lunedì 6 dicembre 2010

SIMENON: LE PAROLE PER DIRLO... ANZI PER SCRIVERLO

Poche. Lo sappiamo. Fin dai primi tempi, quando riuscì a farsi accettare la pubblicazione dei suoi racconti su Le Matin, quando Colette, che ne dirigeva la pagina letteraria, accettò i suoi scritti al momento in cui furono finalmente liberi dalla "letteratura", come diceva lei stessa. Questa assenza di letteratura va individuata, nella scrittura di Simenon, intanto nel contenuto numero di vocaboli che utilizzava. "Nello scrivere un romanzo uso circa duemila termini, non di più" questo asseriva ad esempio lo scrittore. Non abbiamo ovviamente mai fatto un riscontro aritmetico, ma  dai primi romanzi, agli ultimi, dai Magret ai non-Maigret, c'è, soprattutto nella versione originale, questa sensazione di continuità per l'asciuttezza e l'essenzialità. E questo non va a detrimento della creazione dei personaggi che sono a volte solo tratteggiati, ma nei punti essenziali, tali così da risultare, veri, completi e dotati di un notevole spessore anche piscologico. Lo stesso si può dire per le famose atmosfere simenoniane. Anche qui un ambiente, una certa aria, una mentalità o anche un contesto familiare, paesano o di quartiere, non richiedono mai lunghe descrizioni e troppe parole. Simenon evita sin dagli inizi, e poi diverrà un vero e proprio punto d'onore, le frasi stereotipate, le parole decorative, i modi di dire, tutto ciò che è consueto e consumato dal linguaggio scritto o parlato viene accuratamente scartato. Ed è proprio Simenon che lo racconta ancor meglio in un brano di Quand j'étais vieux. "Io odio talmente, o meglio, non mi danno alcuna fiducia, le parole d'autore, la frase che colpisce, l'idea lungamente maturata per la quale sono state cercate le parole più adeguate. Per una volta, in uno dei miei romanzi, mi sono lasciato andare e ho fatto passare una parola (e qui si ha proprio la sensazione dello sbarramento alle parole "proibite" durante la scrittura), una parola di questo tipo, niente affatto originale, ma non ho avuto il coraggio di eliminarla durante la revisione. Ho esitato.  Ci ho pensato anche a letto. Sono sceso per tagliare la famosa frase, ma ormai i testi erano partiti per l'editore  e io mi continuavo a tormentare ancora. Ma a quel punto che fare? Ben poco... Mi sono ripromesso di tagliarla quando riceverò le ultime bozze...". E poi c'è da considerare la velocità della scrittura. Se in sette-otto giorni riusciva a terminare un romanzo, il ritmo serrato con cui procedeva non gli permetteva certo lunghe pause per trovare parole ricercate e digressioni nella narrazione o perdite di tempo per imbellettare il testo. Quella che possiamo chiamare terminologia simenoniana era ormai così connaturata e automatica, che il romanziere non doveva pensare a come e cosa scrivere, lo sapeva già, l'aveva introiettato in milioni di righe scritte prima nei racconti, poi nei romanzi popolari, quindi nei Maigret ed infine nei romans-romans, o romans-dur.

domenica 5 dicembre 2010

SIMENON E L'UOMO NUDO

L'avrà detto centinaia di volte. "Cerco l'uomo nudo". Nel corso della sua carriera di scrittore e nelle centinaia  di suoi romanzi, Simenon è attratto dall'essenza dell'uomo, da quello che è dentro di lui, al di là dei condizionamenti sociali, della razza, dell'educazione, della maschera che ognuno si costruisce giorno dopo  giorno nella società, in famiglia o sul lavoro. La ricerca di quest'essenza universale era quello che lo guidava nella costruzione dei personaggi dei suoi romanzi. "Mi avvicino all'uomo, all'uomo nudo, l'uomo faccia a faccia con il suo destino, - spiega Simenon ne Le Romancier (1945) - che secondo me è la motivazione suprema del romanzo".In effetti, numerosi elementi che ritroviamo nella letteratura simenoniana riportano sì alle scelte individuali, ma anche alla lotta, a volte inutile, contro il destino (il famoso "passer la ligne"). Altre volte alla base dei romanzi ci sono delle confessioni, sotto forma di lettera, di memoriale, di diario, tutti mezzi tramite cui il protagonista si mette a nudo. Si spoglia di tutti i suoi orpelli e si offre così com'è realmente, almeno nelle intenzioni dello scrittore.
Simenon ribadì questo concetto in un'intervista al settimanale L'Express, alla fine degli anni '50, in cui spiegava "In letteratura troviamo il romanzo dell'uomo vestito e il romanzo dell'uomo nudo. I romanzi dell'uomo vestito sono quelli dei costumi, quelli dell'epoca in cui vive. Insomma è l'uomo nella sua società che somiglia quello che vorrebbe essere. E' soltanto da poco che ci si occupa dell'uomo del tutto nudo, vale a dire quasi del tutto al di fuori della vita sociale. Kafka, ad esempio, si occupa dell'uomo nudo..."

