Siamo nel 1925 l'anno in cui a Parigi venne inaugurata l'Exposition des Arts Décoratifs. Un avvenimento culturale atteso da tutto il mondo culturale europeo e non solo. Il fervore nella comunità dei pittori, dei musicisti, degli scrittori e di tutti gli artisti era all'ennesimo grado. Si respirava aria di grandi cambiamenti, quando non di vere e proprie rivoluzioni nel campo dell'espressione artistica di qualsiasi ambito. Multicultarale, cosmopolita, dissacrante era l'aria che tirava nell'ambiente degli artisti e dall'arte per arivare fino alla vita di tutti i giorni. Dalla moda, all'architettura, dalla pubblicità all'arredamento, non c'era campo che non fosse investito da questa ventata di rinnovamento, di sperimentazione di voglia di cambiare. I Simenon nel loro appartamento al 21 di Place des Vosges erano una delle coppie che alimentavano questa amosfera. Volete sapere come era arredato il loro appartamento? Simeon aveva ingaggiato l'arredatore d'interni più in voga del momento, tale Dim. Risultato? I muri erano gialli, blu e verde con un chiaro richiamo al cubismo, tende e copridivani neri, ma il pezzo forte era costituito dal bar. Una vera esclusiva all'epoca. Un autentico angolo bar con tanto di bancone e sgabelli alti, anche loro gialli e neri. Ed era tutto illuminato dall'interno, con mensole e sportelli in vetro, bottiglie e cocktaili in bella vista, un vero bar all'americana, particolarmente apprezzato da Georges, come altri arrivi dall'America: la musica jazz di New Orleans di cui era allora un fervente appassionato e quel fenomeno chiamato Josephine Baker che passerà nella sua vita come un ciclone. Dietro al bancone il barman era ancora lui. E le feste di casa Simenon divennero famose non solo per il nome degli invitati: Max Jacob, Derain, Jean Renoir, Paul Colin, le ballerine russe in tourneé a Parigi e non ultima proprio la Baker di cui campeggiava un ritratto esattamente sopra l'angolo bar. L'altro motivo di tanto successo era che il passo da feste a festini era decisamente breve, tanto che all'alba la gente ancora dormiva seminuda sui divani, per terra, mentre Boule, la femme de chambre, iniziava riordinare e in sottofondo si sentiva un ticchettìo. Era la macchina per scrivere di Simenon che per pagarsi quel tenore di vita doveva produrre racconti e romanzi brevi a più di un editore, per cui in una giornata doveva macinare un'ottantina di pagine e poi correre a consegnare... E mentre i suoi ospiti di svegliavano e lasciavano la casa la locomotiva Simenon sferragliava già da qualche ora e uscivano dal rullo della sua macchina le storie de La fiancée fugitive, Nox l'insaisissable, Chair de Beauté, Captain S.O.S., Coeur de poupée...
sabato 10 dicembre 2011
venerdì 9 dicembre 2011
SIMENON. TENGO FAMIGLIA...ANZI DUE...ANZI...
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Da destra, Denyse, Marie-Jo, Johnny, Marc e Georges in piedi |
Iniziamo da quella d'origine. Désirè Simenon, il padre ventiseenne quando il 13 febbraio 1903 nacque Georges, per la precisione Georges Joseph Christian. Henriette Brull, moglie di Désireè, divenne sua madre a ventitre anni. Il suo unico fratello Christian Maurice Joseph nacque tre anni dopo di lui. Era una famiglia modesta, il padre impiegato in una società di assicurazioni. La madre casalinga. Lui, un uomo tranquillo, contento di quello che aveva, senza grandi aspirazioni (tanto da rifutare un posto di responsabilità, ma anche di rischio, nel nuovo redditizio ramo polizze-vita della ditta). Lei invece veniva da una famiglia con alcuni esponenti importanti e altri anche ricchi, teneva molto al decoro, ai giudizi della gente, anche se poi doveva spaccava i centesimi in quattro per andare avanti.
Tra la madre e Georges, non ci fu mai un buon rapporto. Il cocco di mamma era Christian. D'altronde Georges stravedeva per il padre e quando si ammalò, smise di lavorare e poi morì nel '21 fu davvero un duro colpo per lui. La madre non perdeva occasione per manifestargli la sua preferenza per il fratello. E chissà che nella decisione del 1922 di lasciare Liegi, il suo lavoro di giornalista, non abbia pesato anche la scomparsa del padre?
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Régine Renchon, detta Tigy, e Georges |
Terza famiglia. Ormai Simenon si è trasferito in America. Conosce la seconda moglie Denyse, venticinquenne, canadese del Quebec, a New York nel 1945 ed entra in casa Simenon come segretaria particolare dello scrittore. Nel 1950 il matrimonio, ma intanto avevano già avuto un figlio, Johnny, il 29 settembre del 1949. L'unica figlia dello scrittore, Marie-Jo, arrivò nel 23 febbraio 1953, anche lei "americana". Il terzo, Pierre Nicolas, nacque il 26 maggio 1959 quando i Simenon, tornati in Europa, e si erano stabiliti in Svizzera, nei pressi di Losanna. A questo nucleo manca Teresa Sburelin, friulana, una femme de chambre personalmente consigliata a Simenon dal suo editore italiano, Arnoldo Mondadori con cui lo scrittore aveva una vecchia amicizia, risalente agli anni '30. Era la fine del 1961 quando prense servizio. Con la Boule furono subito scintille, che dopo poco fece fagotto, per poi sistemarsi, come abbiamo detto, nella famiglia di Marc Simenon. La casa dello scrittore si va svuotando. La moglie, con cui il rapporto dal ritorno dall'America, è sempre più in crisi, viene peggiorato dal precario equilibrio mentale di lei, dalle sue gravi nevrosi e dal suo alcolosmo. Nel '64 lascia definitivamente la famiglia.
