venerdì 21 dicembre 2018

SIMENON SIMENON. GIUDAICO O COLLABORAZIONISTA?

Accuse opposte furono lanciate contro lo scrittore da nazisti e anti-nazisti.

SIMENON SIMENON. JUIF OU COLLABO ?
Des accusations contraires furent lancées contre l'écrivain, par des nazis et des anti-nazis
SIMENON SIMENON. JEWISH OR COLLABORATIONIST?
Contrary accusations were launched against the writer by Nazis and anti-Nazis




L'accusa di essere stato un collaborazionista dei nazisti, che nella seconda guerra mondiale occuparono parte della Francia, è un fatto abbastanza noto, che qualche volta ha costituito un ombra anche persistente nella vita di Georges Simenon. Altrettanto noti, anche perché furono di nuovo tirati fuori in questa occasione, gli scritti giovanili di Simenon su La Gazzette de Liège, nella sua rubrica "Hors de poulailler" dove si firmava Monsieur Lecoq. Alcuni di quei testi si occupavano del cosiddetto "pericolo giudeo". 
E' chiaro che non si ottiene un bel totale sommando questi trascorsi alla collaborazione con una casa di produzione cinematografica (cui vendeva i diritti dei suoi romanzi per la realizzazione dei film, durante l'occupazione), la "Continental" che, facciata a parte, faceva capo nientemeno che a Goebbels, il ministro della propaganda nazista. 
E uno più un fa due: Simenon diventa sbrigativamente un oscuro conservatore e fiancheggiatore dei nazisti antisemiti che avevano occupato la Francia.  
Ma cerchiamo di andare un po' più a fondo su queste storie. Intanto gli scritti (una quindicina di rubriche su un totale di ottocento) su La Gazette de Liège sono indiscutibilmente antisemiti, ma non bisogna dimenticare, l'età dell'estensore allora appena diciottenne. Corre voce che allora Sim (così si firmava negli altri articoli) si vantava di essere anti-comunista, anti-socialista, anti-massonico, etc...  Era sicuramente anche un modo per "essere contro", per distinguersi, come lo può essere l'animo ribelle di un diciottenne. E poi non bisogna scordare che scriveva per un quotidiano ultra-conservatore, ultra-cattolico, legato a doppio filo all'influenza del vescovato... Insomma senza nulla togliere alla gravità di quegli scritti, un giudizio va dato valutando l' hic et nunc, cioè il momento e la situazione in cui furono scritti.
Non riteniamo che arrivato a circa quarant'anni Simenon avrebbe espresso giudizi simili. Tanto è vero che proprio all'inizio dell'offensiva tedesca, quando nel'40 fu invaso il Belgio, la Francia si mise in azione. Il ministero degli esteri decise che La Charente, dove in quel momento abitava Simenon, dovesse essere il territorio che avrebbe accolto i rifugiati belgi. E a tal proposito, ci fu una segnalazione dell'ambasciatore del Belgio in Francia, in cui lo scrittore venne nominato Alto Commissario per i rifugiati belgi.
Simenon prese molto sul serio questo compito nei confronti dei suoi compatrioti che fuggivano dalle barbarie naziste. E siamo portati a credere che in quella folla, si parla di cinquantamila persone, gli ebrei in fuga non fossero pochi. E nessuno mai accusò Simenon di fare discriminazioni, anzi... ci furono testimonianze come si prodigasse per tutti e in tutti i modi e, quando non riusciva a trovare sistemazioni decorose, arrivava ad accogliere i rifugiati in casa sua a Nieul, come testimoniava anche la sua storica femme de chambre, Boule. Finché i tedeschi gli requisirono la casa e la sua attività dovette interrompersi.
Meno conosciuto è invece il fatto che nel '42 le autorità filo-naziste francesi, fecero un censimento degli ebrei presenti nella zona e Simenon incappò in questa operazione a causa del suo cognome Simenon, il quale, a detta degli accusatori, derivava da Simon un nome manifestamente ebreo.
L'onere di non essere il discendente di una famiglia ebrea era tutto a carico di Simenon. 
Per avere un'idea più chiara della situazione può essere utile rileggere un'interrogatorio riportato dallo stesso romanziere in Mémoire intimes

