mercoledì 25 aprile 2012

SIMENON: "E BASTA CON QUESTA ATMOSFERA!"

L'atmosfera alla Simenon. Quante volte questa allocuzione è stata usata per spiegare, dare l'idea del tipo di ambiente, di contorno, di mentalità che creano lo sfondo di una vicenda, descritta da uno scrittore. Potremo affermare, senza timore di essere smentiti, che se ne è abusato. E ne è stato fatto un uso eccessivo anche per descrivere una delle qualità di Simenon stesso.
E su questo sono caduti un po' tutti, (anche noi vi abbiamo fatto disinvoltamente ricorso). Sappiamo che al romanziere non piaceva che si parlasse di questo argomento, forse perchè era una discussione che rischiava di offuscare altri elementi della sua scrrittura e della sua letteratura?
Vediamo cosa dice in proposito in un'intervista del 1955 alla radio francese, rispondendo alla domanda di André Perinaud "Sarebbe interessante avere da voi una definizione della cosiddetta 'atmosfera Simenon'...".
"Non sono io, sono gli altri che hanno utilizzato quel termine. Non cè nulla che mi irrita di più della parola 'atmosfera'. Il romanziere d'atmosfera! Ma, Cristo, se non ci fosse atmosfera il romanzo sarebbe un fallimento. E' un po' come se parlandomi di un uomo, mi diceste: 'sapete, respira'. Certo che respira, altrimenti sarebbe morto, no? Un romanzo senza atmosfera è nato morto".
Parinaud  non demorde, rimane sul tema e approfondisce chiedendo lumi sul rapporto tra quest'atmosfera  e l'espressionismo in pittura, anche perchè era proprio Simenon che aveva avuto modo di affermare che quello che gli altri chiamavano atmosfera per lui poteva dirsi più propriamente un "clima poetico", mentre la critica quando parlava di atmosfera aveva appunto in mente qualcosa di molto vicino all'impressionismo nella pittura.
"... nel romanzo classico come nella tragedia cassica, i personaggi si sviluppano in un certo abito intellettuale, senza che si sappia chi sono, da dove vengono, che cosa vogliono, se fà caldo se sono nel sud oppure nel nord, se è estate o inverno. Sono elementi di nessuna importanza perché i personaggi sono un'entità, puri spiriti - e poi Simenon passa a spiegare cosa succedeva nei suoi anni in quello stesso ambito -  Oggi tendiamo a credere che l'uomo reagisca in modo diverso a seconda che abiti nel Gabon, a Parig o a Mudon. L'ho constato di persona. Nell'Ubangui, uno dei luoghi più umidi e torridi del mondo, ho visto alcuni coloniali avere reazioni che non avrebbero mai avuto a Bécon-les-Bruyéres o a Frejus...".
Insomma si tratterebbe anche di contestualizzazione, di influenza delle condizioni esterne, di dislocazione geografica... tutto questo è atmosfera?  Rincarando la sua "critica ai critici": ... mi fanno imbestialire questi critici  con 'l'atmosfera Simenon', ma se non ci fosse l'atmosfera, cosa respireremmo?...", ci scherza anche sopra.
Ma aldilà delle battute Simenon è molto netto: "... l'uomo non è sospeso nello spazio, non è neanche un puro spirito. E' un tutto con un corpo al centro di un universo che cambia colore, peso, odori. L'uomo cambia, le sue reazioni sono diverse a seconda dello stato di questo universo...".
Ipse dixit Simenon.

martedì 24 aprile 2012

SIMENON. I CINQUANTA MODI DI DIRE "MAIGRET"

Versione mongola de Il cane giallo (www.enquetes-de-maigret)   
Come ci ricorda una dei nostri attaché, Murielle Wenger, in un commento al post di ieri, "...Simenon è stato tradotto in più di 50 lingue: soltanto per i Maigret sono state registrate a tutt'oggi traduzioni in 52 lingue diverse..." (vedi a tale proposito nel suo sito www.enquetes-de-maigret ). La domanda sorge spontanea quando si trovano le avventure parigine del commissario in lingue come il coreano, il vietnamita, il thailandese, l'uzbeko, il mongolo: come fanno individui di culture così distanti e totalmente differenti dalla nostra (diciamo europea) a capire e apprezzare? Cosa potranno cogliere soprattutto i lettori di quei paesi (e immaginiamo siano la maggioranza) che non sono mai stati in Francia, a Parigi, ma addirittura quelli che non hanno nemmeno mai visto foto o filmati della capitale francese? Certo oggi la diffusione delle immagini tramite la televisione, i film, le nuove tecnologie è enormemente cresciuta anche negli angoli più dispersi del pianeta. Ma questo non spiega tutto. Già... infatti può funionare anche il fascino dell'esotico. Quanti di noi rimangono incantati da storie, libri e film, che provengono dall'estremo oriente e che in qualche modo ci colpiscono, anche se il nostro grado di comprensione è poi molto basso, perchè non conosciamo la storia, la cultura, la mentalita e il contesto ambientale, ad esempio, della Mongolia.
C'è poi da tener presente un altro aspetto. Come anche nell'occidente, ad esempio negli Stati Uniti, ci sono differenze a volte notevoli tra posti diversi (cosa hanno in comune New York, con il paesino di Rock Spring nello Wyoming, pur essendo entrambe "americane?), così ci saranno differenze tra la capitale mongola Ulam Bator e Tsagaannurm, piccolo e sperduto centro al confine con la Cina settentrionale.
E tutto questo cosa c'entra con la Parigi degli anni '30, quando dalla penna di Simenon nasceva Maigret?
Ce la potremo cavare con l'aspetto universale dell'arte. Se è "arte", è compresa da tutti gli esseri umani di qualsiasi etnia, cultura o dislocazione geografica. Ma, crediamo c'entri anche il livello di  cultura. E questo ovviamente vale anche da noi, paesi occidentali, dove bianchi scolarizzati e inseriti nella società, non sempre hanno una base che gli consenta di apprezzare la buona letteratura, neanche quella d'evasione. Possiamo immaginare che lo stesso succeda anche in Mongolia.
Insomma c'è qualcosa che passa aldilà di tutte le sovrastrutture culturali, razziali, storiche e goegrafica e arriva dritto all'animo di quel mongolo che se ne sta comodamente seduto a bearsi un'inchiesta del commissario Maigret.
D'altronde come dice lo stesso Simenon nella famosa intervista con Médecine et hygiène (1960) "... il vero successo è essere compreso da un uomo che lavora in un kibbuz, quello che mi fa piacere è ciò non ha nulla a che vedere con la tecnica di scrittura. Quello che mi piace è che dei polacchi a Cracovia e a Varsavia si ritrovino talmente nei miei libri, da farne oggetto di una tesi universitaria, anche se qusto paese è al di fuori dell'occidente...".
Beh,... figuriamoci la Mongolia!