sabato 4 dicembre 2010

IL PENTAGONO SENTIMENTALE DI SIMENON

Georges e l'amore. O meglio Georges e le donne. Non saranno state diecimila le donne con cui aveva avuto rapporti, come raccontò a Federico Fellini, ma sicuramente lo scrittore aveva un non comune appetito sessuale. Come spiegava lui stesso, era un bisogno fisiolgico, fisico che nulla aveva a che fare con perversioni, stranezze o performance inconfessabili. Il suo era un sesso sano, fisico, senza coinvolgimenti mentali o amorosi... un bisogno fisiologico, appunto, ma semplice e naturale. Ci sono delle donne che invece hanno contato molto, per motivi diversi, in differenti periodi della sua vita. Ecco chi sono.1) Régine Rechon, detta Tigy, la sua prima moglie, madre di Marc. (1923-1950)
2) La Boule, la sua femme de chambre per quasi tutta la vita. (1924 - 1968)
3) Josephine Baker un sogno e forse un rimpianto per moltissimi anni. (1925-1927)
4) Denyse Ouimet la seconda moglie, madre di Jean, Marie-Jo e Pierre Nicolas. (1950-1965)
5) Teresa Sburelin, altra femme de chambre nel dopo-Denyse, sua compagna fino alla  morte (1965-1989)

• Tigy é belga come lui e ha tre anni di più. Con lui condivide i momenti difficili dei primi tempi a Parigi. Dipinge quadri e sopporta l'infatuazione di Georges per la Baker. Quel flirt durò così a lungo, era ufficioso anche se non ufficiale, una star famosa e pedinata dai mezzi d'informazione come Josephine non poteva certo nascondere del tutto quel rapporto. E Tigy non seppe? Finse di non sapere? Alla fine però vinse lei. Lui, ancora poco conosciuto, ebbe paura di diventare il signor Baker, il segretario della stella di grande successo e alla fine mollò. Lasciò La soubrette, lasciò Parigi e si mise in viaggio con Tigy.
Tigy era una sicurezza per lui. Lei abbandona quasi del tutto la pittura per dedicarsi a lui. Quando scoprirà (ma anche in questo caso sembra che già sapesse tutto) i tradimenti sessuali, i rapporti con la Boule e quello con Denyse chiederà il divorzio (1950). Ma in un modo o in un altro gli fu sempre vicina, anche, e soprattutto dopo la fine del secondo matrimonio, fece da zia, da nonna a nipoti e pronipoti di Georges, mantenendo in qualche modo unita la famiglia e recuperando con l'ex marito un rapporto solidale e protettivo, come si fosse trattato di un vecchio amico finalmente ritrovato.

