martedì 13 dicembre 2011

SIMENON. SE "LE TRAIN" PARTE IN RITARDO

Nel 1940 Simenon è in procinto di scrivere uno dei suoi romanzi. La storia che ha in mente riguarda la guerra, ma vista da un ottica del tutto particolare: dalla banchina di una stazione ferroviaria, dove transitano treni che trasportano le truppe al fronte, convogli di rifugiati, la fuga dei civili. Insomma una stazione come snodo di una grande tragedia collettiva con tutte le sue storie umane e i drammi tipici di un periodo bellico. E il romanzo doveva chiamarsi, almeno provvisoriamente, La Gare.
Ma questa volta la stesura si ferma dopo poche righe.  Perché?
Sindrome della pagina bianca? Mancato état de roman? Il fatto è che Simenon non è convinto. Non in merito alla validità della vicenda. E non si tratta nemmeno del fatto che la scrittura non riesca ad ingranare. Lo scrittore forse per la prima volta si chiede perchè voglia scrivere quel libro. Non che gli manchi la volontà o che la storia non gli piaccia. Il motivo è che si sente come obbligato a scriverlo. Come se dovesse dimostrare qualcosa. Non era un bisogno, un 'impellenza come diceva sempre. "...mi sono fermato perchè mi sono reso conto che questo romanzo non lo scrivevo per necessità, ma per provare a me stesso di essere ancora capace di scrivere quattro romanzi all'anno - spiegherà vent'anni dopo  nel suo "Quand j'étais vieux" - Scrivevo per paura. E la prova consisteva nel fatto che avevo scelto un soggetto facile, l'azione, dei dialoghi, dei personaggi semplici. Nessun protagonista di spessore che potesse catalizzare la mia attenzione... Non sarebbe stato un po' come barare? Ho preferito smettere....".
E così Simenon confermerebbe che senza quello stato di necessità, di impellenza, non se la sentiva di scrivere un romanzo. Certo gli strumenti e il mestiere non gli mancavano... certo, ad un tratto avrebbe anche potuto accendersi l'ispirazione... Ma non era il suo modo di scrivere romanzi. Un tempo, negli anni della letteratura popolare su ordinazione, non avrebbe esistato. Ma quel periodo di apprendistato era ormai morto e sepolto. Ora si sentiva felice di aver rinunciato a scrivere un libro che non sentiva nascere spontaneamente e da un état de roman.
Nel marzo del '56 Simenon riprende in mano l'idea, questa volta sembra spinto da una vera necessità. Quando invia il manoscritto scrive infatti al suo editore, Sven Nielsen, "...era molto tempo che avevo in mente di scrivere questo romanzo, ma dovevo trovare il tono giusto. Non ho bisogno di essere un mago o un indovino per ricostruire quell'atmosfera. Ero io alla Rochelle... Io che spedivo i treni dove potevo e li fermavo in qualche parte della campagna..." riferendosi alla sua esperienza nel '40 di Commissario per i rifugiati che arrivano dal Belgio in Vandea.
Quindi il romanzo viene scritto e pubblicato vent'anni dopo, nel marzo del 1961, ma con un altro titolo Le Train.
Ma questo ha generato qualche perplessità in alcuni studiosi simenoniani. Tra gli altri, Pierre Assouline si chiede se talvolta, invece dell'état de roman, non fosse un'esperienza personale o una solida documentazione che gli fornissero un'idea chiara e ben sviluppata prima di inziare a scrivere.
L'obiezione è pertinente e viene da una fonte autorevole e molto ben informata. Magari non era  sempre la trance creativa che faceva scattare quello che Simenon chiamava le déclic e che poi lo guidava nella stesura della storia.

lunedì 12 dicembre 2011

SIMENON. L'ABITO NON FA LO SCRITTORE, MA...

