuto scendere da Dauphine... ma poi non poteva non rinchiudersi nel Quai, passeggiare nei corridoi, scrutare negli occhi chiunque incontrava dagli agenti agli ispettori, dagli informatori agli specialisti della scientifica. Aprire porte e fingere di aver sbagliato stanza. Chiacchierare con l'aria di non voler sapere nulla con qualcuno che gli aveva destato qualche sospetto. Pipa in bocca, sbuffando, entrando e uscendo dal suo ufficio, dando un'occhiata a chi aspettava nell'acquario (la grande stanza d'attesa tutta vetrata del commissariato) e sedendosi di tanto in tanto alla sua scrivania, dando un'occhiata alla Senna lì sotto, con le chiatte che magari nascondevano quei cinquanta chilogrammi di roba, e una alla stufa a carbone che bruciava... già fosse stata una faida, un tentativo di far cadere la colpa su qualcuno, la cocaina poteva anche essere stata bruciata... tre milioni di euro in fumo...Ma poi avrebbe guardato le volute del fumo della sua pipa, sempre carica e sempre sotto pressione, e si sarebbe rialzato per ricomnciare il suo giro finché non fosse venuto a capo di qualcosa. Perché Maigret non era intelligente, ma testardo sì, non mollava mai, nemmeno quando tutto gli andava contro. Era questa la sua forza e di sicuro l'avrebbe usata anche nel caso di questo colpo milionario.

giovedì 31 luglio 2014

SIMENON SIMENON. LA STRANA STORIA DEL SESSO... POPOLARE

Quando Simenon iniziò a scrivere sui giornali racconti e romanzi brevi a puntate, arrivavano dagli editori le richieste più diverse. Storie di avventura, vicende poliziesche, racconti di viaggio, romanzi d'amore, ma anche dei veri e propri racconti piccanti. Non proprio roba pornografica, ma storie che stavano a cavallo tra la pruderie e l'erotico. Come al solito allora Simenon non si faceva problemi su quello che gli chiedevano di scrivere. Si buttava su ogni genere con l'irruenza giovanile che gli era tipica, affrontava ogni argomento, inventava e si inerpicava anche nella narrativa più scabrosa senza battere ciglio. E non faceva distinzione su chi fosse il committente. In quei primi anni a Parigi, doveva , scrivere, scrivere, scrivere... intanto perchè lo pagavano un tanto a riga e lui aveva bisogno di soldi, dovendo mantenere sé e la moglie Tigy. Poi non dobbiamo scordare che a quell'epoca usava degli pseudonimi. Addirittura da un'ultima stima, sembra che fossero quasi una trentina. Se vogliamo quindi, il pubblico non conosceva Georges Simenon, ma Jean du Perry, Cristhian Brulls, Jean D'Orsage... E soprattutto per questi scritti che apparivano su testate come Mon Flirt, Paris, Plasir, Frou Frou... utilizzava pseudomini ancora più fantasiosi e particolari come La Déshabilleuse, Miquette, Poume et Zette, Bobette... nomi decisamente vezzosi con cui firmava i racconti più scollacciati e sensuali. Insomma della vera letteratura semi-erotica ad uso e consumo dei lettori di bocca buona. Ma per Simenon era tutta esperienza e non andava tanto per il sottile. Scrisse diversi racconti anche per un settimanale, Le Merle Rose, che era dedicato alle lesbiche. Già perché alla fine degli anni '20 si facevano anche di questi esperimenti, a testimonianza dell'atmosfera aperta e tollerante che si respirava a Parigi in quegli anni. Qualche titolo di questi scritti ne rivela chiaramente il tono tutt'altro che castigato: La femme au divan, Tom Gut aux Folies-Amoureuses, Dames à passions, Voluptueuses étreintes, Les dames à prix fixe...
Simenon d'altronde scriveva ne Le romancier (1945) "...non mi vantavo certo delle opere che scrivevo con tutti quegli pseudonimi differenti. Ne avevo bisogno... anche per mantenere la testa alta, ripetendomi che Balzac e altri avevano debuttato proprio così...".