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Georges Simenon e Teresa Sburelin |
Georges, Pierre Nicolas e Teresa è quello che rimane della terza famiglia. Lei da femme de chambre è definitivamente diventata la sua compagna ufficiale, colei che lo assisterà premurosamente fino alla morte.
Febbraio 1974. 12, rue de Figuiers, sono ormai rimasti solo Georges e Teresa, una piccola casa, con un piccolo giardino, una vita da piccoli borghesi, una piccola famiglia dove lui ormai vecchio e un po' malandato si sente sicuro e felice di poche piccole cose. E' la sua utima famiglia.
giovedì 8 dicembre 2011
SIMENON. QUATTRORUOTE AI TEMPI DI MAIGRET
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Renault Primaquatre - 1931 |
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Renault 4 CV - 1947 |
Come si spostava la polizia ai tempi di Maigret? La domanda può essere interessante, ma va circostanziata. Le inchieste del commissario Simenon le inizia negli anni '30 e le conclude nei primi degli anni '70. Le automobili della gendarmerie, erano quindi di vari modelli e di varie generazioni. Diciamo che in gran parte sono vetture della Renault, soprattutto dopo la nazionalizzazione del '45, voluta da De Gaulle, quando fu chamata Régie Nationale des Usines Renault e più sinteticamente La Régie. Prendiamo ad esempio il primo Maigret. Siamo nel 1931 e allora debutta sul mercato la R Primaquatre, che verrà costruita per tutto il decennio. Questo coincide perfettamente con il lancio delle inchieste del commissario.
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Renault Dauhine - 1956 |
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Citroen DS - 1965 |
Poi negli anni '50 un'altro dei modelli Renault che fece storia e che fu anch'essa utilizzata dalla polizia: la Renault 4 CV. Siamo già ad un modello diciamo più moderno, una vetturetta agile e robusta che presentata sul mercato nel '47 lo tenne, con qualche modifica, fino agli anni sessanta. E questa è una delle vetture che sicuramente anche quelli della brigata criminale comandata da Maigret hanno utilizzato spesso nelle loro operazioni. Ma in quel periodo (1956) fece la sua comparsa un'altra Renault, la Dauphine che durò fino al '68, anch'essa utilizzata dalla polizia francese. Ma non di sole Renault era composto il parco della gendarmerie. Ad esempio venivano usate le più lussuose e veloci Citroen, la ID prima e poi la sua discendente la DS, che ovviamente erano destinate ai vertici del comando o per gli inseguimenti. E con questi modelli siamo arrivati agli anni '70, proprio quando Simenon smette di scrivere e finiscono quindi anche le inchieste del commmissario Maigret (1972). Va sottolineato però che lo scrittore non citò mai marche e meno che meno i modelli delle vetture, neppure quelli usati dalla polizia e quindi questa mini-ricostruzione è basata sulle informazioni incrociate tra la storia della gendarmerie e quella delle auto francesi. Chi ne sa di più ce lo faccia sapere.
mercoledì 7 dicembre 2011
SIMENON. L'IMPORTANZA DI PLACE DES VOSGES
Tra le due abitazioni c'è una bella differenza. Batignolles era un quartiere più popolare e periferico dove i due vivevano in una sola piccola stanza dell'hotel. Al 21 di Place des Vosges avevano affittato una sola camera a piano terra, ma era più spaziosa e sopratutto il palazzo era situato in una delle piazze più belle di Parigi, in un quartiere signorile. Ma perchè questa casa e questa piazza hanno una certa importanza nel periodo francese di Simenon?
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Place des Vosges vista dall'altro con il suo parco al centro |
Era indispensabile aver più spazio a disposizione, anche per sua moglie che continuava a dipingere. E infatti, appena le loro finanze glielo permisero e si presentò l'occasione, presero un appartamento al secondo piano dello stesso palazzo, conservando il locale a pianterreno che fungeva da atelier per Tigy.
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L'ingresso del 21, l'indirizzo dei Simenon |
A Place des Vosges, sempre nel '34, scrisse il suo primo romanzo per Ferenczy, Roman d'une dactylo, il primo dei oltre duecento romanzi popolari che Simenon produrrà per Taillander, Fayard, Rouff, siglati con più di venti pseudonimi.
