lunedì 16 maggio 2011

SIMENON AU CHATEAU COLONSTER. NON E' UN ROMANZO, MA E' MOLTO ISTRUTTIVO

Chateau Colonster, fa parte del campus unvesitario di Sart Tilmam (Liegi) ed è divenuta la sede della Fondazione Simenon. Sistemata al primo piano del Castello, si tratta di una grande biblioteca, che è anche un luogo di lavoro, dove sono raccolti non sono libri, ma una serie di documenti relativi a Simenon, alla sua opera e alla sua vita. Un paradiso per gli studiosi e i ricercatori che vi possono trovare una parte dei suoi manoscritti, un gran numero di edizioni in francese e in altre lingue dell'opera simenoniana, come anche le famose cassette dove lo scrittore incise i famosi Dictées. E ancora i "billets" che scriveva per la Gazzette de Liège, i racconti popolari sotto pseudonimo e moltissimi articoli che pubblicò durante la sua vita su vari giornali.  Poi la sua corispondenza con personaggi più o meno noti e con gli altri scrittori. Ritratti e studi critici di specialisti. Oltre 2000 fotografie e video di interviste, copie dei film tratti dai suoi romanzi. Insomma un vero paradiso  riservato agli studiosi e ai ricercatori, ma che su richiesta viene aperto, per esplicita volontà di Simenon anche ai visitatori, anche perchè a Colonster vengono conservati degli oggetti di grande interesse degli appassionati. Ad esempio alcuni elemeni del suo mobilio come le biblioteche, il suo tavolo da lavoro, il suo ufficio, la macchina per scrivere, le buste gialle, le matite... insomma una vera cuccagna.
Ma come è arivato qui tutto questo materiale?
Fu merito dello stesso Simenon che nel 1976 decise di fare una donazione di tutto quanto suddetto al professor Maurice Piron, docente dell'Università di Liegi che teneva delle lezioni sulla sua opera.
Ci spiega il romanziere:"Martedi 8 sono andato dal notaio con il professor Piron che tiene da due anni corsi su di me all'università. Insomma mi è venuta l'idea di fare dono alla mia città natale di tutto quello che un uomo della mia età ha potuto accumulare. Da martedì tutto questo non mi apparterrà più". (Tant que je suis vivant - Dictées - aprile-giugno 1976).
E da allora La fondazione svolge le sue attività per promuovere e divulgare in tutto il mondo la figura e le opere di Simenon, appunto fin dal '76, quando inizialmente aveva sede nella biblioteca dell'Università di Liegi.
Sotto la direzione di M.me Banjomee e grazie a contributo di Michel Lemoine, nel 1988 fu lanciata la rivista Traces, acronimo di Traveaux du Centre d'Etudes Simenon, dove vengono raccolti studi critici, saggi di specialisti e novità sull'universo simenoniano.


