sabato 28 maggio 2011

SIMEON E IL PUDORE DI FAMIGLIA

Fà una strana sensazione sentire o leggere Simenon che parla di pudore. Uno come lui che ha messo, staremmo per dire, in vetrina la sua vita e le sue più intime vicende. Uno come lui che ha scritto (secondo una classificazione più o meno universalmente riconosciuta) almeno una trentina di titoli strettamente autobiografici, a partire da Les Tois Crimes de mes amis (1938), a Je me souviens (1940) a Quand jétais vieux (1963), a Lettre a ma mère (1974) fino a Mémoires intimes (1981). Tralasciando tutti i morceaux de vie di non poca imprtanza che da le Testament Donadieu (1937), a Pedigree (1948), a Trois chambres à Manhattan (1946), solo per citare qualche titolo, ritroviamo nei suoi scritti.
E poi non scordiamo che Simenon ha permesso la pubblicazione dell'intervista che cinque tra medici e psichiatri della rivista Médecine et Hygiène gli fecero nel 1968. Fu una sorta di seduta psicoanalitica di gruppo i cui risultati e le cui considerazioni finali furono poi rese pubbliche. C'erano tutte o quasi le sue ossessioni, i suoi complessi, le sue paure, i suoi rapporti con le sue mogli/compagne, insomma una sorta di radiografia che mal si accorda con il concetto di pudore. Eppure in Traces de Pas, uno dei Dictée (1973) affermava che "...fin dai tempi di mio nonno, e forse da quelli del mio bisnonno che non ho conosciuto, è esistito un 'pudore Simenon', una sorta d'incapacità di esprimere i sentimenti familiari. Questo pudore l'ho notato da ragazzo anche tra mio padre e mia madre... Mio padre, che mi adorava, non mi ha mai abbracciato...".
Questo, potrà ribattere qualcuno, riguardava i rapporti interni alla famiglia.
Ma Simenon spiega che questo pudore riguardava anche il leggere quello che veniva scritto su di lui. Non era modestia, ci teneva precisare, ma il famoso pudore Simenon. D'altronde lo scrittore ammetteva che anche lui raramente si abbracciava con i propri figli, si limitavano a dei più discreti baci sulle guance.
Poi nel penultimo Dictée, (Jour et nuit - 1979) cambia un po' versione.
"... quello che chiamavo 'pudeur Simenon', che si attagliava così bene ai comportamenti di mio nonno, di mio padre e a miei, vedendo i miei figli, mi sono reso conto che non aveva nulla a che fare con la parola pudore, non era altro che timidezza. Quella che ho sempre avvertito anche nei confronti dei miei stessi figli...".
Certo, ma allora come si spiega la sua disinvoltura sessuale? Si dirà quello è un'altro piano e valgono altre motivazioni. Come si spiega il Simenon che negli anni '30 a place des Vosges dava feste e festini o si faceva coinvolgere nelle storie tipo 'il romanzo in una gabbia di vetro' ? Si dirà, ma allora era giovane, nemmeno trentenne. E come padre di Maigret che s'inventa quel can-can del Bal Anthropometrique per lanciare il suo personaggio? Si dirà, ma quello aveva a che fare con la sua attività lavorativa.
Insomma il pudore Simenon afferiva solamente alla sua sfera personale e familiare? A nostro avviso la questione rimane aperta e le poche righe di questo post crediamo non basterebbero nemmeno a chi, professionalmente più indicato di noi, volesse trarre qualche conclusione.
   

venerdì 27 maggio 2011

SIMENON E MAIGRET NEL LINGUAGGIO DEI MEDIA

L'uso del nome di Simenon e della sua creatura più famosa, il commissario Maigret, sembra ormai entrato nell'uso comune e, soprattutto stampa e altri media, lo tirano in ballo ad esempio per citare un caso di cronaca nera, un giallo, oppure per richiamare le atmosfere dei romanzi simemoniani, ma non solo. Per curiosità siamo andati a spulciare nelle notizie recenti e vogliamo riportare alcuni tra gli esempi che abbiamo trovato, tanto per dare un'idea del fenomeno.