mercoledì 30 luglio 2014

SIMENON SIMENON. IL SEGRETO DELLA DELLA STANZA CHIUSA

E' un classico dei gialli il mistero della stanza ermeticamente chiusa dall'interno, porte e finestre sbarrate da dentro. Eppure alll'interno c'è un morto. Un morto indiscutibilmente ammazzato da qualcuno. E l'investigatore di turno si arrovella il cervello...
Ma la stanza chiusa di cui vogliamo parlare oggi è quella del Simenon che la mattina si alzava presto e si chiudeva in una camera in cui non aveva accesso nessuno, per lo meno nelle ore che dedicava alla seduta di scrittura. In famiglia lo sapevano tutti che quella porta era inviolabile, ma ad ogni buon conto Simenon non di rado metteva fuori, appeso alla maniglia, uno di quei cartelli che si vedono negli alberghi "do not disturb".
Questo isolamento favoriva evidentemente il suo ètat de roman che non era estraneo ad una concentrazione molto intensa. Ed essere disturbato avrebbe significato tirarlo fuori da quel personaggio nella cui pelle era entrato.
Simenon era un intuitivo, come d'altronde diceva del suo commissario Maigret. Sentiva dei suoni, percepiva delle atmosfere o intravedeva dei colori e qualcosa scattava in lui. E' il mistero della creazione, che per ogni scrittore è un processo diverso.
In quella stanza chiusa succedeva qualcosa di poco comune. Capitolo dopo capitolo veniva fuori un romanzo che aveva il pregio di raccontare storie della gente comune, ma di porre problemi esistenziali e psicologici universali. E, lo sappiamo bene, tutto questo non era frutto di meditazioni e riflessioni. Simenon scriveva così velocemente che non avrebbe avuto il tempo di pensare. Un capitolo al giorno per otto, nove anche dieci giorni nei tempi migliori. Un ritmo che non poteva che lasciar spazio che alla scrittura. E il romanziere non si chiudeva in quella stanza già con un'idea precisa della vicenda da narrare.
Diremmo che inventava scrivendo. O forse meglio, potremmo dire che per lui scrivere era un modo di pensare... di pensare alla storia che doveva raccontare, ai personaggi che la popolavano, ai luoghi in cui si svolgeva... Scrivere era pensare... Simenon, l'uomo che pensava scrivendo. Su questo argomento é stato interpellato più volte e sempre ripeteva la stessa storia. Sappiamo quanto Simenon fosse bravo a curare la propria immagine, ma questo, che potremmo chiamare il nocciolo duro della sua personalità, non era finzione... non era immagine. Era semmai frutto della sua impellenza di scrivere, forse proprio perché questo favoriva la possibilità di riflettere. Da piccolo divorava libri su libri presi inprestito dalla biblioteca di Liegi, dove aveva a disposizione una tessera a suo nome, una a nome del padre e una del fratello. Così poteva prendere libri a sufficienza. E Joseph Vrindts, il bibliotecario, non credeva che leggesse tutti quei libri in così poco tempo, Ma quando il piccolo Georges si mise a raccontargli le vicende lette, dovette ricredersi. E anche quando scriveva letteratura popolare su ordinazione Simenon arrivava a scrivere fino a 80 pagine in un giorno. Una pratica che durò una decina di anni e che sicuramente contribuì all'abitudine di scrivere con un rimo molto serrato. A quel tempo però non si poneva il problema della qualità dei suoi scritti. Ma gradatamente, quando poi passò ai Maigret e quindi ai romans-durs la qualità aumentava il suo peso. Ma in quella stanza chiusa il ticchettìo della macchina da scrivere era sempre veloce, anche quando lettera dopo lettera, parola dopo parola, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo in una settimana o poco più uscivano dei capolavori. Ma cosa succedeva in quella stanza chiusa?   

martedì 29 luglio 2014

SIMENON SIMENON. DA AVRENOS TROVIAMO CLIENTI PER TUTTO IL MESE DI LUGLIO

Siamo alla penultima settimana di luglio, praticamente un mese di classifica per il romanzo di Simenon. Regge quindi Il clienti d'Avrenos, il vero Simenon di questa estate 2014, visto che dei Maigret non è stato pubblicato nulla. E così nel sondaggio di Nielsen Bookscan realizzato sabato scorso per TuttoLibri de La Stampa il titolo è uscito dalla Top Ten, ma tiene il 7° posto nella sezione "Narrativa Straniera". Invece su RCult de La Repubblica di domenica, la Eurisko attribuisce al romanzo la 8a posizione in salita rispetto alla settimana precedente nella letteratura straniera. Il supplemento La Lettura del Corriere della Sera, riporta anche la consueta "La Pagella", Antonio d'Orrico che assegna al romanzo di Simenon un 10 tondo tondo. "Il goffo dragomanno innamorato a Istanbul" così titola il suo pezzo che conclude scrivendo "...Mettete la magaria di Istanbul, mettete la malia di Nouchi, mettete la magia di Simenon e avrete questo capolavoro di corrosiva grandezza." e nella narrativa straniera Il clienti d'Avrenos, secondo Eurisko, tiene la 10a posizione.
Per quanto riguarda i libri venduti on-line, il romanzo simenoniano tiene la 13a posizione nella Top 100 di Internet Book Shop, mentre sulla piattaforma web di Feltrinelli.it si posiziona al 10 posto dei 100 più venduti nella settimana. Nella classifica di Rizzoli.it dei dieci libri più venduti in questa settimana Il clienti d'Avrenos lo troviamo al 7° posto.
Nelle classifiche dei libri digitali il romanzo di Simenon occupa, nella Top Ebook 100 della Feltrinelli.it, il 64° posto.
Registriamo quindi una tenuta nella vendita in libreria ed un aumento della vendita su internet. 

lunedì 28 luglio 2014

"SIMENON - SOUVENIR" - ... MA SCRIVEVA DEI ROMANZI... JAZZ?

