venerdì 21 gennaio 2011

MA PERCHE' SIMENON INIZIO' A SCRIVERE POLIZIESCHI?

Ne abbiamo parlato altre volte in post precedenti. Aldilà della sua programmazione, dall'apprendistato degli scritti alimentari, alla serialità di quelli semi-alimentari e all'approdo della letteratura romanzesca, ma perchè Simenon ha scelto proprio il romanzo poliziesco? Certo non poteva prevedere che sarebbe stato il genere che, in popolarità e in vendite gli avrebbe dato anche più dei romanzi. Una prima risposta possiamo trovarla esternamente, nel mercato.  Il pubblico francese era molto appassionato a quello che ancora non era chiamato polar, e per questo sia editori di alto livello come Gallimard, che quelli molto più popolari come Ferenczi, avevano le loro collane dedicate al genere.E' chiaro che, abituato com'era a confezionare racconti e romanzi su commissione, (nella sua fase alimentare aveva molte richieste di quel genere) e sviluppare il filone poliziesco era per certi versi conseguenziale Ma avrebbe anche potuto scrivere romanzi sentimentali, o d'avventura che pure avevano un loro mercato. Perchè scelse proprio il poliziesco?
A Roger Stephane durante un'intervista  del '63 Simenon spiegò tra l'altro "... In realtà il romanzo poliziesco è il più facile da scrivere dal punto di vista tecnico. Prima di tutto avete a disposizione un protagonista che tira tutte le fila, che può interrogare chiunque entrare dovunque ...In secondo luogo, avendo stabilito che c'è qualcosa da risolvere fin dal primo capitolo, se una parte è più debole, non è grave.  In un romanzo normale la gente può smettere di leggere; con un poliziesco continua lo stesso perché vuole conoscere la soluzione. Quindi io ho scritto dei romanzi polizieschi detti anche i Maigret".
A complemento spiegava a Bernard Pivot (1981) che " il romanzo poiziesco ha delle regole ; queste sono come delle rampe di scale, prima c'è un morto, poi uno o più inquirenti, quindi un assassino ed infine un mistero. dunque ,  non si deve far altro che seguire delle regole ben precise..."
Ma questo non era in realtà vero per i Maigret. Basta ricordare che proprio Fayard, il primo editore di Maigret, ne aveva a lungo rifiutato la pubblicazione proprio perchè non rispettavano i canoni comunemente utilizzati, cosa che a suo avviso li avrebbe resi invendibili. Ma lo stesso Simenon era consapevole di questa sua particolarità e questo suo non procedere nei binari stabiliti dal poliziesco classico. Lo afferma anche durante Le Romancier , una conferenza tenuta nel '45 all'Istituto Francese di New York. "...I miei romanzi polizieschi sono i più malfatti del mondo... e poi per me non sono che una tappa. In un quadro dove ci sono molti aspetti convenzionali, ho cercato di far vivere degli uomini".
Ma la storia, la sua storia, si prenderà cura di smentire questa definizione riduttiva. Infatti non è solo per le pressioni degli editori di turno o per la quantità di denaro che gli consentono di incassare che lui continuerà a scrivere le Inchieste di Maigret fino al 1972 (Maigret e Monsieur Charles), anche quando i romans durs gli avevano già dato fama e riconoscimenti a livello mondiale. Certo c'è anche dell'affezione nei confronti del personaggio che gli ha dato tanto, ma c'è anche un gusto per queste piccole storie dove la scrittura in parte scorre liscia sui binari predeterminati della serialità e dall'altra la creatività può lavorare su personaggi e atmosfere, senza lo stress che gli impongono i romans durs, ma con risultati, a nostro avviso, dello stesso livello e anzi riuscendo in poche pagine e con meno tratti a rendere storie ugualmente profonde e personaggi altrettanto compiuti e mai banali.

