sabato 24 settembre 2011

SIMENON. E SE MAIGRET TRADISSE LA MOGLIE?...

Un disegno di Pinter per Maigret e la ballerina del Gay Moulin
Avete mai pensato ad un Maigret che, durante una delle sue inchieste fuori Parigi, tradisca la moglie? Sì insomma che vada a letto con una testimone, un'albergatrice, una signora incontrata in viaggio... No? Perché? Chi inizia a leggere le inchieste del commissario sa come comincia la serie, ma non può prevedere cosa capiterà o quali cambiamenti subirà il personaggio in più di cento tra romanzi e racconti, nell'arco di oltre quarant'anni.
Poi, se chi inizia a leggere Maigret sa appena qualcosa sul suo creatore, state certi che avrà letto o sentito su Simenon della sua smodata attività sessuale e delle diecimila donne che affermò di aver avuto nell'intervista che fece a Fellini per L'Express.
Poste così le premesse, le aspettative per qualche una scappatella del commissario non sarebbero poi nemmeno così impensabili. Anche perché Maigret è un amante dei piaceri della vita: gli piace mangiare, bere, fumare la pipa. E' un tipo sanguigno, ogni tanto le sue sfuriate fanno tremare Quai des Orfévres. Insomma è tranquillo buono, ma non un freddo o un'asceta, è curioso, gli piace conoscere le cose, i posti, la gente... è uno personaggio vivo.
E allora perchè tutto, ma non il sesso?
Già bisognerebbe chiederlo a Simenon.
In parte risponde Robert Juanny nel suo approfondito saggio Le regarde de Maigret sur les femmes, dopo aver documentato che le situazioni "a rischio" per il commissario sono a decine e che Maigret non arriva al dunque perché adotta una serie di difese, Juanny dimostra che però le tentazioni ci sono tutte e che sono in definitiva quelle che capitavano a Simenon. I pensieri di Maigret sulle donne sono certo simili a quelli del suo creatore, mentre questo poi dava una conclusione concreta, quello invece sviava, glissava, assumeva un atteggiamento di superiorità o paternalistico che finiva per smontare il clima che si era creato. Ma il sesso, sia pur a livello cerebrale, c'è.
Qualcuno sostiene che Simenon volesse in Maigret tutto ciò che lui non c'era. Forse... Oppure voleva costruire una originale variante del paradigma poliziesco, dove il sesso non era un ingrediente, o per lo meno con un'importanza minima? Ma in ogni personaggio letterario, si sa, ci scappa inevitabilmente qualcosa dello scrittore. E nei pensieri di Maigret sulle donne che incontra nelle sue indagini il sesso c'è, come c'era nella testa di Simenon. Quando leggete un Maigret fateci caso.

venerdì 23 settembre 2011

SIMENON MEMO. ESPOSIZIONE A BRUXELLES

Oggi giornata d'inaugurazione a Bruxelles per l'esposizione Georges Simenon, parcours d'un écrivain belge, che sarà aperta fino al 24 febbraio 2012, al Museo delle lettere e de Manoscritti. 
Chi potrà visitarla, troverà numerosi reperti del suo rituale di scrittura, insieme a manoscritti e dattiloscritti originali. Poi sono esposti la corrispondenza, i calendari su cui segnava i giorni che gli servivano per terminare un romanzo, le famose buste gialle dove appuntava nomi, date, spunti... Insomma si entra nell'universo simenoniano della scrittura attraverso i suoi "ferri del mestiere", visto che lui stesso si definiva un artigiano della scrittura. Per chi fosse interessato, il quotidiano belga Le Vif- L'Express ha pubblicato l'altro ieri un lunga intervista di Alain Gailliard con Jean-Christophe Hubert, il patron di questa esposizione, intitolata L'énigme Simenon en toute lettres . Qui trovate le informazioni sull'esposizione.