Voi siete ebreo, vero?
- Siamo cristiani di padre in figlio e da molte generazione appare il termine "cristiano" tra i nostri nomi.
-  Simenon viene da Simon?
- Ah!
E Simon è un nome ebreo.
- Io vi assicuro...
Non so che farmene delle vostre assicurazioni. Mi servono delle prove.
- Posso farvi vedere che non sono stato circonciso.
Certi ebrei ormai non la praticano più... Piuttosto fate del mercato nero?
- Non ho mai venduto altro che i miei diritti d'autore...
Del prosciutto, del burro...
- Ne ho comprato solo per il nostro consumo, ma non ne ho mai venduto.

Voi siete ebreo!... io non mi sbaglio mai... Io sento un ebreo a dieci passi... Vi concedo un mese per i certificati di nascita dei vostri genitori, dei vostri nonni e dei vostri antenati... Ho detto un mese. E non cercate di fuggire. Vi teniamo sotto controllo..." 
Questa era la situazione. 
Lo scrittore si attivò febbrilmente per dimostrare la sua ascendenza. Ma i primi risultati furono sconfortanti, il suo cognome paterno derivava in effetti da quello ebraico di Shim'on. La madre e il fratello non riuscirono all'anagrafe di Liegi a trovare documenti che lo potessero aiutare, nemmeno quelli da parte della famiglia materna, i Brulls, sia per gli scompigli portati dall'invasione nazista agli uffici anagrafici, sia per una serie di difficoltà burocratiche.
Come ne verrà fuori Simenon? Per assurdo saranno proprio i nazisti a salvarlo dalle accuse che gli erano state mosse. Già, perché nel frattempo il romanziere era entrato in affari con la Continental, cui aveva venduto qualche diritto dei suoi romanzi e, oltre al denaro, aveva guadagnato anche una sorta di lasciapassare che gli consentiva  a suo piacimento di entrare e uscire dalla Francia Occupata a quella Libera e viceversa. E questo, agli occhi delle autorità francesi filo-naziste, costituiva un informale attestato che sconsigliava di procedere con le indagini sulle origini dello scrittore. Insomma le accuse si sgonfiarono e Simenon fu lasciato in pace. 
E poi iniziarono, a fine guerra, le accuse di collaborazionismo da parte del Fronte di Liberazione Francese che portarono infine la fuga negli Stati Uniti con tutta la famiglia. E lì rimase per dieci anni
Come si vede, le situazioni non sono mai così semplici come spesso vengono superficialmente rappresentate, gli individui stessi, e Simenon non fa eccezione, hanno le loro contraddizioni e alcune vicende hanno colore e valore diverso con il modificarsi del contesto e con il passare del tempo.  E il sospetto collaborazionista, accusato di essere di famiglia ebrea di nome Georges Simenon, ne è la prova evidente. (m.t.)

giovedì 20 dicembre 2018

SIMENON SIMENON. WHO IS MAIGRET'S CONFIDANT?

Sherlock Holmes and WatsonHercule Poirot and Hastings. And for Maigret? 

SIMENON SIMENON. CHI È IL CONFIDENTE DI MAIGRET? 
Sherlock Holmes e WatsonHercule Poirot e Hastings. E per Maigret? 
SIMENON SIMENON. QUI EST LE CONFIDENT DE MAIGRET ? 
Sherlock Holmes et Watson; Hercule Poirot et Hastings. Et pour Maigret ?


