giovedì 6 maggio 2021

SIMENON SIMENON - E SE 95 ANNI FA' FOSSE USCITO IL "JOSEPHINE BAKER MAGAZINE"?

La storia é nota. alla fine di aprile di 95 anni fa' sarebbe dovuto uscire il primo numero di una rivista esclusivamente dedicata a Josephine Baker, la star che dal suo debutto con la Revue Nègre nell'ottobre del 1925 fece impazzire Parigi e tutti i parigini. Simenon arrivato in città da nemmeno tre anni, e all'inizio della sua carriera, era un frequentatore (forse nemmeno tanto assiduo) dei cabaret e dei teatri e gli capitò di assistere ad un spettacolo della Baker.
Colpo di fulmine e soprattutto scelta della star molto particolare, visto che le ronzavano intorno decine di uomini d'affari, nobili facoltosi, politici... e invece la sua scelta cadde su un giovane scrittore in erba che nessuno conosceva perché pubblicava i suoi libri sotto pseudonimo. Fu una relazione che, soprattutto per la fama raggiunta all'epoca dalla Baker, non era facile mantenere segreta e che suscita più di un'interrogativo sulla moglie dello scrittore. Come Tigy poteva non sapere? Anche perché la storia andò avanti per un paio d'anni circa e vedeva un Simenon assai coinvolto. La moglie ignorava o faceva finta di non sapere (come d'altronde sarebbe successo anni dopo, quando fece finta di scoprire la relazione di Georges con la loro femme de chambre, Boule, cosa che invece conosceva da tempo e che tirò fuori in quel momento perché allora era suo interesse). Non sappiamo, ma questa potrebbe essere un'ipotesi plausibile che spiegherebbe il comportamento di Tigy.
Il ciclone Baker, sconvolse il giovane scrittore sessualmente, sentimentalmente e lo vide indaffarato anche nel seguire gli affari dell'amante e talmente infatuato da progettare una pubblicazione tutta dedicata a Josephine! Ma nomi di collaboratori che a vario titolo avevano dato la loro disponibilità al progetto, caddero ad uno ad uno e Simenon si ritrovò a svolgere le funzioni di editore, direttore, redattore... l'unico che lo seguì in questa pazzia fu il suo amico illustratore Paul Colin che preparò il layout del giornale, studiò la grafica della testata Josephine Baker Magazine e alcuni annunci pubblicitari
L'abbiamo chiamata pazzia perché non sappiamo cosa di preciso Simenon potesse avere in testa, in termini editoriali, oltre quel numero zero, come non si sa che cosa ne pensasse la diretta interessata. Lui forse, sconvolto dalla passione creola, non aveva le idee molto a fuoco. Per Josephine, abituata alle stravaganze più eccentriche che pullulavano intorno a lei, l'idea di un giornale con il suo nome le sembrava forse una semplice conseguenza del suo successo.
Insomma da parte di Simenon e Colin il lavoro ferveva nella preparazione del numero zero. Ma tutto questo avveniva nella fase finale della relazione, causa: il raffreddamento della passione da parte di Simenon, un po' per il soprannome di "segretario della Baker" con cui iniziavano ad indicarlo e un po' per le voci che iniziavano a girare"... Simenon è diventato il cavalier servente della Baker...". Lo scrittore stesso iniziò a temere che se quella storia fosse andata avanti ancora un po', lui, ancora non certo famoso, rischiava di diventare Mr. Baker.
Ma se invece il numero zero fosse stato completato? Nella improbabile ipotesi che avesse trovato un editore e una serie di collaboratori, l'allora sconosciuto nome di Simenon, sarebbe stato comunque un'appendice di quello della Baker che allora era al massimo della celebrità e della fama. 
Una volta uscito, quanto sarebbe durato il giornale?... probabilmente tanto quanto il successo della soubrette, tanto quanto sarebbe iniziato il tramonto della Baker, per l'età, per l'arrivo sulla scena parigina di nuove star, per abitudine...? E chi mai avrebbe continuato a comprarlo? A quel punto la moglie di Georges avrebbe scoperto (o fatto finta di scoprire) la tresca e magari lo avrebbe lasciato? E la reputazione che Simenon si stava faticosamente ritagliando tra le testate e le riviste popolari si sarebbe prosciugata? E il famoso "programma Simenon" come apprendistato a tappe per arrivare dalla letteratura che chiamava alimentare ai romans durs,  rischiava di arenarsi?