Agenzia ANSA - Dando la smentita di un presunto mistero intorno al testamento  del conduttore televisivo Mike Bongiorno, e in merito al trafugamento della salma del celebre presentatore: "Non c'e' alcun mistero sul testamento di Mike - dice la vedova Daniela Zuccoli, amareggiata dai ''gossip usciti ieri - Quella di ieri é una non notizia, perché già sapevamo che il commercialista di Mike aveva subito un furto e in ogni caso il nuovo testamento annulla il vecchio''. ''Qui pare che abbia trafugato io la salma, ma non c'e' - ribadisce - nessun giallo alla Simenon''. Per quanto riguarda il furto della salma ''la morte é una cosa naturale, il trafugamento no, tutta Italia - conclude Zuccoli - vuole ritrovare Mike''.

•  Lo Spazio Bianco.it - In un'intervista Igort, illustratore e disegnatore di fumetti, a proposito di una collaborazione con lo scrittore Massimo Carlotto per un lavoro con protagonista l'ormai famoso "Alligatore", cita in merito ai viaggi e all'allontanarsi dalle proprie radici "... C’é che impara l’arte del distacco stando seduto nello stesso luogo per del tempo. Io capisco meglio le mie radici se mi allontano fisicamente. Era Simenon che diceva questo: non ha mai scritto tanto bene dell’Europa sin tanto che non é andato a stare in America...".

La Repubblica - Siamo addirittura nelle pagine sportive, ciclismo, e a proposito della tappa del Giro d'Italia sul Grossglockner, Maurizio Crosetti commenta: "...All'ora di pranzo, lo oscuravano nuvole cattive ma scenografiche, poi spostate appena da una spallatina di sole nel pacchetto di mischia delle rocce. La neve era sporca, come avrebbe detto Simenon... tuttavia suggestiva..."

Cinecittà News - Citando uno dei due film che hanno chiuso la kermesse cinematografica di Cannes, Once upon a time in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan, Cristiana Paternò scrive: "...con "Once upon a time in Anatolia" ha composto un giallo dalle atmosfere misteriose e sospese, che a tratti ricordano Georges Simenon, dove il colpevole è noto fin dall'inizio dell'indagine...".

LeiWeb - il sito di Io donna settimale femminile della Rizzoli, allegato al Corriere della Sera, in un'inchiesta, dedicata ad un'agenzia investigativa gestita da una donna, l'articolista Pierangelo Sapegno, raccontando la storia di un appostamento per raccogliere le prove di un tradimento, scrive : "...c’è qualcosa che colpisce entrando dentro a queste vite, una melanconia tutta femminile, nella scansione ripetuta dei tempi e dei gesti. C’è qualcosa della tristezza delle donne. I due amanti compiono sempre gli stessi movimenti, ripetono assiduamente gli stessi appuntamenti, all’apparenza così noiosi, come se venissero fuori da un romanzo di Georges Simenon, nel grigiore di una città che ha qualcosa della provincia francese, della sua lentezza...".

• Il Giornale - A proposito del reato di violenza sessuale ai danni di una cameriera di un hotel newyorkese, di cui è stati incriminato Dominique Strauss-Kahn, ormai ex-direttore del Fondo Monetario Internazionale, Luciano Gulli addirittura attacca l'articolo scrivendo "Simenon, che era Simenon, se c’era una femmina in giro faceva terra bruciata, e le cameriere lo ingolosivano non meno delle baronesse, non avrebbe mai commesso una simile connerie, per dirla in francese. Perché anche con le cameriere, soprattutto con le cameriere, avrebbe fatto dire Simenon all’ispettore Maigret, ci vuole stile...".

Il Corriere della Sera - Nelle pagine del Corriere del Mezzogiorno.it si parla della Festa della polizia a Salerno, con un intervento di Enzo Todaro in cui cita tra l'altro i commissari che lì hanno fatto storia: "...Guardo al passato e mi viene in mente il mitico Ugo Macera. Conosciuto in Italia e all'estero come il Maigret italiano...".

Lettera 43 - Il quotidiano on-line indipendente dedica un articolo all'occupazione del mezzo televisivo attuata dal premier e dagli uomini del suo governo e/o del suo partito. Scrivendo degli "onnipresenti della tv" e degli "stakanovisti degli studi televisivi", Massimo Del Papa scrive tra l'altro: "...Per alcuni, è fondato il sospetto che dormano direttamente negli studi, forse su una poltroncina pieghevole, come Maigret al Quai...".

