martedì 12 aprile 2011

SIMENON. SODDISFAZIONI MADE IN USA

La permanenza decennale di Simenon negli Stati Uniti, oltre a dargli spunti per continuare a ritmo serrato la sua produzione di romanzi e di Maigret, gli regalò più di una soddisfazione.
Possiamo iniziare dal paragone fatto dal Dashiell Hammett  sul Los Angeles Times a proposito del suo La neige était sale (1948) : "...perché é intelligente (Simenon). Per certi versi mi fa pensare a Edgard Poe...". Ottobre 1949, Little Brown, l'editore dell'Ellery Queen's Magazine, gli assegna il primo premio per il racconto poliziesco. Per Simenon è una graticazione notevole, anche per non era  in lizza, e quindi totalemtne inaspettto, una sorta di riconsocimento alla sua letteratura di genere.
Nel 1952 viene accolto dalla Accademy of arts and Letters e successivamente nominato addirittura Presidente della Mystery Writers of America. Questo conferma quello che scrisse il giornalista Brendam Gill nel ritratto di Simenon sul New Yorker:"...E' amato da quelli che cercano verità estreme, e non da quelli immobili in una normalità destabilizzante. E' preferito dagli intellettuali, ma i lettori dei tascabili nutrono nei suoi confronti la medesima considerazione che hanno per Spillane o Caldwell...".
Interviste e commenti lusinghieri escono anche sul New York Times, sul Saturday Review, su Life e su Look. Insomma l'europeo Siemenon colpisce e conquista l'America colta che con le sue attenzioni lo coccola. E per lo scrittore è importante, molto importante, almeno a stare a quello che aveva scritto in Problèmes du roman nel 1943 "...gli americani, che sono forse i più autentici romanzieri di questo periodo..."

lunedì 11 aprile 2011

SIMENON VA AL CINEMA. SUBITO.

I romanzi di Simenon, si sa, sono risultati assai adeguati al linguaggio cinematografico, oltre che molto telegenici. Ad oggi sono oltre sessanta film in vari paesi i cui soggetti sono tratti dai suoi romanzi e dai Maigret .
L'avventura nel cinema iniziò molto presto e con l'ingresso dalla porta principale, visto che il regista si chiamava Jean Renoir. Era il 1932 il film La nuit de Carrefour tratto dall'omonima inchiesta di Maigret. Quello che stupisce è la velocità di realizzazione tipica delle creazioni che riguardano Simenon. Il libro lo scrisse nell'aprile del 1931. Fayard glielo pubblicò nel luglio dello stesso anno. Il film debuttò nelle sale nell'aprile del 1932. Nemmeno nove mesi dopo l'uscita del libro e appena ad un anno dalla fine della sua scrittura. Insomma sempre lo stesso ritmo infernale della macchina Simenon.
Infatti, stesso anno, il 2 luglio, esce Le chien jaune, stavolta diretto da Jean Tarride, scritto invece nel marzo del '31, pubblicato il mese sucessivo. La catena di montaggio tiene sempre lo stesso ritmo. Per il terzo occorre aspettare ben sette mesi. Febbraio 1933, La tête d'un homme, altro nome di spicco alla regia, Julien Duvivier, uscito però con "calma", quasi tre anni dopo essere stato scritto e quasi due dopo la sua pubblicazione. Ma come avrebbero detto i giovani francesi di qulache decennio fa', ce n'est qu'un debut....
Il cinema lo affascinava, però l'opinione sull'ambiente di Simenon era piuttosto severa. Così il set.
"...Una folla fatta di gente che nella vita fà il rigattiere, lo scroccone, il banchiere o di brava gente che si agita, correndosi incontro, discutendo e affaccendandosi intorno ad un libro, che trasformeranno in soggetto, poi in sceneggiatura e quindi (ma non sempre) in un film... - racconta lo scrittore in un articolo del '32 - E poi un'altro tipo di persone, di cui nessuno conosce il mestiere, che legge, cancella, consiglia, stabilisce dei dialoghi, taglia scene e personaggi...". E infatti dopo questo terzo film occorrerà aspettare dieci anni per veder proiettata un pellicola tratta da un suo romanzo (La maison des sept jeunes filles - Albert Valentin - 1942).
"Io firmo un minimo di cinque contratti a settimana. Cinque produttori, in dieci giorni si battono per avere i diritti de La Chambre blue, un romanzo di cui si è parlato troppo poco - rispondeva Simenon in un'intervista del 1981 - Altri quattro si disputano Le fantome du chapelier che deve essere realizzato da Chabrol con Aznavour...."  E' fin troppo evidente che la storia di Simenone e il cinema è troppa lunga e complessa per ridurla in un post. Ci torneremo sopra, magari con altri post o magari come abbiamo fatto per Maigret, dedicandogli uno speciale per tutta una settimana. Seguiteci.
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domenica 10 aprile 2011