Queste domande dovevano girare vorticosamente nella testa di Georges e forse tutti quegli interrogativi rimettevano in moto un po' di senso pratico (e critico) che faceva percepire più nitidamente la sua relazione con la Baker, con tutto quello che le girava intorno e le possibili conseguenze... Come la smodata passione per la star aveva fatto divampare il sacro fuoco della rivista, così il ritorno con i piedi a terra e la sua determinazione nel diventare un romanziere, ne decretò la fine con la rinuncia al progetto. E questo fu un segnale, dal momento che da lì iniziò il tramonto della relazione tra Josephine e Georges. Seppellito il Josephine Baker Magazine, la star continuò a mietere successi, anche senza giornale. Simenon lasciò Parigi, ma si rituffò totalmente nella scrittura. E Tigy, ignara o consapevole del tutto, conservò il marito.

mercoledì 5 maggio 2021

SIMENON SIMENON "SOUVENIR" - DESTINO, LEGGE E GIUSTIZIA

"...Credo che non esistano dei colpevoli. L'uomo è un essere talamente poco attrezzato per affrontare la vita che parlare di una sua colpa è quasi farne un superuomo. Come può essere colpevole? Io ce l'ho molto di più con con capo di stato che sacrifica tutto per la sua piccola gloria, più di quanto non ce l'abbia con un clochard sotto un ponte che, alla prima occasione, ruba un portafoglio... mio Dio, è assolutamente naturale... come non ce l'ho con un malvivente di Marsiglia... o con i córsi arrivati a Parigi. Tutta questa gente non può scegliere, conduce la vita che inevitabilmente la Società ha imposto loro fin dalla nascita..."Chi parla è Simenon. Chi stuzzica questo suo nervo scoperto è Francis Lacassin in una delle sue numerose interviste allo scrittore.Come abbiamo avuto occasione di ripetere più volte, Simenon non si faceva scappare occasione per ribadire la sua convinzione che la vita di certi uomini fosse quasi predestinata. E qui si parla di clochard, diseredati, dei reietti della società. Ma questa sua convinzione tocca anche individui più fortunati e ben più su nella scala sociale. Ad esempio parlando dei Maigret e più in generale della macchina della giustizia, lo scrittore ricorda ".... i suoi (di Maigret) scontri con certi giudici istruttori, mondani e venerabili che a quel tempo erano reclutati nella classe borghese, e che iniziavano il loro lavoro senza conoscere nulla degli uomini, facendo leva unicamente sui precetti borghesi che erano stati loro inculcati. E allora, che tipo di giustizia volete che tutto questo produca?...". E qui Simenon, oltre a ribadire che anche personaggi come i giudici procedono su dei binari predeterminati, introduce un'altro concetto: si può esercitare la giustizia senza conoscere a fondo gli uomini, il loro retroterra, le motivazioni dei loro comportamenti e, come conseguenza di quanto detto prima, a quel punto è giustizia incolpare e condannare un uomo che non aveva, secondo lo scrittore, altra scelta?Ma qui entriamo in una problematica su cui la filosofia, la sociologia, la psicologia e la letteratura si interrogano da secoli: l'uomo è un essere predestinato o ha il potere sovvertire i condizionamenti cui, da quando, nasce viene sottoposto? Sull'argomento sono stati scritti un numero sterminato di libri, sono state formulate talmente tante teorie da nomi di tale livello, che non saremo certo noi, in queste poche righe ad aggiungere nemmeno qualche parola in merito.Approfondiamo invece quello che Simenon pensava in proposito, che poi è racchiuso, se vogliamo banalizzare, in quel soprannome affibbiato al commissario Maigret, "l'accomodatore di destini".
E in merito ai cosiddetti delinquenti sottolinea "per loro la delinquenza è assolutamente naturale, vi sono nati e cresciuti.... quando all'età di nove o undici anni, sulla strada, già ricevono delle coltellate, cosa pretendete che diventino? La delinquenza è del tutto naturale...".Ma la critica di Simenon, dopo aver colpito i giudici, si estende dalla responsabilità del criminale alla punizione che poi la società organizza per quesi individui. E si scaglia contro metodi che ritiene ripugnanti. "...Oggi si fanno delle campagne contro gli animali in gabbia. E gli uomini in gabbia, allora? Perché noi, ancora oggi, mettiamo degli uomini in stanze non più grandi di una gabbia di un leone, a volte anche più piccola, e anche quella con delle sbarre. L'idea che si possa riservare un tale trattamento ad un essere umano mi rivolta, mi fa ribollire il sangue...".
Così Simenon alla fine degli anni sessanta.

