sabato 9 marzo 2019

SIMENON SIMENON. POURQUOI MAIGRET ?

Du meneur de jeu au compagnon littéraire, en passant par la figure du père

SIMENON SIMENON. PERCHE' MAIGRET? 
Dal conduttore del gioco a compagno letterario, attraverso la figura del padre... 
SIMENON SIMENON. WHY MAIGRET? 
From the game leader to the literary companion, through the father's figure... 


Lorsque Simenon décida d'abandonner la littérature alimentaire, il ne se sentait pas encore prêt à aborder la «littérature tout court», et c'est pourquoi il choisit de passer par une étape intermédiaire, ce qu'il appela la «semi-littérature», pour laquelle il utilisa le personnage de Maigret.  
Dans une interview qu'il donna à Frédéric Lefèvre en 1931, il précisait que «les romans semi-alimentaires sont ceux que l'on prend la peine de relire avant de les envoyer à l'impression.» La même année, interrogé par Georges Charensol, il disait, à propos de ses premiers romans avec Maigret: «ce n'est pas du populaire comme ce que j'ai écrit jusqu'ici. J'ai l'ambition de faire du roman semi-littéraire.» Cette «semi-littérature» semblait donc être surtout une question de qualité esthétique, si l'on peut dire, le roman semi-littéraire se trouvant un cran en dessus du genre populaire qu'il avait pratiqué jusque-là.  
Cependant, une étape suivante dans sa réflexion vint au moment où il se sentit mûr pour s'attaquer à la littérature sans passer par la case Maigret. En janvier 1939, dans une des premières lettres qu'il adressa à Gide (rappelons que celui-ci avait beaucoup sollicité Simenon à propos de sa façon d'écrire, et cela avait probablement incité celui-ci à se poser davantage de questions sur son propre mode de création), le romancier s'expliquait sur la raison d'avoir choisi le roman policier, qui lui permettait «d'étudier [s]on métier dans les conditions les plus faciles, c'est-à-dire avec un meneur de jeu 
La formule allait faire florès, et Simenon l'emploierait à l'envi par la suite. Ainsi, dans la conférence qu'il donna en 1945 à New York, il racontait comme il avait expliqué son point de vue à Fayard: «je me crois capable […] de faire vivre des personnages presque humains, à condition que je profite d'un support, d'une armature, que je puisse m'appuyer sur un meneur de jeu». Dans une interview de 1957 pour la Tribune de Lausanne: «Je me faisais la main, j'apprenais mon métier. Quand j'ai eu l'impression de le connaître un peu, je me suis lancé sous mon nom. Mais comme je ne me sentais pas encore très sûr de moi, j'ai créé le commissaire Maigret. Une sorte de coryphée. J'avais au moins quelqu'un, un meneur de jeu, qui pouvait intervenir sur commande, et c'est indispensable pour que l'action ne traîne pas.» Même idée dans l'entretien avec Roger Stéphane en 1963: «J'avais encore besoin d'un garde-fou. […] C'est pourquoi j'ai choisi le roman policier. […] D'abord, vous avez un meneur de jeu, un monsieur qui peut questionner n'importe qui, entrer dans n'importe quel maison.» 
Cependant, si Maigret avait été uniquement ce meneur de jeu, il est probable que Simenon n'aurait pas eu besoin de revenir à lui après qu'il eut passé à la «littérature tout court». Parce qu'après tout, si le seul argument pour qu'il ait repris son personnage au temps de Gallimard avait été financier, il aurait tout aussi bien pu utiliser n'importe quel autre personnage de policier ou de détective (rappelons qu'il créa en 1938 le Petit Docteur, et que cette même année il écrivit les nouvelles des Dossiers de l'Agence O)… 
En réalité, le romancier avait petit à petit enrichi le personnage de Maigret: d'une part il l'avait doté de certains traits pris à de véritables policiers. D'autre part, à Maigret en tant que personne, il avait donné des traits de son propre pèrece qu'il reconnaissait dans l'entretien avec Parinaud en 1955: «quand j'ai voulu créer un personnage sympathique et comprenant tout, c'est-à-dire le personnage de Maigret, j'y ai mis, à mon insu, un certain nombre de traits de mon père». 
Puis, petit à petit, à mesure que le temps passerait, que personnage et créateur vieilliraient de conserve, le romancier donnerait à Maigret encore davantage de lui-même… Dans une interview pour Le Nouvel Illustré de 1979, Simenon résuma ainsi cette trajectoire commune: «J'écrivais alors des romans populistes. J'avais envie de changer, d'essayer, pour me détendre, le roman policier. […] Au début, Maigret n'avait pas les mêmes méthodes que moi. Petit à petit, l'un des deux a déteint sur l'autre.»… 

