sabato 14 aprile 2012

SIMENON E DOISNEAU. DA ENTRAMBE, COME POCHI, LE IMMAGINI DI PARIGI

Oggi, cento anni fa' nasceva Robert Doisneau, grandissmo fotografo francese che, come Simenon con la scrittura, riuscì con la propria sensibilità fotografica a immortalare lo spirito e l'anima di Parigi. Le sue foto in bianco/nero ci restituiscono la città ai tempi de Les Halles, della gente comune, della vità notturna, con una magia che, secondo noi, ben si accorda con le pagine che sugli stessi soggeti ci ha lasciato Simenon.
Lo ricordiamo perché, aldilà del suo grande talento artistico, con il suo lavoro è entrato nell'immaginario collettivo e ha contribuito a fissare nella memoria una città che, in gran parte, oggi non esiste più.

SIMENON. DOVE ANDRANNO A FINIRE I SUOI DIRITTI?

Il giornalista economico Philippe Lawson scrive oggi sul quotidiano belga L'Echo un articolo in merito ad un progetto che vedrebbe John Simenon, figlio di Georges e la finanziaria ING Invest di Liegi intenzionati ad acquisire tutti i diritti cinematografici delle opere simenoniane oggi detenuti dal gruppo britannico Chorion che al momento è in stato di liquidazione. La Chorion detiene l'85% della Georges Simenon Limited, società inglese, che acquistò i diritti dai Simenon nel 2001. In famiglia è rimasto il 15%, diviso tra John (il 10%) e il fratello Pierre (5%).
Si tratta di un'operazione che dovrebbe ammontare (secondo una stima della Doilitte, società internazionale di consulenze e revisioni) a oltre due milioni e mezzo di euro.
Questa iniziativa, secondo John Simenon, avrebbe il merito di riportare in Belgio, e ancor più a Liegi, un patrimonio non solo finanziario, ma anche cuturale, che le appartiene di diritto. Per altro, tutto ciò si affianca ad un altro progetto che John sta portando avanti, quello di realizzare a Liegi un museo permanente dedicato al padre, alle sue opere, alla sua vita e ai suoi documenti  (come avevamo accennato in Simenon. 2015, un museo permanente a Liegi ).
Comunque, per acquisire i diritti, il figlio dello scrittore ha programmato la creazione della SA Georges Simenon Co. con siede a Liegi, che dovrebbe partire con un capitale di oltre un milione di euro. In questa iniziativa una finanziaria belga, la Meusinvest, si sarebbe detta disposta a mettere a disposizione 1,25 milioni di euro  (un milione in prestito e 250.000 euro di capitale). In più ci sarebbero il prestito di 700.000 euro della ING Bank e quote per 900.000 euro che dovrebbero mettere sul piatto John Simenon stesso e alcuni editori francesi, italiani e tedeschi.
Insomma l'operazione é di un certo livello e non certo conclusa, come a tale proposito ha confermato John: " La questione non è semplice, ma io sto ancora negoziando con il gruppo Chorion e le trattative continuano...".
Secondo chi ha sviluppato il business plan, si potrebbe tranquillamente ipotizzare un fatturato globale annuo di circa un milione di euro, partendo da cifre concrete come quelle del fatturato della Georges Simenon Limited che, ad esempio, nel 2008 è stato di circa 1,5 milioni di euro.

venerdì 13 aprile 2012

SIMENON. MAIGRET, SILHOUETTE IN BIANCO E NERO

Continuano gli interventi degli "attachés" al Bureau Simenon Simenon. Se volete farne parte e pubblicare post o illustrazioni a vostra firma, scrivete a simenon.simenon@temateam.com



Qui di seguito un contributo che riceviamo dalla nostra attachée francese Murielle Wenger che gestisce la sezione di Maigret del sito www.trussel.com e Les Enquetes du Commissaire Maigret . Si tratta di un contributo particolare che, come vedete, unisce forma grafica e versi in un ritratto del commissario davvero originale, suggestivo e poetico. (segue traduzione)