• Josephine Baker, fu un sogno che bruciò un paio d'anni e che lasciò a Simenon segni indelebili per tutta la vita, come delle ustioni. La diva cui tutta Parigi guardava, aveva scelto lui, un giovane scrittore molto poco conosciuto, tra una folla di spasimanti composta da famosi protagonisti del cinema, ricchi imprenditori, nobili più o meno blasonati, potenti politici...Ma il prescelto da Josephine fu invece lui. Tra loro c'era un'intesa sessuale perfetta, travolgente, ma anche progetti concreti (ad esempio il "Josephine Baker's Magazine" di cui Simenon sarebbe stato il direttore). Ma il loro fu sempre un rapporto nascosto o seminanscosto, Simenon era sposato, anche se la moglie Tigy (lo testimoniano pure diverse fotografie) spesso era insieme a loro due, nella compagnia che tirava tardi nelle "boites" parigine, dopo gli spettacoli della Baker. Insomma sembravano fatti uno per l'altra. Simenon però alla fine la lasciò, più che per amore di Tigy, per amore verso sé stesso. La Baker gli faceva ombra, lo relegava in un angolo oscuro. Lui era uno scrittore alle prime armi, ma molto ambizioso e il suo obiettivo era quello di divenire un celebre romanziere. Un matrimonio con una stella così famosa e popolare, l'avrebbe tenuto sempre in secondo piano e sempre in una penombra che non si confaceva alle sue aspirazioni, che avrebbe rischiato di confinarlo nel ruolo di monsieur Baker e magari percepito dagli altri come una specie di segretario di Josephine. Gli costò, gli costò molto, ma alla fine prevalse la volontà di raggiungere i suoi obiettivi e il traguardo che si era prefisso: diventare uno scrittore celebre e celebrato.

• La Boule, questa ragazzotta di campagna che voleva fuggire dal suo piccolo villaggio, trovò nei coniugi Simenon la propria salvezza. Una volta a Parigi, diventò ben presto la responsabile della casa e poi venne considerata come una della famiglia. In più rientrò nell'harem di Simenon. Già. Facevano sesso e lo facevano tutti i giorni. Dopo pranzo, quando Georges andava a godersi la siesta pomeridiana, lei entrava silenziosamente in camera sua. Si infilava sotto le lenzuola e i due consumavano quell'amplesso senza parlare, senza fretta, ma senza smancerie. E questo andò avanti per anni ed anni. Come amava spiegare Simenon, era un sesso fisiologico. Un atto fisico, animalesco nell'accezione non spregiativa del termine: senza coinvolgimenti, conseguenze sentimentali o mentali, senza sensi di colpa. La Boule fu un elemento importantissimo per la vita di George, e anche in quella di Tigy. Lui, almeno almeno agli inizi le faceva addirittura leggere, come alla moglie, le sue novelle o gli incipit dei suoi romanzi. Se a lei non piacevano, li cambiava o addirittura buttava tutto. Durante i loro lunghi  viaggi, dall'Africa alla Scandinavia, i coniugi lasciavano a lei la responsabilità della casa. Li seguì nei dieci anni di soggiorno e spostamentii americani.
Restò anche quando ci fu il divorzio con Tigy. Lei rimase sempre nell'entourage della famiglia. Già, perchè negli accordi di divorzio tra Tigy e Georges, c'erano una serie di clausole. Simenon in cambio di alcune concessioni, pretese ed ottenne che la moglie con il figlio Marc lo seguissero in tutti i suoi spostamenti e s'impegnava ad assicurare loro un'abitazione vicina a quella sua e della seconda moglie Denyse. La Boule seguì Tigy e Marc.
Così, quando nel suo errare tra i vari luoghi degli Usa, Simenon si muoveva, oltre alla nuova moglie (e poi man mano agli altri figli che nacquero dalla seconda unione), si muovevano con lui la prima consorte, il figlio Marc e la Boule. Una carovana di sei-sette persone che costituivano la compagnia Simenon di cui la Boule era una sorta di angelo del focolare. Una volta tornato in Europa, e dopo vari spostamenti, Simenon si fece costruire un enorme villa ad Epalinges, nei pressi di Losanna. Lì arrivò una nuova femme de chambre, Teresa Sburelin. La sua presenza era incompatibile con quella della Boule, che decise di andare a vivere con la famiglia di Marc Simenon, il figlio di Tigy.

