lunedì 23 novembre 2020

SIMENON SIMENON. E ORA LA PIPA DI SIMENON CI RACCONTA DEL SUO PADRONE

 Simenon Story 

E ORA LA PIPA DI SIMENON CI RACCONTA DEL SUO PADRONE

Tra il serio e il faceto, la pipa (o meglio le pipe) ci svela/no dei segreti dello scrittore, che conosce visto che lo segue dappertutto

SIMENON SIMENON. ET MAINTENANT LA PIPE DE SIMENON NOUS PARLE DE SON PATRON
Entre sérieux et facétieux, la pipe (ou plutôt les pipes) nous révèle(nt) les secrets de l'écrivain, qu'elle connaît puisqu'elle le suit partout
SIMENON SIMENON. AND NOW SIMENON’S PIPE SPEAKS TO US ABOUT ITS BOSS
Between serious and facetious, the pipe (or rather the pipes) reveals(reveal) the writer’s secrets it knows since it follows him everywher                                                                



28 giugno 2019 - Un’icona nell’icona. Ci riferiamo alla pipa che incontestabilmente possiamo assurgere a icona del più famoso personaggio di Georges Simenon, Maigret, lui stesso ormai un’icona della narrativa simenoniana. 
Ma non si tratta solo di Maigret. L’icona riguarda anche lo scrittore che, a stare alle fotografie e ai filmati che abbiamo di lui, non c’è un fotogramma che non veda lo scrittore con la pipa tra i denti, in mano, sul tavolo, accesa o spenta, agitata distrattamente mentre parla, o mentre lo si vede concentrato ad accenderla. Insomma foto di Simenon senza pipa ci sono, ma sono molto rare. 
Ci chiediamo a questo punto, visto che indiscutibilmente si è addirittura verificato, tra autore e personaggio, un “trasferimento dell’icona”, che importanza e quale significato vada dato a tutto ciò. 
Infatti un conto è fumare la pipa ogni tanto dopo aver fatto un buon pranzo, in un giorno freddo d’inverno, o come rituale serotino, una, due, anche tre volte al giorno. Altro invece è avere questo arnese da fumare sempre in mano, con il fornello pieno o vuoto, da solo o in compagnia, la mattina come la sera e, preoccuparsi (perché siamo convinti che alla fine anche di questo si sia trattato) che quando lo fotografavano o lo filmavano la pipa in qualche modo stesse sempre in campo… Mai una volta che fosse rimasta in tasca o su un mobile fuori inquadratura, oppure nascosta da un altro oggetto. 
A questo punto forse vi è più chiaro il perché ci occupiamo di questo argomento che di primo acchitto potrebbe essere risolto con la motivazione “Simenon era un fumatore di pipa, un forte fumatore…”. Ma questo non spiega tutto quello che abbiamo detto più sopra e in definitiva il fatto che lui e la sua pipa, da un punto di vista dell’immagine, sono evidentemente dei comprimari e che questo ruolo di primo piano si è riproposto, senza variazione, nei romanzi del commissario che sarebbero anche potuti intitolarsi: “Maigret, la sua pipa e il caso…..”. 
L’idea di pipa, quella che riassume tutte le pipe innumerevoli possedute da Simenon e le altrettante, immaginarie e letterarie usate dal commissario, svolge quindi una funzione metaforica sia nella vita che nella letteratura del romanziere. 
Certo, si dirà, in quegli anni il consumo delle sigarette era ancora molto ridotto e i sigari erano ancora un fumo per pochi, pensiamo soprattutto a quelli che venivano dal Centro-America. Le pipe in radica si diffusero in Europa intorno al 1800, e nei primi del ‘900 ebbero il massimo della loro popolarità. 
Sicuramente non era in assoluto uno "status symbol" da esibire, visto che esistevano pipe di legno d’infima qualità, accanto a costosissimi modelli in radica lavorati in Inghilterra. 
Insomma la ragione di questo rapporto quasi compulsivo con la pipa deve avere le sue radici in altri ambiti. 
Potremmo azzardare che quello della pipa è in grandissima parte un elemento di utilizzo maschile. Potrebbe aver a che vedere con qualche complesso di virilità? Certo di Simenon non si può dire che avesse dei problemi con le donne, anzi semmai... Questo forse potrebbe valere per Maigret che invece è un casto e fedele marito… senza scappatelle o tradimenti. 
Ma la pipa potrebbe essere un testimone. Un punto fisso nella tormentata e movimentata vita di Simenon, che tra deplacement dai luoghi e le oltre trenta abitazioni, mogli o compagne, viaggi, idiosincrasie per il consesso dei letterati, l’acool che in alcuni momenti della sua vita era divenuto quasi una dipendenza e che poi abbandonò praticamente del tutto. Le accuse di essere discendente degli ebraici di Simon, tacciato di fare il collaborazionista con i tedeschi nella Francia occupata, guardato con sussiego dai critici letterari che continuavano a vedere in lui uno scrittore di polizieschi e non un romanziere, con l’aggravante di scrivere troppo veloce, cosa che non veniva ritenuta una garanzia per la qualità dei suoi scritti. 
Insomma la rutilante vita di Simenon ha naturalmente compreso anche una serie di insicurezze, di situazioni poche chiare, di disillusioni e di amarezze, e forse la pipa potrebbe simboleggiare un elemento di continuità e di stabilità. Una sorta di testimonial, come se solo l’essere presente le consentisse di garantire le autentiche caratteristiche del letterato e dell’uomo. Un punto fisso semplice attorno a cui ha girato la sua vita e quella del suo commissario. 
Ma può un pipa assolvere a tutto ciò? 
Crediamo di sì. Come un qualsiasi elemento che assuma un valore simbolico e rappresentativo, aldilà delle sue caratteristiche materiali, e inoltre, come abbiamo prima detto della pipa, si tratta di un’idea di pipa che riunisce in sé tutte le pipe che hanno accompagnato la vita di Simenon e tutte quelle che lo scrittore ha fatto fumare al suo commissario. (m.t.)