Quando la richiesta di letteratura popolare inziò a salire e molti volevano i racconti o romanzi brevi del Georges Sim o come cavolo si chiamava (con oltre venti pseudonimi utilizzati, c'era addirittura chi non credeva che Simenon fosse il suo vero cognome), non solo la casa l'arredamento e le feste iniziarono a essere importanti, ma anche la ricercatezza nel vestire divenne quasi un obbligo. Più che ricercatezza, in quegli anni '20, dovremmo parlare di originalità o meglio ancora di stravaganza. La moda imperante dettava legge anche sui tagli, sui colori e sulle decorazioni di gonne, giacche, vestiti da donna e da uomo, berretti e chapeaux. E anche i coniugi Simenon (Tigy, come pittrice frequentava tra l'altro anche degli ambienti particolarmente eccentrici e dissacranti sia nel comportamento che nel vestire) calvacano la moda.
Sentite un po' come vestiva il ventiduenne Simenon.  Intanto portava una paglietta inclinata sul lato sinistro, alla moda lanciata da Maurice Chevalier. Poi era stato sedotto da quei pantaloni così larghi da nascondere anche  le suole di para delle scarpe americane, quelle a punta quadrata come si portavano un tempo. La sua passione erano i soprabiti doubelface, da un lato normali impermeabili, dall'altro a motivi e colori sgargianti, ad esempio rosso a qudrettoni. Insomma un modo di vestire che davvero non passava inosservato. Ma possiamo dire che quello era il Simenon un po' scapigliato,  quello che infatti frequentava i pittori avanguardisti, amici della moglie Tigy.
Man mano che la sua popolarità cresceva, dai Maigret in poi, il nostro scrittore adottò un abbigliamento più tradizionale, sempre più ricercato, di fattura artigianale e di taglio elegante. La cravatta iniziò a comparire e, sempre più spesso, il cravattino a farfalla che insieme al cappello  Borsalino e all'immancabile pipa divennero una costante del suo look, come testimoniano le innumerevoli foto che abbiamo dello scrittore, quelle "in posa", quelle colte nelle manifestazioni in pubblico e quelle scattate in famiglia.
Abbiamo già detto della sua immagine e di come Simenon sapesse gestirla quasi professionalemente.
Curava quindi il suo aspetto esteriore soprattutto quando c'erano, o ci potevano essere, degli obbiettivi nei dintorni e ogni situazione lo vedeva con l'abito più adeguato. Abbiamo delle sue foto in smokinkg ai ricevimenti, quelle "americane" che lo ritraggono a cavallo, con cappellone e camicia a scacchi, le immagini con la maglietta a righe e il cappello con la visiera, a bordo del suo Ostrogoth, con cui solcava i canali di buona parte dell'Europa. Oppure, quando si stabilì nella campagna della Vandea, era ritratto nei panni del perfetto gentleman-farmer.
Possiamo dire che la pipa faceva parte del suo vestiario? Certamente era un accessorio immancabile. Stretta tra i denti, tenuta in mano, oppure nelle immediate vicinanze, ma sempre in una posizione visibile. E' quasi impossibile trovare una sua foto senza una pipa.
Con l'età un 'altro accessorio indispensabile divennero gli occhiali, i più famosi quelli con una montatura media, un po' arrotondata e di un caldo colore ambrato.
Ma quando si metteva a scrivere, chiuso nel suo studio, con il cartellino "don't disturb" alla porta, indossava invariabilmente uno di quei camicioni americani a scacchi. Nel suo caso quello era l'abito che faceva lo scrittore.

SIMENON IN CLASSIFICA QUESTA SETTIMANA

Come  consuetudine, dopo il weekend, riportiamo gli aggiornamenti delle posizioni in classifica delle ultime uscite dei titoli di Simeon. Stavolta parliamo ancora de La pazza di Maigret, che questa settimana viene dato dalla classifica dei "Tascabili" di TuttiLibri (La Stampa) al primo posto, con un salto di una posizione rispetto a sette giorni fa'. Invece sull'inserto La Lettura (Corriere della Sera), nella sezione "Narrativa Straniera", lo stesso titolo perde due posizioni e lo ritroviamo quindi undicesmo. Nessuna menzione da parte delle classifiche dei libri venduti on line da parte sia di Amazon, che di Wuz e di IBS.
Qui al lato, si può vedere la copertina dell'originale francese pubblicato da Presses de La Citè (Parigi), nel novembre del 1970.