domenica 15 maggio 2011

SIMENON. UOMO DI LETTERE E DI... MARKETING

E' ormai noto che Simenon fosse un istintivo. Nella scrittura, nella vita, nei continui cambiamenti di casa, città, nazione... Seguiva spesso il suo lato irrazionale, anche se poi nelle sue abitudini di tutti i giorni era regolare, preciso e ordinato in modo quasi maniacale.
Questa istintività si traduceva anche nell'intuire quello che desiderava leggere la gente. Ad esempio, era stato l'unico a credere nel successo di Maigret, contro il parere di Fayard, degli editor, dei suoi amici critici. Quel personaggio, assolutamente fuori dai canoni dei protagonisti di successo della scena letterario-poliziesca di allora, non ispirava fiducia a nessuno e invece Simenon "sentiva" che sarebbe piaciuto.
Ma la sua sensibilità andava ancora più in là. Aveva un fiuto particolare per certe dichiarazioni, la situazioni originali e gesti particolari che provocavano una larga eco nell'opinone pubblica. Insomma potremo dire che aveva nelle vene una sorta di senso del marketing ante-litteram.
Alcune volte si buttava in situazioni un po' rischiose. Infatti qualche volta andava bene, altre male, ma questo non è significativo. E' invece importante che Simenon, il più delle volte, riusciva a sentire quello che avrebbe potuto funzionare. E gli esempi sono numerosi. Ad esempio nel '31 per la veste editoriale della prima serie dei Maigret, volle delle copertine completamente fotografiche. Una novità per l'epoca, una scelta che poteva sembrare adatta ad un pubblico evoluto e di gusti avanzati. Ma non fu così. Possiamo dire non solo che quelle copertine furono una delle componenti del successo dei Maigret, ma che di fatto fecero scuola, tanto che quella soluzione fu poi seguita da diversi editori.
Ma anche prima si era vaute avvisaglie di questa sua sensibilità. Ad esempio nell'affaire del romanzo nella gabbia di vetro che nel 1927 l'editore Eugene Merle gli propose (scrivere in pochi giorni un romanzo, chiuso in una gabbia di vetro su una traccia dettata dai lettori dei quotidiani della stessa casa editrice). L'annuncio dell'iniziativa fece rumore e aumentò la fama di "fenomeno" che già Simenon si portava dietro per l'ingente produzione letteraria e la rapidità con cui scriveva. Ma d'altra parte gli procurò commenti ironici dalla stampa e riprovazioni dal mondo letterario. L'evento poi non ebbe luogo. Ma se parlò e se ne scrisse ancora a lungo, come se invece si fosse realmente verificato. Questo da un lato portò fama allo pseudonimo d'allora, Georges Sim, ma non si può dire che fosse una pubblicità positiva.
Altro caso, la chiassosa festa, Le bal Anthpometrique, che nel 1931 Simenon volle organizzare alla Boule Blanche di Parigi per lanciare la serie dei Maigret. Lui puntava molto su quel personaggio e su quei romanzi che lo avrebbero staccato dalla letteratura popolare. E così non voleva che la presentazione di quel commissario così importante per lui, finisse nelle colonnine delle pagine letterarie dei quotidiani o nelle riviste specializzate in letteratura. Ambiva ad una risonanza di ben altra portata. "Ne deve scrivere tutta la stampa, anche quella popolare... se ne deve parlare per tutta la settimana... insomma lo devono sapere tutti". Anche qui Fayard era scettico. Ma Simenon ebbe ragione quella festa smodata, che andò avanti fin all'alba, tra fiumi di champagne, balli sfrenati, ospiti ubriachi, spogliarelli improvvisati, riempì le cronache mondane per giorni, divento l'evento della settimana.
E ancora potremmo citare l'affaire Stavinsky nel 1934, in cui, per dare ancor più rilevanza alla sua creatura già di successo, Maigret, fece seguire dal commissario per conto di Paris Soir questo scandalo finanziario, con suicidio. Qui invece i risultati furono disastrosi e contrari alle intenzioni e il ritorno d'immagine decisamente negativo. Il bravo scrittore non era affatto un buon detective e stavolta era andato tutto storto.
Anche per le dichiarazioni funzionava nello stesso modo. Esempio classico l'intervista a Fellini che nel 1977 gli commissionò L'Express e in cui Simenon racconta delle famose 10.000 donne con le quali, dai 13 anni e mezzo ad allora, avrebbe avuto rapporti sessuali. Evidentemente un sparata (la moglie Denyse dicharò invece che probabilmente erano state poco più di mille), ma intanto la dichiarazione, nel bene o nel male, fece il giro del mondo.
E anche sulla propria rapidità nello scrivere a Simenon piaceva calacare un po' la mano, pur se lo faceva come se si trattasse della cosa più naturale del mondo. Rispondeva ad innnumerevoli interviste alla televisone, in radio, sui giornale che scriveva in media un capitolo al giorno per sette otto, massimo nove giorni, perchè tanto durava l'état de roman. Ogni giorno alla macchina da scrivere per tre/quattro ore, nelle quali riusciva a chiudere un capitolo. E d'altronde i numeri gli danno ragione. Basti pensare che (senza entrare nelle diatribe dei vari conteggi che spesso contrastano per qualche unità) in 52 anni (dal 1929 al 1981) Simenon scrisse e pubbicò, tra romanzi, racconti e romanzi brevi, circa 270 titoli. Ciò equivale ad 5 titoli l'anno. E questo senza considerare tutti i romanzetti e i racconti popolari pubblicati sui giornali o nei livres de poche tra il 1920 e il 1930.
Una produzione che di per sé fa un certa impressione e una carta che Simenon sapeva giocarsi bene, anche se la critica letteraria rimaneva un po' condizionata nei suoi giudizi da questa quantità, e dalla rapidità di esecuzione, che era ritenuta, almeno fino ad un certo punto, pregiudizievole per la qualità. Ma Simenon rigirava anche questo a suo  favore, dichiarando che a lui interessavano più i giudizi dei lettori che quelli della critica.