domenica 22 novembre 2020

sabato 21 novembre 2020

SIMENON SIMENON. MAIGRET ET LE COMMODORE AU COL DE LA SCHLUCHT

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MAIGRET ET LE COMMODORE AU COL DE LA SCHLUCHT

A propos des lieux d’action dans les romans

SIMENON SIMENON. MAIGRET E IL COMMODORE AL COL DE LA SCHLUCHT
A proposito dei luoghi di azione nei romanzi
SIMENON SIMENON. MAIGRET AND THE COMMODORE AT THE COL DE LA SCHLUCHT
About the places of the plot in the novels



3 dicembre 2019 - «[Simenon] se sent totalement étranger à la démarche d’un Zola photographiant les lieux de l’action, ou d’un Flaubert se livrant à des repérages. Il lui substituera toujours le lent travail de décantation de la mémoire » (Pierre Assouline, in Simenon).
Cette phrase du biographe résume bien cet aspect du travail du romancier, qui recrée, à plusieurs années d’intervalle, un décor qu’il a connu, pour le placer dans le cadre d’un roman. En effet, il est très rare que Simenon ait écrit sur les lieux mêmes où se déroule un roman, parce qu’il préférait s’abstraire de l’ambiance qu’il avait autour de lui pour se plonger dans l’atmosphère qu’il insufflait à son texte. D’où les rideaux tirés dans son bureau, pour ne pas voir le décor extérieur, le bureau devenant cette camera obscura où il allait peu à peu dérouler le film de son roman sur papier.
Il existe cependant quelques exceptions. Strip-tease, écrit à Cannes et dont l’action a lieu au même endroit ; de même que Le Port des brumes (Ouistreham), La Tête d’un homme (Paris), La Marie du port (Port-en-Bessin), La Jument-Perdue (Tucson), Maigret chez le coroner (Tucson), Le Fond de la bouteille (Tumacacori), ainsi que les nouvelles Monsieur Lundi (Neuilly), La Pipe de Maigret (Paris), Madame Quatre et ses enfants (Les Sables-d’Olonne).
Mais généralement, Simenon avait besoin d’une période de décantation pour faire revivre un lieu où il avait séjourné auparavant. Il écrivait sur un « principe de distanciation spatiale », comme le note Michel Carly. Le roman Les Rescapés du Télémaque, rédigé à Igls au Tyrol, se déroule à Fécamp. La préoriginale, dans le journal Le Petit Parisien, présentait un texte de Simenon, dans lequel il disait : « l’envie d’écrire un roman lourd de soleil ne m’est jamais venue qu’en Hollande, en Norvège, voire […] dans une petite île de l’océan Glacial, alors que j’avais faim de lumière chaude […]. De même, cet hiver, vivant au Tyrol […] ne voyant à perte de vue que des champs de neige éclatante, la nostalgie m’est venue d’autres hivers, inséparables pour moi de l’odeur du fil en six et du hareng grillé. J’aurais voulu débarquer à Fécamp, respirer […] la forte odeur du poisson salé […]. Il n’y eut qu’à fermer les persiennes et, près d’un gros poêle en faïence, à écrire Les Rescapés du « Télémaque ». […] Et tous les pins du Tyrol ne m’empêchaient pas de sentir la saumure. »
Les romans « rochelais » de Simenon ont été rédigés à Porquerolles (Le Testament Donadieu), Fontenay-le-Comte (Le Voyageur de la Toussaint), Saint Andrews au Canada (Le Clan des Ostendais), Tumacacori (Les Fantômes du chapelier)… Quant aux Sables-d’Olonne, on sent vivre la ville dans Le Fils Cardinaud (écrit à Fontenay) et dans Les Vacances de Maigret (écrit à Tucson). On pourrait multiplier les exemples à l’infini…
En dehors de Paris, le cadre le plus fréquent dans l’œuvre (une ville où pourtant Simenon n’a écrit presque aucun roman), certains lieux ont été privilégiés par le romancier. La Rochelle en particulier, mais aussi Fontenay-le-Comte, Liège, Bruxelles, Cannes, Caen, Fécamp, Concarneau, etc. Ce qui fait qu’on pourrait imaginer que des personnages, d’un roman à l’autre, auraient pu se rencontrer au même endroit dans la même ville… Ainsi, comme le remarquent Michel Carly et Christian Libens dans leur ouvrage La Belgique de Simenon, Elie Nagéar (Le Locataire), Michel Maudet (L’Aîné des Ferchaux) et Maigret (dans la nouvelle Peine de mort) sont tous les trois descendus au Palace à Bruxelles. Et plus d’une fois, les lieux d’action se répondent entre les romans de la saga de Maigret et les romans durs. Dans L’Affaire Saint-Fiacre, Maigret déambule dans les rues de Moulins, et il aurait pu y croiser le Loursat des Inconnus dans la maison.
Parfois, les liens peuvent sembler moins évidents, mais ils existent cependant. On se souviendra que Maigret a eu affaire à plusieurs reprises au Commodore, le fameux escroc international. Or, le protagoniste central du Relais d’Alsace est en réalité le Commodore, venu s’installer dans une auberge au col de la Schlucht ; aura-t-on remarqué que dans Maigret s’amuse, il est dit que le commissaire et sa femme ont souvent passé des vacances dans un chalet au col de la Schlucht ? Et si Maigret avait rencontré alors le Commodore ?...