• Denyse Ouimet, canadese, all'apparenza algida, fredda, invece aveva una perfetta intesa sessuale con Georges, cosa che a lui era mancata quasi del tutto con Tigy. E d'altronde fu sesso e amore travolgente fin dal primo momento che si conobbero, quando Simenon, arrivato negli Usa (1945), stava selezionando una segretaria bilingue. Nonostante la sua educazione religiosa, la sua famiglia rigidamente cattolica e molto tradizionalista, Denyse si rivelò sul piano sessuale quello che Simenon aveva sempre desiderato. Questo non gli impedì tuttavia di continuare la sua ricerca quotidiana di rapporti extra-coniugali, dei quali sembra Denyse fosse a conoscenza e che in qualche modo sembrava aver accettato come una delle  inevitabili conseguenze di essere divenuta la signora Simenon, un nome ormai famoso e conosciuto in tutto il mondo.
Il travolgente inizio di questo matrimonio non ebbe un buon epilogo. Denyse negli anni successivi finì per cadere vittima dell'alcolismo, iniziò a soffrire di attacchi depressione o di sovraeccitazione e di crisi nervose. Simenon in un primo momento cercò di esserle vicino, la fece curare spesso, sempre in cliniche e istituti di recupero di prim'ordine. Ma la situazione si aggravava e la coesistenza diventava difficile, per di più caratterizzata da litigi ed alterchi a volta anche violenti. Denyse fu poi protagonista di un fatto poco chiaro, ma molto discusso. Sembra che, in uno dei suoi periodi particolarmente difficile, avesse avuto dei rapporti incestuosi con la loro figlia Marie-Jo.  Insomma le cose tra lei e Georges peggiorarono sempre più, anche per la sua inopportuna invadenza nelle questioni di lavoro di Simenon, che crearono diversi problemi allo scrittore. Ormai tra i due era odio aperto, finchè un'equipe di specialisti che la seguiva, decise che non avrebbe potuto continuare a vivere in famiglia e decise di sistemarla in una casa di cura. Era il 1965 quando lei lasciò per l'ultima volta la villa di Epalinges. Simenon da un parte si sentì sollevato da un incubo, dall'altra parte si sentiva schiacciato dal fallimento di non aver saputo costruire una famiglia normale.

• Teresa Sburelin, ventitreenne, era entrata in casa Simenon nel '61, quando ancora Denyse e Georges stavano insieme. Era stato Arnoldo Mondadori, storico editore italiano dello scrittore, a proporla alla stessa Denyse. Teresa era italiana, veniva dal Veneto e Mondadori la consigliava caldamente. Il suo arrivo provocò, come abbiamo detto, la partenza della Boule. E la storia con Simenon iniziò proprio come quella della Boule: un giorno mentre Teresa stava sbrigando le faccende casalinghe, Georges la prese e la possedette, fu l'inizio di un lungo rapporto che stavolta non fu solo sessuale, ma come affermò Simenon "... La nostra é una storia completa e totale... tenerezza, passione, sesso... Siamo una vera coppia...". Non va dimenticato che all'indomani della divisione da Denyse, Simenon depresso e infelice cercò di suicidarsi, e fu Tersa a salvarlo. Come pure lo salvò quando Georges ebbe un'incidente nel bagno della villa d'Epalinges e fu lei a sentire le sue richieste d'aiuto e a soccorerlo. Lei gli fu vicino nei momenti peggiori, quando fu operato di tumore al cervello, e nel suo declino fino alla morte