sabato 14 maggio 2011

SIMENON: I MIEI ROMANZI QUESTI SCONOSCIUTI

Sette-otto giorni di media per terminare un romanzo. Questi sono i tempi ormai noti. E dopo? Simenon aveva sempre una gran fretta. Mentre scriveva, perché era in état de roman e quindi doveva finire prima che questa condizione teminasse. Quando per una malattia o per qualche grave impedimento li era capitato di smettere, dopo non era più stato in grado di continuare. Un lasso di tempo di tre quattro giorni di pausa e non riusciva più ad entrare nella vicenda, nei personaggi, si sentiva estraneo a quello che lui stesso aveva scritto.
Così come, una volta terminata la sua storia, nel giro di tre/quattro giorni doveva fare la revisione perché anche qui altrimenti non si riconosceva più in quello che aveva appena finito.
"...per esempio adesso non credo più al mio ultimo romanzo, che per quello che mi riguarda ha smesso di esistere - spiega Simenon in un'intervista - Ci credo mentre lo sto scrivendo e ci credo anche subito dopo. Allora occorre che mi sbrighi a fare la revisione... finita la quale, vengono fatte delle fotocopie, per spedirle all'editore e per inserirle nel mio archivio. Non ho mai riletto uno dei miei romanzi..."
In effetti tutto il lavoro editoriale veniva poi fatto dalla casa editrice e Simenon se ne disinteressava del tutto. Tanto era la concentrazione e lo sforzo nella fase creativa, tanto era il distacco da quella che lo scrittore considerava un'esperienza vissuta e terminata, sulla quale non c'era alcun motivo di tornarci sopra.
Però spiegava che una sorta di ritorno, ad un certo punto, si verificava.
"... dopo tre, quattro anni dalla pubblicazione, quando è stato tradotto in un trentina di lingue e le critiche sono arrivate da ogni parte. Bene, allora mia moglia mi fa vedere le più significative e così conosco la reazione del pubblico dei diversi paesi. E in qualche modo il romanzo mi ritorna, si ripropone visto dagli occhi degli altri, di tutti quelli che l'hanno letto... Allora mi capita di ricominiciare ad amarlo...".