SIMENON FA IL CASTELLANO

La Richardière
1931. Maigret è lanciato. Simenon è uno scrittore non ancora famosissimo, ma certamente affermato. Ormai alle spalle da un po' di anni la storia con Josephine Baker e il menage coniugale con Tigy, la sua prima moglie, e con Boule la sua femme de chambre e amante si è stabilizzato. Continua scrivere la serie di Maigret, ha finito il suo primo roman dur, Le rèlais d'Alsace (1931) e decide di lasciare Parigi, anche se non vende la casa di Place des Vosges. La sua abitazione sarà La Richardière, una residenza di campagna di nobili, costruita nel XVI secolo su una stradina che va da Marsilly a Nieul, vicino a La Rochelle. Qui Simenon sembra trovare la sua dimensione ideale, scrive, gioca a fare il gentelmen-farmer (anche se dalle testimonianze dei locali è chiaro che si capiva subito che era un cittadino) e si gode l'atmosfera provinciale.
Una costruzione, solida, come piacevano a Simenon, con un torretta, un cortile interno e tanto spazio, anche per il suo studio e per l'atelier di Tigy, che ancora dipingeva.
"Una cosa mi attraeva molto de La Rochelle - racconta Simenon -  come d'altronde ho scritto in molti miei romanzi. Ho trovato nella regione de La Rochelle, soprattutto verso il nord, esattamente la stessa luminosità dell'Olanda, una luminosità del cielo alla Vermeer. Una luminosità eccezionale".
Chateau de Terre-Neuve Simenon e il figlio Marc





Parliamo di La Richardière e della regione de La Rochelle perchè si tratta di una zona importante nella geografia simenoniana. Sia per quanto riguarda la sua vita (ci passò una decina d'anni), ma nche perché la ritroviamo nei suoi scritti, insomma un periodo, quello dell'anteguerra, fondamentale anche per lo scrittore. A La Richiardière compilò undici romanzi tra il '32 e il '33 e due Maigret e poi in quell'anno entrò in Gallimard. Nel '38 si spostò lì vicino, a Nieul-sur-mer, e poi nel '40, all'inizio della guerra, al castello Terre-Neuve di Fontenay-le-Comte. Qui gli inquilini erano aumentati perché nel frattempo (1939) era nato Marc il suo primogenito. E' un vero imponente castello rinascimentale, con statue colonne e, anche se in era affitto, Simenon si sentiva un vero castellano. In questi anni vanno ricordati, tra gli altri, romanzi di primissimo livello come Le bourgomestre de Fournes (1938), Les Inconnus dans la maison (1939), La veuve Couderec (1940), La fenêtre des Rouet (1942), per non parlare degli otto Maigret.