venerdì 3 dicembre 2010

SIMENON: GLI EROI POLIZIESCHI PRIMA DI MAIGRET

Ben prima anche solo di pensare a Maigret, Simenon aveva iniziato nel 1926, durante la fase della letteratura alimentare (definizione data da lui stesso), cioé quella dei romanzi popolari che gli davano da mangiare, a pubblicare storie di ambientazione poliziesca. Protogonisti erano dei personaggi che raramente facevano presagire i tratti del commissario Maigret. Appunto nel '26 apparve, per i tipi di Frenczi, Nox l'insaisissable, (scritto come Christian Brulls) più un racconto lungo che un romanzo (32 pagine), dove ci si propone Anselme Torres, un ex-poliziotto diventato un simpatico bandito-gentiluomo, che ha come evidente ispirazione l'Arsène Lupin di Maurice LeBlanc. Verrano poi Mademoiselle X (1928), un personaggio femminile e misterioso: "détective, bandit, ou ange gardien?", dove fa capolino un personaggio che ritroveremo nella serie dei Maigret, il giudice Comelieu, che qui conduce le indagini. Poi l'ispettore Georges Aubier in Une femme a tué (1929) che vuole risolvere l'enigma con formule matematiche. Sempre nel 1929 troviamo un agente de la Sureté, Gerard Moniquette, che procede con delle indagini psicologiche ne La femme en deuil. E l'esotismo, presente molto spesso nella letteratura popolare del tempo, fa creare a Simenon nel 1930 sia il russo Serge Polovzef, un ubricone con stile, in Les Chinois de San Francisco, che l'ispettore di New York, Jackson in Destinéès.Siamo come anno di pubblicazione vicinissimi a Maigret, ma tutti questi personaggi non hanno praticamente nulla dei caratteri del prossimo celebre commissario di 36 Quais des Orfévres. Questo é anche dovuto al fatto che si tratta di spesso di storie pubblicate almeno un anno dopo la loro scrittura e talvolta addirittura tre anni dopo. Ma l'elenco non è terminato. Va citato l'investigatore privato Jopseph Leborgne (1929) nella raccolta Les Treizes Mistères pubblicata prima dal settimanale Dètective e poi da Fayard in un volume nel '32, il giudice Froget in Les Treizes Coupables del '29 e l'ispettore Tabaret in Deuxième Bureau nel '33.
Ma altri personaggi della prossima serie dei Maigret s'incontrano in coppia in L'inconnue (1930), il commissario Torrence e il brigardiere Lucas (li ritroveremo poi entrambe ispettori). Ma nel 1928 appare in Chair de beauté, Yves Jarry, il personaggio che sarà protagonista di ben quattro romanzi polizieschi, un seducente investigatore in proprio, bello, colto, ma anche agile e atletico, di buone maniere e con un'idea della giustizia tutta particolare. Ma Jarry viene sostituito da... un certo Maigret, anche se non siamo ancora a quello giusto. Infatti nella Fiancè aux mains de glace (Fayard 1929), c'è già qualcosa del prossimo commissario, anche se il miracolo dell'ispettore più famoso del mondo ancora non si è compiuto.

domenica 28 novembre 2010

SIMENON E IL NOBEL... SEMPRE A UN PASSO

Fin da 1937 si faceva il nome di Simenon, come uno dei possibili candidati al premio Nobel per la Letteratura. Ma allora lo scrittore era ancora molto giovane, aveva trentaquattro anni e persino lui stesso, nonostante il suo nome fosse apparso in più di un'indiscrezione riportata dai giornali, era cosciente che in quel momento fosse un evento ancora prematuro. Una sua frase chiariva inequivocabilmente il suo pensiero a proprosito. "Pubblicherò il mio primo vero romanzo a quarant'anni e a quarantacinque avrò il premio Nobel...". Insomma lo scrittore si dava dieci anni per arrivare a questo prestigioso traguardo.Quando iniziò a pubblicare con Gallimard, credette che in qualche modo, l'editore, grazie anche alle sue conoscenze con i membri del comitato, potesse aiutarlo. E in effetti di ritorno dal viaggio a Stoccolma per accompagnare un suo autore Roger Martin du Garde, premiato nel 1937, Gallimerd rivelò a Simenon che al comitato svedese gli avevano fatto il suo nome. Da lì partì una strategia per portare il romanziere a quel traguardo, non trascurando nulla. Addirittura, per volere di Gallimard stesso, le copertine dei suoi romanzi iniziarono a somigliare a quelle di Paul Valéry e di André Gide. Fu invece quest'ultimo, proprio nell'anno a suo tempo indicato da Simenon il 1947, ad aggiudicarsi il riconoscimento.  Nel 1951 fu orchestrata una vera e propria campagna stampa che dava il nome di Simenon tra i più favoriti. E lui stesso, che in pubblico aveva sempre ostentato un certo disinteresse per il premio arrivando addirittura a dire che lo avrebbe rifiutato, dichiarava in confidenza che sarebbe stato davvero contento di ricevere il premio Nobel, anche perché era la sola onorificenza cui da sempre attribuiva un qualche valore. Insomma il 1951 sembrava l'anno giusto, anche perchè il Belgio lo appoggiava ufficialmente. Ma niente da fare, quell'anno l'accademia scelse un letterato svedese, Fabian Lagerkvist.  E ancora la storia si ripetè nel 1957. Stavolta era dato come favorito e sembrava fosse davvero il suo turno. Simenon si era così pronunciato "Se avrò il premio, Maigret diverrà commissario generale!". Ma Maigret rimase commissario divisionario, Simenon non ebbe il Nobel che fu assegnato ad Albert Camus. La botta fu forte e Simenon ci mise un bel po' ad inghiottire quel rospo. Ma ancora nel 1960 si torna a parlare di Nobel a Simenon il quale però ormai non ci sta più a quel gioco e dichiara "Qualche anno fa' il Nobel mi avrebbe fatto piacere. Ora non sono più sicuro che l'accetterei". E con questo mise fine, anche se con non pochi rimpianti, ad ogni aspettativa e a qualsiasi speranza.

