martedì 24 maggio 2011

SIMENON. L'UOMO CHE NON ERA MAIGRET


Un brano da "Simenon", un film del 2003, del regista Manu Riche, tratto dalla biografia di Patrick Marnham. La pellicola dura 52 minuti ed è stata girata in 16 mm. La sceneggiatura è di Steve Hawes.(manuriche)

lunedì 23 maggio 2011

SIMENON. LO STILE CHE CAMBIA E LE MOTS-MATIERE

Stile Simenon. E' un po' come le famose atmosfere simenoniane. Un elemento della sua opera letteraria considerato dalla critica molto caratterizzante.
Secondo l'autore lo stile scaturisce dalla vicenda che si sta raccontando, influenzato dalla vita reale che prima passa sulla pagina scritta e poi arriva al lettore. Per questo motivo utilizzava quelle che chiamava mots-matière, cioè parole materia, quelle semplici, concerete, univoche, comprensibili da tutti. Poi vengono nella lista delle precedenze simenoniane il ritmo, la poeticità della prosa, la sintassi (per esempio in Belgio sostenevano che lui utilizzasse un francese non corretto. E Simenon replicava " E' possibile, io vivo a Parigi e loro a Bruxelles")...
Tornando alle mots-matière è un concetto molto interessante. Ecco come ne scrive lo stesso Simenon ne Le Romancier (1945): "... delle parole, se volete, che hanno il peso della materia, delle parole che hanno tre dimensioni.... un pezzo di carta, un scorcio di cielo, un oggetto qualunque, spesso i più elementari della nostra vita, prendono una importanza misteriosa...".
E per spiegarsi meglio ricorreva all'arte sua prediletta: la pittura. E affermava che una mela dipinta da un vero pittore, come ad esempio Cézanne, aveva un suo peso e lui con le sue parole cercava di raggiungere lo stesso risultato.
Certo anche la sua prosa si modificava, come è ovvio, con il passare del tempo, in merito alle esperienze, in relazione all'età e ai differenti stati d'animo tipici del periodo.
Per esempio lo stile usato negli scritti degli anni '30 era più brillante, più ricco di aggettivi, mentre con il passare degli anni Simenon ha sempre cercato di asciugare il proprio stile, di tagliare, di essere più essenziale, con l'obiettivo di aderire più possibile allo spirito e al linguaggio dei suoi personaggi, tendendo  così ad uno stile più neutro possibile.
"...cerco un stile non solamente neutro, ma uno stile adeguato alle concezioni      dei miei personaggi in quel momento -  spiega Simenon in un'intervista del '63 -  Lo stile deve seguirli in ogni momento e modificarsi quando cambiano i pensieri dei miei protagonisti..."

domenica 22 maggio 2011

SIMENON. SI SCRIVE MAIGRET, MA IN ITALIA SI PRONUNCIA CERVI.