domenica 11 dicembre 2011

SIMENON. DENYSE E LA VENDETTA NERO SU BIANCO

Abbiamo più volte parlato delle conseguenze della separazione tra Georges e Denyse, la sua seconda moglie. E una di queste è una vendetta che la donna decise di prendersi nei confronti dell'ex-marito. Volle infatti scrivere un libro, Un oiseau pour le chat (edizioni Simoen - 1978) per poter  raccontare la sua versione e per far conoscere a tutti "il mostro" che lei riteneva fosse il marito e tutte le vessazioni che avrebbe dovuto sopportare. Ci racconta di un grande scrittore ma di un piccolo uomo, dei suoi disturbi psicologici, della sua immoralità, della sua mania di distruzione. E lei, che aveva dovuto sopportare tutto questo, si definisce una moglie ingannata, distrutta e sconfitta. 
Ma fino a che punto queste accuse sono vere? Certo vivere accanto a Simenon doveva essere impegnativo. Ma Denyse soffriva anche di una sorta di complesso d'inferiorità che si manifestava soprattutto nella vita pubblica. Simenon era famoso, accolto di solito con tutti gli onori, oggetto di manifestazioni di stima da parte degli ambienti letterari, ma anche di simpatia dagli ambiti popolari. Mentre lei in tali situazioni rimaneva ovviamente in secondo piano. A quel punto si era innescato nella sua mente un meccanismo di competizione con Georges che la spingeva ad adottare ogni tipo di comportamento pur di attrarre l'attenzione anche su di sé.
Eppure per molti anni la loro relazione aveva funzionato. All'inizio Simenon aveva addirittura confessato che con lei aveva scoperto l'amore travolgente e non solo la passione. E per questo aveva accettato la separazione definitiva dalla prima moglie (anche se con Tigy il matrimonio era di fatto finito da un bel po'), tollerava la progressiva ingerenza di Denyse nella parte amministrativa e contrattuale del proprio lavoro, le delegava la completa gestione della famiglia. Lei si era davvero innamorata di quell'uomo che l'aveva affascinata. Lei venticinquenne canadese di Ottawa, lui, poco più che quarantenne, scrittore già famoso, che veniva da Parigi, la quale negli anni '20 e '30 era considerata la capitale mondiale della cultura.
Eppure, soprattuto al loro rientro in Europa, il loro rapporto andò progressivamente deteriorandosi. Il libro di Denyse però non chiarisce i motivi e appare costellato da veri e propri sfoghi, un po' troppo di parte per sembrare obiettivi e credibili. 
Ma per capire è fatto ricorso anche alle interpretazioni di esperti, come lo psichiatra Armand Mergen, professore di criminologia presso la Johannes Gutenberg University di Mainz. Fu anzi lo stesso Simenon che gli sottopose il libro per un valutazione professionale e distaccata.
"... Conosco Georges ma non Denyse. Non ho fatto quindi una diagnosi psichiatrica della persona. Ho fatto l'analisi di un personaggio di un libro.... Direi un libro molto "Maigret", perché non si scopre una coppia, ma due donne e tre uomini... Perché c'è il Georges uomo, il Simenon scrittore e il Jo amante (i tre uomini). Poiché troviamo Denyse, la donna reale (la prima), e Denise (la seconda) la donna che racconta solo ciò che ritiene utile per il suo ritratto di vittima innocente. Fin dall'inizio, si dimostra possessiva. Vorrebbe che l'uomo che ha amato fosse nato al momento della loro conoscenza. Siccome, sia Georges che Maigret le pre-esistevano, non le sono congeniali, perché il loro passato non può appartenerle. Allora lei li cancella e costruisce in sostituzione Jo, il suo amore.... Denyse, scrive: "Il primo romanzo dopo il nostro incontro era Maigret a New York. Dopo averlo letto, ho avuto l'idea di apparire come la moglie del celebre commissario...".
E spiega l'analisi di Mergen. "...Ma ciò era impossibile. Denyse era davvero l'amante di Jo, ma non poteva essere la moglie di Maigret. Il Simenon scrittore divenne gradualmente il suo trauma, perché lui era anche Maigret e allo stesso tempo Jo. Denise era legata a Jo da un amore appassionato e sensuale, ma c'era anche Simenon lo scrittore geniale che sapeva lavorare duro e c'era anche Maigret sua parte integrante, intoccabile. Denyse scopre che non può essere sia di Madame Maigret, collaboratrice di Simenon, e l'amante padrona di Jo...".
Teoria interessante quella dello psichiatra tedesco. Ma qualsiasi possa essere l'interpretazione del libro, non ci pare che contribuisca in modo determinante a spiegare la degenerazione del rapporto della coppia. I questi casi, dice la saggezza popolare, i guai si combinano sempre in due. Le colpe sono da entrambe le parti semmai il difficile è capire dove finiscono quelle dell'uno e iniziano quelle dell'altro. Nel caso di Georges e Denyse c'è da considere l'impatto sulla coppia dell'impegno creativo e del suo ritmo da parte di Simenon e dall'altro le nevrosi e l'instabilità mentale di Denyse, peggiorate da un grave alcoolismo.
Il libro, non ebbe sucesso, anche se fece rumore soprattutto sui periodici che si occupavano di quello che oggi chiamiamo gossip. La curiosità di sapere tutto sulla vendetta (sia pure letteraria) della moglie di un personaggio famoso era, allora come oggi, un boccone che certa stampa non si faceva certo scappare. Ma l'opera non aggiunge nulla alla figura e alla conoscenza di Simenon.