Simenon non amava il jazz. Questo almeno si dice, e sembra anzi che avesse un atteggiamento critico nei suoi confronti. Però, se andiamo ad analizzare a fondo la sua opera, vediamo che questa musica di origine nero-americana, poi contaminata da innumerevoli generi, ibridata da culture diverse, diversificata dall'evoluzione degli strumenti ed evolutasi nel corso di varie epoche, si basa su presupposti che, a nostro avviso, sono analoghi a quelli dell'opera simenoniana.
Va detto, prima di iniziare questa analisi, che è anche vero che, all'epoca del tumultuoso amore con Josephine Baker, quando bazzicava le caves parigine dove il jazz era di casa, lo scrittore affermava "...quello che c'è di formidabile nella musica jazz è che esclude categoricamente la nozione di centralità tipica di ogni altro genere a cominciare dal rock e dalla musica di varietà...".
Forse è proprio questo il punto. Una musica che ha come tre elementi fondanti, la parità tra gli strumenti che suonano insieme, lo svincolarsi da forme tonali dominanti e l'utilizzo non ortodosso degli strumenti musicali, secondo noi, ha molto a che fare con il metodo e la pratica della scrittura simenoniana.
Improvvisazione. Nel jazz significa che ad un certo momento uno strumento, un qualsiasi strumento, diventa solista e inizia una performance che partendo da un tema o un giro armonico comincia a creare una melodia che ha dei punti di contatto con la sua origine, ma che si sviluppa libera, appunto improvvisata, e lo stesso musicista non sa cosa suonerà di lì a qualche secondo o qualche minuto. Certo sarà qualcosa che ha in qualche angolo della mente, ma combina vari elementi in modo originale e costruisce l'assolo in quel preciso momento.
Il parallelo è con il modo in cui Simenon componeva i suoi romanzi. Parte da qualche nome, dei dati scarni, delle ispirazioni di riferimento, ma poi inizia a scrivere guidato dal suo état de roman e nemmeno lui sa quali strade la storia prenderà e come si concluderà la vicenda. Possiamo dire che anche Simenon improvvisava durante la stesura dei suoi romanzi? In un certo senso, sì. Anche lui ricorreva a ricordi, personaggi e luoghi di cui aveva avuto esperienza, poi però venivano coniugati in un modo che neppure lui avrebbe saputo prevedere.
Parlavamo prima della parità degli strumenti. Nella musica classica ad esempio gli strumenti percussivi sono quasi generalmente degli accompagnatori saltuari. La batteria nel jazz è uno strumento alla pari del pianoforte, del contrabbasso o del sassofono. Anche nei romanzi di Simenon, non troviamo personaggi positivi o negativi, buoni o cattivi. Ognuno ha le sue zone di ombra e quelle di luce. Questo mette agli occhi di Simenon (e spesso a quelli di Maigret) tutti sullo stesso piano, senza giudizi di valore e senza distinzioni, se non quelle contingenti che la storia affida al protagonista o alle figure di secondo piano. Ma dietro ad ognuna di esse si avverte una pari dignità, ricca o povera, nobile o msrabile che sia.
Infine si parlava dell'utilizzo poco rispettoso dei canoni classici nel modo di suonare gli strumenti. Una rivoluzione che anche Simenon mette in atto con le sue mot matiére, parole concrete, niente di superfluo, usa termini che indicano cose tangibili e facilmente identificabili. Aggiungendo ciò al suo periodare breve e a volte addirittura sincopato, ritroviamo uno strumento linguistico abbastanza diverso dai precedenti da poter essere identificato come innovativo se non addirittura rivoluzionario. Una trattazione alta, e spesso psicologicamente profonda, ma espressa semplicemente e sinteticamente (sarà per questo che piace a tutti, letterati e lettori qualunque?). Certo su queste analogie si potrebbe aprire un dibattito (e perché no?), ma certo non in questo post.
Ci piace finire con un accenno all'atmosfera di certi suoi romanzi, quelli che virano al noir e che creano un'atmosfera che potrebbe includere tranquillamente un commento sonoro jazz. Basti pensare a un paio di titoli come esempio, vedi Luci nella notte  o Tre camere a Manhattan (da cui per altro è stato tratto un film, la cui colonna sonora è stata affidata ad un famoso musicista jazz, Mal Waldron).
"... D'altronde - come ha scritto Michel Carly ne La vie d'abord, 2003  - Simenon è nato all'epoca dei primi collegamenti telefonici, accanto alle automobili di tutti i colori, di fianco ad un hotel dove vanno le coppie illeggittime, che fanno l'amore ascoltando il jazz...".

domenica 27 luglio 2014

"SIMENON SOUVENIR - NON PIU' ROMANZIERE... L'ALTRA VERSIONE DE "LA FIN"...