Murielle Wenger 

venerdì 8 marzo 2019

SIMENON SIMENON. UN CASO CHE MAIGRET NON RISOLSE MAI

Il caso dell'autore che lo volle grande e grosso e poco intelligente. Ma lui come avrebbe voluto essere?

SIMENON SIMENON. UNE AFFAIRE QUE MAIGRET NE RESOLUT JAMAIS
L'affaire de l'auteur qui le voulait grand, gros et peu intelligent. Mais lui, comment aurait-il voulu être ?

SIMENON SIMENON. A CASE MAIGRET NEVER SOLVED
The case of the author who wanted him big, fat, and unintelligent. But how would he himself have wanted to be?





La passione fa brutti scherzi. In questo caso si tratta per la passione di uno di quei personaggi letterari (ma anche cinematografici) che ti entrano nella pelle. Quei personaggi che pur riconoscendoli diversi da noi, ci suscitano un‘intimità, una comunanza di sentimenti e un’empatia davvero particolare Se poi questo personaggio è il protagonista di novanta romanzi… beh allora, nel caso facessimo parte di quelli che li hanno letti tutti ( ed è proprio il nostro caso), ci troveremmo di fronte ad una sorta di convivenza… Un incontro ripetuto per novanta volte crea un legame a dir poco saldo…. Se poi nel corso degli anni si rileggono i titoli che sono più piaciuti di più o quelli che dopo un po’ di anni non si ricordano più così bene, allora le occasioni di frequentazioni potrebbero diventare oltre un centinaio… E diremmo che a questo punto scatterebbe addirittura una sorta di complicità…. “Io e Maigret”…. E quando si è complici, si fanno insieme delle cose che talvolta scivolano fuori dal solco della normalità e dalla realtà..

Tutta questa pappardella d’introduzione, l’abbiamo voluta scrivere per giustificare il tema che tratteremo oggi in questo post. E’ uno di quei temi a doppia faccia. Visti da parte dell’appassionato che quasi personifica il suo eroe, l’argomento sembrerà lecito e forse addirittura interessante. Visto con il freddo (o magari appena tiepido) occhio del frequentatore occasionale di Maigret, il soggetto rischia di essere giudicato ardito se non addirittura senza senso.