martedì 4 maggio 2021

SIMENON SIMENON "SOUVENIR" - MAIGRET E IL CASO DEL PORTO DELLE NEBBIE

La questione è nota da tempo, ma la riproponiamo perché forse non proprio tutti la conoscono. Si tratta del romanzo Il porto delle nebbie, titolo italiano.
Il primo tradotto con tale titolo in Italia è di Pierre Mac Orlan, uno scrittore francese, al suo tempo abbastanza famoso, che nel 1927 scrisse Le quai des brumes, per Gallimard (editore francese per cui notoriamente scrisse anche Simenon). Cinque anni dopo, sempre in Francia, uscì per Fayard Le port de brumes, nelle inchieste del commissario Maigret, dato che nei primi diciannove titoli di Fayard, della prima serie, il nome Maigret non compare mai nel titolo) .
Mondadori prima e Adelphi poi lo pubblicarono nella serie delle inchieste del commissario con lo stesso titolo appunto di Maigret e il porto delle nebbie. (anche se in francese tra "port" e "quai" una certa differenza c'è). Coincidenza vuole che in Italia Adelphi, oltre che di Simenon, sia anche l'editore di Mac Orlan e abbia quindi pubblicato (ora in seconda edizione) il succitato romanzo appunto con il titolo Il porto delle nebbie.
A confondere ulteriormente le acque ci sono versioni cinematografiche per entrambe i romanzi. Ma anche qui le storie si intrecciano. Il film tratto dall'opera, di Mac Orlan è diretto nel 1938 da Macel Carnè, interpretato da Jean Gabin, sceneggiato da Jacques Prévert: i primi due simenoniani di lusso nel mondo cinematografico francese. Il regista infatti dirigerà in seguito due film tratti da importanti romanzi di Simenon (La Marie du port - 1950 , proprio con Jean Gabin protagonista, e Trois Chambres à Manhattan - 1965). L'attore invece interpretò poi ben dieci pellicole tratte dai romanzi di Simenon (La Marie du port 1950 - La verité sur Bébé Donge 1952 - Le sang à la tete 1956 - Maigret tend un piège 1958 - En cas de malheur 1958 - Maigret et l'affaire Saint-Fiacre 1959 - Le Baron de l'écluse 1960 - Le Président 1961 - Maigret voit rouge 1963 - Le chat 1971).
Invece c'è un film tratto dalla versione inglese dell'inchiesta di Maigret L'homme de Londres, scritto nel 1933, prodotto in Gran Bretagna nel 1947 (dalla Welwyn Film Studios), diretto da Lance Comfort, dal titolo Temptation Harbour (in francese Le port de la tentation). Il film, al contrario di quello di Carnè non fu distribuito in Italia.
Bene. Ora che avete le chiavi giuste andatevi a leggere i due libri e a gustarvi almeno il film di Marcel Carnè (quello di Comfort non crediamo sia reperibile), in un'abbuffata di porti e di nebbie. Tipici simenoniani.

lunedì 3 maggio 2021

SIMENON SIMENON - 120° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI GINO CERVI