Murielle Wenger

venerdì 20 novembre 2020

SIMENON SIMENON. IL COMMISSARIO: LA PIPA E LA STUFA

Maigret raccontato da Simenon-Simenon/ Maigret raconté par Simenon-Simenon/ Maigret related by Simenon-Simenon 

IL COMMISSARIO: LA PIPA E LA STUFA

Due oggetti con i quali Simenon caratterizza il commissario e che hanno qualcosa in comune
SIMENON SIMENON. LE COMMISSAIRE: LA PIPE ET LE POELE
Deux objets avec lesquels Simenon caractérise le commissaire, et qui ont quelque chose en commun
SIMENON SIMENON. THE CHIEF INSPECTOR: THE PIPE AND THE STOVE
Two objects with which Simenon characterizes the Chief Inspector and have something in common



10 ottobre 2018 - Freddo pungente. Umidità che entra nelle ossa. L'inverno, e non solo, a Parigi è fatto di brine, di spifferi gelati, di pioggia ghiacciata, di nebbie che s'insinuano nei vestiti. Non è casuale infatti che Maigret indossi quasi sempre un pesante cappotto dal collo di velluto e che la moglie, prima che lui esca di casa, gli annodi una pesante sciarpa al collo. Le scarpe sono pesanti, con suole così spesse che rendono più pesante ancora il passo del commissario. 
Nei confronti di questo freddo umido però i vestiti non bastano. Direte voi, ecco perché le frequenti fermate ai bistrot per bere un calvados o un bicchiere di bianco... Ecco perchè nel suo ufficio ogni occasione è buona per far salire su delle birre dalla brasserie Dauphine... L'acool è una difesa contro il freddo? Beh anche... ma non è solo questo, ma qui si aprirebbe un lungo capitolo.
Quello di cui vogliamo parlare oggi è qualcosa di più caldo... vorremmo parlare di fuoco e di brace che con il commissario hanno un rapporto assai stretto.
Nello specifico sono due gli oggetti che si legano a Maigret a doppio filo. Stiamo parlando della pipa (o meglio delle sue innumerevoli pipe) e di quella famosa stufa a carbone che troneggia nel suo ufficio a Quai des Orfèvres.
Da un punto di vista letterario sono due oggetti che distinguono e caratterizzano la figura del commissario. Non possiamo imaginare Maigret senza pipa, mentre cammina pensieroso e infagottato sui nebbiosi lungosenna. Oppure mentre si gode una bella fumata sulla piattaforma aperta di un autobus. E ancora in ufficio sulla scrivania ingombra dove ce ne sono sempre più d'una. Ma anche a casa, dopo cena... addirittura con l'ultima boccata quando è già a letto e posa la pipa, non ancora spenta del tutto, sul comodino.
L'altro oggetto è forse meno caratterizzante, ma molto presente. La stufa a carbone è nel suo ufficio, abbiamo detto, e Maigret riesce ad ottenere il permesso di conservarla lì, anche quando a Quai des Orfèvres adottano un più moderno sistema di riscaldamento centralizzato con i radiatori.
Vediamo non di rado, il commissario che riempie di carbone la stufa fino all'inverosimile, l'accende e la fà andare finché non si arroventa ben bene. Non sappiamo se cogliere analogie tra il caricamento della pipa e quello della stufa, anche perché per la prima ci vuole una perizia e un tecnica che si affina con il tempo, con la seconda bisogna usare soprattutto i muscoli. 
Però l'idea che ispira la loro funzione è un po' la stessa. La pipa se vogliamo è una piccola stufa portatile che, anche se non riesce a scaldare fisicamente Maigret, gli regala un senso di calore sia pur psicologico. La stufa a carbone può essere vista come una grande pipa, una specie di madre di tutte le pipe, Maigret la carica e l'accende all'incirca come fà con le sue pipe, la deve rinfocolare, come deve pressare e riaccendere il tabacco durante la fumata. E poi siamo convinti che intorno alla stufa ci sono una quantità di pezzetti di carbone sparsi qua e la quando la carica. Come sulla scrivania abbondano gli sfrizzoli di tabacco di quando carica la pipa e la cenere di quando la vuota.
E poi la stufa la immaginiamo panciuta un po' come il fornello di certe pipe, con quel lungo tubo che porta fuori il fumo, che somiglia vagamente al cannello. Forse questa non impossibile rimando tra i due oggetti ha spinto Maigret a chiedere di conservarla.
Sono parte del calore e del personaggio e degli ambienti che Simenon ha saputo sapientemente creare e che costituiscono uno delle tante "sfiziose" tessere di quel puzzle che compone il personaggio del commissario. (m.t.)