Il sotto-titolo di questo post recita: “Il caso dell'autore, che lo volle grande e grosso e poco intelligente. Ma lui come avrebbe voluto essere?”. Che fosse grosso, non c’è dubbio. Le descrizioni di Simenon adoperano a volte l’aggettivo “pachidermico”, cosa che taglia fuori ogni discussione. E anche sull’intelligenza del commissario lo scrittore non è certo stato ambiguo. “Maigret – affermava - non è intelligente, è intuitivo”.
Ma, come abbiamo detto prima, la personificazione dell’eroe gioca brutti scherzi e oggi siamo addirittura a chiederci se Maigret si piacesse così come l’aveva creato Simenon. Come se, saltato fuori dalle pagine dei romanzi, avesse acquisito una tridimensionalità che ne aumentava non di poco il realismo e prendendo addirittura coscienza di sé, fino a chiedersi se si piaceva o meno…
Crediamo che delle dimensioni più normali non sarebbero dispiaciute al commissario, che a volte si sente un po’ impacciato dal suo corpaccione, soprattutto in certe situazioni, dove si rende conto di far la figura di un orso in una cristalleria. Ma va detto anche che talvolta questa sua stazza, che si impone ingombrante e persino minacciosa, la fa pesare fino in fondo, per imporre la sua supremazia in una data situazione. 
Forse avrebbe voluto essere un po’ più seducente, e avere un rapporto più disinvolto con le donne…. Magari non diventare un dongiovanni come il suo autore, ma insomma un po’ più di confidenza con l’altro sesso, anche a costo di venir meno alla sua proverbiale fedeltà e arrivare a tradire M.me Maigret. 
Ci rendiamo conto di dire queste cose proprio l’8 marzo il giorno della Festa della Donna e che le nostre lettrici potrebbero inquietarsi doppiamente per questa pennellata di maschilismo che abbiamo tracciato nel profilo di questo immaginario commissario. Ma le signore, cui vanno i nostri auguri, ci perdonino. La vita, soprattutto quella sentimentale, è questa, fatta di slanci amorosi, di tradimenti, di addii, di ripensamenti. Il Maigret di Simenon ci sembra un po’ ingessato, tenendo troppo freno i suoi slanci sensuali… Si trova non di rado in situazioni in cui un nonnulla potrebbe far scattare qualcosa, ma poi, per un motivo o un altro, non succede mai. Ecco forse un Maigret più padrone di sé stesso qualche volta avrebbe ceduto. 
E la sua ritrosia per le situazioni pubbliche, le sue foto sui giornali, la fama… Forse, gli sarebbe piaciuto essere meno ombroso e godersi di più questa dimensione sociale, che tutto sommato gli avrebbe fornito delle gratificazioni. I quotidiani celebravano i suoi successi contro la malavita, al Quai des Orfèvres lo stimavano al punto di volerlo promuovere Direttore della Polizia Giudiziaria. Ma il commissario di Simenon rifiuta la carica. Forse un Maigret un po’ più ambizioso avrebbe accettato e magari avrebbe vissuto insieme alla moglie una vita più mondana, un po’ meno casalinga… E anche uno scrittore di un certo nome aveva iniziato a scrivere romanzi con le sue gesta…. La cosa avrebbe potuto fargli persino piacere: altra notorietà, avrebbe potuto diventare ancor più un personaggio pubblico… qualche serata di gala… qualche cerimonia ufficiale…
E magari, visto che aveva fatto la gavetta in polizia, partendo come semplice agente che pattugliava in bicicletta le vie di Parigi, una volta Commissario Capo avrebbe potuto pretendere una maggiore confidenza con le armi. Non solo capire gli altri (e non giudicare), ma capire anche quando era il momento di sparare e come doveva farlo. Non aveva certo la vocazione per fare “il pistolero della notte”, ma come dirigente della brigata omicidi qualche occasione per partecipare ad un conflitto a fuoco doveva capitare, magari avere una migliore mira nel tiro e più esperienza nello sparare non sarebbe guastato. 
Ma forse così sarebbe uscito fuori un commissario più convenzionale (che magari sarebbe piaciuto al suo primo editore, Fayard), ma probabilmente si sarebbe confuso con altri poliziotti inserendosi in un filone già battuto e perdendo così la sua rivoluzionaria carica così dirompente.
Meglio che Maigret non salti fuori a dire come avrebbe voluto essere… Lui é meglio che faccia il mestiere di commissario e lasci a Simenon fare quello del romanziere e di creatore di personaggi. E mi pare che personaggio non abbia certo avuto motivo di lamentarsi, no? (m.t.) 

giovedì 7 marzo 2019

SIMENON SIMENON. THE NOVELIST'S METHOD AND THAT OF THE CHIEF INSPECTOR

Writing a novel or leading an investigation, when Simenon and Maigret meet... 