sabato 9 aprile 2011

SIMENON. PIOVONO LE CRITICHE

Non tutto è sempre stato facile per Simenon. Soprattutto all'inizio quando la sua fama nella letteratura popolare  lo condizionava pesantemente sulla produzione dei Maigret, i cui più accaniti critici ritenevano fosse un polar che non rispettava le regole del genere e che sarebbe risultato poco gradito a chi cercava quel tipo di letteratura.Poi quando il successo della serie delle inchieste del commissario fu palpabile ed indiscutibile, e Simenon prese a scrivere quelli che lui chiamava romans durs, gli veniva consigliato più o meno sarcasticamente di tornare alla letteratura poliziesca, perché quella del romanzo non era davvero la sua strada.
Ma ci voleva ben altro per smontare Simenon, che aveva convinto Fayard a pubblicare i Maigret anche se l'editore era convinto che ci avrebbe rimesso un bel po' di soldi.
Robert Brasillach nel '32 su L'Action Francaise commentava: "Più attento , liberato dal suo pubblico, dalle sue strutture che era obbligato a utilizzare, se monsieur Simenon scrivesse meno velocemente, chissà se ci regalerebbe un giorno un romanzo che ci sorprenderebbe?.... Semmai monsieur Simenon acquisisse la cultura letteraria che gli manca, siamo sicuri che non potremmo attenderci qualcosa da lui?..."
Non passano due anni che dal 'piano' Fayard Simenon sale diversi gradini ed entra dalla porta principale alla maison Gallimard, accompagnato nientemeno che da André Gide. Ma le critiche sono anche di ordine... economico. Infatti il patron Arthéme Gallimard gli rimprovera: "...E' certo che l'aver abbandonato da parte vostra il genere poliziesco (Maigret) ha diminuito, come era facile prevedere, la vendita dei vostri libri...".
Anche l'uscita di titoli importanti come "Il testamento Donadieu" (1937) suscita delle critiche. Su Le Figaro André Rousseax scriveva:"...La frittata alla cipolla ha fatto carriera. Il piccolo bistrò diventa così un ristorante alla moda... E' un 'capolavoro' grezzo, una specie di 'capolavoro' sospeso. Così si scopre l'oro in certe sabbie. Occorre soltanto sapere se l'oro potrà essere mai estratto un giorno da queste sabbie..."
Ancora nel '38 altre rampogne economiche, gliele rivolge ancora Gallimard: "...Pensate che se faccio un bilancio del Simenon alla NFR, devo constatare che vi ho versato a tutt'oggi 500.000 franchi di diritti, non ammortizzati dalle vendite, e che i costi industriali rappresentano altri 400.000 franchi e che così arrivo ad un deficit totale di circa un milione...".
E anche nel '45, quando è negli Stati Uniti, arrivano staffilate come quelle  di Andrè Billy su La Bataille:" Su cosa scherza Simenon? Cosa lo autorizza a proferire sciocchezze così gravi? Il romanzo classico dopo di lui, sarebbe il romanzo-crisi, e il romanzo-crisi starebbe al romanzo, come la drammaturgia di Shakespeare sta al teatro?...".
Ma nemmeno questo spaventa Simenon che risponde a tutti: "Io sono un romanziere. E resterò un romanziere. Ho lasciato i reportage e le pubblicazioni delle mie opere sui giornali, perchè tengo prima di tutto alla mia completa indipendenza... Venderò le mie opere quando vorrò, al prezzo che riterrò equo, perché solo io sono responsabile della mia reputazione...".
E, come è noto, alla fine ebbe ragione lui, sui critici e sugli editori.

venerdì 8 aprile 2011

SIMENON. DA POLICE MAGAZINE A DÉTECTIVE

Lo abbiamo già detto, spesso negli anni '30 i romanzi di Simenon uscivano in anteprima in "feuilletton". Cioè a puntate sui giornali, prima che rilegati in un libro. Questo può sembrarci strano oggi, ma non lo era certo per quei tempi, anzi si trattava di una prassi ben consolidata. Dalla letteratura russa a quella francese non c'erano quasi eccezioni. Qui però vogliamo puntare l'attenzione su un tipo di pubblicazioni, che avevano il loro analogo negli Stati Uniti, anche lì negli anni '30, i cosiddetti pulp-magazine, giornali con una veste editorale modesta, una grafica, come si dice, urlata, dove però pubblicavano quelli che poi sarebbero diventati i padri dell'hard-boiled-school, su Black Mask, gente come Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Cornwell Woolrich. In Francia Georges Simenon scriveva sui due più famosi corrispondenti francesi di questi pulp-magazine come Police Magazine e Détective. Erano anche qui giornali con copertine ad effetto, con la solita miscela donne-poliziotti-malviventi, riviste con molte foto e su cui si parlava di fatti di cronaca nera, ma dove venivano anche pubblicati in anteprima, e a puntate, i romazi. Qui vediamo un'esempio della copertina di Police Magazine con La folle d'Ittiville.
Détective invece era una pubblicazione di Gallimard, che risentiva dell'autorevolezza della casa editrice, ma che stuzzicava lo stesso la curiosità della gente sugli omicidi e spesso chiamava a scrivere su casi irrisolti anche firme famose come quella di Simenon. Una letteratura popolare, nella quale ovviamente Simenon si muoveva a suo agio, che avvicinava comunque molta gente alla lettura e poi magari alla lettura dei libri della "Série Noir"(sempre di Gallimard). Questo a conferma che, continuando la tradizione dell'800 di Balzac, c'era in Francia anche nel '900 una letteratura non alta, ma che allargava la base dei lettori che poi man mano raffinavano il loro palato e magari pian piano passavano a letture pù impegnative. Al contrario dell'Italia dove la letteratura popolare è quasi sempre stata segnata a dito dagli intellettuali e non mai avuto respiro per esapandersi. Con la conseguenza che la letteratura alta è rimasta tradizionalmente patrimonio per pochi e l'Italia si è ritrovata ad essere uno dei paesi in cui si legge di meno. Ma questa è un'altra storia.