E fu una casa che non vendette, nemmeno quando si trasferì per una decina d'anni in Vandea, o quando andarono ad abitare nel prestigioso appartamento di boulevard Richard Wallace, né quando partì per gli Stati Uniti nel '45. Era una specie di rifugio parigino, la casa dei suoi inizi, quella che lo aveva visto debuttare nel mondo della letteratura popolare. Ma anche quella stessa di quando aveva lanciato i Maigret, facendo così il salto verso quella che lui chiamava la semi-letteratura.
martedì 6 dicembre 2011
SIMENON, LE MEMORIE PIU' FAMOSE... E PIU' DISCUSSE
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Simenon, intervista de L'illustré su "Mémoire intimes" |
Ma torniamo alla critica di questa opera autobiografica che scava con minuzia e in modo a volte impietoso nella vita dell'autore. I dolori, le gioie, le piccole emozioni della sua vita, i grandi avvenimenenti che ne segnarno l'esistenza, qualche rivelazione, che hanno riguardato sè stesso, le sue donne, i suoi figli, le persone che a vario titolo gli sono state più vicine. Insomma un puntuale e preciso diario della sua vita personale. E questo è un limite che ad esempio viene evidenziato da Pierre Assouline, uno dei suoi più autorevoli biografi "... se Les Mémoires ci forniscono le informazioni sull'uomo, non ci dicono niente del romanziere. Nulla è meno letterario di questo mattone che funge da pietra tombale. Anche se lo confiniamo nell'ambito della pura autobiografia, l'opera è di un interesse limitato. L'uomo? Orgoglio e odio di sé. Il suo genio romazesco? Nulla o quasi....".
Si tratta dell'impressione di uno studioso, biografo e specialista di Simenon, autore di due ponderose opere fondamentali sul romanziere Simenon biographie (Juillard - 1992) e Autodictionnaire Simenon (Omnibuus - 2009), al quale effettivamente questo libro non può svelare molto di nuovo.
Impatto diverso invece, a nostro avviso, può averlo nei confronti del pubblico di appassionati lettori simenoniani. Entrare nella vita quotidiana dello scrittore, coglierne le debolezze, il piccoli avvenimenti rivelatori, scoprire avvenimenti e le loro conseguenze, conoscere i rapporti con i figli, le mogli.. insomma tutto ciò ha una certa importanza per il lettore. Conoscere meglio l'uomo significa capire meglio lo scrittore e leggere con un altra luce le sue opere. Certo, come ogni autobiografia, entriamo nell'universo personale di Simenon portati per mano da lui stesso, vediamo e scopriamo quello che lui ci vuole far vedere e scoprire. Ma è generoso e mette a nudo anche situazioni e comportamenti su cui avrebbe anche potuto sorvolare.
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Paris Match, l'annuncio dell'imminente uscita di "Mémoires intimes" |
Anche se siamo colti da un dubbio. Ma esiste davvero un mistero sulla modalità del meccanismo creativo? Fino a che punto é vero tutto quello che sappiamo sul suo rituale di scrittura, sul malessere prima della stesura di un romanzo, sull'état de roman, sul non sapere dove la storia l'avrebbe portato perché seguiva ciecamente l'ispirazione, sull'entrare nella pelle dell'altro e sulla più volte rivendicata impellenza a scrivere? Non lo sappiamo e non potremo mai saperlo. Inoltre non va dimenticato che Simenon era un formidabile curatore della propria immagine e il dubbio che certe cose possano essere state costruite ad arte potrebbe anche essere lecito. Ma ci stiamo addentrando in un terreno scivoloso e dove rischiamo di perderci nell'infinito universo delle più sofisticate ipotesi, per altro non verificabili. Qui ci fermiamo con il consiglio, a chi non l'avesse l'avesse fatto, di leggerlo.
lunedì 5 dicembre 2011
SIMENON. QUESTO E' IL PRINCIPIO
Si è parlato varie volte dell'incontro tra Simenon e Colette nella redazione de Le Matin. In quel quotidiano la famosa scrittrice, allora cinquantenne, era responsabile della pagina culturale e della rubrica Les Mille et un Matin, dove venivano pubblicati ogni giorno dei racconti. E Simenon, dopo molti tentativi (e dopo aver seguito i consigli della stessa Colette che lo spronava a sfrondare il suo stile dalla "letteratura") vide pubblicato il suo racconto La Petite Idole. Era il 29 settembre del '23. Possiamo prendere questa data come l'ingresso nella letteratura ad appena nove mesi dal suo arrivo a Parigi, anche se firmato come Georges Sim.
Ma questo La Petite Idole cosa raccontava? Si tratta di due coniugi in vacanza (dove non ci viene detto, ma si tratta di una località di mare. La Costa Azzurra o una delle stazioni balneari alla moda dell'Atlantico come Biarritz...). L'ambiente che trovano è molto spumeggiante, vi incontrano anche degli amici e cosi entrano a far parte di una compagnia dove i flirt, i tradimenti, le gelosie e gli addii si susseguono. Lei, M.me Arnal, non gradisce granchè l'intimità con questo ambiente dalle relazioni facili, un po' libertine e degli amori usa e getta. Avrebbe preferito un posto più tranqullo, meglio la solitudine. E in più si preoccupa per il marito quando guarda con eccessiva attenzione le giovani donne del posto. Questa insicurezza ci viene raccontata e motivata da Simenon riportando il dialogo avuto nel viaggio in treno, in cui lei chiedeva confema del suo amoreal marito, il quale una volta la chiamava il suo "piccolo idolo". Una volta, perchè veniamo a sapere che adesso lei ha quarant'anni. M. Arnal cerca di rassicurarla in ogni modo.