3 maggio 1901, nasce a Bologna, Luigi figlio di un famoso critico teatrale, Antonio Cervi, e animatore della scena culturale del tempo. Luigi (diventato Luigino e poi Gino) dunque ha vissuto, fin dai primi anni, un'atmosfera molto particolare in casa, con letterati, intellettuali e discussioni infinite anche molto accese, tanto che una volta il padre dovette intervenire per rappacificare Carducci con D'Annunzio la cui disputa stava prendendo brutte pieghe.
Gino seguirà, fin dalle scuole elementari, il padre nelle sale teatrali, conoscendo di persona attori e registi, ma anche figure della cultura come Pascoli e Testoni. E, inevitabile conseguenza, quando arrivò al liceo, iniziò a frequentare le filodrammatiche. Diplomato, dopo la morte del padre, la sua carriera teatrale decollò. Nel '25 recita nei "Sei personaggi..." sotto la direzione di Pirandello e continua le sue performances a teatro fino al '35, quando debuttò al cinema con due film: Amore di Bragaglia e Aldebaran di Blasetti. Da allora arrivarono successi sia dalle tavole del palcoscenico che dal grande schermo, collaborando con registi come Zavattini, Camerini, Fellini (allora soggettista e sceneggiatore). Nel dopoguerra vinse il Nastro d'Argento e la Coppa Volpi come miglior attore al Festival del Cinema di Venezia nel 1945 con il film Monsù Travet di Mario Soldati.
Il grandissimo successo, nonostante i trionfi e la fama, arrivò nel '52, come al solito, con un'opera popolare, produzione italo-francese diretta da Julien Duvivier, Don Camillo e l'onorevole Peppone, a fianco di Fernandel, film che furoreggiò in Italia e in Francia. La storia (poi divenuta una serie di cinque film), tratta dai romanzi di Giovannino Guareschi, fotografano le vicende di un paesino della bassa emiliana, Brescello, dove un parroco zelante e coriaceo sostenitore della Democrazia Cristiana (Fernandel) e un sindaco convinto comunista del PCI (Cervi), si fronteggiano in un susseguirsi di vicende tragicomiche che rappresentvano bonariamente lo scontro di due ideologie che si verificava realmente in Italia.
Ma adesso facciamo un bel balzo, perché se dovessimo parlare di tutte le tappe importanti della carriera di Cervi, avremmo bisogno di almeno tre/quattro post.
E' Gino Landi, regista televisivo, a proporgli all'inizio del 1964 d'interpretare per conto della Rai il commissario Maigret. Cervi accetta e da professionista inizia a prepararsi. Si legge tutte le inchieste del commissario simenoniano, fa un trasferta a Parigi, che per altro già conosceva bene, durante la quale nella quale andò a trovare anche l'ex-commissario Massu (quello cui Simenon s'ispirò per Maigret), e così in primavera è pronto a girare per tutta l'estate i primi quattro sceneggiati. Si ritrova a recitare con l'attrice Andreina Pagnani nel ruolo di Mme Maigret, un'attrice che aveva affiancato al teatro fin dal 1939 in numerose rappresentazioni. Il 27 dicembre debutta la prima puntata (Un'ombra su Maigret). Il grandissimo successo lascia sorpresi un po' tutti, dal regista, all'interprete, agli sceneggiatori tra cui spicca Diego Fabbri e ad Andrea Camilleri, allora delegato di produzione della Rai. 
Mai tanto successo per Cervi. Servizi televisivi, copertine di giornali, la pubblicità che lo reclama, le interviste, addirittura le copertine dei libri di Mondadori adottarono la sua faccia per raffigurare il commissario. E' un evento eccezionale, anche per gli ascolti che per quel debutto arrivano a oltre tredici milioni di telespettatori. E così sarà anche per la seconda serie nel '66 con quasi quattordici milioni di spettatori, come per la terza nel '68. Il quarto e ultimo ciclo nel '72 fece schizzare il numero di telespettatori a diciotto milioni e mezzo.
Insomma per la tv di quegli anni fu un fenomeno mediatico come non ce n'erano mai stati. I cinematografi mettevano in sala degli apparecchi tv, altrimenti gli spettatori sarebbero rimasti a casa per vedere il Maigret di Cervi. In quegli anni, dicono gli esperti del settore, si vendettero pipe e tabacchi come mai era successo (nemmeno poi con il Presidente Pertini o l'allenatore della nazionale di calcio Bearzot). Quindici episodi (alcuni in più puntate) in otto anni, scolpirono l'immagine del Maigret-Cervi nell'immaginario collettivo degli italiani, la generazione del boom economico, ma l'imprinting fu così forte che questo fenomeno influenzò anche qualche generazione successiva.
Il Messaggero di Roma pubblicò un pezzo di Angelo Gangarossa che diceva che"... Cervi si era calato in Maigret con tutte le scarpe e i calzini..." L'attore mandò un biglietto di ringraziamento al giornalista in cui scriveva "... ha ragione, il fatto è che nella mia lunga carriera non mi sono innamorato mai di un personaggio, come di questo. Io a Maigret voglio un bene dell'anima. Mi piace tutto di lui, anche quello che mangia e quello che beve. Forse Maigret é un oriundo emiliano...".
Purtroppo Gino Cervi morì il 3 gennaio a 73 anni, proprio alla vigilia di girare un nuovo sceneggiato per la tv, sempre con la regia di Mario Landi... fosse vissuto più a lungo avremmo avuto una quinta serie delle inchieste del commissario Maigret?

