giovedì 9 agosto 2018

SIMENON SIMENON. LIKE LIVING IN A CAN OF SARDINES

On the kitchen of a boarding house, a well-built microcosm in “The Lodger” 

SIMENON SIMENON. COMME VIVRE DANS UNE BOITE DE SARDINES 
A propos de la cuisine d’une pension, un microcosme bien construit dans Le Locataire
SIMENON SIMENON. COME VIVERE IN UNA SCATOLA DI SARDINE
A proposito della cucina di una pensione, un microcosmo ben costruito ne "Il Pensionante" 


In his deft portrait of boarding house living in The Lodger, Simenon highlights in particular the way “the boarders live in the kitchen!” where “so much life [is] concentrated in a small space.” Beyond the revelatory kitchen intimacy, where the inhabitants are so crammed together “their elbows touch each other,” the quarters elsewhere are so close that eavesdropping by the inhabitants extends widely.
Notably, Georges’ home was a boarding house also, and its boarders influenced him greatlyBesides agreeing ”the lodgers did not live in their bedrooms, rather more willingly in the kitchen, the heart and soul of the house,” biographer Pierre Assouline emphasizes how “their presence diminished” and “humiliated” the adolescent boy’s father, fanning hostility toward his mother. Yet, he did not totally detest the lodgers. “Their conversations excited him, so “he spent a lot of time observing them. 
The novel’s protagonist is a fugitive from justice who “spends his life in the kitchen and “savors almost complete well-being” there even though it is no bed of roses. At first, Elie “thinks he would be surrounded with respect” and “that pleases him,” but the other lodgers dislike and mostly ignore him. Still, even “if one succeeds in driving him out of the kitchen one moment, he comes back under a new pretext.” It turns out that, among the male inhabitants, “Monsieur Baron is just about the only one to respond” to him even though Elie “has never been so chatty or as lively.” On the other hand, the two women in the house, Madame Baron and her young daughter Antoinette, are more interactive. As clues, news, and facts related to Elie’s crimes crop up, Antoinette is the first in the house to make the connection and her mother is the second one, much more belatedly and always reluctant, to understand. 
While sitting in the kitchen with the police net tightening around him, the wanted man surprisingly starts to talk about his crimes and, later on, blatantly lays the latest newspaper article about them on the kitchen table for all to see. As the inhabitants become increasingly uncomfortable, their reactions vary. Some leave the kitchen, some tell him to get out of the house, and one menaces him, but strangely enough, nobody chooses to tip off the police. Eventually, they all withdraw, and “everybody atypically stays in their bedrooms.” On the other hand, as the police close in, nobody makes a move to warn Elie as if now they do want him to be arrested.  
Here is where Simenon brings Sylvie, Elie’s oddly indifferent girl friend, herself guilty of aiding and abetting the murderer and robber, back into the story. She arrives to tell him the cops are outside. More upset by the possibility she “denounced him for a reward” than by the reality that “they are coming,” he threatens her with “I’ll do whatever pleases me… And God knows what will please me.” She promptly heads for the kitchen—“the general place of refuge”—to join all the inhabitants. Elie follows and, with “a terrifying calmness” and “a sarcastic laugh,” he asks, “Are you satisfied?” No wonder “the kitchen had never felt so small.” Footsteps sound on the sidewalk. The doorbell rings. The culprit flees the kitchen and runs up stairs. They bring him in handcuffs back downto the kitchen…. 

David P Simmons 

mercoledì 8 agosto 2018

SIMENON SIMENON. LE FINESTRE E LE VITE DEGLI ALTRI

Riflessioni su un topos nella opera simenoniana, e in particolare a proposito di "La morte di Belle" 

SIMENON SIMENON. LES FENETRES ET LA VIE DES AUTRES 
Réflexions sur un topos dans l'œuvre simenonienne, et en particulier dans "La mort de Belle" 
SIMENON SIMENON. WINDOWS AND THE LIVES OF OTHERS  
Some thoughts about a topos in Simenon's works, and especially in "La mort de Belle" 