Ma certo lei non era più quella di vent'anni prima, il fisico non più "felino", ma "arrondi" che non vuol dire arrotondato, ma piuttosto ammorbidito, ma conservava tut'ora un fascino di cui il marito era davvero ancora preso.
Ma lei, circondata sulla spiaggia e all'hotel di giovani donne slanciaciate e flessuose, allungava il tempo della sua toilette, il marito un po' la prenderva in giro, un po' la rassicurava che non aveva bisogno di passare tutto quel tempo a truccarsi e a cambiarsi d'abito... a lui piaceva lo stesso, così com'era.
Ma lei sapeva che mentiva, aveva percepito come guardava le giovani che giravano loro intorno.
E non aveva torto, perché agli occhi del marito quella gioventù femminile, non poteva che risvegliare un certo desiderio.
In un dialogo alla fine del racconto, lei triste cerca ancora rassicurazioni, chiede al marito prima di stringerla forte a sè, poi di chiamarla ancora "piccolo idolo" e infine di partire per un altro posto, magari di tornare a casa, con la scusa che il mare la deprimeva. Il marito, sembra non capirla, cerca infatti di minimizzare, giudicando il tutto solo il frutto di un po' di nostalgia. Si dice convinto che la compagnia e la vacanza l'avrebbero distratta e alla fine le avrebbero giovato.
E così M.me Arnal capisce che non sarà mai più il suo "Petite Idole".
Tutto qui? In effetti la trama di un racconto breve (meno di 4000 battute), non poteva essere più articolata, non ci sono descrizioni dei personaggi, che però risaltano bene, e alcune informazioni le apprendiamo dai dialoghi.
C'è qualche aggettivo speso per il paesaggio, per le acconciature della protagonista. Ma quella semplicità e linearità che predicava Colette si riscontra nell'essenzialità dello stile e nel dialogo diretto che ha una sua preponderanza, ma che rende vivo e dà un'impressione di "presa diretta" , se coì si può dire, a suo modo efficace.
Ma é solo il primo degli ottanta racconti che fino al '29 scriverà per Le Matin.
Ma questo La Petite Idole cosa raccontava? Si tratta di due coniugi in vacanza (dove non ci viene detto, ma si tratta di una località di mare. La Costa Azzurra o una delle stazioni balneari alla moda dell'Atlantico come Biarritz...). L'ambiente che trovano è molto spumeggiante, vi incontrano anche degli amici e cosi entrano a far parte di una compagnia dove i flirt, i tradimenti, le gelosie e gli addii si susseguono. Lei, M.me Arnal, non gradisce granchè l'intimità con questo ambiente dalle relazioni facili, un po' libertine e degli amori usa e getta. Avrebbe preferito un posto più tranqullo, meglio la solitudine. E in più si preoccupa per il marito quando guarda con eccessiva attenzione le giovani donne del posto. Questa insicurezza ci viene raccontata e motivata da Simenon riportando il dialogo avuto nel viaggio in treno, in cui lei chiedeva confema del suo amoreal marito, il quale una volta la chiamava il suo "piccolo idolo". Una volta, perchè veniamo a sapere che adesso lei ha quarant'anni. M. Arnal cerca di rassicurarla in ogni modo.
Ma certo lei non era più quella di vent'anni prima, il fisico non più "felino", ma "arrondi" che non vuol dire arrotondato, ma piuttosto ammorbidito, ma conservava tut'ora un fascino di cui il marito era davvero ancora preso.
Ma lei, circondata sulla spiaggia e all'hotel di giovani donne slanciaciate e flessuose, allungava il tempo della sua toilette, il marito un po' la prenderva in giro, un po' la rassicurava che non aveva bisogno di passare tutto quel tempo a truccarsi e a cambiarsi d'abito... a lui piaceva lo stesso, così com'era.
Ma lei sapeva che mentiva, aveva percepito come guardava le giovani che giravano loro intorno.
E non aveva torto, perché agli occhi del marito quella gioventù femminile, non poteva che risvegliare un certo desiderio.
In un dialogo alla fine del racconto, lei triste cerca ancora rassicurazioni, chiede al marito prima di stringerla forte a sè, poi di chiamarla ancora "piccolo idolo" e infine di partire per un altro posto, magari di tornare a casa, con la scusa che il mare la deprimeva. Il marito, sembra non capirla, cerca infatti di minimizzare, giudicando il tutto solo il frutto di un po' di nostalgia. Si dice convinto che la compagnia e la vacanza l'avrebbero distratta e alla fine le avrebbero giovato.
E così M.me Arnal capisce che non sarà mai più il suo "Petite Idole".
Tutto qui? In effetti la trama di un racconto breve (meno di 4000 battute), non poteva essere più articolata, non ci sono descrizioni dei personaggi, che però risaltano bene, e alcune informazioni le apprendiamo dai dialoghi.
C'è qualche aggettivo speso per il paesaggio, per le acconciature della protagonista. Ma quella semplicità e linearità che predicava Colette si riscontra nell'essenzialità dello stile e nel dialogo diretto che ha una sua preponderanza, ma che rende vivo e dà un'impressione di "presa diretta" , se coì si può dire, a suo modo efficace.