SIMENON E IL CASO TERESA SBURELIN

Partiamo dal testamento di Simenon. Forse lo stesso avrebbe fatto Maigret. O meglio lo scrittore l'avrebbe fatto fare a Maigret. Gli eredi ufficiali erano quattro: Denyse, con cui, per quanto avessero rotto i rapporti già dal '64 cioé da ben 25 anni, erano comunque rimasti ufficialmente sposati, e poi i tre figli, Marc, John e Pierre-Nicolas. I termini del testamento furono blindati. C'erano i diritti delle opere letterarie, degli sfruttamenti cinematografici, televisivi e di qualsiasi altro tipo. E poi case, dipinti, patrimoni in titoli e quant'altro, ma delle divisioni non si seppe praticamente nulla, se non che a Denyse toccò un appartamento a Nyon (Canton de Vaud) e un vitalizio. Tigy, la sua prima moglie aveva avuto quella che era stata la loro casa di Nieul, nella Charentes. E la terza donna di Simenon? Teresa Sburelin già sapeva che a lei sarebbe andata la loro casa di rue des Figuiers.
Ma fermiamoci un attimo e facciamo alcune considerazioni.
Simenon conobbe Regine Renchon, la sua futura prima moglie a Liegi nel 1920, si sposarono nel '23 e si separano ufficialmente nel '50 (anche se da qualche anno la loro unione era solo formale e in seguito si era invece ufficializzato il rapporto con Denyse Ouimet). Quindi rimasero sposati quasi venticinque anni ed ebbero un figlio, Marc. Con Denyse la storia iniziò nel '45, sia pur nella clandestinità, si sposarono nel '50 e andarono avanti fino al 1964. Quindi quasi vent'anni e tre figli John, Marie-Jo e Pierre-Nicolas. Teresa Sburelin era entrata a servizio dei Simenon come femme de chambre nel '61, all'età di 35 anni. La sua relazione con lo scrittore iniziò poco dopo la dipartita di Denyse, quindi '64/'65, e andò avanti fino alla sua morte nel 1989. In tutto 24 anni e nessun figlio.
Sicuramente queste tre donne importanti nella sua vita, dedicarono al loro uomo i migliori anni della propra vita. E dedicarsi ad un personaggio come Simenon non doveva essere certo facile. E, tornando a Teresa, potremmo dire che è stata forse quella che ha dato di più a Simenon. O meglio, quella che, in quel momento non particolarmente felice della sua vita, ha saputo offrirgli quello di cui più aveva bisogno.
Ha scritto Pierre Assouline in Simenon biographie  (1992)  "... dopo aver conosciuto l'amicizia con Tigy, poi la passione con Denyse, scoprirà la tenerezza con Teresa...".
In effetti Teresa si dedicò a Simenon in modo totale, ma discreto e molto  riservato. Ad esempio anche quando erano una coppia ormai ufficiale, lei era spesso dietro le quinte. Nelle occasioni ufficiali si rendeva spesso invisibile, compariva qui e là, per far vedere al suo Georges che lei c'era e che all'occorrenza si sarebbe presa cura di lui, ma gli lasciava la scena, lei non amava apparire. E' raro trovare una sua fotografia o una di loro due insieme.
E poi va considerato che Teresa lo accudì nella fase più critica della sua vita. Lo soccorse quando ad Epalinges cadde mentre era in bagno ed é sempre lei che lo vegliò in ospedale. Nel '74 si prese cura di lui quando si ruppe un femore, e poi tre anni dopo per una più banale intervento alla prostata, ma soprattutto quando, a fine '84, Simenon venne operato di tumore al cervello. Allora erano già cessati i rituali dei Dicteès, ormai da tre anni aveva pubblicato l'ultima sua fatica Mémoires intimes. Ma dopo quell'operazione, finirono anche le ultime letture, più di argomento medico che non letterario. E fu ancora Teresa a riempire le sue giornate vuote, a portarlo sulla carrozzella, sul lungolago di Losanna a predere luce ed aria. Fino agli ultimi giorni. Fino al trapasso, avvenuto mano nella mano.
E va ricordato che, per rispettare la volontà di Simenon, fu lei a tacere della sua  morte, a far cremare il corpo, a spargere le ceneri nel giardino di rue des Figuiers, come lui aveva disperso quelle della figlia Marie-Jo. Solo allora informò  parenti, amici, media, anche se, a causa di una prezzolata soffiata di un dipendente comunale, un quotidiano di Losanna riuscì lo stesso a dare la notizia.
Rimasta sola, Teresa visse ancora qualche mese al 12 di rue des Figuiers. Poi andò via. I figli di Simenon la cercarono, ma invano. Teresa sembrava sparita. Nessuna traccia. Alcune voci raccontavano che si fosse ritirata in un paesino del suo Friuli. Ma nessuna conferma venne mai. Dopo la scomparsa di Simenon disse  ad un giornalista: "... Durante la sua vita sono stata la sua compagna. Ora non sono più nulla. Non mi ha lasciato che i miei ricordi ed essi mi appartengono...". E non volle che nessuno entrasse in casa: "No, la casa mi appartiene; è un luogo di ricordi e non voglio che nessuno ne turbi la quiete...". 