giovedì 12 maggio 2011

SIMENON. LA VILLA BUNKER DI EPALINGES

La solidità innanzi tutto. Perché la casa è una sorta di baluardo nei confronti del mondo esterno. Simenon ha sempre ricercato la sensazione di sicurezza nelle case quando doveva sceglierle per abitarci. Ora però, nel caso della villa di Epalinges, era un 'abitazione costrutita sulle sue indicazioni e questa esigenza diventava una priorità su tutto. Era il 1963. Anche l'estetica passava in secondo piano. Sicurezza e massima funzionaità che per uno maniaco dell'ordine e della organizzazione come Simenon diventavano una variabile indipendente da cui dovevano conseguire tutte le altre.
Infatti, ad osservarla dall'esterno, la villa non concedeva nulla all'estetica. Vari volumi squadrati, tutti rigorosamente bianchi, dove porte e finestre erano delle semplici aperture. Insomma, a detta di molti, non era un bello spettacolo, lì nella campagna intorno a Losanna.
Il bianco dominava anche al'interno, fatto salvo per i bagni neri e la moquette rossa. In compenso alle pareti del monumentale ma essenziale ingresso si potevano ammirare quadri di Matisse, Lorjou, Vlaminck, Buffet. Avventurandosi su su, fino alla terrazza sopra uno dei tetti, c'è una vista magnifica a 360° che andava dalle Alpi italiane al lago di Lemano, dai Jura alle Alpi francesi.
Per il resto era il regno della funzionalità. Le stanze erano tutte insonorizzate e collegate tra loro da un interfono e dotate di porte in acciaio. Nel sotterraneo c'era una enorme spazio adibito a spazio per i giochi dei suoi figli più piccoli, Pierre-Nicolas e Marie-Jo. Per sé, Simenon aveva riservato due camere come studio, una per poter scrivere e una per ricevere ospiti e giornalisti. Anche l'arredo era stato scelto da Simenon, tutto in stile Luigi XV. Poi va citata la cosiddetta "sala operatoria", anche qui un leggenda, che fece leva sull'ipocondria dello scrittore. In realtà si trattava di una stanza con un armadio per i medicinali, pare molto ben fornito, un lettino per i massaggi  e una lampada abbronzante. Niente a che vedere con un sala asettica dove ipotetici chirurgi avrebbero potuto portare a termine un'operazione. Poi c'era un garage per setto/otto vetture e nel giardino corcostante una piscina coperta da una cupola di vetro. Tutto ciò oltre alle normali stanze da letto, cucina, cantina, lavanderia con sei lavatrici (dove confluivano dei condotti per la biancheria da lavare che provenivano dai vari bagni), e quello che serve ad una normale famiglia. Ma la famiglia non era normale. Denyse, la sua seconda moglie, era in un clinica a disintossicarsi dall'alcol e quando rientrò in casa si ritrovò in quell'immensa villa che le era del tutto estranea. Ma non ritorvò nemmeno il suo posto nella gestione degli affari del marito. Un matrimonio già tramontato.

mercoledì 11 maggio 2011

SIMENON E IL CASO DELL'APPARTAMENTO NON ADATTO PER SCRIVERE

Siamo nel settembre del 1935. Simenon da un paio d'anni aveva firmato l'accordo con patron Gaston, e quindi pubblicava con la casa editrice Gallimard. Aveva portato a termine la prima serie di Maigret (quella pubblicata con Fayard). Le sue entrate erano aumentate, tanto da cambiare la sua residenza a Parigi. Nonostante avesse vissuto per un po' a Marsilly (a La Richardière, una vecchia residenza nobiliare del sedicesimo secolo, vicino a La Rochelle) alla scadenza del contratto d'affitto decise di tornare a Parigi, ma non nella storica casa al 21 di place des Vosges, bensì in un nuovo lussuoso appartamento vicino al Bois de Boulogne al 7 di boulevard Richard-Wallace.
Ora, sappiamo che Simenon era un metodico, soprattutto per quanto riguardava la scrittura. Aveva i suoi orari le sue abitudini e, se è vero che spesso riusciva ad organizzarsi per mantenerle anche quando era in viaggio, il fatto di poter scrivere in casa lo aiutava di certo. Invece quella bellissima casa, non fu affatto un buon posto per scrivere. Infatti lui, Tigy e la Boule rimasero lì fino all'autunno del 1938 quando poi tornarono dalle parti de La Rochelle, a Nieul-sur-mer.
Beh, in tre anni non scrisse nemmeno un Maigret e solo due dei diciassette romanzi realizzati in quegli anni li portò a termine in quell'appartamento: Loung Cours (Gallimard - 1936) e Le Suspect (Gallimard - 1938). Basti pensare che opere importanti come Le testament Donadieu fu scritto ad agosto del '36 durante una vacanza all'isola di Porquerolles. Il bellissimo L'homme qui régardait passer les trains (dicembre '36) durante un'altra vacanza, questa volta invernale, nel Tirolo (Austria) ad Igls, e La Marie du Port in un albergo di Port-en-Bessin (Calvados) nell'ottobre del '37, tanto per fare qualche esempio.  E' anche vero che in quegli anni viaggio molto: le Americhe da nord a sud, Galapagos, Tahiti, la Nuova Zelanda, l'Australia, l'India, il Mar Rosso.
E allora perchè solo due romanzi a boulevard Richard-Wallace. Per i Maigret una spiegazione ci può essere, infatti Simenon era nel periodo in cui, avendo concluso il contratto con Fayard dava per compiuta la serie delle inchieste del commissario. Ormai aveva iniziato a pubblicare i romans-dur con Gallimard e a quel tempo pensava che Maigret fosse una fase conclusa e infatti stette ben cinque anni senza scriverne uno.
Per i romanzi invece non si può dire che gli mancasse l'ispirazione. Diciassette titoli in tre anni fanno quasi sei l'anno, per la precisione uno ogni paio di mesi o poco più. Un ritmo infernale. Ma non nel suo appartamento di Richard-Wallace. Insomma quello di questa casa rimane un mistero. O forse soltanto un caso. In ogni modo un caso molto singolare per uno scrittore come Simenon.