Maigret...
Disegnerò la tua silhouette...
Lungo soprabito nero che s'intravede nella nebbia
Bombetta nel retro-sala di un café
Finestra illuminata nella notte, ombra chinata sulla scrivania
Alba ai bordi della Loira, pescatore che va alla deriva con la sua barca
Giardino sbocciato sotto il sole, cappello di paglia in mezzo ai pomodori
Sedili di velluto rosso, nuvole di fumo nel fascio di luce dei fari
Passi pesanti tra le foglie d'autunno intorno allo stagno di Saint-Fiacre
Qualche traccia sulla neve, fiocchi che volteggiano in un cielo plumbeo
Contorno controluce di un sole che tramonta fiammeggiando sul mare
Gran camminatore a Parigi, brezza di marzo sotto gli ippocastani in fiore
Afa d'estate, bicchiere di birra appannato sulla terrazza di un café
Una coppia sottobraccio sotto un lampione
Passante sulla banchina, barche erranti sulla Senna
Luce di un fiammifero che brucia davanti a una pipa
Passeggero che resta sulla piattaforma aperta dell'autobus
Gocce di pioggia su un cappello bagnato
Croissant dorato davanti ad un caffé fumante
Un sandwich addentato in un angolo di un tavolo
Qualche riga scappata da un libro aperto sul mio letto (Murielle Wenger)

giovedì 12 aprile 2012

SIMENON. SPESE PAZZE DI M.ME DENYSE PER IL FESTIVAL DI CANNES

Denyse Ouimet Simenon
L'affiche del Festival
4 maggio 1960. S'inaugura il XIII Festival del Cinema di Cannes. Georges Simenon è il presidente della giuria. Lui e Denyse sono al centro dell'attenzione, un presidente come Simenon fà notizia, ma in effetti è più lui ad essere inseguito da giornalisti e fotografi. E poi non va scordata la folta schiera di star, anche hollywoodiane, che affollano la Croisette. Quell'edizione ospita tra attori e registi nomi come Anita Ekberg, Jeanne Moreau, Ingmar Bergman, Anouk Aimée, Jacques Becker, Robert Mitchum, Melina Mercouri, Peter Brook, Anthony Queen, Jean Paul Belmondo, Zsa Zsa Gabor, Vincent Minelli, senza scordare Grace Kelly e il principe Ranieri di Monaco.
Ekberg e Mastroianni ne La dolce vita
I Simenon alloggiano nella consueta suite al Carlton. Denyse in queste occasioni mondane patisce tutti quei riflettori puntati sul marito e sui vip dello star-system, mentre lei rimane spesso nell'ombra, in seconda linea. La sua insicurezza la spinge quindi a comporamenti eccentrici, a interminabili toilette che non devono passare inosservate e a dichiarazioni che facciano eco. Arriva a Cannes a bordo della Mercedes SL Cabriolet del marito, con il  nécessaire e la sua borsa, entrambe di pelle rossa, fatte confezionare espressamente da Hermès. Il suo chignon è tenuto insieme da pettini di tartaruga, impeziositi da perle vecchie, color oro, che vengono appositamente dall'India. Insomma Denyse, assecondata da Georges, questa volta in modo particolare, non bada a spese.
Monica Vitti ne L'avventura
La sua toilette, in occasione delle proiezioni serali, è quella di una diva.  Dura un paio d'ore tra parrucchiere, truccatrice, modiste e poi i gioielli, ogni sera diversi. E ancora, la gara ad essere l'ultima a presentarsi sul red carpet tra star, invitati eccellenti e personalità: un'altra fissazione per farsi notare. Tenta addirittura, anche per attrarre l'attenzione, di costituire una "giuria delle mogli dei giurati", ma anche questa iniziativa non viene seguita dalla stampa che manda invece i suoi fotografi a seguire delle sconosciute starlettes che sul lungomare si espongono in tutti i modi ai flash e alle cineprese. E così, mentre il marito è sempre sotto i riflettori, anche se al centro delle polemiche per aver fatto vincere La dolce vita di Federico Fellini, Denyse risistema il suo voluminoso bagaglio di spese pazze, prepara le lussuose valige di Hermès e aggiunge, a suo modo di vedere, un'altra "sconfitta" che costituirà un ulteriore spinta verso la perdita del suo equilibrio mentale. 

