venerdì 21 giugno 2019

SIMENON SIMENON. LA VITA CITTADINA DI UN COMMISSARIO DALL'ARIA CAMPAGNOLA

Maigret lavora nella metropoli, ma le origini sono nella campagna e la "retraite" sarà anch'essa campagnola

SIMENON SIMENON. LA VIE CITADINE D'UN COMMISSAIRE D'ORIGINE CAMPAGNARDE
Maigret travaille dans la métropole, mais ses racines sont en campagne et sa retraite sera aussi rurale
SIMENON SIMENON. THE CITY LIFE OF A CHIEF INSPECTOR OF COUNTRY ORIGIN
Maigret works in the metropolis, but his roots are in the country and his retirement will also be rural
Maigret è un po’ grossolano? Grosso di sicuro, anzi massiccio, come lo definisce il suo autore. In realtà grossolano significa anche rozzo, sgradevole, non educato… Insomma una serie di caratteristiche che mal si attagliano al nostro commissario, anche se è tendenzialmente taciturno, un po’ scontroso, a volte brusco nei modi, talora a disagio in certi ambienti, come un elefante in una cristalleria.
Ma questo deriva dalle sue origini “contadine”?
Beh, allora va precisato che Maigret, nella biografia che ci viene presentata da Simenon, è nato sì in campagna, nell’Allier. Ma era figlio dell’amministratore del Castello di Saint-Fiacre, con annessi tremila ettari e ventisei fattorie. E questo significa che era cresciuto in confidenza con la campagna e con la natura, animali compresi, e che i suoi primi compagni di gioco erano stati figli di contadini, allevatori, fattori. Quindi la dimensione della campagna, il gusto per le cose semplici, i modi spicci e un po’ sempliciotti non gli erano certo estranei. Ad otto anni gli muore la madre, a diciott’anni s’iscrive alla facoltà di medicina, ma la morte del padre lo costringe a lasciare gli studi. Si trasferisce nella capitale dove cercando cercando trova lavoro nella polizia parigina. Inizia la sua carriera come agente ciclista, poi passerà segretario alle dipendenze di un commissario di quartiere e quindi verrà il trasferimento a Quai des Orfèvres.
Il passo è fatto. Jules Maigret è diventato un cittadino. E lo sarà sempre di più. Certo alcune delle sue inchieste lo riporteranno qualche volta in provincia, ma il suo habitat naturale sarà la città, o meglio una metropoli, e, visto che parliamo della Parigi dei primi decenni del secolo, anche molto cosmopolita. Il suo lavoro lo porta a contatto con tutti gli ambienti, e quindi dalle classi agiate e ambienti esclusivi, alla borghesia ma anche agli operai, ai battellieri che vivevano sulle peniche nei canali… Insomma deve abituarsi a trattare con tutti, e la sua anima semplice e la sua ascendenza campagnola a tratti torna in superficie.
Ma è sposato, vive, in una zona centrale di Parigi, città che man mano inizia a conoscere come le sue tasche. E’ un parigino ormai acquisito potremmo dire abituato ai ritmi e alle abitudini cittadine. La sua natura campagnola esce un po’ allo scoperto quando si tratta di mangiare: piatti semplici e un po’ pesanti sono i suoi preferiti, come pure il vino semplice (niente sofisticate cuvèe dei vini francesi), un bianco sfuso, la birra, ma anche qualche alcolico fatto in casa come la prunella che la sorella della moglie manda dall’Alsazia.  Anche il fatto di non prestare quasi attenzione all’abbigliamento denota una certa caratteristica campagnola e se non fosse per M.me Louise, certo non sarebbe ordinato e dignitoso come si conviene ad un commissario della polizia giudiziaria.
Maigret è nell’animo un campagnolo. La riprova? Leggete le inchieste che lo portano al sud, sulla costa e vicino al mare. E’ il caso di dire che è un pesce fuor d’acqua. Guarda quasi con stupore, come fossero alieni le persone in spiaggia, in costume, oppure gli uomini che passeggiano per le vie in calzoni corti, magliette a mezze maniche e sandali. E lui invece, imperterrito, con  giacca, bretelle e scarpe come a Parigi. E’ vero che si trova lì per lavoro, ma non riesce ad amalgamarsi con quella gente. Unica concessione, un leggero cappello di paglia contro il sole cocente.
E infine, quando si tratta di pensare ad una casa per i weekend (che poi diverrà la sua casa da pensionato), la scelta cade molto lontano dal mare, ma non dall’acqua. Meung-sur-Loire, nella campagna a sud di Parigi, si appoggia al fiume, ma tra il fiume e il mare per il commissario c’è una bella differenza. Maigret riscopre a poco a poco il piacere di coltivare un orto: zappettare, innaffiare, potare, o di pescare, oppure di giocare a carte di pomeriggio nel piccolo bar del paese… Insomma torna ad immergersi in una dimensione campagnola, prima solo per i weekend (ed è la moglie a guidare l’utilitaria che hanno acquistato), poi, una volta scattata la famosa “retraite”, come sistemazione stabile, ma…. Ma il suo appartamento di Boulevard Richard Lenoire non è stato venduto, né affittato… è lì pronto ad accoglierlo quando qualche inchiesta lo dovesse chiamare a Parigi o qualche nostalgia cittadina dovesse farsi sentire! (m.t.) 