sabato 10 dicembre 2011

SIMENON... E GLI INCREDIBILI ANNI '20

Siamo nel 1925 l'anno in cui a Parigi venne inaugurata l'Exposition des Arts Décoratifs. Un avvenimento culturale atteso da tutto il mondo culturale europeo e non solo. Il fervore nella comunità dei pittori, dei musicisti, degli scrittori e di tutti gli artisti era all'ennesimo grado. Si respirava aria di grandi cambiamenti, quando non di vere e proprie rivoluzioni nel campo dell'espressione artistica di qualsiasi ambito. Multicultarale, cosmopolita, dissacrante era l'aria che tirava nell'ambiente degli artisti e dall'arte per arivare fino alla vita di tutti i giorni. Dalla moda, all'architettura, dalla pubblicità all'arredamento, non c'era campo che non fosse investito da questa ventata di rinnovamento, di sperimentazione di voglia di cambiare. I Simenon nel loro appartamento al 21 di Place des Vosges erano una delle coppie che alimentavano questa amosfera. Volete sapere come era arredato il loro appartamento? Simeon aveva ingaggiato l'arredatore d'interni più in voga del momento, tale Dim. Risultato? I muri erano gialli, blu e verde con un chiaro richiamo al cubismo, tende e copridivani neri, ma il pezzo forte era costituito dal bar. Una vera esclusiva all'epoca. Un autentico angolo bar con tanto di bancone e sgabelli alti, anche loro gialli e neri. Ed era tutto illuminato dall'interno, con mensole e sportelli in vetro, bottiglie e cocktaili in bella vista, un vero bar all'americana, particolarmente apprezzato da Georges, come altri arrivi dall'America: la musica jazz di New Orleans di cui era allora un fervente appassionato e quel fenomeno chiamato Josephine Baker che passerà nella sua vita come un ciclone. Dietro al bancone il barman era ancora lui. E le feste di casa Simenon divennero famose non solo per il nome degli invitati: Max Jacob, Derain, Jean Renoir, Paul Colin, le ballerine russe in tourneé a Parigi e non ultima proprio la Baker di cui campeggiava un ritratto esattamente sopra l'angolo bar. L'altro motivo di tanto successo era che il passo da feste a festini era decisamente breve, tanto che all'alba la gente ancora dormiva seminuda sui divani, per terra, mentre Boule, la femme de chambre, iniziava riordinare e in sottofondo si sentiva un ticchettìo. Era la macchina per scrivere di Simenon che per pagarsi quel tenore di vita doveva produrre racconti e romanzi brevi a più di un editore, per cui in una giornata doveva macinare un'ottantina di pagine e poi correre a consegnare...  E mentre i suoi ospiti di svegliavano e lasciavano la casa la locomotiva Simenon sferragliava già da qualche ora e uscivano dal rullo della sua macchina le storie de La fiancée fugitive, Nox l'insaisissable, Chair de Beauté, Captain S.O.S., Coeur de poupée...



venerdì 9 dicembre 2011

SIMENON. TENGO FAMIGLIA...ANZI DUE...ANZI...