mercoledì 11 aprile 2012

SIMENON. UN INFORMATORE DA 10 E LODE

Debutta oggi la sezione dei contributi forniti dagli attachés del Bureau Simenon-Simenon (v. colonna a destra). Chi volesse farne parte e pubblicare i propri post firmati potrà inviare una domanda e le sue proposte a simenon.simenon@temateam.com

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Roma - dal nostro "attaché" Giorgio Muvi - Dieci e lode è il voto che questa settimana Antonio D'Orrico, nella rubrica La Pagella, nell'inserto La lettura del Corriere della Sera di domenica 8, ha attribuito all'ultima inchiesta del commissario edita da Adelphi: Maigret e l'informatore. Lo definisce uno dei Simenon più belli sia per la trama, come per l'atmosfera, che per i personaggi. Io aggiungerei che, man mano che passa il tempo, i personaggi dei Maigret sono sempre più complessi e hanno una forza che forse i primi non avevano. E' infatti lo stesso D'Orrico a ricordare che questa è la penultima inchiesta che Simenon scriveva. Ormai a questo punto non trovo più grandi differenze dai protagonisti dei romanzi: l'ipettore Louis detto il vedovo, "la Pulce" informatore in cerca di fama, i due fratelli Mori malviventi e Line, la moglie dell' ex-gangster ucciso Maurice Garcia, potremmo trovarli in uno dei tanti romanz simenoniani. Maigret e l'informatore l'ho letto tempo fa' in un'edizione degli Oscar Mondadori del 1991, che contiene anche, come post-fazione, uno scritto di Alberto Savinio, che definisce Simenon: "... un Dostojewsky minore..."  che descrive Maigret come "...un borghese grasso e bonario, una specie di papà senza figli, un moralista pagnottone, che fuma tabacco popolare... si sente a disagio negli ambienti di lusso... odia il cosmopolitismo, compie il suo lavoro di ricerca, più per dovere di funzionario che per diletto d'investigatore...". E conclude: "Racine ha imborghesito la tragedia. Ingres ha imborghesito la forma classica della pittura. Restava da imborghesire il romanzo poliziesco. Grace à Dieu, anche questo è fatto". (Parigi 23 agosto 1932)

SIMENON, UN MALOU "A LA RECHERCHE" DEL PROPRIO DESTINO

Debutta oggi la sezione dei contributi forniti dagli attachés del Bureau Simenon-Simenon (vedi sulla colonna a destra). Chi volesse farne parte e pubblicare i propri post firmati, potrà inviare una domanda e le sue proposte a simenon.simenon@temateam.com Iniziamo con due post. Questo primo è di Paola Cerana, una delle nostre più affezionate e attive "attachées".