SIMENON. PSICOLOGIA, PSICANALISI E PSICHIATRIA

Carl Gustav Jung e Georges Simenon
Quelli citati nel titolo sono termini che si incontrano sovente leggendo non solo gli studi critici, le analisi e le biografie dedicate a Simenon, ma anche gli stessi testi dello scrittore. 
L'approccio psicologico tipico della sua narrativa è cosa tanto risaputa da non meritare un'ulteriore esposizione, ma va comunque doverosamente citata, perchè sia ben chiaro come in molti romanzi la chiave di lettura sia proprio quella. Anche in Maigret, quel metodo così poco poliziesco d'indagare, che tanto fà indignare i propri superiori, è uno strumento psicologico e rappresenta uno dei tratti fondanti del personaggio.
Come ad esempio il protagonista di Lettre a mon juge (1947) che legge delle riviste di psicanalisi e confida al magistrato che lui qualcosa ne sa di questa materia, anche se un po' lo spaventa.
Questo è un tema che ritroviamo anche nella vita dello scrittore anche lui lettore di Freud, (scoperto a vent'anni) e in seguito di Adler, di Jung ed altri, anche se dichiarava "...penso di non essermi mai lasciato influenzare dalle loro teorie, quando scrivevo i miei romanzi, come per esempio hanno fatto gli scrittori americani d'oggi..." (Quand jétais vieux -1961)
A quello che dichiarava, Simenon, nonostante una certa conoscenza della materia, non si sentiva nemmeno uno psicologo della domenica, asserendo addirittura che molti vecchi contadini erano molto più psicologi di lui.
Anche quella caratteristica di spingere i protagonisti dei propri romanzi fino alle conseguenze estreme delle loro scelte, delle loro azioni in situazioni che spesso possono essere definite patologiche, erano una scelta ben consapevole dell'autore. "... D'altronde sempre di più, sin dall'inizio, i miei personaggi nel mio spirito arrivano in qualche modo fino al punto in cui gli psichiatri li prendono in consegna -  spiega nello stesso libro Simenon - I miei "clienti", con qualche passo in più potrebbero diventare loro clienti ... esiste una fascia in cui questi sono allo stesso tempo clienti miei e degli psichiatri...".
Anche se Simenon afferma di non essere stato condizionato dalle teorie psicanalitiche nella creazione delle sue storie, una certa influenza è però innegabile. D'altronde lui stesso aveva la convinzione che la psicanalisi non fosse altro che la ricerca di un "aggiornamento" delle pulsione del cosiddetto "cervello tribale" (in  confronto al "cervello nuovo") la parte più oscura e insondabile del nostro animo, il nostro inconscio.
"...in effetti ho scritto i miei libri sforzandomi di non lasciarmi sopraffare dalla ragione, ma al contrario di seguire il mio istinto. E non lo rimpinango..."(Dicteé 1974)