Ma é solo il primo degli ottanta racconti che fino al '29 scriverà per Le Matin.
domenica 4 dicembre 2011
SIMENON SIMENON RINGRAZIA TUTTOLIBRI
Nell'inserto TuttoLibri del quotidiano La Stampa di ieri, a pagina
VIII, è stata pubblicata la notizia del primo compleanno di
Simenon Simenon. Vogliamo ringraziare il responsabile e la
redazione dell'autorevole inserto culturale per l'interesse con cui
hanno valutato questo primo anniversario e per la conseguente decisione di darne notizia. E' ovviamente una soddisfazione per chi cura questo sito-blog e che vuole girare questa informazione a tutti gli appassionati lettori. Se Simenon Simenon è approdato sulle pagine della stampa quotidiana nazionale è anche merito di tutti quelli che lo seguono con interesse e assiduità. Grazie.
VIII, è stata pubblicata la notizia del primo compleanno di
Simenon Simenon. Vogliamo ringraziare il responsabile e la
redazione dell'autorevole inserto culturale per l'interesse con cui
hanno valutato questo primo anniversario e per la conseguente decisione di darne notizia. E' ovviamente una soddisfazione per chi cura questo sito-blog e che vuole girare questa informazione a tutti gli appassionati lettori. Se Simenon Simenon è approdato sulle pagine della stampa quotidiana nazionale è anche merito di tutti quelli che lo seguono con interesse e assiduità. Grazie.
SIMENON. MAIGRET INCONTRA UNA PAZZA?
Dopo poco l'uscita in libreria, La pazza di Maigret (Adelphi)... oplà!...si piazza al secondo posto della sezione Tascabili della classifica di Bookscan pubblicata ieri dall'inserto TuttoLibri de La Stampa e al nono di quella de La Lettura de Il Corriere della Sera di oggi, nella sezione Narrativa Straniera.
Si tratta di una delle ultime inchieste del commissario, scritta da Simenon nel maggio del 1970 e pubblicata sei mesi dopo da Presses de La Cité. Ormai lo scrittore vive ancora nella sua grande villa a Epalinges. Ma sono gli ultimi anni, comincia a non sentirsi più a suo agio nella sontuosa residenza costruita appositamente per una grande famiglia. Una famiglia che però non c'è più. Via la seconda moglie Denyse, via la Boule sua femme de chambre per una vita, via i figli Marc (a Parigi per lavoro) e Johnny (in America a studiare giurisprudenza).
Quell'anno la macchina da scrivere di Simenon rallenta il ritmo. Nel '70 infatti viene pubblicata una sola inchiesta del commissario (Maigret et le Marchand de vin, scritto però l'anno prima) e termina la stesura dei romanzi Le riche homme e La Disparition di Odile.
La pazza del titolo è una ultra-ottantenne la quale va al Quais des Orfèvres per denunciare che qualcuno è entrato nella sua casa, ha frugato ovunque e mettendo tutto in disordine. La deposizione viene raccolta dall'ispettore Lapointe con un certo scetticismo, ma la vecchietta, insistente, vuole parlare con personalmente Maigret. La sua caprbietà la premia e non solo riesce a parlare con il commissario, ma gli strappa anche la promessa di andare lui personalmente a controllare la casa. Tutti la prendono un po' sottogamba credendola un po' pazza. Maigret stesso, mantiene la promessa, ma solo dopo aver assolto una serie d'impegni che ritiene più importanti di quelle che giudica farneticazioni di una vecchia signora che non ci sta più con la testa. Ma quando arriva nel suo appartamento trova la povera anziana morta assassinata. Inizia allora un'indagine che porterà il commissario a scoprire la facciata e la realtà di un milieu costituito dalla nipote, dal suo uomo, un piccolo delinquente, e una serie di situazioni che alla fine faranno prendere delledecisoni che giustificano il soprannome di "accomodatore di destini" che Maigret spesso si merita.
Si tratta di una delle ultime inchieste del commissario, scritta da Simenon nel maggio del 1970 e pubblicata sei mesi dopo da Presses de La Cité. Ormai lo scrittore vive ancora nella sua grande villa a Epalinges. Ma sono gli ultimi anni, comincia a non sentirsi più a suo agio nella sontuosa residenza costruita appositamente per una grande famiglia. Una famiglia che però non c'è più. Via la seconda moglie Denyse, via la Boule sua femme de chambre per una vita, via i figli Marc (a Parigi per lavoro) e Johnny (in America a studiare giurisprudenza).
Quell'anno la macchina da scrivere di Simenon rallenta il ritmo. Nel '70 infatti viene pubblicata una sola inchiesta del commissario (Maigret et le Marchand de vin, scritto però l'anno prima) e termina la stesura dei romanzi Le riche homme e La Disparition di Odile.