   

giovedì 22 settembre 2011

SIMENON. PARDON... I MEDICI

Per Simenon quella dei medici é sempre stata un categoria nei confronti della quale ha avuto più che ammirazione diremo attrazione. Lui stesso, se il padre non si fosse prima ammalato e non fosse poi morto, non avrebbe abbandonato la scuola e almeno nelle intenzione avrebbe voluto frequentare medicina.
Lo stesso accade per Maigret. Nella biografia del commissario, immaginata da Simenon, il padre morì anche lui abbastanza giovane e Jules dovette interompere i suo studi in medicina e, grazie ai buoni uffici di uno zio, entrò in polizia.
Poi non va dimenticato che spesso Simenon ha dichiarato il gradimento della loro compagnia. "...succede che sia con loro che mi ritrovi più a mio agio - dichiarava in un'intervista a Paris Match nel '67 - forse perché sull'uomo hanno lo stesso punto di vista di un romanziere...".
Anche nei suo libri troviamo a questo proposito personaggi i quali hanno un che di autobiografico. Per esempio il protagonista di Lettre a mon juge (1947) che racconta la sua infanzia "...nella pensione che gestiva mia madre c'erano spesso molti studenti di medicina. Non si parlava altro che di medicina. Di consegenza ero incuriosito tanto da leggere i loro libri. Ricordo bene di aver studiato l'opera di anatomia di Testut..."
E questa è una chiara trasposizione di quanto succedeva a Liegi al piccolo Simenon, proprio con quegli studenti cui la madre affittava alcune camere della loro casa e quando lui andava a leggersi i loro testi universitari, chissà capendo cosa, ma c'era dell'attrazione.
Certo ci fu anche un medico che nel '40 gli combinò un bello scherzo, a Fontenay  gli diagnosticò un cuore malato e una prospettiva di vita di due anni (leggi il post del 5 aprile  Simenon. Quando credette (o fece credere) di essere quasi morto ).
Ma ci fu anche la famosa intervista che gli fecero ben cinque medici della rivista Médicine et Hygiène, cui Simenon si sottopose di buon grado, rispondendo a tutte le loro domande e dando segno di grande fiducia nella loro classe  (vedi il post del 22 dicembre 2010 Simenon sotto esame... psichiatrico ).
E poi, tornando a Maigret, non bisogna dimenticare i coniugi Pardon. Sappiamo che i Maigret sono una coppia molto casalinga, vita mondana quasi inesistente,  qualche passeggiata la domenica pomeriggio, qualche rara volta al cinema.
Però una volta al mese c'è la cena con i loro amici Pardon. Lei casalinga come M.me Maigret e lui medico. L'unico amico, se così può essere definito, di Jules Maigret è un medico. Le coppie si scambiano gli inviti, una cena a casa dei Maigret e una a casa dei Pardon. Per le mogli diventa quasi una gara di cucina, i mariti si gustano i manicaretti, ma poi si appartano, fumano e parlano. E spesso, un po' per deformazione professionale di Pardon, un po' per l'interesse mostrato da Maigret, finiscono a parlare di medicina...pardon, de médicine.