giovedì 7 aprile 2011

SIMENON IN "ETAT DE ROMANS" E MAIGRET "EN TRANSE"?

Sappiamo che Simenon prima di scrivere un romanzo passava un periodo di lieve malessere, che poi si tramitava in état de romans (detto anche "état de grace"), cioé quello stato di vuoto che gli permetteva di far posto al protagonista del suo romanzo e così iniziava la sua convivenza con lui. E quando ha iniziato a scrivere le inchieste di Maigret forse istintivamente ha messo in testa al commissario un siestema di indagare che non era molto dissimile.
"Ci siamo il capo è in trance". Questo è un'affermazione che leggiamo nei Maigret e che viene pronunciata dai suoi ispettori che commentano la fase preliminare allo stato in cui il loro capo inizia a immedesimarsi nei personaggi che gravitano intorno al reato o ai sospettati. Quando sarà in grado di pensare e reagire come loro, saprà in quale direzione avviare l'inchiesta e allora il colpevole non avrà più molto tempo.
Insomma la creazione di un romanzo un po' come la preparzione di un'inchiesta. Metodi analoghi anche perchè sono simili le motivazioni. Simenon cerca il perché i suoi protagonisti si comportino in un quel determinato modo e li portino poi alle estreme conseguenze. E pure Maigret non é solo interessato a chi ha commesso il reato, ma molto di più al perché, a quali sono i motivi che hanno portano quell'individuo a quel gesto.
Qui non si tratta tanto di analogie tra Simenon e Maigret, quanto piuttosto di un modo di concepire la scrittura che non differisce granché quando l'autore si accinge a comporre un roman dur o un Maigret. D'altronde lo confessa anche lo stesso Simenon in un 'intervista a Bernard Pivot : "... alla fine ho un po' confuso,  e sono andato più in là con i miei personaggi, Maigret con gli altri... i romanzi...".
Questo anche se, nelle dichiarzioni ufficiali dell'autore, i seriali continuavano ad essere "semi-letteratura", che lui scriveva per divertirsi, gli altri erano invece "letteratura" che gli costavano sforzi e una gravosa concentrazione.

SIMENON CI METTE LA FACCIA... IN COPERTINA

Un personaggio tanto famoso e così a lungo come Georges Simenon, è normale che abbia avuto dedicate molte copertine, soprattutto quelle dei settimanali e dei magazine che spesso si interessavano allo scrittore, ma sovente puntavano a soddisfare la curiosità dei lettori in merito alla sua movimentata vita privata, alle sue uscite mondane, ai suoi trionfi e alle sue tragedie. Insomma come ogni personaggio pubblico oneri e onori e paparazzate o servizi concordati facevano parte della sia vita e di quelli che gli vivevano accanto.Qui di seguito riportiamo qualche esempio di prime pagine dedicategli










mercoledì 6 aprile 2011

SIMENON. MAIGRET, MAGRITTE E' O NON E' UNA PIPA?