La pazza del titolo è una ultra-ottantenne la quale va al Quais des Orfèvres per denunciare che qualcuno è entrato nella sua casa, ha frugato ovunque e mettendo tutto in disordine. La deposizione viene raccolta dall'ispettore Lapointe con un certo scetticismo, ma la vecchietta, insistente, vuole parlare con personalmente Maigret. La sua caprbietà la premia e non solo riesce a parlare con il commissario, ma gli strappa anche la promessa di andare lui personalmente a controllare la casa. Tutti la prendono un po' sottogamba credendola un po' pazza. Maigret stesso, mantiene la promessa, ma solo dopo aver assolto una serie d'impegni che ritiene più importanti di quelle che giudica farneticazioni di una vecchia signora che non ci sta più con la testa. Ma quando arriva nel suo appartamento trova la povera anziana morta assassinata. Inizia allora un'indagine che porterà il commissario a scoprire la facciata e la realtà di un milieu costituito dalla nipote, dal suo uomo, un piccolo delinquente, e una serie di situazioni che alla fine faranno prendere delledecisoni che giustificano il soprannome di "accomodatore di destini" che Maigret spesso si merita.
sabato 3 dicembre 2011
SIMENON NONNO. NON SE NE PARLA MAI
Simenon marito e padre, giornalista adolescente, grande viaggiatore, papà di Maigret. Simenon dongiovavanni, romanziere d'atmosfere, gran fumatore di pipa, recordman della letteratura. Però non viene mai citato come "nonno Georges".
Eppure il suo primogenito Marc, figlio di Tigy, nel marzo del '62 lo fa diventare nonno. Nasce infatti Serge Simenon, primo nipote dello scrittore che in quel periodo abitava ad Echandens, in Svizzera, ma già stava preparando la sua gran villa di Epalinges, sempre nei pressi di Losanna, dove sarebbe andato ad abitare di lì a qualche mese.
Marc, che invece viveva a Parigi per poter esercitare la professione di regista, si era sposato giovane nel 1960, a ventun'anni con tale Francette. Era stato il suo primo grande amore e lui aveva voluto aspettatare la maggiore età per non dover chiedere al padre una sorta di approvazione.
Queste informazioni le fornisce Tigy nel suo libro-diario Souvenirs (Gallimard - 2004), in cui racconta in merito: "... Georges, per quanto sembrasse rispettoso della sua libertà individuale, non aveva l'aria di prendere posizione né in un senso né nell'altro. In tutti i casi, non fu un matrimonio in famiglia. Fu celebrato e festeggiato con i suoi amici e compagni....".
Dicevamo che nel '62 Simenon diventa nonno. Ma lui ne parla? Ne troviamo una sintetica traccia in Mémoires intimes. Da qualche giorno, ricorda, é a Londra, per dei festeggiamenti insieme a Rupert Davies, l'attore inglese che nel '60 aveva portato sul piccolo schermo britannico il personaggio del commissario Maigret. Simenon riceve un telegramma che lo informa della nascita e lui si preoccupa di informare i figli. A questo proposito va sottolineato che il quarto, Nicolas, non ha ancora tre anni... e a quell'età diventa già zio.
Simenon manda telegrammi, fiori, auguri, ma non va a trovare il nipote. A cosa è dovuto un tale atteggiamento? Lui e Tigy sono separati da una dozzina d'anni, ma sono in buoni rapporti. E' vero che Marc è cresciuto più vicino alla madre che al padre, ma si tratta comunque del suo primogenito. Insomma sembra che la dimensione di nonno non fosse molto ben accetta da Simenon. Forse alla soglia della sessantina, si sentiva ancora troppo giovane per avere già un nipote? Era distratto dai problemi dovuti all'instabilità psicologica e all'alcolismo della moglie che di lì a due anni avrebbe lasciato la loro casa per un lungo peregrinare tra case di cura e cliniche, ma comunque per uscire definitivamente dalla sua vita? O forse era un problema d'immagine? Sappiamo che Simenon era sempre molto attento, e bravo, nel gestire la sua figura di personaggio e che tante cose che sembravano uscire per caso, erano ponderate e volute. Ma chissà perchè questa condizione naturale di nonno sembra non essergli congeniale? Ormai era uno scrittore talmente affermato che non sarebbe certo stato un nipote a cambiare le cose. Eppure...
Per altro alla nascita della secondogenita di Marc, Diane nel 1964, fa riscontro il rientro di Boule nella famiglia Simenon. Va infatti a stare a casa di Marc e Francette dove si prende cura dei bambini.
Boule è stata una delle donne importanti nella vita di Simenon, ma l'ingresso nella vita dello scrittore di Teresa creò un conflitto tale tra le due, che spinse la sua femme de chambre e maitresse per quasi trent'anni ad andarsene. Insomma forse si erano formate due famiglie Simenon? Una con Tigy, il primogenito Marc con moglie e due figli più la Boule. L'altra con Georges, Denyse (per il poco che rimase), Teresa (che diverrà la sua nuova compagna) e gli altri tre figli Johnny, Marie-Jo e Pierre-Nicolas. La prima era il passato, una vita lontana, la seconda rappresentava il presente, l'oggi di Simenon. Ma forse anche questa è un'altra teoria che spiega solo un aspetto del problema. Il titolo di questo post avrebbe potuto essere: Simenon. L'uomo che non voleva essere nonno. Ma forse sarebbe stata una forzatura su una situazione che in realtà non è stata mai chiarita.
Eppure il suo primogenito Marc, figlio di Tigy, nel marzo del '62 lo fa diventare nonno. Nasce infatti Serge Simenon, primo nipote dello scrittore che in quel periodo abitava ad Echandens, in Svizzera, ma già stava preparando la sua gran villa di Epalinges, sempre nei pressi di Losanna, dove sarebbe andato ad abitare di lì a qualche mese.