giovedì 19 novembre 2020

SIMENON SIMENON. IL FASCINO DI GEORGES PER I MEDIA

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IL FASCINO DI GEORGES PER I MEDIA

Giornali, radio, televisioni hanno parlato molto di Simenon... anche grazie alla sua bravura

SIMENON SIMENON. L'ATTRAIT DE GEORGES POUR LES MEDIA
Journaux, radios, télévisions ont beaucoup parlé de Simenon… aussi en raison de son talent
SIMENON SIMENON. THE MEDIA’S FASCINATION WITH GEORGES
The newspapers, radio, television talked a lot about Simenon… as well as about his talent




11 maggio 2017 - Bravo. Non c'è dubbio. Le particolari qualità di romanziere di Simenon ormai non vengono messe in discussione da nessuno. Ma molto bravo anche nel curare la propria immagine. Bravura o spontaneità? La domanda è legittima. Da una parte c'era una conoscenza della psicologia degli uomini che formavano la catena di produzione delle notizie, dai reporter ai direttori dei giornali. Un po' perché lui in un quotidiano ci aveva lavorato, un po' perché aveva, precorrendo i tempi, una spiccata sensibilità  per quella che oggi chiamiamo "strategia di marketing". 
Prendiamo ad esempio la cosa più evidente e conosciuta: il lancio dei Maigret con il Bal Anthropometrique. Il suo obiettivo era chiaro. Non voleva che il debutto del suo commissario  finisse nelle colonnine di un quotidiano tra le pagine dedicate alla cultura che, sapeva bene, avevano un lettorato ristretto. Voleva invece che quel lancio facesse rumore in tutta Parigi, che fosse un evento anche mondano di cui potessero parlare non solo i quotidiani, ma anche settimanali con ben altre tirature e un pubblico molto numeroso. I figuranti vestiti da poliziotti che prendevano le impronte digitali agli invitati, la musica scatenata di una band giamaicana, champagne e liquori a volontà, addirittura un spogliarello a sorpresa... 
Sì, gli ingredienti c'erano tutti. Quotidiani e settimanali avrebbero parlato di quell'evento per una settimana. Non doveva essere rumore, ma addirittura un botto. 
E così fu. 
Oggi potremmo dire che una presentazione del genere non era poi una gran pensata. Già, ma bisognerebbe riflettere che tutto ciò avveniva quasi un secolo fa'. Ragionare in questi termini allora era davvero inusuale, inconsueto e senz'altro fuori dagli schemi correnti.
Possiamo dire che da allora iniziò un specie di luna di miele tra Simenon e la stampa (che allora era il pezzo forte della comunicazione), che lui seppe curare, costruendo la propria immagine in modo da fornire alla stampa quello che essa si aspettava.
E il gioco era fatto.
Ci sono un'infinità di fotografie che lo ritraggono in tutte le attività, come se avesse una troupe di fotoreporter, che stessero lì a documentare la sua vita, sia che stesse scrivendo, oppure su una nave in viaggio, che si trovasse in un evento mondano o nell'intimità della sua casa con figli e moglie. 
Insomma l'unica foto che non abbiamo mai visto, almeno noi, è Georges a letto con a papalina di lana!  
E le foto con le donne? Può bastare se iniziamo da Josephine Baker e  finiamo con Brigitte Bardot. Attori registi, scrittori?... quanti ne volete. Foto che documentano lui e la fila di persone che attende paziente una dedica sui suoi libri. E poi seduto o a passeggio, intabarrato d'inverno e a torso nudo durante i suoi viaggio in Africa, o mentre fa il  gentlemen-farmer... insomma cosa poteva volere di più la stampa? 
E quando la televisione divenne un mezzo di popolare di comunicazione, Simenon lasciò l'impronta della sua zampata anche lì. Una per tutte la famosissima trasmissione di  Bernard Pivot, "Apostrophe", dove un pur anziano Simenon seppe tenere alta la tensione.
Insomma non sarà stato un adone, ma aveva fascino da vendere, e i media queste cose le fiutano immediatamente. Se così non fosse stato, sarebbe caduto nel novero degli scrittori schivi e poco interessanti. E invece per un motivo o per un'altro Simenon faceva notizia.  Da giovanissimo quando la sua velocità di scrittura lo fece venire a galla tra tanti esordienti, alle rivelazioni shock, fatta all'amico regista Federico Fellini, quella delle diecimila donne possedute durante la propria vita. E poi quella pipa che gli vediamo in bocca o in mano da quando nel '22 sbarcò a Parigi alle ultime foto degli anni '80 nella piccola casa rosa in rue des Figuiers a Losanna.
E poi i numeri incredibili che spuntavano quando si pronunciava il suo nome.... centinaia di milione di copie vendute dei suoi libri (ad oggi secondo l'Unesco sono settecento milioni), vendite in una cinquantina di paesi, e traduzioni in altrettante lingue... Questi non sono altri elementi che richiamano la stampa come il miele le api? Sono numeri che fanno creare i titoli ad effetto...
E intanto l'immagine del personaggio cresce. Con il passare degli anni la patina del tempo sembra non posarsi su un personaggio che precorreva i tempi in tema di comunicazione di sé stesso e che seppe gestirsi come nemmeno un divo di Hollywood avrebbe potuto fare sia pure con un press-agent e consulente per l'immagine. 
Formidabile. Non c'è che dire. (m.t.)