"Ceci n'est pas une pipe". Chi non conosce questa allocuzione divenuta famosa perchè messa dall'autore come didascalia del famoso dipinto La Trahison des images (1928) di Magritte (belga pure lui)? Maigret-Magritte, una pipa che non è un pipa e un commmissario che la fuma continuamente. La fuma così tanto da essere talmente connaturata al personaggio da permetterle di rappresentare il tutto con una parte. Basta la pipa per pensare a Maigret? E allora nemmno questa é una pipa? E' solo una forma che ci rimanda all'idea del personaggio? E' personaggio lei stessa, quindi. E allora é vero, non è più una pipa.
Non è un gioco di parole, né un circolo artificioso. Ma una riflessione che ci sottopone Alain Bertrand nel suo Georges Simenon (1988) dove afferma "...Boutade? Punto d'incontro, semmai. Perché lo scrittore approfitta del rapporto metonimico stabilito nel corso della serie tra il commissario e questo attributo per appropriarsi per analogia dell'allocuzione di Magritte....". Ma se la pipa è Maigret, la pipa è anche Simenon.
Qualcuno ha fatto caso che, salvo in quelle scattate da bambino, nelle fotografie di Simenon non manca mai una pipa? O è in bocca allo scrittore, oppure in mano, altrimenti é lui a posare davanti ad una parte della sua collezione di pipe o a quelle tutte in fila già pronte e caricate sul suo tavolo di scrittura. Simenon era molto attento alla comunicazione, figuriamoci a quella visiva. Le fotografie dovevano sempre suggerire qualcosa di quel suo istante di vita, del posto in cui si trovava, di chi era vicino a lui in quel momento e, diciamo noi, del suo maniacale rapporto con la pipa.
E' davvero difficile trovare una foto in cui si faccia beccare senza un pipa che almeno gli spunti dal taschino.
Nel '78 in un'intervista, unidici anni prima di morire, confidò "...Ho iniziato a fumarla a tredici anni e non ho più smesso...". Il che significa che a settantacinque anni erano già 63 anni che fumava la pipa. Come poteva allora un personaggio come Maigret nascere senza pipa?

martedì 5 aprile 2011

SIMENON. MA QUANTE PAGINE PER UN ROMANZO?

Oggi non è più un tabù. Forse è il frutto una spinta dell'industria editoriale, più che l'esigenza espressiva degli autori contemporanei? Su questo andrebbe fatta una riflessione più profonda in una sede più idonea di questa. Ci riferiamo alla lunghezza dei romanzi. Ormai 500/600 pagine sono quasi la regola e se non proprio la regola sicuramente una media per i libri che affollano le librerie. Non sono un'eccezione nemmeno le 800/900 pagine. E addirittura il superamento del muro delle 1000 pagine non sono più casi che si contano sulle dita di una mano.
A questa regola però, ai suoi tempi, non scappò neanche uno come Simenon che con Mémoires intimes (più Le livre de Marie Jo) arrivò poco oltre le 1200 pagine. Ma fu davvero un'eccezione. Di solito i suoi romans durs sono tra le 150 e le 200 pagine, con poche punte fino a 250 pagine ed oltre. A parte Mémoires intimes, vanno fuori media Long cours (1935) con 380 pagine e Le testament Donadieu (1936) con oltre 390.
Però come dicevamo sopra, la stragrande produzione simenonia dei romans durs  si attesta tra le 150 e le 200 pagine. E, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di romanzi cui non manca nulla: trama, atmosfera, personaggi, considerazioni, descrizioni, dialoghi... insomma tutto quello che serve, né di più, né di meno, e tutto ad un certo livello, spesso ad alto livello. E sono quelli che gli hanno valso il riconoscimento della critica e la celebrità tra il pubblico e che ancora oggi, ad ogni riedizione, costituiscono dei titoli da classifica, non solo Francia, ma anche da noi, in Italia, e pure in altri paesi.
Però in Simenon c'era talvolta il sogno di scrivere in modo diverso, romanzi differenti, magari anche di maggior respiro, come afferma in una lettera del '62 al suo editore, Sven Nielsen, in cui specifica "...Per esempio sogno da molto tempo di scrivere un romanzo davvero lungo pieno di personaggi che s'incrociano. E' probabile che non lo scriverò mai. E' come credere che io sia stato costruito per correre su una certa lunghezza, per esempio i cento metri, se non addirittura i 60 metri, come per gli junior!..."