Dalle nostre parti Maigret ha la faccia di Gino Cervi. Almeno per i molti che per ragioni anagrafiche hanno potuto vedere gli sceneggiati prodotti dalla Rai tra la metà degli anni sessanta e i primi anni settanta, oppure le repliche che sono state riproste nel corso degli anni. E poi, ma forse per un pubblico in parte sovrapponibile al suddetto, varie edizioni, prima su videocassetta, poi più recentemente su dvd, che la Rai stessa e altre case editrici hanno riproposto a più mandate, riscontrando sempre un notevole successo.
Si è più volte detto, in base a quanto scritto in un'intervista dell'85 a Giulio Nascimebeni, che Simenon avesse affermato che il Maigret di Cervi era quello che preferiva. Questo non è povato. In altre parti lo scrittore si era espresso invece per l'inglese Rupert Davies, come miglior interprete non francese. In realtà non lo interessavano le riduzioni televisive delle sue inchieste di Maigret, come non lo appassionavano le produzioni cinematografiche tratte dai suoi romanzi. Motivo? Quello che vedeva realizzato non lo soddisfaceva mai, perché si trattava di qualcosa che lui aveva creato e su cui poi qualcun'altro metteva le mani, più o meno arbitrariamente, modificandolo a suo gusto e piacimento.
L'unico di cui disse qualcosa di confermato fu Jean Gabin, commentando "Dopo aver visto al cinema il Maigret di Gabin e di Delannoy (il regista), ogni volta che mi metto alla macchina da scrivere per una nuova inchiesta del commissario, mi viene sempre davanti la faccia di Jean... Ho paura che prima o poi mi venga a chiedere i diritti!..". Tra l'altro tra Simenon e Gabin c'era un certa amicizia personale, avendo l'attore interpretato una decina di film tratti dai suoi romanzi.
Ma torniamo in Italia e a Gino Cervi. Come mai entrò così bene nella parte del commissario e nell'immaginario collettivo degli italiani? Tenendo poi conto che Cervi partiva un po' svantaggiato. Infatti lui era un bravo attore di teatro, tanto da iniziare a calcare le scene nel '21 e da essere già nel '24 chiamato dalla Compagnia del Teatro d'Arte di Pirandello. Ma era anche un grande attore di cinema (circa 120 film in tutta la carriera) e il suo handicap era di aver già interpretato un personaggio molto popolare. Come non ricordarsi del famoso sindaco comunista nella serie cinematografica Don Camillo e l'onorevole Peppone, dove Cervi vestiva i panni del sindaco comunista di un paese della bassa pianura padana e litigava di continuo con il parroco interpretato da Fernandel?
Era il 1952 e quel film divenne il primo di una serie di cinque (fino al 1965) che gli dette grande popolarità in Italia, ma anche in Francia. Insomma per il grande pubblico, non certo per quello che lo seguiva a teatro, Cervi si indentificava allora con il sindaco comunista, burbero campagnolo, sanguigno, non molto istruito, protagonista delle pellicole tratte dai libri di Giovannino Guareschi.
Ormai in quegli anni la televisione aveva iniziato ad essere un mezzo in forte competizione, e spesso vincente, con la radio, il cinema, il teatro. E i suoi successi contavano milioni di telespettatori. Cervi s'imbarcò in questa avventura, anche se non con poche garanzie. Il regista era Mario Landi, le sceneggiature uscivano dalle mani di Diego Fabbri e il delegato alla produzione Rai era un allora sconosciuto ai più Andrea Camilleri.
La serie si rivelò subito un grande successo e con quegli sceneggiati Cervi riuscì quasi a farsi dimenticare come Peppone, ma si identificò come commissario Maigret nell'immaginario collettivo di milioni e milioni di italiani. Tanto che la Mondadori, che allora pubblicava in esclusiva le inchieste del commissario, commissionò al grande disegnatore Ferec Pinter delle copertine dove Maigret aveva le fattezze di Cervi. I cinema sistemavano in sala i televisori, quando la Rai trasmetteva le puntate del commissario, per non perdere pubblico in quelle serate in cui vennero raggiunti picchi di diciotto milioni di spettatori.
Ma Cervi perchè ebbe tanto successo come Maigret?
Certo non si può trascurare la consumata bravura dell'attore, la precisa regia, l'ottima sceneggiatura e il cast di attori di livello, quasi tutti di origini teatrali che lo affiancavano.
Ma a nostro avviso c'è un altro motivo. L'analogia tra il personaggio Maigret e l'uomo Gino Cervi. Simenon fa nascere Maigret a Saint-Fiacre, una località di campagna nell'Allier e il piccolo Maigret cresce con i valori schietti e le abitudini semplici di chi allora viveva in piccoli centri o a contatto con la natura. Cervi era nativo di Bologna, ma da buon emiliano aveva anche lui un certo rapporto con la campagna e i valori genuini. Chi per necessità (Maigret) chi per seguire la passione (Cervi), tutti e due interrupperò gli studi. A ventiquattro anni iniziarono a lavorare: Maigret viene assunto in Polizia e Cervi entra nella compagnia di Pirandello. Si sposano pressappoco alla stessa età Maigret a 25 anni e Cervi a 27. Hanno entrambe la tendenza ad essere una buona forchetta e buoni bevitori.
La pipa no. Cervi non aveva mai messo in bocca un pipa prima di interpretare Maigret. Eppure il suo modo di fumarla appare molto naturale (come ogni fumatore di pipa, sottoscritto compreso, vi potrà confermare), ma qui valeva la sua bravura d'attore.
Tutto ciò, secondo noi, ha permesso a Cervi di entrare facilmente nel personaggio di Maigret, aiutato anche da una certa confidenza con la Francia, per aver lavorato con molte produzioni cinematografiche francesi e aver fatto in quel paese anche delle tournée teatrali. Inoltre anche fisicamente la sua figura massiccia di quegli anni era lo specchio di quella di Maigret.
E come accennavamo prima, a distanza di quasi quarant'anni dall'ultima puntata, le inizative editoriali che portano in edicola i dvd delle sue quattro serie (sedici sceneggiati) fanno ancora successo, come i Maigret ogni volta che escono in libreria.
Insomma dopo tanti anni potremmo davvero dire che il Maigret di Cervi è ormai un classico televisivo.