mercoledì 18 novembre 2020

SIMENON SIMENON. QUELLA DI MAIGRET E' UNA VITA FELICE?

  Maigret raccontato da Simenon-Simenon/ Maigret raconté par Simenon-Simenon/ Maigret related by Simenon-Simenon  

QUELLA DI MAIGRET E' UNA VITA FELICE?

I personaggi del romanziere sono quasi sempre drammatici, Ma il commissario è diverso, Ma che vita gli fa fare Simenon?

SIMENON SIMENON. LA VIE DE MAIGRET EST-ELLE UNE VIE HEUREUSE ?
Les personnages du romancier sont presque toujours dramatiques. Mais le commissaire est différent. Quelle vie Simenon lui fait-il mener ?
SIMENON SIMENON. WAS MAIGRET’S LIFE A HAPPY LIFE? 
The novelist’s characters are almost always dramatic. But the Chief Inspector is different. What kind of life does Simenon have him lead?


18 agosto 2017 - La felicità, si sa, è un concetto un po' vago. O meglio diciamo che la felicità è un concetto molto personale che ha un significato diverso per ognuno di noi. Quindi disquisire sulla felicità di una persona o di un personaggio, e quindi in definitiva se la sua vita sia felice o meno, è un ragionamento che si svolge su un filo di lama. Se ne discute da tanto e, qualche centinaio di anni prima di Cristo, il filosofo greco Epicuro  con la sua Lettera sulla felicità, cercò di stabilirne alcuni punti essenziali.
Per lui il raggiungimento della felicità dipendeva anche dalla soddisfazione di alcuni tipi di piacere. Il filosofo li catalogava secondo un criterio che, se applicato al commissario Maigret, dovremmo ammettere che Simenon l'abbia preso pari pari e impiegato per il suo personaggio. Vediamo.
Epicuro stabiliva che erano piaceri "naturali ed essenziali": l'amicizia, la libertà, il riparo, il cibo, l'amore.
Maigret è certamente un personaggio dalle poche pochissime amicizie, ma solide e profonde come quella con il dottor Pardon. Il commissario è un uomo libero e anche nel suo lavoro sa difendere la propria autonomia e indipendenza scontrandosi, se serve, addirittura con il suo superiore, il giudice Comeliau. Il riparo, nel senso di luogo fisico dove si sente protetto, al sicuro e a suo agio, lo possiamo identificare come la sua casa in boulevard Richard Lenoir, moglie compresa (ma per estensione anche il "buen retiro" a Meung-sur-Loire). Sul cibo è inutile usare parole per dimostrare il piacere e la felicità che Maigret trae dal mangiare e dal bere. L'amore, lo possiamo intendere sotto la forma di attenzione e rispetto del prossimo, anche del peggior delinquente, che persegue fedele al suo principio di comprendere e non giudicare.
Poi Epicuro  parla dei "piaceri naturali e non necessari" come l'abbondanza, il lusso, le case sontuose, i cibi raffinati... Ecco questi piaceri potrebbero essere definiti i piaceri di un uomo ricco, che ha un posto di prestigio nella società. E questo non è certo Maigret che non solo non è ricco, ma non ama particolarmente i ricchi. 
Infine i piaceri "né naturali né necessari", come li definisce il filosofo, il potere, la gloria, la fama, il successo... Tutti elementi che non ritroviamo in Maigret e che lo stesso disdegna nettamente.
Quindi si può affermare che, secondo la classificazione di Epicuro, Maigret gode solo dei piaceri naturali ed essenziali, quelli più semplici e primari.
Quando Simenon diede vita al personaggio del commissario si preoccupò di delineare un uomo felice? Non possiamo affermarlo con precisione, ma sicuramente creò un uomo che trova la sua soddisfazione nelle piccole cose della vita, nei piaceri più essenziali e naturali. 