SIMENON. QUANDO CREDETTE (O FECE CREDERE) DI ESSERE QUASI MORTO

Lo spettro della morte cambia la prospettiva. Estate 1940. Simenon riceve un colpo violento al petto, dovuto alla percossa di un ramo nella foresta vicino Fontenay dove s'era recato a fare legna. I dolori del giorno dopo, e il dubbio di essersi rotto una costola, lo indussero a farsi una radiografia al petto.
Nessuna costola rotta, ma molte brutte notizie.
Il medico che aveva consultato gli diagnosticò un stato niente affatto tranquillizzante riguardo il suo cuore che riultava affaticato, stressato e logorato come quello di un vecchio. Difficilmente, secondo il medico, avrebbe potuto andar avanti per più di due anni.
La mente di Simenon tornò immediatamente alla sorte del padre Desiré che, proprio a causa del cuore, era morto a 43 anni dopo essersi ammalato tre anni prima. La storia praticamente pareva ripetersi. Georges all'epoca aveva 37 anni con la prospettiva di arrivare sì e no a 40. Una sorta di identificazione con il destino del paterno che gli faceva psicologicamente sentire la propria fine assai vicina.
Ovviamente gli fu vietato l'alcol, dovette smettere di fumare la pipa, sesso nemmeno a parlarne, cibo leggero e razionato. Quanto allo scrivere, visto lo stress che produceva in Simenon, gli fu intimato di sospendere immediatamente l'attività. Tutto questo con lo scopo di allungare un po' la speranza di vita.
Georges era atterrito. A casa la moglie Tigy si irrigidì nella propria tensione, la Boule scoppiò a piangere.
Il commento di Simenon al proposito fu significativo: " Sono stato l'uomo che ha fatto qualsiasi cosa, adesso mi si chiede di essere l'uomo che non farà nulla..."
Inizia a scrivere Pedigree de Marc Simenon (poi intitolato Je me souviens) per lasciare al figlio memoria dei suoi nonni. Ma questa è la versione che dà Francis Lacassine, uno dei suoi biografi, ma ci sono altri studiosi che danno versioni diverse. Per Pierre Assouline, invece Simenon già stava già scrivendo il libro che forse finì per condizionarlo. Simenon credette davvero di dover morire e, scrive Assouline quando riporta la versione di Simenon, che dovette aspettare tre anni, quando consultando il miglior cardiologo di Parigi, ebbe la certezza che il suo cuore era perfettamente sano e che il radiologo di Fontany era perfettamente incompetente. Altro biografo, Stanley G. Eskin, altra versione. Dopo il verdetto di Fontenay, passarono quattro anni e solo per caso, incontrando un medico ad una partita a bridge, gli fu consigliato di farsi visitare da un cardiologo che gli rivelerà il suo ottimo stato di salute. Per Patrick Marnham, invece Je me souviens sarà scritto come reazione alla pessima notizia, che però sarebbe stata subito smentita. Infatti racconta che Tigy, scettica, anche per la buona salute del marito e per il ritmo della sua attività fisica, non credeva ad una situazione così tragica. Tanto che decise di andara a consultare il famigerato radiologo, il quale parlò di un malinteso, affermando che il marito era in realtà in buona salute. Allora? Tutto inventato? E nel caso, perché? Sembra, sempre secondo Marnham, che la famosa visita dal cardiologo parigino non ebbe luogo dopo tre o quattro anni, ma subito, nell'autunno del '40. Questo viene confermato anche da Assouline che, quando ricostruisce la verità con testimonianze di chi gli stette accanto in quegli anni, compresi alcuni medici, accredita la versione per cui quello che fu una preoccupazione di qualche mese, nel racconto di Simenon diventa una sofferenza di anni.
Falso allarme quindi, dove la fantasia dello scrittore, l'influenza della vicenda paterna e forse anche la continua, forse in questo caso inconscia, necessità di essere al centro dell'attenzione concorsero tutti a creare questa immaginaria prossimità alla morte.
Anche perchè in quei famosi anni di angoscia e di inattività, dall'estate del '40 al '43, Simenon scrive tre Maigret e otto romans durs, tra cui Pedigree (gennaio 1943) davvero impegnativo. Inoltre, proprio in quegli anni, il suo stato di salute non gli impedisce di portare a termine fruttuosi trattative ed affari con la società di produzione Continental (quella di proprietà dei nazisti) vendendo vari soggetti per la sceneggiatura di diversi film.
Altro che inattività completa!