Da destra, Denyse, Marie-Jo, Johnny, Marc e Georges in piedi
La famiglia per Simenon ha sempre avuto una importanza rilevante. Sia nella vita che nei romanzi.  Che si trattasse della sua famiglia di provenienza che di quelle che avrebbe poi costruito nel corso della sua esistenza. Non sempre un elemento positivo, ma sempre molto coivolgente.
Iniziamo da quella d'origine. Désirè Simenon, il padre ventiseenne quando il 13 febbraio 1903 nacque  Georges, per la precisione Georges Joseph Christian. Henriette Brull, moglie di Désireè, divenne sua madre a ventitre anni.  Il suo unico fratello Christian Maurice Joseph nacque tre anni dopo di lui. Era una famiglia modesta, il padre impiegato in una società di assicurazioni. La madre casalinga. Lui, un uomo tranquillo, contento di quello che aveva, senza grandi aspirazioni (tanto da rifutare un posto di responsabilità, ma anche di rischio, nel nuovo redditizio ramo polizze-vita della ditta). Lei invece veniva da una famiglia con alcuni esponenti importanti e altri anche ricchi, teneva molto al decoro, ai giudizi della gente, anche se poi doveva spaccava i centesimi in quattro per andare avanti.
Tra la madre e Georges, non ci fu mai un buon rapporto. Il cocco di mamma era Christian. D'altronde Georges stravedeva per il padre e quando si ammalò, smise di lavorare e poi morì nel '21 fu davvero un duro colpo per lui. La madre non perdeva occasione per manifestargli la sua preferenza per il fratello. E chissà che nella decisione del 1922 di lasciare Liegi, il suo lavoro di giornalista, non abbia pesato anche la scomparsa del padre?
Régine Renchon, detta Tigy, e Georges
Prima di partire per Parigi, Simenon si era gia fidanzato con Régine Renchon che infatti sposerà nel 1923. Qui inizia la sua seconda famiglia. La moglie, belga, di buona famiglia, pittrice, lo segue di buon grado nella Ville Lumiére, pur essendo conscia che nei primi tempi avrebbero letteralmente fatto la fame. Nei loro piani iniziali non era previsto un figlio, era un'intenzione ben esplicitata prima del matrimono. E così prima di completare la famiglia con un erede passarono sedici anni. Infatti Marc nasce il 19 aprile 1939. Con loro, va però detto, che fin dal 1925 vive con loro una giovane femme de chambre, Henriette Liberge, conosciuta in Normandia, subito soprannominata da Georges, "Boule". E non  possiamo considerarla fuori dalla famiglia visto che rimarrà con i Simenon, prima con Georges, poi con la famiglia del figlio Marc, fino alla fine degli anni '60. Con lei Simenon ebbe anche un'intesa non solo contraddistinta da un'attività sessuale praticamente quotidiana, ci fu certo dell'affetto, forse anche del sentimento. La risposta è in alcune lettere  di Simenon, ma che furono distrutte per volere della stessa Boule, alla sua morte.
Terza famiglia. Ormai Simenon si è trasferito in America. Conosce la seconda moglie Denyse, venticinquenne, canadese del Quebec, a New York nel 1945 ed entra in casa Simenon come segretaria particolare dello scrittore. Nel 1950 il matrimonio, ma intanto avevano già avuto un figlio, Johnny, il 29 settembre del 1949. L'unica figlia dello scrittore, Marie-Jo, arrivò nel 23 febbraio 1953, anche lei "americana". Il terzo, Pierre Nicolas, nacque il 26 maggio 1959 quando i Simenon, tornati in Europa, e si erano stabiliti in Svizzera, nei pressi di Losanna. A questo nucleo manca Teresa Sburelin, friulana, una femme de chambre personalmente consigliata a Simenon dal suo editore italiano, Arnoldo Mondadori con cui lo scrittore aveva una vecchia amicizia, risalente agli anni '30. Era la fine del 1961 quando prense servizio. Con la Boule furono subito scintille, che dopo poco fece fagotto, per poi sistemarsi, come abbiamo detto, nella famiglia di Marc Simenon. La casa dello scrittore si va svuotando. La moglie, con cui il rapporto dal ritorno dall'America, è sempre più in crisi, viene peggiorato dal precario equilibrio mentale di lei, dalle sue gravi nevrosi e dal suo alcolosmo. Nel '64 lascia definitivamente la famiglia.
Georges Simenon e Teresa Sburelin
Il figlio Marc è con la propria famiglia a Parigi a fare il regista. Johnny invece è negli Stati Uniti a studiare giurisprudenza. Marie-Jo, cerca con difficoltà la sua strada e il suo equilibrio a Parigi.
Georges, Pierre Nicolas e Teresa è quello che rimane della  terza famiglia. Lei da femme de chambre è definitivamente diventata la sua compagna ufficiale, colei che lo assisterà premurosamente fino alla morte.
Febbraio 1974. 12, rue de Figuiers, sono ormai rimasti solo Georges e Teresa, una piccola casa, con un piccolo giardino, una vita da piccoli borghesi,  una piccola famiglia dove lui ormai vecchio e un po' malandato si sente sicuro e felice di poche piccole cose. E' la sua utima famiglia.

giovedì 8 dicembre 2011

SIMENON. QUATTRORUOTE AI TEMPI DI MAIGRET

Renault Primaquatre - 1931
Renault 4 CV - 1947











Come si spostava la polizia ai tempi di Maigret? La domanda può essere interessante, ma va circostanziata. Le inchieste del commissario Simenon le inizia negli anni '30 e le conclude nei primi degli anni '70. Le automobili della gendarmerie, erano quindi di vari modelli e di varie generazioni. Diciamo che in gran parte sono vetture della Renault, soprattutto dopo la nazionalizzazione del '45, voluta da De Gaulle, quando fu chamata Régie Nationale des Usines Renault e più sinteticamente La Régie. Prendiamo ad esempio il primo Maigret. Siamo nel 1931 e allora debutta sul mercato la R Primaquatre, che verrà costruita per tutto il decennio. Questo coincide perfettamente con il lancio delle inchieste del commissario.
Renault Dauhine - 1956
Citroen DS - 1965