venerdì 30 aprile 2021

SIMENON SIMENON WEEKEND - ECCO IL NUOVO NUMERO - VOILA LE NOUVEAU NUMÉRO


Quanti attori, quanti film, quanti episodi televisivi con Maigret possiamo contare? Lo possiamo fare fin dal 1932, in contemporanea con il debutto letterario del commissario. É una storia che  continua fino  ad oggi. L’ultimo commissario  televisivo è  stato quello di  Atkinson un paio di anni fa e già se ne annuncia uno cinematografico

Combien d’acteurs, combien de films, combien d’épisodes télévisés peut-on dénombrer ? On peut faire le compte dès 1932, contemporainement avec les débuts littéraires du commissaire. C’est une histoire qui continue jusqu’à aujourd’hui. Le dernier commissaire à la télévision a été celui d’Atkinson il y a quelques années, et déjà est annoncé un Maigret au cinéma

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giovedì 29 aprile 2021

"SIMENON SIMENON WEEKEND" - DOMANI ON LINE IL NUMERO 11 - DEMAIN EN LIGNE LE NUMÉRO 11

SIMENON SIMENON "REPORT" - SIMENON AL CINEMA - SIMENON...MON PETIT CINÉMA

Piatto ricco oggi per gli appassionati del cinema tratto dai romanzi di Simenon. Riportiamo infatti un'approfondita analisi da parte di due critici di primissimo piano, Emanuela Martini e Roberto Ellero. Tre articoli-saggio sui film il cui soggetto  sono le opere del romanziere. E' un'operazione  che facciamo non di rado, ma qui si tratta di un "assaggio" particolarmente gustoso.


Il Cinema Ritrovato - 1990 - CircuitoCinema, VeneziaRoberto Ellero - di una ventina d'anni fa'Vediamo di capirci. Simenon al cinema può voler dire parecchie cose. C'è il romanziere - prolifico e di successo come pochi altri in questo secolo - che il cinema corteggia e paga profumatamente per avere nei titoli di testa, utilizzando (e talora deformando, ma non è il solo a rischiare questa fine) storie, ambienti e personaggi il cui spessore è già per certi versi profilmico. C'è poi un Simenon che va al cinema: poco, molto poco a dire il vero ("La folla mi spaventa, anche in un cinema..."), ma volentieri cinéphile – è lui stesso a raccontarlo – negli anni d'oro delle avanguardie, quando per un Clair o un Buñuel si faceva volentieri a botte alle Ursulines. Al cinema ci va anche il suo alter ego, Maigret, trascinato dalla moglie, svogliato, e qualche volta anche da solo, nei tempi morti di un'inchiesta, attratto dal torpore ("buon caldo") della sala, che gli consente di "vagare con la mente", interrompendo la razionalità (non di rado inconcludente) dei circuiti logici. E non è ancora finita. Con oltre duecento romanzi all'attivo (per limitarci a quelli 'firmati') è inevitabile che il cinema entri, esso stesso, nella vita di alcuni dei personaggi che animano le sue storie. Tanto più in quanto ambientate in un'epoca (anni 'Trenta/Quaranta) e popolate da soggetti sociali (piccola borghesia urbana, generalmente) che assegnano al cinematografo una funzione ancora primaria, ben inscritta nei riti e miti della quotidianità. […] ; il cinema diventa – accanto a molte altre cose, naturalmente – scenario, luogo sociale, referente, testimonianza di un universo còlto per atmosfere, secondo le caratteristiche del romanzo psicologico. C'è infine, e la lasciamo per ultima perché è la più intrigante, la questione dello stile...>>>