sabato 21 maggio 2011

SIMENON. IL DOLORE PIU' GRANDE: MARIE-JO SI UCCIDE /2

Ieri ci siamo occupati del suicidio della figlia di Simenon, delle sue modalità e di come la giovane arrivò a quel drammatico gesto. Non siamo certo i primi che ce ne occuppiamo, come potrete immaginare questo fatto così traumatico, ebbe  una grande influenza su un padre anziano (74 anni) e l'intreccio di fattori concorrenti è stato più volte analizzato, anche se come in questi casi è poi molto difficile arrivare a delle conclusioni univoche e chiarificatrici.
Gli psicoanalisti dicono che quasi sempre le cause di un gesto del genere va ricercato nell'infanzia, nel rapporto con i genitori, in avvenimenti traumatici che sono stati vissuti nellarima età. Ma poi vanno considerati fattori che sono differenti da caso a caso.
Proveremo comunque a sintetizzare le varie ipotesi e le varie vicende che tra biografi e specialisti emergono dalle testimonianze dei protagonisti di questa amara vicenda.
E allora andiamo al 1955. La piccola aveva due anni appena e lui aveva l'abitudine, la mattina prima di uscire, di andare a sollevarla ed abbracciarla. Un gesto d'affetto e d'amore che tanti padri fanno. Una mattina invece, per una serie di contrattempi, questo piccolo rito quotidiano non poté essere celebrato. Quando Simenon dopo una mezz'ora tornò trova un dramma. C'è un dottore e le donne della casa, la madre Denyse, la Boule e la nurse in pianto. Il motivo era una sorta di sincope che aveva colpito  Marie-Jo, che giaceva semisvenuta con un colorito cadaverico. Appena lo vide, il dottore spinse il padre a prenderla in braccio e coccolarla. La piccola infatti si riprense, sorrise e, quando si rese conto di essere in braccio al padre, disse con filo di voce: " Mai più questo, Dad...", e poi dirà che la mamma non ha voluto abbracciarla. Questo innescherà una polemica tra moglie e marito che si scambieranno vicendevolmente la responsabilità di quello che è successo, anticipando singolarmente le posizioni che assumeranno quando la figlia si suiciderà.
Comunque da questo avvenimento emerge tutta la fragilità della piccola e, diremmo quasi la sua dipendenza dal padre. E d'altronde strane manifestazioni danno da pensare. La bambina soffriva di febbri che i pediatri non si spiegavano, dimostraav in vari modi la paura che il padre potesse non amarla più. Per di più  quando Simenon in ètat de roman, si isolava per una settimana-dieci giorni per concentrarsi sulla scrittura, le crisi di Marie-Jo si intensificavano.
Altro fatto più volte riportato è la storia dell'anello. Un giorno, Marie-Jo aveva otto anni e la famiglia già viveva in Svizzera, padre e figlia fecero un giro per il centro di Losanna. Georges aveva intenzione di fare un regalino alla figlia e, davanti alla vetrina di una gioielleria, le mostrò alcuni anellini da bambina. Ma Marie-Jo aveva le idee ben chiare. Voleva una fede, come quella che portava il padre, una fede nunziale.
Sul momento Simenon non dette peso a quello che poteva motivare quella richiesta che poteva sembrare solo un piccolo capriccio infantile e lo assecondò. Ma negli anni seguenti ebbe modo di consatatare l'attaccamento di Marie-Jo a quell'anello, tanto più che al tempo lei volle che fosse il padre ad infilarglielo al dito. Altro gesto simbolico al quale la figlia dette un significato molto particolare che invece il padre sottovalutò.
Altro avvenimento traumatico per la bambina si verificò a undici anni.
In vacanza sulla neve a Villars-sur-Ollon con la madre (appena uscita da un perido di cura alla clinica Prangins). La vacanza si trasforma in un trauma per Marie-Jo. Qualcosa successe tra madre e figlia, qualcosa che colpì fortemente la bambina e che forse segnò il suo ingresso in uno stato patologico permanente.
Non parlò a nessuno dell'accaduto, si rinchiuse in sé, iniziò ad avere manìe e atteggiamenti compulsivi. Si saprà poi, grazie ad una di quelle cassette che Marie-Jo incideva e inviava al padre a Losanna, che la madre si esibì davanti a lei in un scena di autoerotismo. Marie-Jo racconta "...tu mi hai detto (riferendosi alla madre) che io non sarò mai più capace nella mia vita di essere una vera donna davanti ad un uomo, perché conserverò sempre la tua immagine, l'immagine del tuo sesso aperto davanti a me, l'immagine delle tue dita che cercano il piacere ....mentre ci guardavamo rispettivamente negli occhi...".
Da quel momento Marie-Jo entrerà e uscirà da cliniche, case di cura, si sottoporrà a cure e a sedute di psicoanalisi, ma il suo senso di inadeguatezza e di sarrimento non cesserà. Subirà anche la statura letterararia del padre (di cui lesse quasi tutti i libri) che inevitabilmente frustrava le sue ambizioni di scrittrice. Ma non riuscirà a trovare una sua strada, provò ad esempio a fare l'attrice, ma la sua ansia e la sua insicurezza ben radicate, provenivano da lontano e le precludevano scelte concrete e gratificanti. Forse addirittura dall'infanzia, quando dovette vivere quell'atmosfera infernale determinate dalle interminabili liti tra i genitori, tra l'altro in un momento in cui entrambe facevano abuso d'alcol.
Tutto questo concorse poi alle fughe dalle cliniche, ai tentativi di suicidio, alle scelte sbagliate nella ricerca di un compagno, ai comportamenti sempre più ossessivi compulsivi, alla comparsa di vere e proprie fobie come quella per la pulizia, all'incapacità di gestire il proprio tempo e agli eccessi di perfezionismo.
Simenon ne era cosciente da tempo, ma si sentiva inadeguato e disarmato di fronte a questa tragedia. Una frase sintetizza questo suo stato: "Volevo amarla, ma non sapevo in quale modo". Nel periodo più critico poi lui era ormai vecchio, fragile, non in buona salute, lui a Losanna lei a Parigi, così lontano non poteva che sentirla per telefono o scriverle lettere. Avrebbe voluta aiutarla meglio, ma, come aveva detto già altre volte, si sentiva come un nonno per quelli che invece erano i propri figli. Ormai le sue risorse e le sue forze personali erano molto ridotte e non poté che apprendere impotente del suicidio della figlia. Gli rimanevano da vivere poco più di una decina d'anni, ma la sua vita non fu più la stessa. Era il 20 maggio 1978.