Le finestre sono il mezzo attraverso cui vivere le vite degli altri, ma "le vite degli altri può autenticamente viverle solo chi è in grado di vivere pienamente la propria, altrimenti siamo costretti a spiarle, senza poter giungere a comprenderle". A questa conclusione, tanto provvisoria quanto non particolarmente originale, approdava il percorso di lettura con cui avevo tentato di spiegare innanzitutto a me stesso la costante presenza di tale tema, vero e proprio topos, nell'opera di Simenon, giungendo ad ipotizzare che potesse trattarsi della metafora stessa dell'attività del romanziere, di colui che per vocazione, e per professione, le vite degli altri le vive fino in fondo, sostituendole, almeno temporaneamente, alla propria. L'unico, Maigret a parte, in grado di comprenderle appieno. 
Ma c'è anche un altro punto di vista, oltre a quello di chi le vite le spia, quello di colui che viene spiato, di chi, un certo giorno, intento alle proprie banali occupazioni quotidiane, nella tranquillità della propria casa, si rende conto che qualcuno, da fuori, lo sta osservando, o che comunque qualcuno potrebbe osservarlo, ed ai suoi occhi quelle banali occupazioni quotidiane, quelle espressioni del viso, quelle smorfie inconsapevoli, potrebbero assumere un altro senso, perdere la propria innocenza e divenire la fonte, o la conferma, di un sospetto. Essere interpretate come il sintomo di una vita diversa, nascosta, inquietante. Di una devianza. 
Con questa riflessione, con questo ribaltamento di prospettiva, si apre "La morte di Belle", ed è un ribaltamento gravido di conseguenze. Perché le finestre possono divenire il luogo in cui non un altro qualunque, ma la Comunità rivendica i propri diritti sulla vita dei singoli, il diritto di autotutelarsi dalla devianza appunto, da quella di un assassino, ad esempio, che le regole di quella Comunità sfida e infrange apertamente, e che per questo deve essere scoperto e punito, non solo, e non tanto, per il suo crimine, ma perché rappresenta in sé un fattore di sovversione che mette a repentaglio la sopravvivenza stessa della Comunità, le norme, tacite e ferree, implacabili, di fiducia reciproca e solidarietà che ne costituiscono il fondamento più saldo e più sacro. Tema di bruciante attualità, a ben vedere, nel conflitto fra tutela della privacy e diritto alla sicurezza pubblica. 
Ma non è necessario giungere a tanto, all'omicidio. Per insinuare il sospetto può essere sufficiente possedere una stanza tutta per sé, sottratta alla vista altruiove dedicarsi alle proprie private innocenti evasioni. Ma perchè allora, se realmente sono innocenti, questo bisogno di tenerle segrete, di nascondersi? 
D'improvviso ci si rende conto che ciò può bastare per autoescludersi, e comunque per non sentirsi più partecipi della vita degli altri, di quella vita che si svolge in quelle case tutte egualmente dipinte di bianco, così come bianchissime saranno le case di uno splendido racconto di Alice Munro, nella raccolta "Danza delle ombre felici", anch'esso dedicato alla ferocia delle regole della Comunità, ferocia pur sempre ispirata dalle migliori intenzioni. 
Ci si rende conto di avere cessato di "essere uno di loro", e che questa è la vera colpa. Ci si rende conto di non appartenere più a quel mondo di "pace e nitore", di non esservi mai appartenuti in realtà fino in fondo, a causa di certe remore, o vizi, o tare, di detestarlo in realtà, quel mondo, e di provare una segreta, colpevole, attrazione per certe strade e quartieri, per certi bar ove anche un semplice juke-box può assumere un che di peccaminoso. Di provare addirittura invidia per i reietti, per i pezzenti e barboni, per quell'uomo solo, in fuga, arrampicato su un tetto, braccato dalla polizia e dalla ferocia della folla (un altro dei temi ricorrenti in Simenon, un'altra delle sue ossessioni profonde: "Il fidanzamento del signor Hire", "La casa dei Krull", "Pioggia nera"). 
Ci si rende conto che il finale è già stato scritto, e non potrà essere il coronamento del sogno d'amore vagheggiato spiando le finestre di fronte: anche queste non mancano ne "La morte di Belle", quale simbolo illusorio di una complicità che necessita unicamente di gesti e di sguardi, che rende superflue le parole. Ci si rende conto che l'unica possibilità che ci è data è quella di affrettare il compiersi del destino. 
Forse in Simenon comincia ad affacciarsi qualche dubbio riguardo quella società americana in cui si è gettato con tanto entusiasmo, il sospetto che dietro l'immediata, plateale cordialità, le tante pacche sulle spalle e i troppi inviti a bere qualcosa, che dietro tanto ostentato perbenismo e stima reciproca si celi una ferocia non diversa da quella conosciuta nella vecchia Europa, in Africa, nelle isole solo apparentemente felici dei Mari del Sud. 