Come avete potuto constatare si passa dalla cronaca nera allo sport, dagli scandali alle rievocazioni, dalle inchieste allo spettacolo. Ma fare riferimento a Simenon o a Maigret sembra venga comunque spontaneo nel mondo dei media.
E abbiamo preso in esame solo questo mese di maggio.

giovedì 26 maggio 2011

SIMENON GIORNALISTA E I GIORNALISTI

Iniziò prima di tutti. Lo possiamo dire? A sedici anni entrò alla Gazzette de Liège. Poi, una volta a Parigi, scrisse per diversi giornali, e non solo racconti, ma allora ancora si firmava Georges Sim. E' stata solo una fase trasitoria che non ha lasciato tracce rilevanti, oppure un'esperienza con i connotati dell'impriting, con cui fare i conti per tutta la vita?
La risposta dello scrittore "...il giornalista è soprattutto un uomo che scrive una o due colonne su un argomento di cui non conosce neanche una parola...".
Descrizione riduttiva se non ingenerosa, per uno come lui che conosceva bene i meccanismi di quel mestiere. Certo scrivere qualcosa commissionato da un capo-redattore o da un direttore è ovviamente tutt'altro che scrivere in état de roman. A Simenon, soprattutto in età avanzata, nonostante ne avesse fatte tante anche lui, capitava spesso di lamentarsi delle interviste. Sosteneva che o si trattava di reporter impreparati, che facevano domande troppo banali, del tutto fuori centro. Oppure arrivavano quelli che già sapevano tutto di lui, che conoscevano benissimo come Simenon la pensava o come era successo un determinato avvenimento. E questo se non proprio di fastidio, era fonte di grande noia per lo scrittore.
Nella chiacchierata con Raphael Sorin, pubblicata su Le Monde nell'81, raccontava: " I giornalisti arrivano, si siedono davanti a me... e poi chiacchieriamo. Faccio vedere loro le pipe su questo camino. Ognuna corrisponde ad un momento della giornata... Poi mi chiedono di toccare il cedro nel giardino...Dopodichè, quasi tutti, scrivono su di me delle cose incredibili. Parlano di un Simenon che non esiste...".
Certo Simenon era stato il giornalista dei notevoli scoop, come l'intervista a Trotsky, ma anche quello di grandi flop, come il caso Stavisky. Il giornalismo era la professione che l'aveva salvato dall'indigenza quando era un adolescente orfano di padre e aveva dovuto smettere gli studi. E proprio un altro giornale, Le Matin, fu quello che, grazie a Colette, gli pubblicò il primo racconto e che diede il via alla sua scalata al mestiere di scrittore. E poi i suoi viaggi, da cui traeva reportage, finivano sempre tra le pagine di qualche quotidiano o di un settimanale. Anche a settantaquattro anni pubblicò un'intervista che fece epoca, come quella al regista e suo caro amico Federico Fellini, commissionatagli dall'Express (quella in cui Simenon dichiarò di avere avuto le famose diecimila donne).

   