Poi negli anni '50 un'altro dei modelli Renault che fece storia e che fu anch'essa utilizzata dalla polizia: la Renault 4 CV. Siamo già ad un modello diciamo più moderno, una vetturetta agile e robusta che presentata sul mercato nel '47 lo tenne, con qualche modifica, fino agli anni sessanta. E questa è una delle vetture che sicuramente anche quelli della brigata criminale comandata da Maigret hanno utilizzato spesso nelle loro operazioni. Ma in quel periodo (1956) fece la sua comparsa un'altra Renault, la Dauphine che durò fino al '68, anch'essa utilizzata dalla polizia francese. Ma non di sole Renault era composto il parco della gendarmerie. Ad esempio venivano usate le più lussuose e veloci Citroen, la ID prima e poi la sua discendente la DS, che ovviamente erano destinate ai vertici del comando o per gli inseguimenti. E con questi modelli siamo arrivati agli anni '70, proprio quando Simenon smette di scrivere e finiscono quindi anche le inchieste del commmissario Maigret (1972). Va sottolineato però che lo scrittore non citò mai marche e meno che meno i modelli delle vetture, neppure quelli usati dalla polizia e quindi questa mini-ricostruzione è basata sulle informazioni incrociate tra la storia della gendarmerie e quella delle auto francesi. Chi ne sa di più ce lo faccia sapere. 
 

mercoledì 7 dicembre 2011

SIMENON. L'IMPORTANZA DI PLACE DES VOSGES

Marzo1924. I giovani coniugi Simenon si trasferiscono dalla loro abitazione di rue des Dames, Hotel Beausejour (Batignolles - XVII Arr.) a quella di 21, Place des Vosges (Marais - XI Arr.). Di mezzo c'è stato un anno di girovagare per la Francia dell'ancora aspirante scrittore al seguito del marchese di Tracy, esponente della politica conservatrice, nobile, ricco, proprietario di un giornale, cui faceva da segretario, un lavoro per sbarcare il lunario.
Tra le due abitazioni c'è una bella differenza. Batignolles era un quartiere più popolare e periferico dove i due vivevano in una sola piccola stanza dell'hotel. Al 21 di Place des Vosges avevano affittato una sola camera a piano terra, ma era più spaziosa e sopratutto il palazzo era situato in una delle piazze più belle di Parigi, in un quartiere signorile. Ma perchè questa casa e questa piazza hanno una certa importanza nel periodo francese di Simenon?
Place des Vosges vista dall'altro con il suo parco al centro
Da qualche mese Georges ha finalmente iniziato una collaborazione stabile alle pagine de Le Matin, dove Colette pubblica regolarmente i suoi racconti. Ovviamente questo è un fatto che fà salire le sue quotazioni con gli altri editori e al contempo costituisce una vetrina che gli procura altre possibilità. Il suo carnet di ordini va riempendosi. Sono editori di letteratura popolare che gli commissionano racconti d'amore, polizieschi o d'avventura. Simenon prende le ordinazioni e poi, come dice lui stesso, arriva l'ora delle consegne. Come un artigiano, fa il giro delle redazioni per recapitare i suoi scritti.
Era indispensabile aver più spazio a disposizione, anche per sua moglie che continuava a dipingere. E infatti, appena le loro finanze glielo permisero e si presentò l'occasione, presero un appartamento al secondo piano dello stesso palazzo, conservando il locale a pianterreno che fungeva da atelier per Tigy.
L'ingresso del 21, l'indirizzo dei Simenon
Gia abbiamo descritto come fosse arredato e quale vita si svolgesse al 21 di Place des Vosges nel post del 10 marzo Simenon. Feste e festini chez Sim. Ma qui vogliamo sottolineare come questa abitazione avrà un suo significato anche nella toponomastica della letteratura di Simenon. Infatti non è certo un caso che si trovi vicino a quel Boulevard Richard Lenoir dove lo scrittore collocò l'abitazione del commissario Maigret. E poco più lontano c'è la Senna, quasi all'altezza dell'Ile de la Cité, dove si trova Quai des Orfèvres che al 36 ospita (anche se ancora per poco) la polizia giudiziaria di Parigi. Luoghi che evidentemente erano molto familiari allo scrittore.
A Place des Vosges, sempre nel '34, scrisse il suo primo romanzo per Ferenczy, Roman d'une dactylo, il primo dei oltre duecento romanzi popolari che Simenon produrrà per Taillander, Fayard, Rouff, siglati con più di venti pseudonimi.
E fu una casa che non vendette, nemmeno quando si trasferì per una decina d'anni in Vandea, o quando andarono ad abitare nel prestigioso appartamento di boulevard Richard Wallace, né quando partì per gli Stati Uniti nel '45. Era una specie di rifugio parigino, la casa dei suoi inizi, quella che lo aveva visto debuttare nel mondo della letteratura popolare. Ma anche quella stessa di quando aveva lanciato i Maigret, facendo così il salto verso quella che lui chiamava la semi-letteratura.