venerdì 20 maggio 2011

SIMENON. IL DOLORE PIU' GRANDE: MARIE-JO SI UCCIDE /1

Proprio il 20 maggio di trentatre anni fa', l'unica figlia femmina di Simenon, a Parigi, si sparava un colpo di rivoltella al cuore. Aveva 25 anni.
Lo scrittore lo apprende il giorno dopo a Losanna, da una telefonata del figlio Marc. Era stato lui infatti che, chiamandola più volte il 20 e non avendo risposta, si era preoccupato, aveva raggiunto Parigi. Lì tentò di aprire la porta dell'appartamento che però era chiusa a chiave dall'interno. Dovette chiamare i vigili del fuoco che abbatterono la porta e lì trovarono il corpo di Marie-Jo, riverso a terra, senza vita.
Marie Georges Simenon aveva già tentato il suicidio nel maggio del '75.
La ragazza aveva problemi di depressione e psicologici che l'avevano portata per un periodo alla clinica Villa des Pages, dove si curava e passava la notte, ma durante la giornata tornava a casa. In quell'occasione aveva prima ingerito un notevole dose di barbiturici e poi, in extremis, aveva chiamato il pronto soccorso.
Allora aveva lasciato una lunga lettera d'addio al padre dove si rammaricava di farlo soffrire con quel gesto, ma che era necessario perchè non riusciva più a lottare contro i suoi fantasmi, a sopportare le proprie contraddizioni, a superare l'incapacità di stabilire dei rapporti con gli altri... Completavano il quadro i suoi sogni infranti, le sue velleità, la vana ricerca di qualcuno che la comprendesse...
Una fragilità che cercava spesso spesso un appoggio e un sostegno dal padre, anche se ormai vecchio, anche se lontano (lei a Parigi e lui a Losanna), con il quale aveva un rapporto fatto di telefonate, di lettere... E di quel padre lei ne aveva idealizzato quella figura. 
"...Non ho mai saputo davvero parlare veramente con una persona! Ma adesso devo avere il coraggio della mia vigliaccheria, della mia incapacità di affrontare la vita...Non voglio essere più di peso a nessuno... E poichè non so amare, come pare si debba amare, perché dibattermi per rimanere in un mondo che mi angoscia e nei confronti del quale mi sento disarmata?...". La lettera inziava con un "Mio, caro, grande, amato Dad" e finiva con "La tua 'bambina' Marie-Jo".
Ma quel campanello d'allarme suonò invano. Oppure era solo il prologo di un'inevitabile processo di autodistruzione.
Ancora case di cura, ancora periodi di esaltazione e depressione. Il padre le comprò una nuova casa-studio in centro a Parigi, convinto che quello fosse il posto giusto per lei...A dicembre '77 sembrava essersi davvero ripresa e si interessava dell'allestimento della nuova casa. Continuavano le telefonate tra padre e figlia, quasi con frequenza quotidiana, si scrivevano lettere e Marie-Jo incideva e gli spediva anche numerose audio-cassette. A febbraio '78 andò a Losanna dal padre. Poi iniziò un periodo oscuro, durante il quale uscì il libro scritto dalla madre Denyse che era tutto un'accusa a Siemenon, spesso e volentieri con argomenti inventati e infamanti.
La cosa ferì molto Marie-Jo che chiese al padre di non rispondere a quelle malignità. In realtà un settimanale femminile pubblicò una vecchia intervista allo scrittore che, abilmente manipolata, sembrava una risposta per le rime al libro. Ma per avere una smentita ci volle tempo, era tardi per il numero successivo e occorrerà attendere ancora. Il 16 maggio Marie-Jo vede sua madre che, in linea con la sua stravaganza, si mette nuda davanti a lei per mostrarle le cicatrici di tutti i suoi interventi, e metterla in guardia di come si è quando si diventa vecchie.
Il 19 mattina chamata al padre, la linea è disturbata e Simenon non sente più bene. Ma il succo di tutto sembra sia che Marie-Jo volesse sentire il padre dirle "Ti voglio bene". E così fu.
La comunciazione successiva fu quella di Marc. Marie-Jo non c'era più.