SIMENON, L'APICE DEL SUCCESSO E LA CRITICA MONDIALE

Possiamo individuare il periodo migliore per il Simenon scrittore tra la metà degli anni '50 e quella dei '60, quello europeo, dopo il suo ritorno dall'America. Il mondo della cultura e della stampa parlano spesso di lui e quasi sempre in toni lusinghieri. Gli vengono dedicati i primi studi come quello di Bernard de Fallois (Simenon -1961), oppure quello di Anne Richter (Georges Simenon et l'homme désintégré - 1964). E anche la stampa è attenta allo scrittore e troviamo recensioni molto positive nel '57 su Le Figaro per Le petit homme d'Arkhanglesh ("Un grande Simenon") o su Les Nouvelles litteéraires nel '58 per Le président (articolo di Robert Kamp). Nel frattempo la traduzione inglese di Pedigree, che è diventata un best-seller, é molto ben censita dal London New Daily (1962). Anche nei giudizi più personali Simenon non può lamentarsi. Marcel Achard dell'Académie Francaise gli confessa in un lettera di "essere appena uscito dalla cura annuale di Simenon durata dieci giorni". Jean Renoir nel '63 loda Les anneaux de Bicetre e Pedigree, manifestando l'intenzione di scriverci sopra un saggio. Il primo dei due romanzi viene fatto oggetto di una buona recensione da Le Monde (1963) ed è preceduto da un saggio sulla posizione di Simenon nella letteratura contemporanea.Anche Francois Mauriac (Le Figaro littéraire- 1963), riferendosi a Les anneux de Bicetre, afferma che "...l'agnostico Simenon predica meglio di tante opere religiose...". In Germania è il Tagspiegel (Berlino -1964)   a riconoscergli una tale padronanza della prosa moderna, da riuscire ad afferrarne anche il potenziale epico. Per il supplemento letterario del Times (Londra -1963) Simenon ha una capacità insuperata nel descrivere il dolore e la malattia. Dall'altra sponda dell'Atlantico, la musica è la stessa. Si va dal New York Times (1964) che include Les anneaux de Bicetre tra i libri che si devono assolutamente leggere e il Washington Post 1964) che ricorda come normalmente gli autori facciano un exploit con un'opera di un certo valore e poi si tengano su livelli più bassi, quando non commerciali. Simenon è l'esatto contrario. E' partito dalle novelle e dai racconti popolari, è passato poi ai Maigret e quindi è approdato alla letteratura, quella con la "L" maiuscola. E ancora, sempre negli Usa l'Atlantic Monthly  (1964) scrive entusiasticamente de Les anneaux de Bicetre, ma raccomanda ai lettori di non dimenticare i Maigret.