mercoledì 21 settembre 2011

SIMENON. L'ETAT DE... BUSINESS

Eugene Merle, Frenczy, Fayard. Erano alcuni dei più importanti tra i primi editori per cui Simenon lavorò. Ovviamente con i primi, tra la necessità di lavorare e l'inesperienza nelle trattative, il giovane scrittore non riusciva a portare a casa dei contratti molto vantaggiosi. Nei primi anni compensò con la velocità e l'ingente produzione che gli permettevano di tenere un soddisfacente livello di reddito.
Ma con il passare degli anni, la sua popolarità gli conferiva anche un maggior potere contrattuale e soprattutto iniziò a comprendere il meccanismo con cui trattare e trarre il massimo da ogni contratto. Ben presto fu in grado di discutere alla pari con i propri editori e imporre le proprie condizioni.
L'ultimo da cui subì fu proprio Fayard. 1930. Quando si trattò di iniziare a pubblicare i Maigret, Simenon aveva già scritto cinque inchieste del commissario, ma c'erano ancora pendenti 30.000 franchi, residuo di un precedente contratto per una serie di romanzi popolari.
Lo scrittore cercò di convicere Fayard che avrebbe potuto scalare la cifra dai proventi dei Maigret. Ma l'editore fu irremovibile nonostante le forti pressioni di Simenon. Il motivo ufficiale del diniego consisteva nella volontà di non mischiare i conti di contratti diversi (un Maigret gli sarebbe costato di più di un romanzo popolare). La verità era che non credeva che il personaggio del commissario potesse aver successo, mentre sapeva che i romanzi popolari firmati George Sim, erano moneta sonante.
Simenon si chiuse in una baracca a Concarneau, in Bretagna, per tre mesi, scrivendo fino ad undici ore al giorno con una media di 80 pagine, dormendo poco e bevendo più del dovuto. Un tour de force che lo lasciò debilitato, molto dimagrito, ma con il debito saldato e la mente sgombra per pensare al suo Maigret. Certo fu un'esperienza che non perdonò mai a Fayard e infatti, dopo i primi diciannove titoli di Maigret previsti dal contratto, che ebbero un gran successo, l'editore si vide abbandonare inesorabilmente dalla sua gallina dalle uova d'oro.
Altra scena, altro livello. 1934. Simenon nello studio dell'editore più ambito di Francia, Gastone Gallimard. Appuntamento per definire il contratto. Gallimard propone un pranzo di lavoro, un po' per il piacere di conoscersi e un po' per i conti, ma Simenon detta le sue regole: in ufficio, telefono staccato, porta chiusa per tutti, così in circa un'ora avrebbero raggiunto un accordo (vedi il post del 20 novembre 2010 Braccio di ferro tra Georges Simenon e Gaston Gallimard). I risultati furono buoni per lo scrittore su un editore esperto, che pure era considerato sul piano degli accordi un osso molto duro. E invece Simenon chiese un contratto che prevedeva sei libri all'anno, il 10% fino a 10.000 copie, il 12% al disopra e una tiratura garantita di 50.000 copie. Tutti gli sfruttamenti non letterari dell'opera al 50%, ma se trattative e contatti venivano dallo scrittore gli andava riconosciuto il 75%. Condizioni del tutto fuori standard che Gallimard sapeva l'avrebbero messo in perdita, almeno nei primi tempi, ma che alla fine accettò e che tenne ben segrete per non incorrere nel risentimento degli altri suoi scrittori.
1946. Ritroviamo Simenon in America e da Gallimard passa a Presses de La Cité, di Sven Nielsen, un piccola casa editrice, prima distributore di libri. Qui non ci sono condizioni, lui l'ormai famoso Simenon, porta in dote addirittura quel Pedigree, che André Gide aveva sollecitato tanto, e poi romanzi come Je me souviens, Trois chambres a Manhattan, Lettre à mon juge e non utimo Maigret... Il giovane Nielsen non aveva speranza di scegliere nemmeno le date d'uscita... ma ebbe la fortuna di pubblicare un autore che molti editori avrebbero voluto nel loro catalogo. Nielsen e Simenon s'intesero sempre più costituendo un sodalizio, non solo professionale, che durerà fino alla morte del romanziere.