giovedì 19 maggio 2011

SIMENON FESTIVAL 2011. EDIZIONE XIII A SABLE D'OLONNES

Come ogni anno, anche nel 2011 a Sable d'Olonnes si svolgerà la tredicesima edizione del festival Simenon. Da sabato 11 a domenica 19 giugno si susseguiranno una serie di manifestazioni nell'ambito dell'iniziativa che quest'anno avrà come titolo "Simenon un vandeano di passaggio" In effetti lo scrittore ebbe modo di vivere in Vandea alcuni d'anni, tra Neuil-sur-mer e Fontaney-le-Comte.
Il festival si presenta ricco di iniziative interessanti e divertenti, proponendo luoghi e modalità tipiche dell'atmosfera simenoniana, unendo a letture di brani, proiezione di film e telefilm tratti dai suoi libri anche concerti, balli e grande tavolate.
L'inaugurazione è affidata ad un aperitivo in un locale da nome evocativo per gli appassionati simenoniani La Guinguette a dex sous, una cena e poi un ballo popolare per chiudere la serata.
Tra le altre proposte del festival vi segnialiamo la proiezione del film Le président, con Jean Gabin (martedì, 20.30 al Grand Palace), oppure le letture dei testi di Simenon (mercoledì, 15.00-16.00 al Bar à Manger). Lo stesso giorno un interessante confronto tra i due Maigret televisivi francesi, di cui saranno tramessi gli sceneggiati tratti dallo stessa inchiesta Maigret chez le ministre intrpretati sia da Jean Richard che poi da Bruno Cremer (17.30 e 20.30 al  Grand Palace).
E ancora il venerdì 17 all'auditorium St. Michel una rappresentazone teatrale di Lettre à ma mére.
Le manifestazioni in programma sono ancora molte, altri film e telefilm maigrettiani, e poi ancora concerti, letture e iniziative varie.
Esiste un sito ufficiale del festival http://www.festival-simenon-sablesolonne.com/festival.php che però, almeno ad oggi, non riporta ancora il programma dell'edizione 2011, ma che vi può dare un'idea della storia di questa manifestazione.
Dove troverete invece un programa dettagliato è il sito dell'Ufficio del turismo di Sable d'Olonne http://www.ot-lessablesdolonne.fr/decouvrir/fetes-et-animations/%C3%89venements-2011,1,1,648.php
 



mercoledì 18 maggio 2011

SIMENON. FOTOGENICO O FOTOFANATICO ?