sabato 27 novembre 2010

JEAN COCTEAU: SIMENON IL PRINCIPE DELL'AMICIZIA SENZA OMBRA E SENZA MACCHIA

Cocteau è uno dei simboli della cultura francese del '900. Poeta, drammaturgo, ma anche sceneggiatore e addirittura attore, assiduo frequentatore di quella compagnia che ai primi del '900  si poteva incontrare a Parigi, composta tra gli altri da Guillaume Apollinaire, Roland Garros, Max Jacob, Pablo Picasso, Erik Satie, Amedeo Modigliani... insomma la "crème de la crème" dell'arte e della cultura. Cocteau e Simenon pur essendo molto diversi erano comunque amici e qui di seguito lo stesso Cocteau spiega il perchè, tratteggiando anche un sintetico ritratto del romanziere."Di solito scegliendo gli amici, si cercano complici o comparse, persone che abbiano le nostre stesse qualità e esperienze, così che l'affinità renda i rapporti immediati e facili.
Ora non riesco ad immaginare persona più lontana di me da Simenon, di Simenon da me: il nostro unico punto di contatto é il fatto di essere entrambi membri dell'Accademia Reale del Belgio, per il resto lavoriamo in settori, addirittura in regni, senza alcun legame, anche se lui giura che Les Enfantes Terribles è un romanzo poliziesco.
Da dove viene, allora, l'amicizia fraterna che ci lega? Ve lo dirò - continua Cocteau -  questa amicizia è monda da qualsiasi segreta intesa, perché nasce da un organo anti-intellettuale, un organo che non pensa o per lo meno attraverso il quale pensano solo alcune rarissime persone: il cuore.
Ci vogliamo bene con la pelle dell'anima, cuore a cuore, senz'altro motivo che l'enigma posto e risolto dall'amicizia. Farei qualsiasi cosa per essergli utile, e so che lui farebbe qualunque cosa per farmi piacere. Ho visto sua moglie uscire piangendo dalla proiezione del mio film Le testament d'Orphée (di cui Cocteau curò anche la regia nel 1960): piangeva perché nel film io ero vittima di una falsa morte.
Romanziere dei complessi, delle inquietudini, dei misteri, delle anime viscide e sinistre, Simenon é il principe dell'amicizia senza ombra e senza macchia".

venerdì 26 novembre 2010

PARIS, LA GARE DU NORD ALLE SEI DI MATTINA... PER MAIGRET E PER SIMENON

"La Gare du Nord è uno dei posti meno accoglienti del mondo. Questo pensò il commissario Maigret, quando scese alle sei e un quarto dal treno. Era ancora stordito dal viaggio e faticava a prendere il ritmo. La gente intorno a lui, invece, correva decisa in varie direzioni, spesso spingendolo senza nemmeno chiedere scusa. Un passante urtò la sua valigia che gli cadde su un piede. Ognuno correva cieco verso la sua meta senza badare a quello che gli succedeva intorno. Cercò un bar per un caffé, ma molti erano chiusi e i pochi aperti erano assaliti da una folla vociante che faceva la fila. Cercò invano un taxi. Alla fine prese la metropolitana. Era ancora presto e decise di passare a casa prima di andare a Quai des Orfèvres. Arrivando a Boulvard Richard Lenoir finalmente si sentì confortato. Cercò di immaginare l'impressione che la Gare du Nord aveva fatto al giovane Simenon. Un impatto brutale di sicuro. Una grande stazione inospitale, fredda, specchio fedele dell'indifferenza della metropoli, ancor più deludente per un giovane speranzoso, arrivato da una città di provincia, senza casa, senza conoscenze." (da Maigret e il caso Simenon -1994).

giovedì 25 novembre 2010

SIMENON, IL PASSAGGIO DELLA LINEA


 
La copertina de "Le passage de la ligne" scritto da Simenon nel 1958
Nella vita di un uomo esiste una linea al di qua della quale c'é o il benessere, o la giustizia o anche il bene e al di là invece c'é la la disgrazia, la sfortuna, il male. Questo credeva fermamente Simenon e nei suoi romanzi questo tema è abbondantemente trattato e dà addirittura il titolo ad uno dei suoi romanzi Le passage de la ligne (1958). Si può passare da una vita agiata, tranquilla onesta ad una malavitosa, pericolosa o dall'esito infausto. Oppure provenire da un'esistenza di disgrazie, stenti, segnata dalla malasorte ed approdare in un nuovo mondo dove tutto va per il verso giusto, dove si vive dignitosamente, dove si godono soddisfazioni. Tutto consiste nel dove si è collocati rispetto a quella linea. Il fatto di essere di qua o di là, non sempre dipende dall'individuo, il destino fa la sua parte, a volte inesorabile, nel bene e nel male. Altre volte è invece l'individuo che compie un gesto, fà una scelta, decide per un cosa invece che per l'altra ed ecco varcata la linea.Simenon temeva questo passaggio della linea, anche quando ormai era ricco e famoso  temeva che un gesto, il destino, una scelta potessero farlo piombare nella povertà e nell'oblìo. E a questo pensava ad esempio quando, dopo la seconda guerra mondiale, si nascondeva perchè il comitato di Liberazione Nazionale francese l'aveva accusato di collaborazionismo. Oppure quando arrivato a Parigi faceva la fame e non riusciva a pubblicare nemmeno un racconto breve. O anche quando morì il padre Désiré, che per lui era al di sopra di tutto (visto anche il più che conflittuale rapporto con la madre), e per il diciottenne ragazzo di Liegi nulla poté più essere come prima.
Insomma come scrisse lui stesso in uno dei suoi romanzi autobiografici, Il figlio (1957), "Per ognuno viene il momento in cui si trova davanti alla necessità di decidere il proprio desstino, di fare il passo decisivo, dal quale non potrà mai più tornare indietro. Questo a me capitò a vent'anni". Si trattava del suo arrivo a Parigi nella notte de 22 dicembre 1922, quando, lasciatosi dietro una famiglia, un posto da giornalista e una fidanzata, iniziava la sua avventura nella letteratura.