Marc, che invece viveva a Parigi per poter esercitare la professione di regista, si era sposato giovane nel 1960, a ventun'anni con tale Francette. Era stato il suo primo grande amore e lui aveva voluto aspettatare la maggiore età per non dover chiedere al padre una sorta di approvazione.
Queste informazioni le fornisce Tigy nel suo libro-diario Souvenirs (Gallimard - 2004), in cui racconta in merito: "... Georges, per quanto sembrasse rispettoso della sua libertà individuale, non aveva l'aria di prendere posizione né in un senso né nell'altro. In tutti i casi, non fu un matrimonio in famiglia. Fu celebrato e festeggiato con i suoi amici e compagni....".
Dicevamo che nel '62 Simenon diventa nonno. Ma lui ne parla? Ne troviamo una sintetica traccia in Mémoires intimes. Da qualche giorno, ricorda, é a Londra, per dei festeggiamenti insieme a Rupert Davies, l'attore inglese che nel '60 aveva portato sul piccolo schermo britannico il personaggio del commissario Maigret. Simenon riceve un telegramma che lo informa della nascita e lui si preoccupa di informare i figli. A questo proposito va sottolineato che il quarto, Nicolas, non ha ancora tre anni... e a quell'età diventa già zio.
Simenon manda telegrammi, fiori, auguri, ma non va a trovare il nipote. A cosa è dovuto un tale atteggiamento? Lui e Tigy sono separati da una dozzina d'anni, ma sono in buoni rapporti. E' vero che Marc è cresciuto più vicino alla madre che al padre, ma si tratta comunque del suo primogenito. Insomma sembra che la dimensione di nonno non fosse molto ben accetta da Simenon. Forse alla soglia della sessantina, si sentiva ancora troppo giovane per avere già un nipote? Era distratto dai problemi dovuti all'instabilità psicologica e all'alcolismo della moglie che di lì a due anni avrebbe lasciato la loro casa per un lungo peregrinare tra case di cura e cliniche, ma comunque per uscire definitivamente dalla sua vita? O forse era un problema d'immagine? Sappiamo che Simenon era sempre molto attento, e bravo, nel gestire la sua figura di personaggio e che tante cose che sembravano uscire per caso, erano ponderate e volute. Ma chissà perchè questa condizione naturale di nonno sembra non essergli congeniale? Ormai era uno scrittore talmente affermato che non sarebbe certo stato un nipote a cambiare le cose. Eppure...
Per altro alla nascita della secondogenita di Marc, Diane nel 1964, fa riscontro il rientro di Boule nella famiglia Simenon. Va infatti a stare a casa di Marc e Francette dove si prende cura dei bambini.
Boule è stata una delle donne importanti nella vita di Simenon, ma l'ingresso nella vita dello scrittore di Teresa creò un conflitto tale tra le due, che spinse la sua femme de chambre e maitresse per quasi trent'anni ad andarsene. Insomma forse si erano formate due famiglie Simenon? Una con Tigy, il primogenito Marc con moglie e due figli più la Boule. L'altra con Georges, Denyse (per il poco che rimase), Teresa (che diverrà la sua nuova compagna) e gli altri tre figli Johnny, Marie-Jo e Pierre-Nicolas. La prima era il passato, una vita lontana, la seconda rappresentava il presente, l'oggi di Simenon. Ma forse anche questa è un'altra teoria che spiega solo un aspetto del problema. Il titolo di questo post avrebbe potuto essere: Simenon. L'uomo che non voleva essere nonno. Ma forse sarebbe stata una forzatura su una situazione che in realtà non è stata mai chiarita.
venerdì 2 dicembre 2011
SIMENON, DESTINO, LEGGE E GIUSTIZIA
"...Credo che non esistano dei colpevoli. L'uomo è un essere talamente poco attrezzato per affrontare la vita che parlare di una sua colpa è quasi farne un superuomo. Come può essere colpevole? Io ce l'ho molto di più con con capo di stato che sacrifica tutto per la sua piccola gloria, più di quanto non ce l'abbia con un clochard sotto un ponte che, alla prima occasione, ruba un portafoglio... mio Dio, è assolutamente naturale... come non ce l'ho con un malvivente di Marsiglia... o con i còrsi arrivati a Parigi. Tutta questa gente non può scegliere, conduce la vita che inevitabilmente la Società ha imposto loro fin dalla nascita..."
Chi parla è Simenon. Chi stuzzica questo suo nervo scoperto è Francis Lacassin in una delle sue numerose interviste allo scrittore.
Come abbiamo avuto occasione di ripetere più volte, Simenon non si faceva scappare occasione per ribadire la sua convinzione che la vita di certi uomini fosse quasi predestinata. E qui si parla di clochard, diseredati, dei rietti della società. Ma questa sua convinzione tocca anche individui più fortunati e ben più su nella scala sociale. Ad esempio parlando dei Maigret e più in generale della macchina della giustizia, lo scrittore ricorda ".... i suoi (di Maigret) scontri con certi giudici istruttori, mondani e venerabili che a quel tempo erano reclutati nella classe borghese, e che iniziavano il loro lavoro senza conoscere nulla degli uomini, facendo leva unicamente sui precetti borghesi che erano stati loro inculcati. E allora, che tipo di giustizia volete che tutto questo produca?...".