Sono tante. Le immagini fotografiche di Simenon, almeno da quando viveva a Parigi documentano, potremo dire, passo passo la sua vita, la sua scalata alla popolarità, i suoi spostamenti e i numerosi viaggi.
Abbiamo già detto che Simenon era molto attento alla comunicazione, o meglio alla comunicazione di tutto ciò che lo riguardava, e la fotografia era il mezzo più immediato, a volta più espressivo e completo per far passare un messaggio. 
Non scordiamo che fu lui a puntare i piedi perché Fayard, per la prima collana dei Maigret, utilizzasse delle copertine fotografiche, assolutamente inedite per l'epoca.
La fotografia insomma sembra fosse tenuta in una notevole considerazione dallo scrittore.
Però, se dovessimo dar retta a quanto scriveva, dovremmo affermare il contrario.
Mentre era in America, a Brenton Beach infatti in una lettera a Frédric Dard si lamentava "Ecco io non ho foto. Ho sempre avuto orrore dei fotografi".
E' difficile dare credito a queste parole, quando constatiamo che quasi ogni momento della sua vita pubblica, ma anche di quella privata, è fotograficamente documentata.
Volete una foto del giovanissimo "Sim" alla macchina da scrivere? Eccolo bello in posa, sorridente, con la pipa in bocca. Lo volete un po' più maturo a 30 o 40 anni? Nessuna problema, anche qui con pipa in bocca o in mano. Appena anziano o già vecchio, sempre al tavolo da lavoro con le pipe, le matite, la busta giallla... tutto al completo? Ci sono anche queste. E nell'intimità, a giocare con Marc il primo figlio? C'é pure quella. E poi insieme a Jospehine Baker in una cave a far baldoria... Nessun problema, un bel gruppo dove è compresa anche la moglie Tigy. E ancora con Tigy e la sua femme de chambre in barca sui canali della Francia e non solo? A disposizione quante ne volete. E nel backstage dei film con Gabin? Un buona serie di scatti. Come pure con Fellini e Giulietta Masina a Cannes, c'è da scegliere. Molte foto anche con la seconda moglie Denyse. In America soprattutto, sui translatantici, nei quadretti familiari a Rock-Shadow-Farm con Denyse, Johnny e Marie-Jo. E poi lui. Lui scrittore al tavolo della creatività. Lui giovane dandy del giro culturale parigino. Lui nobil signore di campagna a La Richardière o a Fontenay-le-Comte. Lui in tenuta da cow-boy in camicia a scacchi, cappellone e stivali a sorvegliare una delle sue tenute americane. Lui con kepi e sahariana nel bel mezzo dei suoi viaggi nel cuore dell'Africa. Lui a Quai des Orfévres, fuori, dentro, nell'archivio, nella sala operativa, nell'ufficio del commissario capo. Lui ormai vecchio, quasi in carrozzina accanto all'ultima donna della sua vita, Teresa.
Insomma si potrebbe continuare quasi all'infinito. E per uno che affermava di odiare i fotografi, pare un paradosso. Sembra infatti che quando si verificasse qualcosa di importante, i fotografi lo sapessero e stessero lì pronti a coglierlo nella posa più significativa. Ma la cosa che fa davvero un certo effetto è che, in ogni foto che possiate vedere, con lui c'è sempre un pipa. O stretta tra i denti, o tenuta in mano, o poggiata vicino, o che spunta da una qualche parte, insomma siate pur certi che nell'inquadratura una pipa viene inevitabilmente fuori. Insomma, a parte le rare istantanee scattate quando Simenon era bambino, è quasi un sfida impossibile trovare un suo ritratto fotografico dove la pipa non sia in primo piano, come comprimario dello scrittore. E non crediamo fosse casuale. Averla con sé era così essenziale? Senza forse Simenon non si sarebbe sentito Simenon? Almeno in foto...

martedì 17 maggio 2011

SIMENON. MA MAIGRET NON SONO IO... OPPURE SI ?

"...No, è un'altra leggenda. Non mi identifico in Maigret. Non ho mai immaginato di somigliare a Maigret..." (intervista di R. Stéphane -1963)
La frase è di Simenon, perentoria e non ammetterebbe repliche o contraddittori. E' un argomento su cui molto si è scritto e si dibatte ancora. Certo come tutti i personaggi creati per essere seriali, quando Simenon mise insieme le caratteristiche di un commissario della polizia parigina, non poteva non corredarlo di alcuni tratti tipici di sé. Ma questo è un processo in cui prima o poi ogni scrittore si ritrova coinvolto più o meno consapevolemente.
Comunque il concetto non giudicare ma comprendere, caro a Simenon, e il motivo per cui il commissario era soprannominato il riparatore dei destini sono molto vicini, come non molto lontani sono certi giudizi formulati sull'alta società e la ricca borghesia dal romanziere e il sospetto e il disagio che procuravano al commissario. Insomma potremmo continuare, ma è proprio Simenon a mettere i puntini sulle "i".
"...Certo finisco per entrare nella sua pelle... le stesse reazioni. E' chiaro che quando Maigret ad un certo punto è seduto su una terrasse e sta per gustarsi un po' di sole e un bicchiere di birra, io condivido il suo umore... Ma non dò le mie idee a Maigret... Quando Maigret esprime un giudizio qualsiasi su un qualunque criminale non è necessariamente il mio. E' quello che deve ragionevomente avere un signore che da venticinque anni fà il commissario a Parigi...".
Inoltre c'è la questione dell'età, su cui Simenon è più volte tornato.
Quando ha creato il commissario, lo scrittore aveva ventisette anni mentre il suo personaggio era circa sui quarantacinque. Dal suo modo di vedere era quindi un signore di mezza età, grosso, un po' goffo, lontano dalla sua giovinezza, dal suo stato fisco e dal suo modo di pensare. Poi, passando gli anni, se lo è ritrovato coetaneo un suo pari di cui capiva maggiormente le abitudini, le reazioni, le debolezze. Infine (anche se ad un certo punto lo manda in pensione, ma poi nelle successive inchieste torna il commissario di prima) se lo ritrova più giovane di sè e assume nei suoi confronti un tono quasi paterno.
Poi, dopo aver negato di identificarsi con Maigret, in una chiacchierata con Francis Lacassin, nel 1975, si lascia scappare "... E' uno dei pochi, se non il solo personaggio che ho creato, che ha dei punti in comune con me. Tutti gli altri sono quasi tutti lontani da me..."