Maigret  quindi è un semplice, che trova soddisfazione nelle piccole e semplici gioie della vita quotidiana. Non aspira al successo (infatti rifiuta la promozione a Direttore della Polizia Giudiziaria), ma non rinuncia alla sue care pipe, ad un buon boccale di birra fresca o a qualche leccornia, che stia cuocendo sui fornelli di M.me Maigret o di qualsiasi altra cucina, ivi comprese quelle delle brasserie o di un qualsiasi appartamento. La sua casa è spesso un rifugio dalle tensioni e dai problemi del lavoro, ma anche il suo ufficio a Quai des Orfèvres è un luogo che gli dà sicurezza e un senso di protezione (anche perché lì ci sono i suoi ispettori che possono essere considerati come una propaggine della sua famiglia).
Insomma Simenon ha, (aldilà delle intenzioni?) costruito un personaggio con una vita semplice e, aggiungiamo noi, felice come può esserlo la vita delle persone semplici?
"Maigret non è intelligente, è intuitivo". Questa è la risposta ricorrente che Simenon forniva alle numerose domande che miravano a scoprire com'era Maigret.
Intuitivo, ma non stupido, anzi. E' un'empatia di cui il commissario è capace e che lo porta a sentire e a capire molte cose. Questo non è necessariamente qualcosa che fornisce felicità, anzi spesso lo obbliga di immedesimarsi nei piccoli grandi drammi della gente che incontra nelle sue inchieste.
Ma allora la vita che Simenon fa vivere a Maigret è felice o no?
E' senz'altro una vita tranquilla, perché per quanto si faccia prendere dal lavoro (ed è una professione che lo appassiona), il suo côté familiare è un'oasi felice, grazie sopratutto alla sua Louise che fa di tutto per metterlo a suo agio, lo coccola, lo prende per la gola e lo asseconda in quasi tutto.
Possiamo definirla una felicità tranquilla?  Era questa l'intenzione di Simenon? In fondo ha voluto rivoluzionare l'icona del detective letterario che dominava allora. Ha costruito un funzionario dello Stato, niente sesso, niente violenze efferate, niente eroismi. Solo un lavoro metodico, una gran determinazione e una predisposizione a sentire e a comprendere gli altri. Non ci sono grandi emozioni, ma sfumature psicologiche che spesso fanno la differenza e aiutano a risolvere i casi.
Questa novità letteraria nell'ambito del romanzo poliziesco aveva bisogno quindi di un uomo normale, con i piedi ben piantati per terra, con una vita quanto più possibile come quella di tutti gli altri.
La felicità di Maigret forse è racchiusa proprio in questo, riuscire a condurre un esistenza normale, senza troppe pretese ed ambizioni, trovando sprazzi di felicità nelle pieghe della vita e nel vivere la quotidianità con la forza tranquilla di chi è conscio dei propri limiti e delle proprie capacità. Beh...sì  forse Simenon ha voluto fare di Maigret un personaggio felice, dove felicità fa rima con consapevolezza. (m.t.) 

martedì 17 novembre 2020

SIMENON SIMENON. L'IMPELLENZA DI RACCONTARE...

 Simenon Story 

L'IMPELLENZA DI RACCONTARE...

Il mestiere dello scrittore e il bisogno di raccontare storie e raccontare sé stesso

SIMENON SIMENON. LE BESOIN IMPERIEUX DE RACONTER...
Le métier de l'écrivain et le besoin de raconter des histoires et de se raconter lui-même
SIMENON SIMENON. THE COMPELLING NEED TO RECOUNT…
The writer’s occupation and need to tell stories and talk about himself