giovedì 20 giugno 2019

SIMENON SIMENON. LET’S ARGUE FOR HOMOGENEITY…

About the similarities between the Maigret novels and the “romans durs” 

SIMENON SIMENON. ARGOMENTIAMO A FAVORE DELLA OMOGENEITÀ… 
Sulle somiglianze tra i romanzi Maigret e i “romans durs”  
SIMENON SIMENON. ARGUMENTONS EN FAVEUR DE L’HOMOGENEITE… 
A propos des similarités entre les romans Maigret et les « romans durs » 


Many times people have thought that the Maigret novels and the "romans durs" are two lines running in two isolated tunnels without any communication between them. It's true that Simenon didn't need Maigret to investigate human soul. Yet Maigret was a fundamental step to reach those psychological novels that dig into man.  
In fact the traditional division between the literary periods in Simenon's works is in part artificial, although being convenient. It's true that a first part, from 1923 to 1931, was a period of apprenticeship, during which he wrote on command, both by genre and length, and he delivered a text as requested and within the established time frame. Yet this decade also served Simenon to mature, not only from the point of view of writing mastery, but also in relationship to a progressive awareness as well as of his own abilities as of the type of literature he wanted to practice.  
Of course Maigret is an evolution compared to the popular novels period, and on the other hand he's a natural consequence to it, and also the result of Simenon's matured experience. Maigret's psychological characteristics, mentality, vision of life are the results of Simenon's free choice and often they are a more or less direct translation of the writer himself. And moreover some themes treated in the Chief Inspector's investigations are to be found in the "romans durs", with another cut, and sometimes with greater depth, as if the author had tested first to develop them later on. 
But we can also say that the arguments and situations of the "romans durs" can often be found in the Maigret novels. And this is also due to the fact that from 1931 up to 1972 Simenon alternated the romans durs and the Maigret novels, and these ones grew in quality (sometimes there were a weaker one among these novels, yet with such a substantial production, we could call it a physiological phenomenon).  
And on the other hand, it has always been very difficult for us to think that, when Simenon began to write an investigation of the Chief Inspector at the Quai des Orfèvres, all his literary baggage, his particular style, the writing he was used to with other novelseverything would have been hermetically sealed somewhere and Maigret's drawing up would have been like entrusted to another hand and to another brain. On the contrary, if we take a few steps back and look at the entirety of his works, we can see the highs and lows, the clear and the dark, but all within an absolutely natural homogeneity, maybe not entirely conscious from the part of the writer… Reading and rereading the more than two hundred titles gives more than ever the feeling of a cursus unicum that unfolds harmoniously, without fractures or different levels. 
Of course we must consider that the Maigret novels are a literature of genre and in a serial mode, and this puts stakes that the writer must necessarily observe. If we succeed in going beyond this element, we can't but notice how little the difference is (and sometimes it's even difficult to find one) between the world described by Simenon in the "romans durs", a world of anonymous figures, petty or great braggarts, and the ambiances and characters that Maigret encounters in his investigations. Let's think about that. 

by Simenon-Simenon 

mercoledì 19 giugno 2019

SIMENON SIMENON. IL COCKTAIL GEORGES.

Il mix degli elementi che rendono particolare la narrativa del romanziere

SIMENON SIMENON. LE COCKTAIL GEORGES...
Le mélange des éléments qui rendent particulière la technique narrative du romancier
SIMENON SIMENON. THE GEORGES COCKTAIL...
The mixture of elements that render the novelist’s technique particular