Roma dalla nostra "attachée" Paola Cerana - Eugène Malou aveva ancora gli occhi spalancati. Era questa la cosa più inquietante. Uno dei due occhi, a dire il vero, era quasi completamente uscito dall’orbita, e i rantoli dalla bocca, insieme a tutto il sangue sparso sull’asfalto, facevano somigliare l’uomo a una povera bestia agonizzante. Una bestia moribonda, supplichevole del colpo di grazia.
S’era sparato con la pistola alla tempia, uscendo dall’abitazione del conte d’Estier, eppure Eugène Malou, caparbio com’era, sembrava deciso a non morire, quasi a soddisfare l’ultimo capriccio, l’ultimo dispetto rivolto a tutti quelli che gli volevano male. Resisteva come un gatto rognoso preso a sassate da una banda di balordi, in mezzo ai curiosi accorsi a frotte attorno al grottesco strazio. Una specie di vergogna collettiva si mescolava alla sofferenza dell’uomo, trasformando ognuno dei presenti in un involontario colpevole. Nessuno si aspettava un gesto simile da lui, anche se tutti, compresi i giornali, lo screditavano sfacciatamente augurandogli una brutta fine. Che almeno morisse in fretta, dunque!
Erano stati i debiti a spingere Eugène Malou al suicidio? Possibile che un uomo così ostinato e intraprendente avesse deciso di farsi fuori solo per questioni di denaro, forse per via di un prestito negato dal conte d’Estier? Qualcuno l’aveva visto fare una telefonata, poco prima di suicidarsi. A chi e perché?
Quel freddo pomeriggio d’inverno, sotto un cielo crepuscolare, Eugène Malou finalmente moriva sottratto alla penosa agonia, lasciando in eredità un enigma che sarebbe toccato al figlio minore, Alain, cercare di risolvere. Appena diciassettenne, Alain, che conservava ancora il pudore di un bambino, si trovava d’un tratto catapultato in una realtà troppo pesante per la sua naturale ingenuità. C’erano tante di quelle cose che lui non sapeva, tante di quelle domande che non aveva mai pensato di fare! Era solo uno studente, un bravo ragazzo, che faceva per la prima volta il suo ingresso nella vita adulta, arrivandoci impacciato e inesperto, armato solo del suo istintivo coraggio. La madre, la signora Malou, era invece una donna spregiudicata e avida, innamorata solo dei soldi e dei gioielli di famiglia. Sembrava fragile, con i lineamenti morbidi di una donna di quarantacinque anni che si prende cura del suo aspetto, eppure non aveva avuto neanche un attimo di cedimento di fronte alla morte del marito. La sorella Corine, così femmina, era una procace e impudica ragazza che aveva imparato presto a sfruttare la propria sensualità per ottenere ciò che desiderava. Tutto in lei era morbido, era solo carne e forme … possibile che non capisse quanto fosse imbarazzante per lui vederla sempre seminuda? E il fratellastro maggiore, Edgard, era solo un pecorone belante e stupido, nato per uno scherzo del destino in mezzo ai lupi.
Ma chi era, in realtà, Eugène Malou? Uno spericolato imprenditore che non ha lasciato alla famiglia nemmeno i soldi per il funerale. Un uomo che andava perennemente di fretta, al punto che veniva voglia di trattenerlo per il bavero della giacca. Ma che uomo era stato? Poco espansivo, silenzioso, ambiguo, misterioso, spesso assente e distratto con i figli, eppure a modo suo generoso e onesto con i pochi amici. Solamente ora, dopo la sua morte, Alain imparerà a conoscere l’estraneo con cui ha sempre vissuto, ricostruendo una storia inimmaginabile, che svelerà come le apparenze siano spesso velenosi inganni in grado di condannare a morte una persona senza possibilità di riscatto. Alain troverà il coraggio di sradicarsi definitivamente dalle ipocrisie e dai rancori della famiglia e, confortato dai consigli di poche, pochissime persone amiche, scoprirà un’altra verità che lo condurrà al suo destino. Il destino dei Malou.
Forse, in fin dei conti, quell’uomo che Alain aveva conosciuto appena, che non si era mai curato di conoscere perché non immaginava che potesse essere tanto diverso da come appariva, quell’uomo che era morto sul pavimento sporco di una farmacia di quartiere, ebbene quell’uomo era sempre stato solo! … Vero papà?
Così, se Eugène Malou aveva scritto i primi capitoli di una sordida storia di famiglia, Alain ne avrebbe firmato l’epilogo, giungendo a capire che essere un uomo è molto più difficile e raro che essere un uomo onesto. Adesso c’era un solo Malou, che di lì a poco si sarebbe avventurato nel suo futuro, senza odio e senza vergogna, forte delle proprie radici. Un Malou che ha saputo trovare la propria strada con la complicità e il silente affetto dell’unico compagno di viaggio degno di questa sofferta iniziazione alla vita. Il suo amato papà.