18 ottobre 2017 - Raccontare e raccontarsi. Questo in sintesi il bisogno di quasi tutti gli scrittori, che in genere, narrano delle storie ma poi finiscono (chi più chi menoanche per raccontare sé stessi. Nel titolo, riferendoci a Simenon, abbiamo definito quello suo "un'impellenza", cioè un bisogno urgente non solo testimoniato dalla mole di romanzi, novelle, romanzi brevi che ci ha lasciato, non solo per il ritmo con cui scriveva, ma anche perché, ricordiamolo, il primo scritto Au pont des Arches, in forma di romanzo, Simenon lo terminò a soli diciassette anni, quand'era ancora a Liegi. Era il 1920 e l'anno dopo fu dato alle stampe a spese dello stesso autore (ma sembra che avesse trovato circa trecento acquirenti prima di stamparlo). 
Come sappiamo tutti l'arco della sua attività di romanziere si esaurisce nel 1972 con Monsieur Charles, un'inchiesta del commissario Maigret. Fanno 52 anni di attività, certo con qualche pausa, soprattutto agli inizi con alti e bassi, ma con una produzione che ci racconta molto di lui. Al di là di quelli che vengono identificati come i romanzi specificamente autobiografici, come ad esempio Pedigree, Quand j'étais vieux, per non parlare di Lettre à ma mère o di Mémoires Intimes... nei suo romanzi troviamo sempre dei riflessi delle sue esperienze. Che siano viaggi esotici, che siano stressanti situazioni familiari, che siano sue esperienze sentimentali e sessuali, che siano persone, ognuna di queste trova posto nei romanzi e, se si conosce un po' la biografia di Simenon, non è difficile leggere tra le righe anche le sue convinzioni, il suo modo di essere, le sue propensioni, le sue paure e le sue aspirazioni. 
D'altronde pure quando scrive i Maigret, i ricordi dell'infanzia, le tracce di una gioventù lontana, hanno un'eco di un certo rilievo. 
Il bisogno di raccontarsi lo ritroviamo non solo nella sua letteratura, ma ad esempio nella sua buona disposizione a farsi intervistare. E sono interviste  sincere,  Simenon non gioca a mascherarsi, non crea un personaggio da dare in pasto ai media. Abbiamo detto più volte che aveva un'innata capacità di intuire qual era il modo migliore per vendere i propri titoli, come lanciare un personaggio, inconsapevolmente fece ante-litteram il marketing di sé stesso. Ma questo non intacca la spontaneità e la disponibilità di mettersi a nudo... a volta addirittura "...sur le gril". Ci riferiamo alla famosa intervista cui si sottopose nel '68 con cinque medici e psicologi di Medicine et  Hygiène che lo tennero per un certo lasso di tempo per quella che, più che un'intervista, potremmo definire una seduta psicanalitica.
Anche in quella occasione, almeno a detta dei medici, Simenon fu quasi del tutto sincero, di fronte a domande che scavavano nel profondo e che avrebbero potuto far scattare delle barriere di difesa. Invece il romanziere si lasciò andare, forse per raccontarsi meglio ai propri lettori, tramite le domande di quegli specialisti, che magari sperava avrebbero tirato fuori delle cose che nemmeno lui stesso avrebbe saputo esternare.
E ancora. C'é la questione delle fotografie. Simenon è stato ritratto in quasi tutte le età, nei più disparati contesti, in compagnia dei familiari, delle persone più, vicine, e quelle frequentate professionalmente. E non solo. Anche diversi eventi importanti per la sua vita sono stati immortalati dall'obbiettivo. Se le mettessimo tutte in file, ordinate cronologicamente, queste istantanee costituirebbero un'altro romanzo autobiografico, costruito senza parole, ma non per questo meno efficace delle sue migliori performance letterarie.  
E ancora nel '75 iniziò a raccontarsi registrando ad un magnetofono. Non erano storie, ma pensieri  sparsi, riferiti a lui, alle persone che aveva conosciuto, riflessioni su fatti del presente e ricordi di quelli del passato (poi rilegati in libri da Presses de la Cité e intitolati "Dictées")... un racconto di sè che andò avanti fino al 1979 per un totale di una ventina di volumi.
E poi non sarà davvero un caso che questa sua impellenza di raccontarsi generasse l'ultima sua opera che fu davvero la più biografica e la più estesa raccolta di ricordi che il romanziere avesse mai scritto: Mémoires intimes. (m.t.)

lunedì 16 novembre 2020

SIMENON SIMENON. JULES SIMENON ET GEORGES MAIGRET

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JULES SIMENON ET GEORGES MAIGRET

Evocation des rapports entre le romancier et son personnage 

SIMENON SIMENON. JULES SIMENON E GEORGES MAIGRET 
Evocazione del rapporto tra lo scrittore e il suo personaggio  
SIMENON SIMENON. JULES SIMENON AND GEORGES MAIGRET 
Evocation of the relationship between the novelist and his character 