SIMENON. IL PRIMO ROMANZO, QUELLO DI UNA DATTILOGRAFA

Dicembre 1924. Per i tipi di Ferenczi viene pubblicato il primo romanzo di Georges Simenon. Titolo: Le Roman d'une dactylo. Lo pseudonimo utilizzato è Jean du Perry. Lunghezza duemila righe, insomma un romanzo breve o, se vogliamo, un racconto lungo. La storia è quella di due giovani innamorati, non poveri, ma certamente nemmeno ricchi. Lei appunto è una dattilografa, lui invece un impiegato di banca. Per regalare una fede alla sua amata, il nostro eroe, fa sparire del denaro dalla banca. Il propietario se ne accorge e lungi dal denunciarlo, pretende in cambio i favori della sua fidanzata. Come al solito anche all'epoca del giovane  Simenon i ricchi e potenti approfittavano a mani basse di qualsiasi situazione. E così la povera giovine deve sottostare ai desideri del banchiere, lasciando il fidanzato con una scusa fasulla per salvarlo dalla prigione. Va così a vivere con il banchiere che prima la coccola e la vizia, ma poi, quando le serve (per salvare la sua banca dal fallimento), perché deve ricattare un miliardario vecchio e libidinoso, non esita a ordinarle di concedersi a quel degenerato. Lei ancora una volta lo accontenta, ma il piano del banchiere fallisce e così decide di uccidere il miiardario. Ma nemmeno questo riesce, anzi è proprio lui a rimanere vittima e morire. La ragazza a questo punto è libera. Torna da suo "moroso" gli spiega come si sia sacrificata per evitargli la prigione. Lui la capisce, l'accoglie di nuovo e la loro storia d'amore può ricominciare. Happy end  da manuale, per un romanzo popolare di genere sentimentale. A detta di Simenon non gli portò via certo molto tempo, dal momento che lo scrisse, così almeno sostiene, in un lunga mattinata, sulla terrazza di un café, mentre aspettava la moglie che era andata al mercato a fare spese.Ed era il primo di una montagna di romanzi.

mercoledì 19 gennaio 2011

SIMENON. E I COLLEGHI APPLAUDONO

Da sinstra a destra, dall'alto al basso, Carl Gustav Jung, Henry Miller, William Faulkner, Somerset Maugham, Federico Fellini e Anais Nin

Vogliamo fare una incompleta e variegata panoranica delle personalità della cultura appassionate ai romanzi di Simenon ?Iniziamo come Anais Nin, la scrittrice statunitense nata in Francia, che, pur non avendolo mai incontrato, nel suo Diary non nasconde la sua ammirazione per l'opera del romanziere. Anche Thornton Wilder, che conosce Simenon in un incontro all'Università di Yale si dichiara suo grande estimatore definendolo "dispensatore di gioia". Aggiungiamo anche Henry Miller che poi diverrà amico di Simenon si spertica in elogi arrivando a scrivergli: "Caro Simenon, La prego di voler fare aggiungere il mio nome alla ormai lunga lista dei Suoi fedeli ammiratori in tutto il mondo". Abbiamo già accennato a Charlie Chaplin che oltre che a suo amico divenne anche vicino di casa nel periodo svizzero. Anche Somerset Maugham, scrittore e drammaturgo britannico si vantava di essere un appassionato lettore di Simenon. E ancora anche il Nobel T.S Eliot, poeta e drammaturgo americano poi naturalizato inglese. Di Federico Fellini, del loro rapporto e del loro fitto epistolario già abbiamo detto. E poi, ricordiamolo ancora una volta, la passione del suo nume tutelare André Gide. E ancora nel cinema il regista Jean Renoir, figlio del grandissimo pittore,  che oltre ad essere stato il primo a portare sullo schermo un romanzo di Simenon (La nuit du Carrefour - Maigret - 1932)  avrebbe voluto trarre un film da un romanzo che l'aveva entusiasmato La neige était sale (1948). Anche William Faulkner, il drammaturgo americano era un suo "fan" e dichiarava "Leggo Simenon perché mi ricorda Cechov". Anche Brendam Gill, critico e saggista del New Yorker, subiva il fascino di Simenon, scrivendo " L'espressione che definisce Simenon nel modo migliore è la sua triste allegria". La Simenon-mania contagiò anche scienziati come Gustav Jung, che pure non riuscì mai ad incontrare Simenon, e che aveva in biblioteca moltissimi titoli del romanziere