Luca Bavassano

martedì 7 agosto 2018

SIMENON SIMENON. LES ETAPES D'UNE CREATION /1

Les relations entre le romancier et son personnage; première partie: des débuts jusqu'aux années de guerre 

SIMENON SIMENONI PASSI DI UNA CREAZIONE /1 
Le relazioni tra il romanziere e il suo personaggio; prima parte. dagli inizi agli anni di guerra 
SIMENON SIMENONSTEPS IN A CREATION /1 
The relationship between the novelist and his character; first part: from the beginnings to the war years


D'aucuns l'ont déjà fait remarquer: Simenon était un jeune homme de moins de trente ans, dans toute la fougue de sa jeunesse, lorsqu'il a créé Maigret, un homme pondéré, dont la force tranquille est un reflet de son vécu; en effet, lorsqu'il vient littérairement au monde, le commissaire est âgé de 45 ans, et il a déjà derrière lui une certaine expérience de la vie, entre autres parce qu'il a beaucoup appris par son métier, qui l'a mis au contact de l'humanité jour après jour, année après année. C'est en quelque sorte le miracle et le mystère de la création fictionnelle qui permet à un romancier d'inventer un personnage crédible, quoiqu'à cent lieues de la personnalité de l'auteur lui-même. 
Comme nous l'avons déjà évoqué à plusieurs reprises sur ce blog, cette différence d'âge entre créateur et créature allant par définition en s'amenuisant, il en résulte que les rapports entre eux deux connaissent une évolution. Simenon lui-même en était conscient, et il a évoqué ce fait dans plusieurs interviews. 
Pour illustrer cette évolution, nous avons déjà suivi plusieurs pistes; ainsi récemment, nous avons parlé des modifications dans les descriptions que le romancier donne sur son personnage. Aujourd'hui, nous vous proposons une autre manière de dépister cette évolution, en posant des jalons de dix ans en dix ans dans la chronologie rédactionnelle de la saga maigretienne. 
1930. Simenon, 27 ans, vient de parcourir le nord de l'Europe sur son bateau, et il pressent en lui la fin d'une époque dans sa création littéraire. Il veut sortir de l'impasse où il risque de s'enliser s'il persiste dans l'écriture de romans populaires, et il a besoin de franchir une nouvelle étape, dans la direction de ce qu'il veut faire. Il s'est essayé au roman policier, mais les personnages qu'il a mis en scène jusque-là sont encore trop schématiques, ou trop proches des modèles existants (voir Yves Jarry, inspiré d'Arsène Lupin). Dans une sorte d'intuition, il crée un nouveau personnage, à l'opposé de tout ce qui s'est fait jusque-là, et, pour bien le démarquer, il lui donne un âge de 45 ans, et une déjà longue expérience dans la police. Un fonctionnaire qui pourrait apparaître banal, mais dont les méthodes sont pour le moins inédites. En été 1930, à Morsang, il rédige Monsieur Gallet, décédé et Le charretier de la Providence, et fait travailler son commissaire à sa manière: intérêt pour la victime du meurtre, immersion sur les lieux du crime, approche inédite de tous les protagonistes. Génie créateur de la part de Simenon, qui réussit à rendre véridique ce personnage qui a vingt ans de plus que lui-même… 
1940. Simenon, 37 ans, vient de connaître pour la première fois les joies de la paternité, et celle-ci influence les thèmes de son œuvre. Depuis quelques années, il s'est fait une nouvelle renommée en publiant chez Gallimard, et Maigret est, sinon tombé aux oubliettes, du moins un peu délaissé… Mais dans le contexte difficile du début de la guerre, ce commissaire apparaît peut-être comme une figure rassurante, et pourquoi ne pas le remettre en activité, en rédigeant de nouvelles enquêtes. Dix ans après les premiers romans de la saga, la relation a changé entre le romancier et son personnage, et cela se ressent dans la nouvelle façon qu'a Simenon de mettre Maigret en scène. Une sorte de distance amusée, en même temps qu'une forme de tendresse, qui nous présentent avec un certain humour le commissaire. Certes, c'est toujours le même Maigret et les mêmes méthodes, mais, comme l'écrit Michel Carly, Simenon "a mûri, sa créativité aussi, Maigret également", et cela donne un nouveau statut au commissaire, une nouvelle profondeur. En décembre 1940, Simenon rédige Cécile est morte, ce qui nous vaut cette nouvelle approche du personnage, dont on découvre dans le détail une des "techniques", lors de la fameuse scène au cinéma. Les six romans Maigret parus chez Gallimard constituent une étape transitoire mais nécessaire dans l'évolution des rapports entre le créateur et son héros. 

Murielle Wenger