SIMENON SIMENON. IL METODO DEL ROMANZIERE E QUELLO DEL COMMISSARIO 
Scrivere un romanzo o condurre un'indagine, quando Simenon e Maigret si incontrano ... 
 SIMENON SIMENON. LA METHODE DU ROMANCIER ET CELLE DU COMMISSSAIRE 
Ecrire un roman ou mener une enquête, quand Simenon et Maigret se rejoignent…


"When you are writing a Maigret novel, do you already know the argument of the book? 
- No, no and no! 
- So you are building it step by step? 
- Of course! Otherwise I think it wouldn't interest me anymore. [...] I have to go through the same anxieties as Maigret does, and, like him, generally in the fifth or sixth chapter, I feel this difficult moment, when I'm in front of three, four, five different solutions, and I wonder which is the good one. Because there is only one right solution. Generally it is the most difficulty day to pass, when you have to decide for the rest of the novel." 
This is what Simenon told to Roger Stéphane in a 1963 interview. We know that the novelist was "falling in novel state", as he said, and this state was provoked by something particular, like a smell, a form, a colour, joining with memories, which then aggregated other things, characters, places, events that gave the ambience. Then the novelist let himself guide by the concatenation of these elementswhich took shape and greater definition, and that made the plot go on one side or the other.  
Simenon also called that "state of grace", when he captured this perfume or this colour, that reminded him of something, maybe of his past, particularly of his childhood, that had struck him. It could also be a voice or a word. In fact, something that had captured his attention. Then he began to fantasize around this element, until a character was outlined, with his mentality, his personality, his behaviour. And little by little the novelist had to let himself go, empty himself, to allow this character to grow inside himself, in order to be able to reason like him and identify to him.  
Simenon wrote to Gide about this state of grace: "I need to stay in it, no matter the cost. […] At that point nothing can be changed in the order of my days… I don't know what this state of grace consists of, I try to rebuild every day the same proceedings up to the smallest details…" 
This trance and inspiration, necessary to write a novel, were transferred by the novelist to Maigret, so that the Chief Inspector could use them in his investigations. That is to say the novelist's own procedure to elaborate, conceive and produce a novel was transposed into the Chief Inspector's inquiry methods.  
At the beginning, Maigret finds himself lost in an environment he does not know, in contact with people he didn't see before, searching for the solution of a mystery. At that point it happens to him to spend an apparently inactive period. Yet in fact this is an experience corresponding to the novelist's state of novel. The Chief Inspector lets himself impregnate by that environment, by the moods, by the mentality of the place, by the psychology of people and their interpersonal dynamic, by the atmosphere that reigns… Until he puts himself into these people's skin, reasoning like them, and succeeds in understanding their souls, because he has become like them. And that's the most difficult moment in the investigation, when Maigret catches something that will offer a glimpse for the solution, and he must decide which direction to give to the investigation and then move on to action 
For example in one of Maigret's investigations there is a moment in which the author operates this kind of transposition: 
"At the Quai des Orfèvres […] they would say about Maigret, in those moments:  
- There it isThe boss is in trance. 
The disrespectful inspector Torrence, who nevertheless had a true worship for the Chief Inspector, said more bluntly: 
- Now the boss is in the bath.  
"In trance" or "in the bath", was a state that Maigret's collaborators saw coming with relief. They succeeded in guessing it by small warning signs, and in predicting prior to the Chief Inspector when the crisis would break out." (Maigret in New York) 
In conclusion Simenon had to put himself into Maigret's skin (as he did with his other characters) and he had to let the Chief Inspector put himself into the suspects' skin… Thus we could say that Maigret's method is nothing else than a kind of "state of novel"… 

by Simenon-Simenon 

mercoledì 6 marzo 2019

SIMENON SIMENON. QUANDO LO SCRITTORE PRESE IN MANO IL PROPRIO DESTINO

L'autore dei "romans de la destinée" prende in mano la sua vita e....

SIMENON SIMENON, (?) QUAND L'ECRIVAIN PRENAIT EN MAIN SON PROPRE DESTIN
L'auteur des "romans de la destinée" prend sa vie en main et…
SIMENON SIMENON. WHEN THE WRITER TOOK CONTROL OF HIS OWN DESTINY
The author of “novels of destiny” takes control of his life and…



Prendere in mano il proprio destino. Per uno scrittore i cui personaggi erano dominati e non di rado vittime del destino, potrebbe sembrare un po’ una contraddizione. 