Does Maigret have a confidant? To answer this question, you have to examine what is the role that Watson and Hastings are playing for Holmes and Poirot. In fact, these stooges of the hero have several roles: first a role of confidant, who allows the hero to think out loud, for example to make a brilliant demonstration of his power of deduction, which is in contrast with the confidant, who is often shown as lost on the wrong trackThen the confidant is also a friend, a close relationship the hero maintains, because he is, as in the case of Holmes and Poirot, a single who has no narrow family unit in which he can flourish. And finally the confidant is also the one who tells the investigations led by his detective friend, a kind of bard for the hero. So, is there also a confidant, a friend, a bard for Maigret? 
In fact we can say that Maigret was luckier than his predecessors, because Simenon endowed him with a larger relational range. The different roles that Watson and Hastings assume are distributed among several characters in the Maigret novels.  
Does Maigret explain his intellectual approach and his reasoning? In fact we know that he is reluctant to explicit his "method" and his way to lead an investigation. Yet it doesn't prevent him from expressing his feelings, to talk about his difficulties in an investigation, and so he also needs a confidant, who can be one of his collaborators, or Dr Pardon, and above all Mme Maigret. Maigret's confidants are close relationship for him: a "doctor friend" such as Dr Pardon, with whom he can talk about medical topics; his closest collaborators who are almost his "children"; and first of all his wife, because Maigret, unlike his predecessors, is married; Holmes and Poirot stay to themselvesbecause their singularity and exceptionality can not be shared, whereas Maigret lives in the everyday and the ordinary 
Does Maigret have his bard? Of course, he has one: it's Simenon himself who assumes this role. Whereas Agatha Christie often ironically describes Hercule Poirot, with a certain distance, we can note an evolution in Simenon's relationship with his hero. The author created a character he wanted to be at the same time commonplace and outstanding. In the beginning Maigret was a massive, enormous man in his forties, such as seen by a young novelist under thirty, who sometimes looked at his character with an amused eye. Then time passed and Simenon got more and more close to his hero, endowed him with his own tastes and ways to look at life. Thus he really was the bard of his character, and he didn't need to invent a Watson for Maigret, since he was responsible for telling his hero's exploits for more than 40 years... 
And finally does Maigret have his admirer, someone who never tires of discovering and being surprised at the exceptional personality of this character? Well, the answer is yes: this admirer is in fact the reader. And what if everyone among us were Maigret's Watson or Hastings? And what if, after all, Maigret's best friend were the reader?... 

by Simenon-Simenon

mercoledì 19 dicembre 2018

SIMENON SIMENON. ROMANZIERE O GIALLISTA?

Alcune considerazioni su come la critica considerava lo scrittore nei decenni passati
SIMENON SIMENONROMANCIER OU AUTEUR DE POLARS? 
Quelques considérations sur comment l’écrivain était consideré par la critique de son époque 
SIMENON SIMENON. NOVELIST OR MYSTERY WRITER? 
Some thoughts on the way critics considered the writer in past decades



Nell‘epoca contemporanea a quella in cui esercitava il suo mestiere di romanziere (come amava definirsi lui stesso) Simenon è stato considerato per lungo tempo un giallista. Sappiamo che questa definizione è molto riduttiva per le capacità poliedriche dimostrate dallo scrittore nel corso della sua carriera. Quando, agli inizi degli anni trenta, iniziò a firmarsi col suo vero nome il grande pubblico lo conobbe come l’autore della serie Maigret edita da Fayard nella serie divenuta celebre per aver lanciato le copertine fotografiche. Ciò ha influito parecchio sulla considerazione che egli ebbe nei decenni a venire; probabilmente se alcuni capolavori come La neige était sale, Les Anneaux de Bicêtre e Le Testament Donadieu fossero stati scritti prima o se la sua firma fosse stata lanciata con una serie di “romans-romans” sarebbe stato considerato sin da subito come uno dei più grandi scrittori su scala mondiale. Anche in Italia, complice la fortunata serie televisiva con Gino Cervi che fece conoscere il commissario alla maggioranza della popolazione, anche quella che non leggeva, a lungo l’autore belga è stato conosciuto da molti solo come giallista.
Va detto che Simenon non rispettò mai i canoni del giallo classico e neppure si può banalmente classificare il suo Maigret secondo la definizione che lo scrittore Thomas Narcejac diede all’epoca (“per scrivere un poliziesco basta un intrigo, per un romanzo serve creare dei personaggi”); certo è che, nell’epoca successiva al Monsieur Lecoq di Gaboriau e al’ispettore Juve creato da Souvestre e Allain per contrastare Fantomas , il commissario fu il più grande personaggio letterario protagonista di polizieschi in lingua francese. L’eredità era dunque pesante ma Maigret la seppe raccogliere decisamente bene e nel corso della sua carriera le sue inchieste si mostreranno più apprezzate di quelle dei suoi pressochè contemporanei rivali Hercule Poirot di Agata Christie prima ed il Nestor Burma creato da Leo Malet in seguito. 