E qui Simenon, oltre a ribadire che anche personaggi come i giudici procedono su dei binari predeterminati, introduce un'altro concetto: si può esercitare la giustizia senza conoscere a fondo gli uomini, il loro retroterra, le motivazioni dei loro comportamenti e, come conseguenza di quanto detto prima, a quel punto è giustizia incolpare e condannare un uomo che non aveva, secondo lo scrittore, altra scelta?
Ma qui entriamo in una problematica su cui la filosofia, la sociologia, la psicologia e la letteratura si interrogano da secoli: l'uomo è un essere predestinato o ha il potere sovvertire i condizionamenti cui, da quando, nasce viene sottoposto? Sull'argomento sono stati scritti un numero sterminato di libri, sono state formulate talmente tante teorie da nomi di tale livello, che non saremo certo noi, in queste poche righe ad aggiungere nemmeno qualche parola in merito.
Approfondiamo invece quello che Simenon pensava in proposito, che poi è racchiuso, se vogliamo banalizzare, in quel soprannome affibbiato al commissario Maigret, "l'accomodatore di destini".
E in merito ai cosiddetti delinquenti sottolinea "... per loro la delinquenza è assolutamente naturale, vi sono nati e cresciuti.... quando all'età di nove o unidici anni, sulla strada, già ricevono delle coltellate, cosa pretendete che diventino? La delinquenza è del tutto naurale...".
Ma la critica di Simenon, dopo aver colpito i giudici, si estende dalla responsabilità del criminale alla punizione che poi la società organizza per quesi individui. E si scaglia contro metodi che ritiene ripugnanti. "...Oggi si fanno delle campagne contro gli animali in gabbia. E gli uomini in gabbia, allora? Perchè noi, ancora oggi, mettiano degli uomini in stanze non più grandi di una gabbia di un leone, a volte anche più piccola, e anche quella con delle sbarre. L'idea che si possa riservare un tale trattamento ad un essere umano mi rivolta, mi fa ribollire il sangue...".
Così Simenon alla fine degli anni sessanta.
Chi parla è Simenon. Chi stuzzica questo suo nervo scoperto è Francis Lacassin in una delle sue numerose interviste allo scrittore.
Come abbiamo avuto occasione di ripetere più volte, Simenon non si faceva scappare occasione per ribadire la sua convinzione che la vita di certi uomini fosse quasi predestinata. E qui si parla di clochard, diseredati, dei rietti della società. Ma questa sua convinzione tocca anche individui più fortunati e ben più su nella scala sociale. Ad esempio parlando dei Maigret e più in generale della macchina della giustizia, lo scrittore ricorda ".... i suoi (di Maigret) scontri con certi giudici istruttori, mondani e venerabili che a quel tempo erano reclutati nella classe borghese, e che iniziavano il loro lavoro senza conoscere nulla degli uomini, facendo leva unicamente sui precetti borghesi che erano stati loro inculcati. E allora, che tipo di giustizia volete che tutto questo produca?...".
E qui Simenon, oltre a ribadire che anche personaggi come i giudici procedono su dei binari predeterminati, introduce un'altro concetto: si può esercitare la giustizia senza conoscere a fondo gli uomini, il loro retroterra, le motivazioni dei loro comportamenti e, come conseguenza di quanto detto prima, a quel punto è giustizia incolpare e condannare un uomo che non aveva, secondo lo scrittore, altra scelta?
Ma qui entriamo in una problematica su cui la filosofia, la sociologia, la psicologia e la letteratura si interrogano da secoli: l'uomo è un essere predestinato o ha il potere sovvertire i condizionamenti cui, da quando, nasce viene sottoposto? Sull'argomento sono stati scritti un numero sterminato di libri, sono state formulate talmente tante teorie da nomi di tale livello, che non saremo certo noi, in queste poche righe ad aggiungere nemmeno qualche parola in merito.
Approfondiamo invece quello che Simenon pensava in proposito, che poi è racchiuso, se vogliamo banalizzare, in quel soprannome affibbiato al commissario Maigret, "l'accomodatore di destini".
E in merito ai cosiddetti delinquenti sottolinea "... per loro la delinquenza è assolutamente naturale, vi sono nati e cresciuti.... quando all'età di nove o unidici anni, sulla strada, già ricevono delle coltellate, cosa pretendete che diventino? La delinquenza è del tutto naurale...".
Ma la critica di Simenon, dopo aver colpito i giudici, si estende dalla responsabilità del criminale alla punizione che poi la società organizza per quesi individui. E si scaglia contro metodi che ritiene ripugnanti. "...Oggi si fanno delle campagne contro gli animali in gabbia. E gli uomini in gabbia, allora? Perchè noi, ancora oggi, mettiano degli uomini in stanze non più grandi di una gabbia di un leone, a volte anche più piccola, e anche quella con delle sbarre. L'idea che si possa riservare un tale trattamento ad un essere umano mi rivolta, mi fa ribollire il sangue...".
Così Simenon alla fine degli anni sessanta.
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