Eppure è così. Simenon è stata una persona che difficilmente è stato trascinato via dalla fatalità della vita. E quando il destino stava per impossessarsi di lui, con uno scatto gli si sottraeva… 
L’abbiamo visto in varie occasioni della sua vita e da questo punto di vista il destino si ritrovava di fronte qualcuno che piegava gli, eventi al suo volere o perlomeno sgusciava via tra le pieghe di un destino che l‘avrebbe condotto dove lui non voleva. 
Già da adolescente, promettente e precoce redattore de La Gazette de Liège, con una fidanzata in città che lo attendeva per delle future nozze, insomma con un contorno che faceva pensare che si sarebbe sistemato nella sua città natale, con un bel lavoro, sposando una ragazza di buona famiglia… E invece no. 
Prese un treno per Parigi, con la volontà di diventare uno scrittore vero, uno di quelli che con i soli proventi di quel lavoro, ci campano, ci mantengono la famiglia. Fu la prima azione con cui si sottrasse al destino che andava configurando per lui nella città belga. 
Facciamo un salto di qualche anno, siamo alla fine degli anni ’20 Georges è perdutamente innamorato della star mulatta che in quel momento sta facendo impazzire Parigi. E’ Josephine Baker di cui è divenuto l’amante e di cui è totalmente succube tanto da tenerle lui i conti delle sue finanze, da agitarsi per realizzare un giornale che parli solo di lei, il Josephine Baker Magazine, e di sopportare che ormai l’avessero soprannominato il segretario personale della Baker. Fu ad un pelo dal dare una svolta alla sua vita con una donna che cui condivideva più di una pulsione e un certo modo di vedere la vita. 
Ma poi anche qui uno scatto. Non poteva diventare “monsieur Baker”, non poteva rinunciare al suo programma per arrivare a diventare romanziere, doveva completare il periodo dell’apprentissage con i romanzi popolari, doveva ancora iniziare la fase della letteratura semi-letteraria (ancora non sapeva che si sarebbe concretata nei Maigret) per poter arrivare a scrivere solo i romans durs. Anche qui si sottrasse ad un destino che sembrava compiuto vista l’intesa con quella meravigliosa creatura che tutti adoravano e con la quale si era instaurato un rapporto molto particolare. 
E invece la lasciò, abbandonò anche Parigi insieme alla moglie Tigy e si tuffò di nuovo nella scrittura. Il suo programma non poteva subire deroghe anche se si chiamavano Josephine Baker e se sembrava proprio che così dovesse compiersi il suo destino. 
Potremmo parlare di altre fughe dal destino come sua partenza e la sua permanenza di dieci anni negli Usa. 
Ma una delle più importanti decisioni che lo sottrasse a quel destino che in fondo si era costruito proprio lui con le sue mani, durante tutta la sua vita, con convinzione e con un successo che rendeva merito a questa sua determinazione, fu quando decise di smettere di scrivere. Per la precisione dovremmo dire quando decise di non scrivere più narrativa…. Perché poi ci furono i Dictées, frutto di registrazioni, ma poi soprattutto le sue ponderose Memoires intimes. 
Era destino che nel 1972 smettesse di scrivere? In fondo aveva quasi settant’anni, un’età in cui altri scrittori sono ancora in attività. Ma lui era stato fin troppo prolifico. Aveva iniziato a scrivere racconti per giornali e piccole riviste che non aveva ancora vent’anni. Era quindi più o meno mezzo secolo che si era dedicato alla scrittura. Ma anche qui nessuna malattia e o accadimenti traumatici (quelli sarebbero arrivati dopo soprattutto con il suicidio della figlia Marie-Jo) che determinassero una scelta così netta e decisa. Era in condizioni di scrivere ancora per almeno qualche anno? Ci piace pensare di sì, forse era stanco, la sua capacità di état de roman era quasi sparita, l’entrare e uscire dalla pelle dei suoi personaggi l’aveva estenuato, ma qualche Maigret era ancora in grado di scriverlo…. Un po’ le su ultime forze, un po’ il mestiere accumulato in una vita passata a scrivere… Eppure ancroa una volta Simenon non attese che qualche strumento del destino decidesse per lui… ancora una volta prese il destino nelle sue mani e chiuse la sua vicenda di narratore. (m.t.)