martedì 20 settembre 2011

SIMENON. IL "VICTOR" NON PARTE E... TUTTO SI FERMA

Siamo esattamente al 20 settembre del 1972. Simenon, nella grande villa di Epalinges, a febbraio ha terminato un'indagine del suo commissario, Maigret et M. Charles. Ormai è solo nella sua abitazione principesca. La seconda moglie Denyse da tempo ha definitivamente rotto i legami con Georges (anche se sono ancora sposati). Dei figli, Marc è ormai impegnato nel suo mestiere di regista cinematografico e televisivo e vive a Parigi. Johnny studia legge negli Stati Uniti. Marie-Jo è spesso in giro. Ad Epalinges vive con lui il piccolo Nicolas che ha tredici anni e va ancora a scuola e Teresa la sua compagna.
Lo scrittore si accinge a scrivere un nuovo romanzo. Secondo i suoi rituali, prepara tutto l'occorrente, sceglie un nome come titolo provvisorio,  Victor, che gli è familiare e che ha già dato a diversi personaggi dei suoi romanzi. E poi, come sempre, i soliti elenchi di nomi e cognomi, riferimenti cronologici e geografici sulla consueta busta gialla... qualche appunto.
Victor, avvocato... la moglie Berthe... il figlio Raymond... una famiglia di avvocati...  una moglie che uccide il marito e, scontata la pena, sparisce in Sud America...
La storia é ancora confusa e, come al solito Simenon non sa come andrà a finire.
Pian piano si rende conto che il famoso déclic non scatta, che non è in état de roman, né è entrato nella pelle di Victor.
Alla vigilia dei settant'anni il romaziere prende coscienza che non potrà scrivere né quello né altri romanzi. Cosa è successo?
Simenon come prima risposta non trova di meglio che incolpare Denyse, che ha giurato di distruggerlo come scrittore (aiutata, riuscirà a pubblicare due libri  "Un oiseau pour le chat" e "Le Phallus d'or", autobiografici entrambe, pieni di livore e accuse, alcune false, altre tutte da verificare e tutte contro Georges) tutta presa nel suo delirio di poter diventare lei la M.me Simenon scrittrice.
Ma i motivi veri sono altri, ad esempio la stanchezza e lo stress di entrare per oltre quarant'anni e per centinaia di volte nella pelle dei suoi personaggi... forse Simenon percepì un pericolo, quello di essere sull'orlo di un punto di non ritorno? Quello di perdersi definitivamente nelle sue creature?
Qualche anno prima, prendendo in esame l'ipotesi che un giorno non sarebbe stato più in grado di scrivere, affermò "...Sarà uno choc terribile per me e non vedo come il medico potrà risollevarmi...". E invece non ci fu crisi, sembrò che Simenon subisse passivamente quella situazione come ineluttabile, il segno della fine di una fase, un fatalismo consapevole che contro il destino non si può lottare, proprio come accade ai protagonisti delle sue storie. Anche lui era andato fino alle coseguenze estreme della sua sorte: non scrivere più (vedi anche il post del 23 luglio Simenon. Come finisce un romanziere).
Era un ciclo concluso, i romans-durs, i Maigret, ma anche la sua casa di Epalinges per lui così piena di significati, che lasciò dopo un paio di mesi, tutto ormai era alle sue  spalle.
Ormai era  un uomo qualunque, lui e Teresa, come un coppia qualunque, andarono infatti a vivere in un appartamento qualunque, all'ottavo piano di un grosso condominio a Losanna.
Come scrive il suo più autorevole biografo, Pierre Assouline, "...si sentiva finalmente un uomo come tutti gli altri. Ma era soltanto lui a crederci...".