martedì 6 dicembre 2011

SIMENON, LE MEMORIE PIU' FAMOSE... E PIU' DISCUSSE

Simenon, intervista de L'illustré su "Mémoire intimes"
"...il dolore è reale, ma un dolore reale non produce necessariamente dell'arte...". Questo giudizio è stato espresso dall'intellettuale britannico Anthony Burgess all'uscita dell'ultimo libro di Simenon Mémoires intimes. L'ultima fatica dello scrittore, di cui abbiamo parlato nel post del 6 ottobre Simenon, una vita in vetrina, ebbe un successo di pubblico notevole. Stando alle dichiarazione dell'editore, Presses de La Cité, in due mesi vennero venduti centomila copie. Il numero per sè non sarebbe eccezionale, se non considerassimo che si tratta di un'autobiografia di oltre mille pagine, a cui in più è abbinato anche  Le livre de Marie-Jo, una sorta di memorie della figlia suicidatasi venticinquenne poco più di due anni prima della stesura del libro.
Ma torniamo alla critica di questa opera autobiografica che scava con minuzia e in modo a volte impietoso nella vita dell'autore. I dolori, le gioie, le piccole emozioni della sua vita, i grandi avvenimenenti che ne segnarno l'esistenza, qualche rivelazione, che hanno riguardato sè stesso, le sue donne, i suoi figli, le persone che a vario titolo gli sono state più vicine. Insomma un puntuale e preciso diario della sua vita personale. E questo è un limite che ad esempio viene evidenziato da Pierre Assouline, uno dei suoi più autorevoli biografi "... se Les Mémoires ci forniscono le informazioni sull'uomo, non ci dicono niente del romanziere. Nulla è meno letterario di questo mattone che funge da pietra tombale. Anche se lo confiniamo nell'ambito della pura autobiografia, l'opera è di un interesse limitato. L'uomo? Orgoglio e odio di sé. Il suo genio romazesco? Nulla o quasi....".
Si tratta dell'impressione di uno studioso, biografo e specialista di Simenon, autore di due ponderose opere fondamentali sul romanziere Simenon biographie (Juillard - 1992) e Autodictionnaire Simenon (Omnibuus - 2009), al quale effettivamente questo libro non può svelare molto di nuovo.
Impatto diverso invece, a nostro avviso, può averlo nei confronti del pubblico di appassionati lettori simenoniani. Entrare nella vita quotidiana dello scrittore, coglierne le debolezze, il piccoli avvenimenti rivelatori, scoprire avvenimenti e le loro conseguenze, conoscere i rapporti con i figli, le mogli.. insomma tutto ciò ha una certa importanza per il lettore. Conoscere meglio l'uomo significa capire meglio lo scrittore e leggere con un altra luce le sue opere. Certo, come ogni autobiografia, entriamo nell'universo personale di Simenon portati per mano da lui stesso, vediamo e scopriamo quello che lui ci vuole far vedere e scoprire. Ma è generoso e mette a nudo anche situazioni e comportamenti su cui avrebbe anche potuto sorvolare.
Paris Match, l'annuncio dell'imminente uscita di "Mémoires intimes"
Come sostiene Assouline però, effettivamente c'è poco della sua sfera letteraria. Il "mistero" del romanziere rimane intatto. L'autore non entra mai nel meccanismo della sua creazione, o per lo meno non ci svela nulla che non abbia già detto nelle innumerevoli interviste o nelle precedenti opere autobiografiche.
Anche se siamo colti da un dubbio. Ma esiste davvero un mistero sulla modalità del meccanismo creativo? Fino a che punto é vero tutto quello che sappiamo sul suo rituale di scrittura, sul malessere prima della stesura di un romanzo, sull'état de roman, sul non sapere dove la storia l'avrebbe portato   perché seguiva ciecamente l'ispirazione, sull'entrare nella pelle dell'altro e sulla più volte rivendicata impellenza a scrivere? Non lo sappiamo e non potremo mai saperlo. Inoltre non va dimenticato che Simenon era un formidabile curatore della propria immagine e il dubbio che certe cose possano essere state costruite ad arte potrebbe anche essere lecito. Ma ci stiamo addentrando in un terreno scivoloso e dove rischiamo di perderci nell'infinito universo delle più sofisticate ipotesi, per altro non verificabili. Qui ci fermiamo con  il consiglio, a chi non l'avesse l'avesse fatto, di leggerlo.