SIMENON E L'ACQUA DEI CANALI

Una soffice nebbia all'imbrunire o e all'alba, lo sciabordio sommesso dello scafo nell'acqua, quelle terre verdi che scorrono lentamente ai lati e in lontananza le guglie delle chiese di piccoli paesi nell'entroterra. Questo è quello che vedeva Simenon nei suoi viaggi sui canali di Francia. E' una sua passione, sprattutto alla fine degli anni venti. E infatti  ai primi del '28 acquista una barca di cinque metri, con un piccolo motore ausiliario da 3 cavalli. Questa sarà battezzata Ginette e gi servirà per le sue scorribande che dureranno circa sei mesi attraverso canali e fiumi del sud della Francia. L'equipaggio è costituito oltre che dal "comandante", da Tigy, dall'inseparabile femme de chambre Boule, e da Olaf, il loro cane. Viaggiano di pomeriggio, ormegginao al tramonto. Lui e la moglie dormono in una cabina arrangiata sulla barca, mentre Boule con il cane in una tenda che, di volta in volta, viene montata sulla riva. La mattina Georges lavora.  Si sveglia presto (o meglio, lo sveglia la Boule) e alle cinque del mattino generalmente è pronto davanti alla sua macchina da scrivere. Una tazza di caffé su una cassa, la macchina da scrivere pure e anche lui e seduto su una  cassa, il tutto in barca sotto un telone. Verso mezzogiorno circa mollano gli ormeggi e ricomincia la navigazione. Incontrano chiatte che trasportavano di tutto.L'anno dopo, grazie anche al fatto che Simenon guadagnava di più si permette un 'imbarcazione più confortevole. Si tratta di uno scafo a vela di dieci metri, adatto anche per il mare. Una volta finita la fa "battezzare" in pompa magna a Parigi, al Pont-Neuf. Il nome questa volta è meno lezioso, anzi... Ostogoth. E per due anni sarà la barca che li porteràa più riprese in tutta la Francia, ma anche fuori. La vita a bordo è tutt'altra cosa. La barca è riscaldata, Boule ha una cucina in una cabina dove Simenon scrive. E i viaggi iniziano d'inverno e li portano questa volta verso nord, fino al Belgio, poi Amsterdam e poi su fin al Mar del Nord. Uno scalo, per così dire tecnico li fa fermare qualche tempo a Delfzijl nei Paesi Bassi. Una sosta importante, almeno secondo la versione di Simenon. Una volta rimessa in sesto la barca, ripartono ancora una volta.
La sosta a Delfzijl è significativa perché, come narra lo scrittore, sarebbe proprio qui tra una pipata e qualche bicchierino di ginepro, in una mattina passata in un bar, che qualcosa gli dà la sensazione di aver concluso quella fase di apprendistato e proprio lì prende forma la figura del commissario Maigret.