martedì 10 aprile 2012

SIMENON, SCUOLA DI SCRITTURA DA COLETTE AI ROMANZI POPOLARI

"... sapete ho letto i vostri racconti, avrei dovuto restituirveli già tre/quattro settimane fa', perché non ci siamo, ci siamo quasi, ma non ancora, voi scrivete troppo letterario. Non c'è bisogno della letteratura, eliminate tutta la letteratura e vederete che funzionerà..."
Queste sono le parole, racconta Simenon in un intervista di Roger Stephane, di come la scrittrice Colette, nella sua veste di responsabile della pagina culturale de Le Matin e della rubrica Mille et un Matins, gli si rivolgesse mentre respingeva i suoi scritti. Lui allora, aspirante scrittore tra i tanti che affollavano l'anticamera della scrittice, racconta "... un volta  tornato a casa, mi sono detto: sopprimere la letteratura! Non sapevo di preciso cosa volesse significare. Se facevo letteratura, una volta soppressa la letteratura, cosa sarebbe rimasto? Infine ho cercato di scriverlo nel più semplice dei modi possibili. D'altronde è uno dei consigli che mi è servito di più nella mia vita. Devo dire che a Colette, alla quale devo ancora riconoscenza per quei consigli, portai altri due racconti e lei mi ricevette la settimana successiva:'... ancora troppa letteratura mio piccolo Sim, basta con la letteratura...'. Sono dovuto ritornare a casa e riscrivere di nuovo i due racconti. quella volta furono presi tutti e due e da quel momento ebbi il mio racconto settimanalmente su 'Le Matin' e durò per cinque o sei anni, questo significa aver pubblicato circa quattrocento racconti...".
In quello stesso periodo, il 1923, Simenon iniziò una frenetica attività nell'ambito dei cosiddetti "romanzi popolari". C'erano degli editori specializzati in questa letteratura leggera, d'evasione, rivolta ad un pubblico non granché istruito. Si trattava di volumi molto economici,  più lunghi di un racconto, ma più brevi di un romanzo vero e proprio. Insomma abbastanza per coinvolgere il lettore, ma non al punto d'impegnarlo troppo. Opervavano allora un certo numero di queste case editrici a Parigi: Ferenczi, Fayard, Margot, Tallandier, Rouff... andava molto forte ovviamente la narrativa sentimentale (Frenczi arrivava a stamparne quasi 90.000 copie a settimana per ogni titolo), poi quella d'avventura, di viaggi esotici, ma anche i polizieschi.
Questa fu un'altra scuola importante per Simenon, molto diversa da quella di Colette ovviamente, ma complementare. La essenzialità tipica delle opere successive, dai Maigret ai romans-durs, deriva anche dall'allenamento ad usare un linguaggio, comprensibile a tutti, di conseguenza nella capacità di limitare il vocabolario (i famosi duemila termini che Simenon si vantava di utilizzare), ma allo stesso tempo riuscire, con quelle stesse parole, a rendere al meglio sia una vicenda sentimentale che una scena d'azione. Questo significava aver acquisito una notevole versatilità nella scrittura e una padronanza degli strumenti linguistici. L'approfondimento psicologico dei caratteri, la creazione di personaggi, situazioni e atmosfere arriveranno invece dopo, quando la sua scrittura non sarà più "su ordinazione", ma frutto della propria libera intuizione e ispirazione.

sabato 7 aprile 2012

SIMENON SIMENON FA' GLI AUGURI. APPUNTAMENTO A MARTEDI'

Pasqua e Pasquetta riposo.
Simenon Simenon augura
a tutti i suoi appassionati utenti buone feste
e si prende due giorni di meritato
(almeno lo speriamo) riposo.
Appuntamento a tutti quindi
a martedì per una settimana
con delle novità.