Siamo alle solite. L'universo simenoniano è talmente vasto e variegato che non si finisce mai di scoprire nuovi fatti e nuove versioni. Qui parliamo di un momento fondamentale, nel 1972, quando Simenon decise di smettere di scrivere. C'è la storia che tutti, lui compreso, raccontano. Quella del romanzo nemmeno iniziato, quel Victor, di cui ci sarebbero solo alcuni appunti su una delle solite buste gialle. Ma quello che sarebbe mancato, secondo la versione accreditata anche da Simenon, era l'état de roman... quella trance creativa che, a detta dello scrittore, era l'indispensabile stato per scrivere le sue opere. Quel 20 settembre non c'era verso che quel état arrivasse e dopo qualche ora, c'erano solo quegli scarabocchi e quel probabile titolo. Era il sgnale della fine.
Le cose sono andate davvero così? O perlomeno questa causa-effetto (mancanza di "ètat de roman" e fine della carriera di romanziere) é spiegabile così semplicemente?
C'è una intervista concessa nel '73 ad un giornalista svizzero, Henry-Charles Tauxe, che scriveva per 24 heures - Feuille d'avis de Losanne in cui le cose sono raccontate in modo diverso.
"....da novembre del '71 soffrivo molto frequentemente di vertigini. Era molto spiacevole e volevo sapere se fossero curabili e si potesse guarirne. Perciò mi ricoverai in una clinica. Sono riusciti a diminuire questo mio fastidio, lo hanno ridotto a cinque minuti, mentre prima durava circa un'ora. Solo che, per scrivere i miei romanzi, occorreva che io fossi al cento per cento in piena forma. Soprattutto con il passare del tempo, i romanzi diventavano sempre più difficili da redigere. Fu allora che presi la decisione di smettere...".
Quindi le sue non buone condizioni fisiche furono il motivo vero dell'abboandono della scrittura? Va ricordato che in altri contesti Simenon aveva lamentato che scrivere in quell'ètat de roman era sempre più faticoso, e che lo stress di mettersi completamente nella mente di un suo protagonista diventava sempre meno sopportabile. Quell'entrare nella testa di un'altro e di uscirne era un'operazione sempre più gravosa. E per dimostrarlo citava la lunghezza dei suoi romanzi: all'inizio erano composti da dodici capitoli, ma alla fine non arrivavano che a sette (ricordiamo che lui di media scriveva un capitolo al giorno).
Mancanza di ètat de roman e problemi fisici forse erano complementari. Magari costituivano due facce di una situazione che lo vedeva impegnato da oltre quarantina d'anni. E, arrivato alla soglia dei settant'anni, Simenon era probabilmente logorato e non solo dal suo sforzo creativo, ma anche da una vita in cui non si era mai risparmiato su nessun fronte.
"... io vivo nella pelle dei miei personaggi. Almeno ogni due mesi, c'erano dei personaggi che volevano nascere... Ora, all'improvviso, voglio vivere la mia vita per me, mi sento liberato, mi sento felice, una serenità completa - continuava a spiegare Simenon a Tauxe - Ero divenuto schiavo dei miei personaggi. Era molto faticoso. Ora non gli permetto d'impormi la loro presenza. Li tengo a distanza... sono rintrato nella mia pelle, nella mia personale vita e non ho più la forza di creare dei personaggi...".
Quello che emerge sempre più chiaramente è la presenza di varie concause, il logoramento, l'età, la salute... Ma, quello che non smette di stupire, é come sia possibile che un personaggio il quale dello scrivere aveva fatto per oltre cinquant'anni la sua ragione di vita, potesse smettere così all'improvviso, ma soprattutto senza evidenti rimpianti.
E sono ancora le sue parole in quell'intervista che non lasciano spazio ad altre interpretazioni.
"...E' un lato del mio carattere: quando io tronco con qualcuno o con qualcosa, non torno mai indietro, non ci penso più. E' chiuso...Quando ripenso ai romanzi questo non mi dice più nulla: è come se tutto questo fosse stato scritto da qualcun'altro. Ho consacrato tutta la mia mia vita ai romanzi, ne ho scritti 214, adesso provo il bisogno di tirare un respiro - e tanto per essere più chiaro - ... Se avessi continuato, mi sarei ucciso nel giro di due o tre anni...".