mercoledì 25 maggio 2011

SIMENON. CASCO COLONIALE E SAHARIANA, L'AFRICA CHIAMA

Dopo aver scritto di luoghi esotici ai confini del mondo nei suoi romanzi d'avventura, durante il periodo dei romanzi popolari, Simenon decise, quando le sue entrate glielo permisero, di andare a visitare di persona quei posti di cui aveva parlato soltanto tenendo aperto davanti agli occhi un atlante e facendo ruotare un mappamondo nel suo studio di place des Vosges.
Era l'estate del 1932 e la sua meta era dunque l'Africa. La voglia e la motivazione erano quelle di passare la linea di demarcazione tra fantasia e realtà, con la consapevolezza che l'avventura dei suoi scritti popolari era ormai alle sue spalle e che sarebbe andato incontro ad un realtà che non conosceva e sicuramente molto diversa.
Messo piede nel continente nero, in Egitto, si rese subito conto che parte di quella realtà erano le complicazioni e le lungaggini burocratiche, le lunghe attese, le difficoltà di ordine diplomatico. Ad ogni modo il suo tragitto era segnato. Dal paese delle piramidi dritto verso il centro-Africa, fino all'equatore. E quindi giù per Kartoum e poi il Congo Belga con la discesa dell'omonimo fiume per oltre 1500 chilometri, fino raggiungere Kinshasa (allora Leopoldville)  e poi il ritorno con imbarco al porto di Matadi, scalo in Gabon, prima a a Port-Gentil e poi Libreville, quindi in Guinea a Conackry e poi il gran salto fino a Bordeaux. In pochi mesi il suo gran-tour africano si conclude, compiuto davvero a passo di corsa. Ma non era una vacanza, spiegherà Simenon, era lavoro, una via di mezzo tra la documentazione e il reportage giornalistico: tanti appunti, centinaia di foto e molte idee nuove.
Una volta tornato aveva infatti sfatato alcuni luoghi comuni e ne aveva confermato degli altri. Per esempio ora aveva la certezza che i cannibali esistevano davvero. Ma prese coscenza di quanto il colonialismo fosse una forma di prevaricazione e sfruttamento. Una convinzione che troverà riscontro in articoli, di cui alcuni fecero addirittura scalpore. Non solo, ma se ne troverà traccia anche in certi suoi romanzi come Coup de lune (1933), 45° à l'ombre (1936) e Le Blancs à lunettes (1937). Tra le altre denunce, deplorò la costruzione della ferrovia in Congo che, commentò, costava la vita di un negro per ogni traversina e di un bianco per ogni chilometro realizzato.
La condizione d'inferiorità cui l'uomo bianco costringeva i leggittimi abitanti di quel continente era uno standard di normalità che Simenon ebbe di continuo sotto gli occhi. Con situazioni limite, come quella in cui ai negri non si insegnava la lingua del colonizzatore, per meglio relegarlo nel suo ghetto, salvo poi usare le donne come, amanti e serve, a seconda dei casi.
In definitiva aveva sperimentato l'Africa cruda dei tempi del colonialismo: "... Qui non c'è sentimentalismo, può darsi perché non c'è letteratura. E la tristezza che vogliamo a tutti i costi leggere negli occhi dei negri, non è solo la loro tristezza, ma quella di tutta l'Africa, degli alberi, dei  fiumi, degli animali...". (L'heure du négre - 1932)

martedì 24 maggio 2011

SIMENON. L'UOMO CHE NON ERA MAIGRET


Un brano da "Simenon", un film del 2003, del regista Manu Riche, tratto dalla biografia di Patrick Marnham. La pellicola dura 52 minuti ed è stata girata in 16 mm. La sceneggiatura è di Steve Hawes.(manuriche)

lunedì 23 maggio 2011

SIMENON. LO STILE CHE CAMBIA E LE MOTS-MATIERE

Stile Simenon. E' un po' come le famose atmosfere simenoniane. Un elemento della sua opera letteraria considerato dalla critica molto caratterizzante.
Secondo l'autore lo stile scaturisce dalla vicenda che si sta raccontando, influenzato dalla vita reale che prima passa sulla pagina scritta e poi arriva al lettore. Per questo motivo utilizzava quelle che chiamava mots-matière, cioè parole materia, quelle semplici, concerete, univoche, comprensibili da tutti. Poi vengono nella lista delle precedenze simenoniane il ritmo, la poeticità della prosa, la sintassi (per esempio in Belgio sostenevano che lui utilizzasse un francese non corretto. E Simenon replicava " E' possibile, io vivo a Parigi e loro a Bruxelles")...
Tornando alle mots-matière è un concetto molto interessante. Ecco come ne scrive lo stesso Simenon ne Le Romancier (1945): "... delle parole, se volete, che hanno il peso della materia, delle parole che hanno tre dimensioni.... un pezzo di carta, un scorcio di cielo, un oggetto qualunque, spesso i più elementari della nostra vita, prendono una importanza misteriosa...".
E per spiegarsi meglio ricorreva all'arte sua prediletta: la pittura. E affermava che una mela dipinta da un vero pittore, come ad esempio Cézanne, aveva un suo peso e lui con le sue parole cercava di raggiungere lo stesso risultato.
Certo anche la sua prosa si modificava, come è ovvio, con il passare del tempo, in merito alle esperienze, in relazione all'età e ai differenti stati d'animo tipici del periodo.
Per esempio lo stile usato negli scritti degli anni '30 era più brillante, più ricco di aggettivi, mentre con il passare degli anni Simenon ha sempre cercato di asciugare il proprio stile, di tagliare, di essere più essenziale, con l'obiettivo di aderire più possibile allo spirito e al linguaggio dei suoi personaggi, tendendo  così ad uno stile più neutro possibile.
"...cerco un stile non solamente neutro, ma uno stile adeguato alle concezioni      dei miei personaggi in quel momento -  spiega Simenon in un'intervista del '63 -  Lo stile deve seguirli in ogni momento e modificarsi quando cambiano i pensieri dei miei protagonisti..."