SIMENON. UNA PIPA PER LA VITA E UNA PER LA LETTERATURA

Simenon e il suo famoso commissario Maigret sono due accaniti fumatori di pipa, come abbiamo avuto modo di dire, ma pipe diverse, tabacchi molti differenti (vedi Simenon pipe e tabacco e I vizi di Maigret). Simenon iniziò a fumare la pipa molto giovane, ben prima dei tempi de La Gazzette de Liége e andò avanti praticamente tutta la vita. In uno dei suoi Dictées, De la cave au grenier (1975), spiega la sua attrazione per la pipa: "... La pipa è un oggetto vero, un oggetto personale che finisce per far parte di voi. Oso appena dire di possedere circa trecento pipe, anche se ne ho portate solo una ventina nella mia piccola casa rosa (12, rue des Figuiers). Ebbene, malgrado il numero, le conosco bene tutte, una per una, come fossero amici...".
Ed è inevitavile il ricordo della prima pipa. "... avevo circa tredici anni. Era l'inizio dell'autunno. Il mese precedente, avevo avuto il mio primo incontro con il sesso. Non so se ci sia stato un rapporto tra i due avvenimenti, ma non ne sarei sorpreso - racconta Simenon nel suo Vacances obbligatoires, Dictée (1976) - Tutto insieme mi sentivo o credevo di sentirmi un uomo, e la pipa era entrata nella mia vita per dimostrarlo..."
Poi ci spiega la scelta di una pipa, che per un fumatore è un momento assai delicato. Perché non sono le pipe che ti regalano gli altri perché sanno che tu la fumi. Non è mai quella giusta, nemmeno se arriva dagli amici che ti conoscono meglio (a meno che non sia un amico fumatore di pipa). A questo proposito lo scrittore precisava anche che "... non compro mai una pipa per caso. Ciascuna è abbinata ad un occasione importante o certamente ad un avvenimento piacevole. Per esempio la fine di un romanzo, una sorta di ricompensa che mi  concedo, un po' come in certi periodi dell'anno si fanno dei regali ai bambini...".
La preferenza per un certo tipo di pipe è il tratto distintivo di ogni fumatore e Simenon annotava a proposito: "...certi collezionano pipe di diversi modelli, di differenti materie. Le mie si somigliano come dei fratelli. Sono tutte di radica. La gran parte sono dritte e io sono forse il solo a riconoscerle a colpo d'occhio, una dalle altre...".
E le pipe faevano anche parte del corredo che lui preparava scrupolosamente prima di iniziare a scrivere, quando per giorni era impegnato nella stesura di un romanzo.  
Infine  diremmo che era inevitabile che il suo personaggio più famoso, quello che lo accompagnerà per quarant'anni di scrittura non poteva che fumare la pipa. Che d'altronde è uno dei tratti distinitivi del commissario e che, a nostro avviso, fu scelto da Simenon perchè conosceva perfettamente le abitudini, le manie e addirittura i tic dei fumatori di pipa e questa poteva essere una connotazione che dava uno spessore reale e concreto al suo personaggio.