Va notato come l’autore tenesse particolarmente al personaggio tanto da non far comparire quasi mai la sua vena umoristica che invece era apparsa nella sua carriera giovanile, inoltre nel corso degli anni i Maigret assumono una dimensione psicologica e si allontanano dal stereotipo del romanzo quasi che Simenon avesse voluto, oltre che per se stesso, dare maggior spessore ai libri con protagonista la sua creature prediletta. L’unica eccezione all’interno del ciclo di 75 romanzi e 28 racconti è Les Mémoires de Maigret in cui lo scrittore dialoga per tutto il romanzo tra il serio ed il faceto con il suo personaggio. Il tono scherzoso di questo libro è unico nel suo genere nel intero corpus maigrettiano.

Andrea Franco 

martedì 18 dicembre 2018

SIMENON SIMENON. UN MAIGRET DES TROPIQUES ?

A propos de la nouvelle de Simenon "Un crime au Gabon" 

SIMENON SIMENON. UN MAIGRET DEI TROPICI? 
A proposito del racconto di Simenon "Un crime au Gabon" 
SIMENON SIMENON. A MAIGRET OF THE TROPICS? 
About the short story "Un crime au Gabon" 


Un crime au Gabon est une nouvelle de Simenon relativement peu connue : paru initialement en 1938 dans Police-Roman, ce texte est édité, avec d’autres nouvelles exotiques, en 1944 dans le volume Signé Picpus. Il sera ensuite repris dans le tome VI des Œuvres complètes des éditions Rencontre, et enfin dans Tout Simenon, tome 24. Notons cependant qu’Un crime au Gabon a fait l’objet en 1994 d’une édition commentée destinée aux jeunes Allemands qui apprennent le français.
Voici l’argument de cette nouvelle. Dans les années trente au Gabon, M. Stil, un riche colon de Libreville, se plaint au commissaire de police local de plusieurs tentatives de meurtre sur sa personne. La réussite de M. Stil semble attirer beaucoup de jalousies et les soupçons se portent vers les colons qui lui doivent de l’argenten particulier Grand Louis, un coupeur de bois. Cependant, on raconte que la jeune épouse de M. Stil a des amants parmi les notables de Libreville : le juge d’instruction, un avocat, le docteur Chauvin … Bien des hommes de la colonie pourraient avoir envie de voir disparaître Stil …
Cette nouvelle est digne d’intérêt d’abord parce qu’elle ménage le suspense tout au long de cinq brefs chapitres. Mais au-delà de l’histoire policière assez classique, il y a les personnages et en particulier le commissaire Bédavent, qui est une sorte de Maigret colonial. L’homme est massif, fume la pipe et boit de grosses quantités de bière… Le lecteur est frappé par la douceur du commissaire, peut-être son ironie, qui s’oppose à la colère et à l’agitation de M. Stil d’abord, puis du docteur Chauvin. Celui-ci «n’avait pas trente ans. Il était mince, nerveux, avec, dans les yeux, des traces de fatigue ou de fièvre.». Nous retrouvons un type de personnage qui ressemble beaucoup au héros du Coup de lune, Joseph Timar : comme ce dernier, qui se perdra en devenant l’amant d’Adèle, Chauvin est sur la mauvaise pente et Bédavent tente de le lui faire comprendre.  
Ce qui rapproche le commissaire Bédavent de Maigret, c’est aussi l’intelligence du personnage et sa façon d’enquêter : le policier a compris très vite et a décidé, non sans risque, de tendre un piège pour confondre un criminel potentiel. Ensuite, il se révèle presque paternel envers le jeune homme, lui suggérant même de partir par le premier bateau, et pourquoi pas en compagnie de Mme Stil.  
