Il tema della giustizia in alcuni romanzi di Simenon
SIMENON SIMENON. JUGES ET DELINQUANTS
Le thème de la justice dans quelques romans de Simenon
SIMENON SIMENON. JUDGES AND OFFENDERS
The theme of justice in some novels by Simenon
"La sua voce era neutra e scialba come la sua persona. Con una faccia e una voce simile, sarebbe stato perfetto come presidente di tribunale".
E’ in “Maigret” che possiamo leggere questa frase a dir poco sconcertante, tanto più sconcertante in quanto riferita a Cageot, uno dei delinquenti più viscidi, e pericolosi, fra quelli con cui l'ormai ex-Commissario ha avuto a che fare, quel Cageot che ha incastrato il nipote di Maigret, costringendolo a tornare a Parigi, ad interrompere le tranquille occupazioni, l’orto, la pesca, di un pensionato borghese. E forse non è un caso che Simenon abbia scelto quello che nelle sue intenzioni doveva essere l’ultimo Maigret per inserire questa frasetta apparentemente innocente, per esprimere così chiaramente, anche se fra le righe, la propria opinione su giudici e tribunali.
E’ fuori dai Maigret però che tale visione dell’apparato giudiziario trova le maggiori espressioni. Nello sguardo implorante e pieno d’angoscia di un imputato che nessuno ascolta in “Colpo di luna”, ad esempio, nella tragica farsa di un processo surreale: “Bastava distogliere l’attenzione per qualche secondo e la scena perdeva ogni parvenza di realtà, diventava un incubo assurdo, una parodia senza capo né coda”.
O in quella “parodia di giustizia”, in quella “noiosa formalità” dall’esito scontato, che conclude “Turista da banane”: “Ed era quasi altrettanto difficile rendersi conto che l’altro uomo, quello di cui nessuno sembrava occuparsi e che sedeva in paziente attesa, stava rischiando la testa o quantomeno la libertà per il resto dei suoi giorni”.
Giustizia coloniale, si potrebbe obiettare. Libreville, Tahiti. Ma è in Europa, a Nizza, in “Corte d’Assise”, che tale visione trova la rappresentazione più compiuta. Nella mostruosità di una macchina della giustizia che macina la vita del protagonista per ricomporla a proprio uso e consumo, traducendola in un fascicolo ogni giorno più voluminoso e particolareggiato (ottocentoventitrè pagine per la precisione), completamente falso però. In un’istruttoria, ed un processo, che non è altro che una “partita truccata”. Nel ruolo muto di un imputato cui si attaglia l’immagine cruda di un cane destinato alla vivisezione: “I cani destinati alla vivisezione, i cani che hanno creduto nell’uomo e si ritrovano con i nervi messi a nudo dal bisturi, i cani che soffrono e che non capiscono più devono avere quello sguardo lì”.
Un protagonista che abbiamo conosciuto, al meglio della propria sfrontata disinvoltura, impegnato in una partita di bocce nell’incantevole scenario di un crepuscolo provenzale, in una scena che, per il più che compiaciuto esibizionismo, può ricordare quella del bowling del signor Hire. Personaggio sicuramente molto diverso, moralmente e fisicamente, addirittura opposto nel rapporto con l’altro sesso, ma anch’egli una vittima. Del pre-giudizio, di quell’altro, altrettanto spietato, tribunale rappresentato dai vicini di casa e dalle portinaie (ma anche un avvocato di “Corte d’Assise” sarà paragonato ad una “vecchia portinaia avida di pettegolezzi”), dalle maldicenze e dall’opinione pubblica, quella stessa pubblica opinione che, incitata all’esaltazione dai giornali, rivestirà un ruolo non secondario in “Corte d’Assise”.
E’ su questo sfondo disumano che deve essere fatta risaltare l’umanità di Maigret, del “raddrizzatore dei destini”. E' stato notato come Maigret non sempre affidi alla giustizia ufficiale il destino dei colpevoli da lui smascherati, assecondando in ciò la profonda convinzione di Simenon, "comprendere ma non giudicare". Ed infatti, tornando, per concludere, a “Maigret”, allo squallido Cageot da cui siamo partiti, cui Simenon nulla risparmia, neppure le allusioni alla mancanza di una vita sessuale, in uno spietato ritratto fisico e morale, eppure: “Il commissario studiava il suo interlocutore con la stessa passione che sempre metteva nella conoscenza di tutto ciò che era umano”.
Come non avvertire l'eco del terenziano "Homo sum, humani nihil a me alienum puto"?
Luca Bavassano