mercoledì 24 novembre 2010

PETRONIO: CON MAIGRET SIMENON CAMBIA LE REGOLE DEL GIOCO

Petronio. Sì, il professor Giuseppe Petronio, uno dei più riconosciuti critici e storici letterari italiani del secolo scorso, all'indomani della morte di Simenon (7/09/1989) scrive un articolo per L'Unità in cui non solo ricorda le qualità e il livello letterario (e cita ad esempio gli avalli di Bernanos e di Gide che anteponeva La vedova Couderec a L' Etranger di Camus), ma analizza anche quella che non pochi definirono la sua letteratura minore, cioè i Maigret.E in merito Petronio scrive "Con i Maigret Simenon rivoluziona insieme a Chandler il romanzo poliziesco; diventa famoso come pochi; guadagna come pochissimi; é imitato ovunque: già nel'36 si parla in Italia di un poliziesco francese alla Simenon contrapposto a quello americano alla Wallace o inglese alla Doyle".
Pochi, credo, immaginassero che più di vent'anni fa' l'autorevole storico letterario si occupasse di romanzi di genere ed esaminasse anche la singolare tecnica investgativa di Maigret.
"Con i Maigret, Simenon, apre una nuova fase del giallo; al poliziesco classico, all'aglosassone (quello asettico, scientifico, partita a scacchi) sostituisce quello novecentesco, con un poliziotto professionista e piccolo borghese che più di così non si potrebbe, con personaggi umani, con un mondo che sa di alcool e di tabacco, di  miseria e di vizio; un mondo  - continua il professore Petronio - che i procuratori della repubblica non capiscono, perchè lo ignorano, ma che Maigret capisce perché gli si accosta umanamente".
Ecco l'apprezzamento di un critico di sinistra per uno scrittore che può essere definito conservatore, ma attento all'uomo, alle sue debolezze ai suoi lati meno edificanti.  Ma Petronio va oltre.
"La struttura del giallo ne esce sconvolta e, la conclusione del libro, la detection, è affidata non più a qualità logiche (all'induzione o all'abduzione che sia), ma ad altro: alla comprensione umana, alla capacità di Maigret di immedesimarsi tanto con un uomo, un gruppo di uomini, un ambiente, da riuscire a vederli con gli occhi dell'animo più che quelli del corpo o della mente. Era una svolta che già negli ultimi anni Venti si era venuta preparando - continua il Petronio  - ma è Simenon, con Hammett e Chandler negli Stati Uniti, a compiere il salto, cioè a mettere il poliziesco in sintonia con il mondo contemporaneo: con la sua nuova realtà sociale , la sua nuova cultura, il suo nuovo sentire...".
Insomma un bella rivalutazione e da una voce autorevole del romanzo di genere, tanto che Petronio parla addirittura di "...passo in avanti verso la letteralizzazione del poliziesco (verso quella commistione tra romanzo poliziesco e romanzo d'arte) che è uno dei fatti più notevoli e interessanti della letteratura recente: un fatto, ne sono convinto, senza cui questa letteratura non si capisce".