lunedì 5 dicembre 2011

SIMENON. QUESTO E' IL PRINCIPIO

Si è parlato varie volte dell'incontro tra Simenon e Colette nella redazione de Le Matin. In quel quotidiano la famosa scrittrice, allora cinquantenne, era responsabile della pagina culturale e della rubrica Les Mille et un Matin, dove venivano pubblicati ogni giorno dei racconti. E Simenon, dopo molti tentativi (e dopo aver seguito i consigli della stessa Colette che lo spronava a sfrondare il suo stile dalla "letteratura") vide pubblicato il suo racconto La Petite Idole. Era il 29 settembre del '23. Possiamo prendere questa data come l'ingresso nella letteratura ad appena nove mesi dal suo arrivo a Parigi, anche se firmato come Georges Sim.
Ma questo La Petite Idole cosa raccontava? Si tratta di due coniugi in vacanza (dove non ci viene detto, ma si tratta di una località di mare. La Costa Azzurra o una delle stazioni balneari alla moda dell'Atlantico come Biarritz...). L'ambiente che trovano è molto spumeggiante, vi incontrano anche degli amici e cosi entrano a far parte di una compagnia dove i flirt, i tradimenti, le gelosie e gli addii si susseguono. Lei, M.me Arnal, non gradisce granchè l'intimità con questo ambiente dalle relazioni facili, un po' libertine e degli amori usa e getta. Avrebbe preferito un posto più tranqullo, meglio la solitudine. E in più si preoccupa per il marito quando guarda con eccessiva attenzione le giovani donne del posto. Questa insicurezza ci viene raccontata e motivata da Simenon riportando il dialogo avuto nel viaggio in treno, in cui lei chiedeva confema del suo amoreal marito, il quale una volta la chiamava il suo "piccolo idolo". Una volta, perchè veniamo a sapere che adesso lei ha quarant'anni. M. Arnal cerca di rassicurarla in ogni modo.
Ma certo lei non era più quella di vent'anni prima, il fisico non più "felino", ma "arrondi" che non vuol dire arrotondato, ma piuttosto ammorbidito, ma conservava tut'ora un fascino di cui il marito era davvero ancora preso.
Ma lei, circondata sulla spiaggia e all'hotel di giovani donne slanciaciate e flessuose, allungava il tempo della sua toilette, il marito un po' la prenderva in giro, un po' la rassicurava che non aveva bisogno di passare tutto quel tempo a truccarsi e a cambiarsi d'abito... a lui piaceva lo stesso, così com'era.
Ma lei sapeva che mentiva, aveva percepito come guardava le giovani che giravano loro intorno.
E non aveva torto, perché agli occhi del marito quella gioventù femminile, non poteva che risvegliare un certo desiderio.
In un dialogo alla fine del racconto, lei triste cerca ancora rassicurazioni, chiede al marito prima di stringerla forte a sè, poi di chiamarla ancora "piccolo idolo" e infine di partire per un altro posto, magari di tornare a casa, con la scusa che il mare la deprimeva. Il marito, sembra non capirla, cerca infatti di minimizzare, giudicando il tutto solo il frutto di un po' di nostalgia. Si dice convinto che la compagnia e la vacanza l'avrebbero distratta e alla fine le avrebbero giovato.
E così M.me Arnal capisce che non sarà mai più il suo "Petite Idole".
Tutto qui? In effetti la trama di un racconto breve (meno di 4000 battute), non poteva essere più articolata, non ci sono descrizioni dei personaggi, che però risaltano bene, e alcune informazioni le apprendiamo dai dialoghi.
C'è qualche aggettivo speso per il paesaggio, per le acconciature della protagonista. Ma quella semplicità e linearità che predicava Colette si riscontra nell'essenzialità dello stile e nel dialogo diretto che ha una sua preponderanza, ma che rende vivo e dà un'impressione di "presa diretta" , se coì si può dire, a suo modo efficace.
Ma é solo il primo degli ottanta racconti che fino al '29 scriverà per Le Matin.