Quella della scrittura di Simenon è uno dei temi ricorrenti nei nostri post e non potrebbe essere altrimenti, dal momento che si tratta di un blog su uno scrittore, visto che parliamo dei suoi libri, dato che confrontiamo i suoi diversi periodi, rilevando differenze e analogie tra i Maigret i romans durs.
Leggendo e rileggendo le sue opere, ci viene in mente quello che scriviamo su questo blog e spesso rafforziamo le nostre convinzioni, altre volte troviamo degli spunti nuovi, scopriamo delle angolazioni che ci erano sfuggite e che ci forniscono spunti inediti. Anche se dopo quasi dieci anni che scriviamo sull'argomento, gli altri autori dei post ed io, questo occasioni sono sempre più rare, ma ogni tanto ci stupiamo di non aver colto prima certe caratteristiche.
Oggi cercheremo di considerare gli elementi che hanno avuto una certa influenza (quando l'hanno avuta) sulla scrittura e sullo stile del romanziere. Iniziamo da quell'opera incessante di spogliare la propria scrittura dalla letteratura. Il consiglio glielo aveva dato per prima Colette, quando gli rifiutava la pubblicazione del suo racconto Le petite idole su Le Matin, di cui era responsabile della pagina letteraria. "Meno letteratura  - gli ripeteva la scrittrice - leva tutta la letteratura. E lui se tornava a casa e limava, tagliava, accorciava, semplificava. Poi tornava, caparbio com'era. E Colette insisteva " Ci siamo quasi, ma non ci siamo ancora. Meno letteratura". Qualcun altro forse avrebbe desistito ritenendo che asciugando asciugando non sarebbe rimasto nulla del proprio racconto. Ma non Simenon. Continuò imperterrito in questa opera di "de-litteralizzazione" finché Colette giudicò il racconto degno di essere pubblicato. Fu il primo di una serie lunga, circa ottanta novelle.
E questo Simenon se lo portò sempre con sé: l'idea di essere più semplice possibile. "...ho bisogno di abbinare gli stati d'animo dei miei personaggi alle parole più semplici - spiegava lo stesso romanziere, che però si domandava - Ma questa semplicità,questo spogliare, questa studiata assenza di brio, d'arte come posso sperare che la gente la comprenda?..."  
Eppure il grande e immediato successo della serie di Maigret e quello un po' più sofferto e graduale dei romans durs, dove lo ripetiamo i linguaggi non erano poi così diversi (quando non divennero quasi sovrapponibili dagli anni '50 in poi), testimonia che la gente capiva benissimo e gradiva quel linguaggio. Anche perché l'asciuttezza della della scrittura, la brevità delle frasi, l'uso molto parco di aggettivi  e avverbi, non andava a detrimento delle descrizioni degli ambienti (le famose atmosfere simenoniane, che pure l'autore contestava), o della profondità nel costruire la psicologia di un protagonista o la complessa interazione tra due o più personaggi.
E poi i dialoghi. A volte battute secche e risposte monosillabiche. Altre volte intimi e confidenziali, dialoghi che replicavano quasi i normali discorsi della vita reale. E a volte questi dialoghi ancoravano i testi ad una lingua più realistica e quotidiana. 
Ma la sua scrittura era influenzata da fattori esterni? Qualcuno ad esempio ha notato che i romans durs del periodo Gallimard hanno un po' più di letteratura. L'ambiente e i letterati che vi pubblicavano, che certo non erano quelli di Fayard, lo condizionavano un po'? Probabilmente sì, anche se il suo metodo di scrittura in trance, l'état de roman, avrebbe dovuto tenerlo al riparo da quel tipo d'influenze.
Altra influenza poteva essere data dal fatto che scrivesse a mano oppure a macchina. In questo senso addirittura Gide gli consigliava di scrivere a macchina, perché secondo lui facilitava uno stile più immediato e pulito.
Comunque la sua tendenza ad una prosa semplice, comprensibile, con frasi brevi e parole concrete (le famose mot-matière) costituisce un comune denominatore della sua scrittura. E di questa semplicità faceva tutto sommato anche parte il contenuto numero di pagine (una media di duecento) rispetto ad atri scrittori. Dobbiamo ancora ricordare Gide che lo spingeva a partorire un'opera di peso, almeno 600 pagine (con Le testament Donadieu era giunto a 450 pagine). 
Ma la risposta di Simenon fu  memorabile. "...La mia grande opera è in realtà l'insieme di tutti i libri che ho scritto...". E questo implica anche il fatto che la scrittura di queste opere non fosse poi così diversa. 
In realtà lo stile non era un pensiero per Simenon (probabilmente qualcosa di innato e di cui non si doveva occupare?) che scriveva "...non mi preoccupo dello stile. Una volta in Je me souviens e in Pedigree ho agito differentemente e non mai osato rileggere quei libri... per paura di trovarli spaventosamente letterari...". (m.t.).

martedì 18 giugno 2019

SIMENON SIMENON. L’INTÉRÊT DU MAÎTRE

A propos de la correspondance épistolaire entre Gide et Simenon (première partie) 