Il Cinema Ritrovato - 1990 - CircuitoCinema, Venezia - Roberto Ellero - Della cinquantina di titoli che compongono la "involontaria" filmografia simenoniana, più di due terzi traggono origine dai lavori dove Maigret non compare. Film soprattutto francesi, ma anche inglesi, americani, tedeschi (curiosamente, non un italiano). Dei non francesi è presto detto: anche quando il regista si chiama Hathaway (The Bottom of the Bottle, 1955), Simenon resta uno spunto letterario, un soggetto da collocare magari in luoghi irriconoscibili (irriconoscibili nonostante gli stessi frequenti esotismi simenoniani) e secondo usanze narrative convenzionali. Sono i film francesi a meritare maggiore attenzione. Per Simenon passano i registi del realismo poetico (Duvivier, Carnè), i maestri o soltanto abili artigiani del noir (Clouzot e Melville; Decoin, Lacombe e Delannoy), i cineasti grand public (Verneuil, De La Patellière, Molinaro), qualche mestierante di poco conto ma anche signori registi (Chabrol), autori rigorosi (Tavernier), vecchi e nuovi outsider di non facile classificazione (Autant-Lara, Granier-Deferre, più di recente Patrice Leconte). Passano per Simenon sessant'anni di cinema francese, di stili, tendenze, modi di intendere e fare il cinema. È peraltro curioso che 'l'altro Simenon' tardi a giungere sugli schermi: i primi film non maigretiani arrivano con la guerra, dopo che la grande stagione del realismo s'era già conclusa da un pezzo. Forse perché l'individualista Simenon piaceva poco ai registi del Front Populaire, forse perché ci vuole una tragedia collettiva come la seconda guerra per accettare e comprendere il senso di decadimento, l'odore di morte, l'ineluttabile solitudine che molte pagine di quest'altro Simenon impongono al lettore, ben oltre la dimensione 'sociale' del pessimismo 'frontista'...>>>


Il Cinema Ritrovato - 2003 - Georges Simenon mon petit cinéma - Bergamo Film Meeting - Emanuela MartiniNonostante l'analitica precisione dei suoi ambienti e delle sue psicologie, la sovrabbondanza passionale e il susseguirsi incessante di eventi della sua narrazione, nonostante quella sua atmosfera minuziosa e avvolgente, fatta di abitudini, di passato e di riti di provincia, di occhi che osservano e di solitudini ricercate, Georges Simenon è stato trasposto in cinema molto meno di quanto la sua sterminata produzione letteraria potrebbe far supporre. Cinquantasette film tra il 1932 e il 1998 (parlo solo di cinema, non dei numerosi adattamenti televisivi internazionali), tratti da una trentina tra romanzi e racconti (compresi i Maigret), non sono tanti rispetto ai circa quattrocento che Simenon ha scritto. Certo, pare che una parte della sua produzione (soprattutto quella iniziale, scritta con pseudonimi diversi) sia abbastanza dozzinale; ma credo che una storia dozzinale di Simenon sia comunque molto più ricca, sottile e articolata di tanti sforzi di sceneggiatori e soggettisti cinematograficiCos'è allora che non avvicina quanto dovrebbe il cinema al complesso di un'opera che per il cinema pare nata? Certamente, non la paura della lesa maestà, visto che solo alcuni dei cinquantasette film in questione si preoccupano, non tanto del rispetto e della fedeltà al romanzo originario (che il film, opera autonoma, non è tenuto ad avere), ma semplicemente di arrivare a un analogo livello di profondità e suggestione. […] In sostanza, credo si possa affermare che pochi film da Simenon si elevano al di sopra di un'onesta produzione media (anche tralasciando i Maigret, che rappresentano un capitolo a parte). Per esempio, La nuit du carrefour di Renoir (che è un Maigret, ma è anche un Renoir)...>>>