lunedì 16 maggio 2011

SIMENON AU CHATEAU COLONSTER. NON E' UN ROMANZO, MA E' MOLTO ISTRUTTIVO

Chateau Colonster, fa parte del campus unvesitario di Sart Tilmam (Liegi) ed è divenuta la sede della Fondazione Simenon. Sistemata al primo piano del Castello, si tratta di una grande biblioteca, che è anche un luogo di lavoro, dove sono raccolti non sono libri, ma una serie di documenti relativi a Simenon, alla sua opera e alla sua vita. Un paradiso per gli studiosi e i ricercatori che vi possono trovare una parte dei suoi manoscritti, un gran numero di edizioni in francese e in altre lingue dell'opera simenoniana, come anche le famose cassette dove lo scrittore incise i famosi Dictées. E ancora i "billets" che scriveva per la Gazzette de Liège, i racconti popolari sotto pseudonimo e moltissimi articoli che pubblicò durante la sua vita su vari giornali.  Poi la sua corispondenza con personaggi più o meno noti e con gli altri scrittori. Ritratti e studi critici di specialisti. Oltre 2000 fotografie e video di interviste, copie dei film tratti dai suoi romanzi. Insomma un vero paradiso  riservato agli studiosi e ai ricercatori, ma che su richiesta viene aperto, per esplicita volontà di Simenon anche ai visitatori, anche perchè a Colonster vengono conservati degli oggetti di grande interesse degli appassionati. Ad esempio alcuni elemeni del suo mobilio come le biblioteche, il suo tavolo da lavoro, il suo ufficio, la macchina per scrivere, le buste gialle, le matite... insomma una vera cuccagna.
Ma come è arivato qui tutto questo materiale?
Fu merito dello stesso Simenon che nel 1976 decise di fare una donazione di tutto quanto suddetto al professor Maurice Piron, docente dell'Università di Liegi che teneva delle lezioni sulla sua opera.
Ci spiega il romanziere:"Martedi 8 sono andato dal notaio con il professor Piron che tiene da due anni corsi su di me all'università. Insomma mi è venuta l'idea di fare dono alla mia città natale di tutto quello che un uomo della mia età ha potuto accumulare. Da martedì tutto questo non mi apparterrà più". (Tant que je suis vivant - Dictées - aprile-giugno 1976).
E da allora La fondazione svolge le sue attività per promuovere e divulgare in tutto il mondo la figura e le opere di Simenon, appunto fin dal '76, quando inizialmente aveva sede nella biblioteca dell'Università di Liegi.
Sotto la direzione di M.me Banjomee e grazie a contributo di Michel Lemoine, nel 1988 fu lanciata la rivista Traces, acronimo di Traveaux du Centre d'Etudes Simenon, dove vengono raccolti studi critici, saggi di specialisti e novità sull'universo simenoniano.