13 maggio 2017 - Simenon l'a dit et répété à plusieurs reprises: il n'était pas Maigret, et Maigret n'était pas Simenon...
Cependant, on peut trouver des rapports entre le créateur et sa créature, des rapports qui dépassent ceux d'une simple relation d'un auteur à l'un de ses personnages.
Simenon, sans aucun doute, ne se prenait pas pour Maigret; il lui a donné des habitudes, un mode de vie, un caractère, qui étaient bien loin des siensmais il l'a aussi doté, au fil du temps, dparticularités qui l'ont petit à petit rapproché de lui-même. Car c'est cela qui frappe le plus, lorsqu'on examine cette relation entre l'auteur et son héros: une évolution dans leurs rapports.  
Au temps des premiers romans Maigret, ceux de la période Fayard, on a affaire à un jeune romancier plein d'ambition, qui crée un personnage pour des fins en quelque sorte utilitaires: sur la voie qui doit le mener à la "vraie" littérature, Simenon a besoin d'un "meneur de jeu", un personnage qui, de par son métier de policier, a accès à toutes les couches sociales que le romancier voudrait décrire. Le roman policier lui permet aussi d'avoir un fil rouge: une enquête qu'il faut suivre jusqu'à son dénouement, avec la découverte de décors, de protagonistes que le commissaire va interroger dans leur milieu de vie.  
Dans ces années 1930 qui voient fleurir la première série de la saga maigretienne, Simenon est un auteur d'à peine trente ans qui imagine un personnage qui, lui, a dépassé la quarantaine, et il a probablement en tête la vision d'un policier avec une certaine maturité; cet écart entre l'âge du romancier et celui de son héros a pour conséquence qu'il en fait, parfois, une sorte de caricature: une silhouette massive, presque monstrueuse, "pachydermique""il avait l'air presque bovin", comme le dit Simenon dans l'interview qu'il accorde à Roger Stéphane. Ce qui, bien entendu, ne l'empêche pas de lui donner ce qui en fera sa "marque de fabrique": cette manière de s'imprégner d'une atmosphère, de se mettre dans la peau des gens"c'est un intuitif", dit encore Simenon à Roger Stéphane. 
Cette relation du jeune romancier à un héros mature ("à cette époque-là, il avait tendance à me considérer comme un homme mûr et même, au fond de lui, comme un homme déjà vieux" raconte Maigret dans ses Mémoires) va petit à petit évoluer, et une deuxième étape est franchie à l'aube des années 1950, lorsque le romancier, installé aux USA, transcende sa nostalgie parisienne et comprend que son personnage lui est devenu nécessaire, à la fois pour se replonger dans le monde de la capitale telle qu'il a connue vingt ans auparavant, et à la fois parce qu'écrire un Maigret lui est utile, aussi bien pour se "délasser" de la rédaction des romans durs, que pour aborder dans un roman policier un thème qu'il n'a pas encore réussi à cerner dans un autre roman. De plus, Simenon a rejoint l'âge de son personnage, et il en a forcément acquis un autre regard sur lui. Sa propre expérience de la vie lui a appris à voir le monde différemment qu'avec le regard de sa prime jeunesse, et il commence à doter son personnage de quelques-uns de ses propres souvenirs (voir par exemple la nouvelle Le témoignage de l'enfant de chœur, dans laquelle Simenon met en Maigret ses souvenirs de son enfance liégeoise), mais aussi de ses propres sensations, de sa propre façon "d'être au monde", d'appréhender gens et choses.  
Et le rapprochement va se faire encore plus étroit, lorsque, au lendemain de son installation en Suisse, Simenon va commencer à poser ses interrogations sur les grands thèmes qui le hantent: la responsabilité des criminels et de l'Homme en général. S'il ne fait pas de son héros son "porte-parole" à proprement parler, il n'y a pas de doute que les questionnements de Maigret sur le fonctionnement de l'appareil judiciaire, sur les limites de la folie (voir par exemple Maigret aux Assises, Une confidence de Maigret ou Maigret hésite) reflètent les questionnements de Simenon lui-même. 
Une dernière étape dans la relation entre le créateur et son héros est atteinte lorsque Simenon cesse son métier de romancier, pour égrener ses souvenirs dans ses Dictées. Il est frappant de constater que dans ses textes autobiographiques, Simenon ne parle qu'extrêmement rarement des personnages qu'il créés. A mesure qu'il avance en âge, petit à petit une coupure se fait entre lui et ses romans, mais un seul personnage reste présent à sa mémoire: c'est Maigret, qu'il évoque souvent dans ses Dictées, l'imaginant coulant une paisible retraite, qu'il compare à la sienne. Alors que les rares fois où il parle d'un autre de ses personnages, c'est pour l'évoquer dans le contexte d'un roman où il est apparu, avec Maigret, c'est différent: il en parle presque comme de quelqu'un qu'il aurait pu connaître dans la réalité, établissant des comparaisons entre son personnage et lui-même: mêmes goûts culinaires, même désir de comprendre les hommes. Dans ses Mémoires intimes, il ira jusqu'à écrire que Maigret est un "personnage qui a fini par devenir mon ami". Et il ajoute, dans une sorte de réconciliation finale avec ce personnage qu'il avait pu trouver encombrant et dont il avait essayé en vain de se débarrasser à plusieurs reprises: "Je lui dois beaucoup de reconnaissance puisque c'est grâce à lui que j'ai cessé d'être un amateur et que je suis devenu pour longtemps un romancier."  
Non, Simenon n'est pas Maigret, mais peut-être, au fil des années, a-t-il mis en lui plusieurs des choses auxquelles lui-même aspirait sans y arriver; cet éternel inquiet que fut le romancier, qui disait ne pas s'aimer lui-même, et qui tentait de se fuir en se mettant pour quelque temps dans la peau de ses personnages, n'a-t-il pas envié son commissaire, qui, en dépit des affres qu'il vivait à travers ses enquêtes souvent difficiles, avait réussi à atteindre cette "introuvable sérénité", selon le mot d'Assouline, que Simenon lui-même ne parvint jamais à rejoindre… 

Murielle Wenger