mercoledì 28 aprile 2021

SIMENON SIMENON "REPORT" - LO SCIALLE DI MARIE DUDON


Il Foglio
- 21/04/2021 - Gaia Montanaro
- Per andare da quella gente, che non conosciamo e a cui non dobbiamo niente, il tuo scialle va più che bene… Non ho intenzione di lasciarti rovinare un cappotto e un paio di scarpe quasi nuove…”. Lo scialle di Marie Dudon è il simulacro della sua condizione sociale e insieme esistenziale. Madre di famiglia, con un bambino piccolo da accudire e un marito sempre sull’orlo della disoccupazione, la donna assiste per caso a un avvelenamento, osservando dalla finestra di fronte la giovane moglie del proprietario di parte dello stabile in cui vive che mette della polverina nel bicchiere dell’anziano marito, provocandone la morte poco dopo. Marie tenta di trarre vantaggio da questo fortuito segreto ma non ha la capacità di sfruttarlo, è e rimane sempre e solo il suo solito scialle. Il suo desiderio non è stato sufficiente per cambiare le cose. Lo stesso desiderio che muove in profondità la maggior parte dei personaggi di questi dieci racconti di Simenon...>>>

martedì 27 aprile 2021

SIMENON SIMENON "SOUVENIR" - RIFLESSIONI DI UN FUMATORE DI PIPA SIMENONIANO E MAIGRETTIANO

Il famoso scrittore, lo sconosciuto e il grande attore... tutti insieme ma con uno del tutto fuori contesto: i miracoli della pipa!