domenica 15 maggio 2011

SIMENON. UOMO DI LETTERE E DI... MARKETING

E' ormai noto che Simenon fosse un istintivo. Nella scrittura, nella vita, nei continui cambiamenti di casa, città, nazione... Seguiva spesso il suo lato irrazionale, anche se poi nelle sue abitudini di tutti i giorni era regolare, preciso e ordinato in modo quasi maniacale.
Questa istintività si traduceva anche nell'intuire quello che desiderava leggere la gente. Ad esempio, era stato l'unico a credere nel successo di Maigret, contro il parere di Fayard, degli editor, dei suoi amici critici. Quel personaggio, assolutamente fuori dai canoni dei protagonisti di successo della scena letterario-poliziesca di allora, non ispirava fiducia a nessuno e invece Simenon "sentiva" che sarebbe piaciuto.
Ma la sua sensibilità andava ancora più in là. Aveva un fiuto particolare per certe dichiarazioni, la situazioni originali e gesti particolari che provocavano una larga eco nell'opinone pubblica. Insomma potremo dire che aveva nelle vene una sorta di senso del marketing ante-litteram.
Alcune volte si buttava in situazioni un po' rischiose. Infatti qualche volta andava bene, altre male, ma questo non è significativo. E' invece importante che Simenon, il più delle volte, riusciva a sentire quello che avrebbe potuto funzionare. E gli esempi sono numerosi. Ad esempio nel '31 per la veste editoriale della prima serie dei Maigret, volle delle copertine completamente fotografiche. Una novità per l'epoca, una scelta che poteva sembrare adatta ad un pubblico evoluto e di gusti avanzati. Ma non fu così. Possiamo dire non solo che quelle copertine furono una delle componenti del successo dei Maigret, ma che di fatto fecero scuola, tanto che quella soluzione fu poi seguita da diversi editori.
Ma anche prima si era vaute avvisaglie di questa sua sensibilità. Ad esempio nell'affaire del romanzo nella gabbia di vetro che nel 1927 l'editore Eugene Merle gli propose (scrivere in pochi giorni un romanzo, chiuso in una gabbia di vetro su una traccia dettata dai lettori dei quotidiani della stessa casa editrice). L'annuncio dell'iniziativa fece rumore e aumentò la fama di "fenomeno" che già Simenon si portava dietro per l'ingente produzione letteraria e la rapidità con cui scriveva. Ma d'altra parte gli procurò commenti ironici dalla stampa e riprovazioni dal mondo letterario. L'evento poi non ebbe luogo. Ma se parlò e se ne scrisse ancora a lungo, come se invece si fosse realmente verificato. Questo da un lato portò fama allo pseudonimo d'allora, Georges Sim, ma non si può dire che fosse una pubblicità positiva.
Altro caso, la chiassosa festa, Le bal Anthpometrique, che nel 1931 Simenon volle organizzare alla Boule Blanche di Parigi per lanciare la serie dei Maigret. Lui puntava molto su quel personaggio e su quei romanzi che lo avrebbero staccato dalla letteratura popolare. E così non voleva che la presentazione di quel commissario così importante per lui, finisse nelle colonnine delle pagine letterarie dei quotidiani o nelle riviste specializzate in letteratura. Ambiva ad una risonanza di ben altra portata. "Ne deve scrivere tutta la stampa, anche quella popolare... se ne deve parlare per tutta la settimana... insomma lo devono sapere tutti". Anche qui Fayard era scettico. Ma Simenon ebbe ragione quella festa smodata, che andò avanti fin all'alba, tra fiumi di champagne, balli sfrenati, ospiti ubriachi, spogliarelli improvvisati, riempì le cronache mondane per giorni, divento l'evento della settimana.
E ancora potremmo citare l'affaire Stavinsky nel 1934, in cui, per dare ancor più rilevanza alla sua creatura già di successo, Maigret, fece seguire dal commissario per conto di Paris Soir questo scandalo finanziario, con suicidio. Qui invece i risultati furono disastrosi e contrari alle intenzioni e il ritorno d'immagine decisamente negativo. Il bravo scrittore non era affatto un buon detective e stavolta era andato tutto storto.
Anche per le dichiarazioni funzionava nello stesso modo. Esempio classico l'intervista a Fellini che nel 1977 gli commissionò L'Express e in cui Simenon racconta delle famose 10.000 donne con le quali, dai 13 anni e mezzo ad allora, avrebbe avuto rapporti sessuali. Evidentemente un sparata (la moglie Denyse dicharò invece che probabilmente erano state poco più di mille), ma intanto la dichiarazione, nel bene o nel male, fece il giro del mondo.
E anche sulla propria rapidità nello scrivere a Simenon piaceva calacare un po' la mano, pur se lo faceva come se si trattasse della cosa più naturale del mondo. Rispondeva ad innnumerevoli interviste alla televisone, in radio, sui giornale che scriveva in media un capitolo al giorno per sette otto, massimo nove giorni, perchè tanto durava l'état de roman. Ogni giorno alla macchina da scrivere per tre/quattro ore, nelle quali riusciva a chiudere un capitolo. E d'altronde i numeri gli danno ragione. Basti pensare che (senza entrare nelle diatribe dei vari conteggi che spesso contrastano per qualche unità) in 52 anni (dal 1929 al 1981) Simenon scrisse e pubbicò, tra romanzi, racconti e romanzi brevi, circa 270 titoli. Ciò equivale ad 5 titoli l'anno. E questo senza considerare tutti i romanzetti e i racconti popolari pubblicati sui giornali o nei livres de poche tra il 1920 e il 1930.
Una produzione che di per sé fa un certa impressione e una carta che Simenon sapeva giocarsi bene, anche se la critica letteraria rimaneva un po' condizionata nei suoi giudizi da questa quantità, e dalla rapidità di esecuzione, che era ritenuta, almeno fino ad un certo punto, pregiudizievole per la qualità. Ma Simenon rigirava anche questo a suo  favore, dichiarando che a lui interessavano più i giudizi dei lettori che quelli della critica.