venerdì 6 aprile 2012

SIMENON VISTO DA JOHN BANVILLE

Forse non tutti consocono John Banville, scrittore irlandese, oggi sessantasettene, molto stimato dalla critica per la sua produzione letteraria, pubblicata in Italia già nell'84 da Rusconi e poi via via da Minimum Fax e dal '91 da Guanda che è a tutt'oggi la sua casa editrice italiana di riferimento. I suoi romanzi più famosi sono incentrati su temi  di livello come già si intuisce dai titoli: Kepler (1981),  The Newton Letter, (1982), The Infinities (2009). Ma il nostro scrittore è divenuto ancor più popolare quando nel 2006 decise di scrivere dei gialli sotto lo pseudonimo di Benjamin Black. Di solito non è così; dal nostro Simenon ad altri la letteratura di genere è semmai stata un passaggio (certe volte utile, ma altre no) per arrivare a quella con la "L" maiuscola. Ma Banville scriveva dal '70 e si era già costruito una solida reputazione di romanziere (con tanti di premi tra cui il James Tait Black Memorial Prize 1976 - il Guardian Fiction Prize 1981- il Booker Prize 2005). E allora perché ha deciso di darsi alla letteratura di genere?
"... La voglia di Black mi venuta dopo aver iniziato a leggere Georges Simenon, ma non le inchieste di Maigret, che mi paiono più... improvvisate, ma quelli che Simenon chiamava i romans-durs, come la 'Neve era sporca', 'La fuga di Mr. Monde', 'Colpo di Luna', 'L'uomo che guardava passare i treni'.... Penso che siano straordinari, capolavori del ventesimo secolo, esito ad usare questa parola, ma lo farò ugualmente: letteratura-esistenzialista. Meglio di Sartre, anche meglio di Camus. Ho pensato, Dio mio, guarda cosa si può fare con un vocabolario ridotto e uno stile scarno e semplice. Ho voluto provare.. e ci ho provato. Naturalmente, non sarei mai in grado di raggiungere il tipo di asciuttezza di Simenon... - racconta Banville in un articolo per il Los Angeles Weekly nel 2008 - ... Quando si osserva la vita e l'opera di Georges Simenon, sorge inevitabilmente la domanda: Era umano? Nelle sue energie, creative ed erotiche, era certamente straordinario....". 
Quindi lo stile, la lingua, il lessico essenziale, e tutta la forza che riuscivano a trasmettere, queste le doti di Simenon che hanno stregato Banville. 
Nel 2009 in un altro articolo apparso sul Corriere della Sera, "Il cuore scuro di Simenon", cita la postfazione di Willliam T. Vollmann a La neve era sporca "... lo scrittore belga si può paragonare a Raymond Chandler, i cui romanzi di Philip Marlowe, con la loro eleganza, l’umorismo e le raffinate metafore, ora ci sembrano decisamente “blandi. I romanzi di Chandler sono noir pervasi da una luce malinconica; Simenon ha condensato il noir in un cuore nero spesso e solido come quello di una stella nana... - E d'altronde nelle stesse pagine Banville ricorda come - ... Gide, che ammirava Simenon, pensava che non avesse dispiegato tutte le sue potenzialità artistiche, e probabilmente è vero. Se fosse riuscito a placare le sue ossessioni e a trovare il modo di rallentare il ritmo, forse avrebbe scritto l’opera meditata e a lungo coltivata che Gide si aspettava da lui. Ma quel libro probabilmente non sarebbe stato un 'Simenon', mentre è proprio nei 'Simenon' che Simenon esprimeva il suo genio prodigioso ed eclettico".
E un'analogia salta fuori da un articolo apparso nel 2010 sul quotidiano francese Liberation dove lo scrittore giocando tra le due identità afferma "... John Banville scrive lentamente, nella ricerca di uno stile molto ricercato, Benjamin Black scrive rapidamente e con facilità con un stile che, spero, sia semplice e diretto. E' la distinzione che faccio da sempre: con JB avete il prodotto di una concentrazione, con BB avete quello della spontaneità...". Un po' come Simenon che ripeteva di scrivere i Maigret tra un romanzo e un altro tanto per riposarsi, perché i romans-durs gli imponevano una procedura creativa estremamente faticosa.
Ma si torna ancora all'ammirazione  per la scrittura  di Simenon, quando Banville risponde nel 2012 ad un intervista di Luca Crovi -Tutti i colori del giallo - in cui racconta: "... Lo stile dei romanzi di Benjamin Black è il più disadorno e distaccato, che io riesca ad ottenere. C’è una bella storia su Simenon il quale un giorno, uscendo dal suo studio con in mano il dattiloscritto di un romanzo finito, lo scuote vigorosamente. Quando i suoi figli gli chiedono cosa stia facendo, risponde: “Mi sto sbarazzando degli aggettivi”. Come Banville sono innamorato dell’aggettivo, ma Black deve seguire l’esempio di Simenon, come meglio può...".
• P.S. Non cercate in Italia i gialli di Benjamin Black, in Guanda hanno deciso di pubblicare anche quelli con il nome vero dello scrittore.