Non voglio dire che chi non fuma la pipa non possa apprezzare il commissario Maigret. Sarebbe come dire che chi non beve calvados o non mangia i sandwich della brasserie Dauphine non riesca a gustare appieno delle indagini del personaggio di Simenon. Però, certo che... anche perché Simenon, pure lui un fumatore accanito di pipa, ci presenta la figura di un fumatore di pipa estremamente realistico, sia per quello che gli fa dire, che per quello che gli fa fare, ma diremmo anche per quello che sottintende tra le righe.
Il "non detto" di un autore fumatore di pipa che descrive un personaggio fumatore di pipa è infatti costituito di cose sottaciute, esperienze che non c'è bisogno di rivelare, sensazioni che implicitamente legano lui e il suo personaggio, voglie e stati d'animo che solo chi fuma la pipa può capire...
Per esempio chi non fuma la pipa difficilmente sa che l'aroma che percepisce chi si trova vicino ad un fumatore di pipa è ben diverso da quello che si gusta fumando lo stesso tabacco. E l'odore di quel tabacco nella sua bustina è ancora tutt'altra cosa.
E questo, direte voi, cosa c'entra nella scrittura di Simenon? E' una di quelle sottili differenze... tre gradi di esperienza olfattiva che si riferiscono a momenti e situazioni diverse, che un non fumatore ignora.
Quante volte Simenon fa dire al commissario (oppure lo dice lui stesso) che la tal pipa quel giorno non era affatto buona... o che non c'era modo di fumarla come si deve... o che si spegneva continuamente... Questo certo dipende dalla pipa, se è stata pulita a dovere, se si è inumidita troppo... ma c'entra anche il tabacco, anche lui troppo umido (e allora non si accende mai bene), o troppo secco (e allora brucia il palato e la gola)... Tutto ciò fa parte delle abitudini di un fumatore di pipa di... lungo corso, proprio come Simenon e Maigret.
Accendere la pipa non è mai un gesto automatico e meccanico come per una sigaretta (a volte non ci si accorge che ce n'è una ancora accesa sul posacenere). Caricare una pipa, vuol dire averne prima scelto una e in questa scelta pesano diverse considerazioni, proprio quelle che fanno parte del non raccontato.
Sappiamo, ad esempio, che la predilezione di Maigret va alle pipe grosse e massicce, anche perché si addicono alla perfezione alle sue manone. Ma una pipa può essere grossa e non avere un fornello molto capiente. E se, per esempio, il commissario si appresta a condurre un interrogatorio che ritiene possa durare a lungo, magari sceglierà una pipa con un fornello particolarmente capace e presserà il tabacco più del solito, non solo in modo di averne di più da fumare, ma perché quando il tabacco è ben pressato brucia più lentamente (però non bisogna tirare troppo per non bruciarsi la lingua). Questo Simenon non lo dice mai, come altre cose, ma da come Maigret accende la pipa, dagli sbuffi che fa, da quante volte gli capita che si spenga e la deve riaccendere, un fumatore di pipa capisce molte cose.
Quello che invece Simenon racconta è il modo sbrigativo con cui spesso il commissario vuota una pipa: battendo il fornello sul tacco della scarpa. Simenon che era un fumatore meno ruvido e più raffinato del suo personaggio, non l'avrebbe mai fatto. E quando lo racconta, chi fuma percepisce una sorta di disapprovazione taciuta, ma anche di rassegnazione... il suo personaggio è fatto così e questo modo molto poco elegante di vuotare la pipa è perfettamente in linea con lo stile Maigret.
D'altronde Simenon non avrebbe mai fumato quel tabacco "gris", di cui il commissario fa un grande uso, un trinciato grosso, per niente aromatizzato, poco lavorato e molto grossier... Lui fumava pipe Dunhill o Peterson, allora le migliori pipe al mondo, e raffinate miscele di tabacchi inglesi (la Dunhill creò e gli offrì per anni una miscela chiamata "Maigret Cut's"). Ma anche lui ne aveva moltissime, centinaia, anche se poi (come succede a quasi tutti i fumatori di pipa) quelle che fumava erano sempre le stesse... e quando scriveva le teneva lì sulla sua scrivania, pronte da fumare, già cariche di tabacco... pipa e tabacco che non mancavano mai ed evidentemente erano sinergiche al suo d'ètat de roman in cui scriveva i suoi libri.
Maigret fuma la pipa anche a casa, dopo cena, qualche volta a letto prima di addormentarsi e raramente, anche la mattina appena sveglio, riaccendendo la pipa iniziata a fumare la sera prima, che lo ha aspettato tutta la notte lì sul comodino... Il commissario fuma persino quando sta male, cercando, invano, di non farsi scoprire da M.me Maigret, che spesso fa finta di mangiare la foglia...
Abbiamo detto degli interrogatori, ma la pipa è compagna di Maigret anche quando fa le nottate tra appostamenti, pedinamenti, attese nel suo ufficio di Quai des Orfévres, in qualche bistrot, o in qualche piccolo albergo di periferia... La pipa come una calda presenza che riscalda le mani, ma quello non è un calore solo fisico, si tratta anche di una compagnia che gli dà forza nei momenti difficili e contribuisce a farlo sentire meno solo, quando si trova lontano, in posti sconosciuti, in mezzo a gente estranea. E mentre gira e rigira intorno ad un caso che non riesce a capire, vuotare la pipa, accenderla, pressare il tabacco (e va bene, non è carino, ma Maigret evidentemente lo fa con il dito invece di usare l'apposito "curapipe"... dal momento che non ci pare che Simenon lo citi mai), dicevamo tutte le attività pre-fumata, sono un complesso di azioni che sono essenziali per chi è solo o per chi ha in testa qualcosa che gli sfugge. Concentrandosi su quelle azioni si mettono in moto una serie di meccanismi che da una parte richiedono concentrazione, ma dall'altra risultano dei funzionali catalizzatori per le idee giuste su cui instradare i ragionamenti per risolvere un caso o afferrare l'ispirazione. E questo Simenon non lo racconta mai.
Personalmente fumo la pipa grosso modo da quarant'anni e, nonostante abbia letto e riletto i Maigret (e non solo), ogni volta che mi immergo nelle vicende del commissario il primo istinto è quello di andare nello studio e prendere una pipa da fumare (ma, ad esempio, non mi è mai successo leggendo Sherlock Holmes), come se questo mi avvicinasse di più alle vicende di Maigret, come se mi ponesse in qualche modo dalla parte di chi, scrivendo quella storia, stava sicuramente fumando una pipa.Magari volete sapere se adesso mentre scrivo sto fumando? Ebbene sì... fumare la pipa a me aiuta a pensare mentre scrivo, ma anche a riflettere mentre leggo e a farmi venire delle idee mentre, magari seduto sulla sedia con i piedi sulla scrivania, mi arrovello per trovare un'idea per il post del giorno da pubblicare su Simenon-Simenon.