Simenon nous montre un policier intègre et bienveillant, alors que dans ses romans africains, les membres de la colonie sont toujours présentés comme des êtres incapables et corrompus, souvent minés par l’alcool ou la drogue. En revanche, Un crime au Gabon se focalise sur deux personnages qui semblent pouvoir échapper à l’attraction morbide de l’Afrique bien présente dans Le Coup de lune, Le Blanc à lunettes ou 45° à l’ombre : le policier résiste et s’en tire en buvant un peu trop de bière, tandis que le jeune homme ne trouvera son salut que dans le retour en métropole. Un crime au Gabon est donc une nouvelle à découvrir ou à redécouvrir, dans laquelle de nombreux thèmes simenoniens sont présents : l’inadaptation des Blancs en Afrique, la critique du colonialisme, la justice, le racisme, la sexualité effrénée, etc.…  
Une adaptation de cette nouvelle a été faite pour la télévision en 1995 sous le titre Le Crime de Monsieur Stil. La réalisatrice Claire Devers a construit, avec l’aide du scénariste Alain Adijes, une fiction prenante comme un roman. La tâche n’était pas facile, tout d’abord parce que l’adaptation d’une nouvelle demande d’étoffer l’histoire, d’ajouter souvent des personnages et de travailler sur la psychologie de ces derniers. Claire Devers et son scénariste n’ont pas hésité à faire des choix importants pour construire un scénario à la fois habile et crédible, tout en restant fidèle à l’esprit de la nouvelle. La réalisatrice a d’abord choisi de situer l’action de son film, non pas dans les années trente comme chez Simenon, mais en 1958, au moment où la France traverse une crise grave et où l’Afrique espère tirer profit de la décolonisation annoncée. C’est dire que Claire Devers apporte une toile de fond politique réelle au récit de Simenon, alors que ce dernier s’est contenté de critiques assez superficielles sur la société coloniale. Le film nous montre des personnages très vite piégés par des sentiments auxquels ils pensaient échapper : l’amour, la jalousie viennent troubler un jeu qui devait être axé uniquement sur l’intérêt et le pouvoir. Le Crime de monsieur Stil est un drame à la gestation lente et le spectateur se laisse prendre à ce suspense habile. On pourra reprocher à Claire Devers d’avoir transformé l’histoire de Simenon, mais certainement pas de l’avoir trahie. La réalisatrice semble donc avoir puisé la matière manquante dans l’œuvre de Simenon, ce qui donne une certaine crédibilité à son film. Lors de sa diffusion à la télévision, les critiques ont bien accueilli dans l’ensemble cette œuvre personnelle, servie par des acteurs convaincants et notamment Bernard Verley (M. Stil) et Jeanne Balibar (Charlotte). La réalisatrice reste fidèle à Simenon parce qu’elle respecte la connaissance des êtres humains qui transparaît à la lecture des romans, rejoignant ainsi la conception de Claude Chabrol dans ses adaptations des Fantômes du chapelier et de Betty. Après la lecture ou la relecture d’Un crime au Gabon, on ne peut que conseiller de regarder le téléfilm de Claire Devers à l’occasion d’une rediffusion sur une chaîne de télévision.  

Bernard Alavoine