SIMENON SIMENON. L’INTERESSE DEL MAESTRO 
Sulla corrispondenza epistolare fra Gide e Simenon (prima parte) 
SIMENON SIMENON. THE MASTER’S INTEREST 
About the epistolary correspondence between Gide and Simenon (first part) 


En octobre 1933, Simenon signe son premier contrat avec Gallimard, qui publie l’année suivante Le Locataire, premier de la cinquantaine d’ouvrages du romancier qu’il éditera. L’entrée de Simenon à la NRF a suscité bien des réactions dans le monde littéraire, et pas toujours positives… Mais il est un écrivain dont l’attention est attirée par l’œuvre simenonienne : c’est André Gide. Il provoque une rencontre avec Simenon en juin 1935, et le « bombarde de questions », comme le raconte Pierre Assouline dans sa biographie.  
Des questions qui reviendront tout au long de la correspondance que vont échanger Gide et Simenon. Celle-ci a été publiée sous le titre G. Simenon, A. Gide, … sans trop de pudeur. Correspondance 1938-1950. C’est un ensemble d’une soixantaine de lettres, dont la première, de Simenon à Gide, est datée de décembre 1937. Les chercheurs ont établi qu’il a dû y avoir d’autres lettres, qui restent inédites à ce jour.  
Il ne fait aucun doute que Simenon a été flatté de l’intérêt que lui portait Gide, qui lui a donné confiance en lui-même, comme le mentionne Assouline : « Seul un écrivain, paré d’une telle aura […] pouvait lui procurer le sentiment de son importance, à un moment où le doute l’assaillait ». Rappelons qu’à cette époque, Simenon se trouve dans une phase de transition : il a abandonné Fayard – et Maigret – pour se lancer dans la « vraie » littérature telle qu’il voulait la pratiquer, mais il sait qu’il a encore devant lui du travail, et que rien n’est gagné. Les conseils et le soutien de Gide vont lui apporter beaucoup.  
Pour Gide, il s’agit d’abord de comprendre comment jaillit l’inspiration chez Simenon. Sil ne trouve pas toujours de réponses claires aux questions de Gide, celles-ci lui fournissent cependant le moyen de s’expliquer, de lui confier ses ambitions. Ainsi la longue lettre que Simenon écrit en janvier 1939, dans laquelle il expose le but littéraire qu’il poursuit, les étapes qu’il s’est fixées pour atteindre ses objectifs : « gâcher du plâtre » avec les romans populaires ; puis utiliser un « meneur de jeu » dans des romans policiers ; ensuite, écrire une première série de romans sans Maigret, mais, comme il « n’arrive à porter qu’un seul personnage à la fois », il doit encore attendre d’être « en pleine possession de [son] métier » pour écrire les « grands romans » qu’il a en vue.  
Plus tard, après la guerre, et jusqu’au bout de leur correspondance, Gide continuera de donner ses avis à Simenon, qui en a besoin, comme l’écrit encore Assouline : « Il a enfin trouvé le rythme qui lui convient. Pour être tout à fait comblé, pour que ses ultimes inquiétudes soient dissipées, il ne lui manque que les conseils d’un grand lecteur. Gide tient à merveille ce rôle de guide éclairé et désintéressé. »  
Cependant, si le rôle de Gide a été important pour Simenon, celui-ci n’a pas rempli toutes les espérances de son « maître ». Le « grand roman » que Gide attendait de Simenon, il ne l’a pas écrit, parce que sa conception de son œuvre n’était pas celle que Gide en avait. C’est pourquoi, comme le souligne encore Assouline, les notes que Gide a prises dans son dossier sur Simenon sont instructives et montrent que « ni la personne, ni l’œuvre de Simenon ne sont à la hauteur des ambitions que le maître avait cru bon de placer en elles. »  
Et si l’on ne peut nier que cette admiration et cet intérêt de Gide pour Simenon ont aidé celui-ci à mener une certaine réflexion sur son parcours de romancier, une lecture attentive de leur correspondance montre qu’il y a eu, dès le début, une sorte de malentendu entre les deux hommes. D’abord, si Simenon s’est laissé aller à des confidences sur ses ambitions, il ne lui a jamais livré le secret de son inspiration, de sa façon d’entrer en transe créatriceProbablement parce que celle-ci avait une grande part d’inconscient, et que Simenon n’a pas voulu creuser, fût-ce pour lui-même, le secret de cet inconscient… 
Ensuite, un point qui peut sembler un détail, mais qui à mon avis est révélateur, est la façon dont Simenon évoque ses romans avec Maigret dans cette correspondance. C’est ce que nous examinerons dans un prochain billet. 

Murielle Wenger