lunedì 17 gennaio 2011

SIMENON. IL TRIONFALE RITORNO IN EUROPA

Trionfale. E' il termine appropriato. Quando nel febbraio del '54 annucia alla moglie Denyse che arebbero lasciato l'America, lei gli chiede se sarà un viaggio lungo e lui le risponde "Per sempre". La decisone é presa e il mese dopo sono imbarcati sul transatlatico Ile de France. Si ripete un po' quello che era successo un paio di anni prima. Anche allora sbarcarono in Francia a Le Havre. Sulla banchina del porto decine di giornalisti e fotografi lo attendevano. Appena lo vedono si accalcano ai piedi della passerella. Simenon è costretto ad improvvisare una specie di conferenza stampa nel salone del porto per rispondere alle domande dei cronisti. Dietro una piccola folla che scandisce ripetutamente il suo nome "Si-me-non, Si-me-non, Si-me-non... Poi tra i flash, i giornalisti che vogliono fare ancora domande e la folla che li costringe a farsi largo a fatica, riescono a prendere il treno per Parigi.  E non è finita. Alla stazione di Saint-Lazare altra gente, tra cui Sven Nielsen, il suo editore e alcuni di quelli precedenti come Gallimard e Fayard. All'Hotel Claridge, quello che  dà su gli Champs Elysées, dove sono scesi, il suo editore gli ha preparato un un incontro a sorpresa  con un centinaio di persone della parigi della cultura e dello spettacolo: da Marcel Pagnol a Fernandel, da Jean Cocteau a Pierre Lazareff,  da Jean Gabin ad Achard. E poi c'è anche la radio che trasmette dal Claridge interviste e commenti. E tra interviste radiofoniche, cene e ricevimenti organizzati per Simenon passano i primi due giorni, con una Denyse che manifesta delle crisi di inferiorità nei confronti del marito che tutti cercano e tutti vogliono e della sua popolarità che lì, nella vecchia Europa, é molto più tangibile che in America.
Nel '54 arriva la decisone definitiva. Con l'America Simenon ha chiuso. Ormai é consapevole che il suo il ritorno "in patria" sarà molto ben accetto. Sa che il mondo della cultura francese si sente come se un pezzo prezioso mancasse alla propria collezione, da molto, troppo tempo. Anche perchè nei dieci anni americani la fama e l'autorevolezza di Simenon è cresciuta non poco.  Ma questa volta anche se si tratterà di un rientro vero, si svolgerà quasi in incognito, senza comunicati ufficiai alla stampa. Sbarca sempre a Le Havre con al seguito una Dodge station wagon, dove carica famiglia e 17 bauli di bagaglio, ma stavolta senza clamori o mondanità raggiunge Parigi.
Ma perché Simenon lascia gli Stati Uniti? Secondo Pierre Assouline è per fuggire da una situazione che ormai vedeva il rapporto con la seconda moglie deteriorarsi, ed un uomo come lui, cui piaceva essere vincente, è diponibile a qualsiasi mossa pur di nascondere i propri fallimenti. Così, a sé e agli altri, questo clamoroso rientro in Francia, improvviso e inaspettato provocava un forte elemento di distrazione dai problemi della coppia.
Simenon invece racconta che ad un certo punto, come gli era capitato altre volte nella vita, si era sentito estraneo a quell'ambiente che l'aveva accolto per dieci anni. Via. La decisione, forse covata nella sua mente, forse nel suo subconscio da tempo, viene allo scoperto così all'improvviso e altrettanto improvvisa è la decisione. Ma quando cerca di darsi una risposta, in Mémoires intimes, Simenon scrive  "Perchè partire?",  "Non lo so", "Per dove?",  "Lo ignoro". "Credo che il mio destino sia di andare sempre in cerca di qualcosa. Ma di che cosa?".

SIMENON E CHAPLIN: DUE GRANDI AMICI

 

 
 


Nell'ambito del cinema internazionale non fu solamente Fellini un grande amico di Simenon. Ci fu anche un'altro genio del grande schermo: Charlie Chaplin. I due si erano conosciuti in America nel '48 ad un ricevimento offerto dal console francese al Romnoff, uno dei ritrovi più esclusivi della città del cinema. Lui e Denyse fecero amicizia con Charlie e Oona Chaplin. Dieci anni dopo si ritrovereranno vicini di casa ad Echandens, in Svizzera. La loro amicizia Simenon la definisce "stretta" e in effetti tra loro non c'è solo una notevole identità di vedute, ma anche uno stesso modo di sentire. Lega Charlie a Georges anche una certa propensione all'esuberanza sessuale. Un'altra fortuna che i due dividevano, questo secondo Chaplin, era il fatto che l'ondata di disturbi psichici e psichiatrici che facevano la loro comparsa in quell'epoca, loro due invece di ricorre a specialisti o analisti, potevano superarli l'uno mettendosi dietro la macchina da presa e l'altro alla macchina per scrivere. Giravano un film o scirivevano un romanzo e riuscivano a sublimare i loro problemi e per di più alla fine venivano anche pagati!Anche il fatto di ritrovarsi nonni insieme, con figli già grandi e i nipoti che gli saltavano in braccio faceva accettare meglio a entrambe il fatto di invecchiare. E poi come Simenon aveva smesso di scrivere, anche Chaplin non girava più film anche, se notava Simenon,  mentre l'attore-regista a sera ogni tanto insieme alla moglie rivedevano insieme i vecchi film, lui non è mai stato in grado di rileggere i suoi vecchi romanzi. "Può darsi che lui sia soddisfatto delle sue opere, mentre io non lo sono dele mie - spiega Simenon in uno dei suoi Dictées,  Des races de pas (1974) -  Io sarei voluto andare molto più in profondità nella mia conoscenza dell'uomo. Lui invece l'ha percepita d'istinto e fin dai suoi inizi ha potuto dare tutto subito".
Ma il feeling non è solo con Charlie, anche con la moglie Simenon ha un ottima intesa. Al punto da dichiarare "Teresa (Sburelin, la sua ultima compagna) è quello che per Oona è per Charlie. Oona è una delle rare donne che avrei voluto sposare, se l'avessi incontrata prima.