lunedì 23 aprile 2012

SIMENON: CLASSIFICHE "SALISCENDI" COME MONTAGNE RUSSE

Copertina olandese di Maigret e l'informatore
Ogni settimana si corre in giù o in su, molto velocemente nelle posizioni e nelle varie sezioni delle classifiche. Osserviamo quelle degli ultimi giorni e vediamo che sabato scorso  la Nielsen Bookscan riportava su TuttoLibri de La Stampa il simenoniano Maigret e l'informatore al primo posto nella classifica dei "Tascabili". Sempre stessa società di rilevazione, ma su diverso inserto, parliamo de La Lettura del Corriere della Sera di ieri, nella "Narrativa Straniera" piazza lo stesso titolo al 4°posto (in salita rispetto al 10° della settimana scorsa). Più che onorevole invece la seconda posizione indicata nella rilevazione di Eurisko per La Repubblica RCult di domenica.
Facciamo ora il salto sul web dove, navigando tra la classifica della IBS Top 100 (aggiornata quotidianamente e riferita agli ultimi quindici giorni), ci imbattiamo in Maigret e l'informatore alla sedicesima posizione. Per gli ebook, settimana magra per Simenon del quale si trova solo Il Crocevia delle tre vedove al 41° posto su IBS.

domenica 22 aprile 2012

SIMENON. "SARKO E "LE PRESIDENT"...

In queste ore, lo saprete sicuramente da giornali-tv-radio-internet, in Francia si va a votare per rinnovare la carica della Pesidenza della Repubblica. Sarkozy è dato perdente, i sondaggi già incoronano Holland, suo avversario socialista, come il vincitore.
E Nicolas Sarkozy che fine farà?
Il cinquasettenne politico di ascendenze ungheresi tornerà a fare l'avvocato o resterà in politica? Certo in Italia a quell'età, in generale, i nostri politici non mollano. Ma in Francia è un'altra storia, e poi c'è un'altro fatto, Sarko, come lo chiamano i francesi è rimasto solo, anche diversi suoi ministri hanno preso il largo, dato il sentore di un sconfitta e probabilmente anche pesante. Come scriveva qualche giorno fa' il Corriere della Sera ".. defezioni di peso. Importanti almeno dal punto di vista simbolico, come quelle di Martin Hirsch e Fadela Amara, due esponenti della famiglia di sinistra che nel gloriosi giorni del 2007 si erano prestati volentieri alla politica dell'ouverture di Nicolas Sarkozy...d".
Insomma il rischio per Sarkozy, che come ministro è al governo dal 1993, è che dopo quasi dieci anni al potere, si ritrovi politicamente solo. Ma qui non ci interessa un'analisi delle elezioni o della politica francese o del futuro di Sarko. Piuttosto ci torna in mente il romanzo di Simenon Le president (1957) scritto in Svizzera, in cui lo scrittore dà prova di conoscere alla perfezione i meccanismi della politica, i suoi giochi nascosti, le informazioni usate come ricatto per acquisire o riconquistare posizioni chiave, i tradimenti perpetrati e subiti, l'eterna ruota che gira e che porta potere, autorevolezza, rispetto e denaro, ma che poi trascina nel fango o nell'oblio.
Certo la vicenda che ci racconta Simenon è molto differente da quella dell'attuale presidente francese. Emile Beaufort era stato presidente del consiglio dei ministri, ma era arrivato solo ad un passo dalla carica di Presidente della Repubblica. Anche lui, come Sarkozy, era stato più volte ministro, ma si era ritirato volontariamente dalla politica e, al momento raccontato dal romanzo, è solo un vecchio sofferente dei postumi di un ictus, ormai fuori dai giochi, ma che con un esplosivo libro di memorie vorrebbe atterrare i suoi avversari e fare una rentrée in grande  stile. Ma, anche se lo conosce benissimo, non ha fatto i conti con uno dei più comuni strumenti della politica, il tradimento.
E' proprio la sua segretaria, che lo ha aiutato nella stesura del libro, a informarne chi di dovere. Passa le pagine scottanti ad un politico (a suo tempo delfino di Beaufort) che ne approfitterà, prendendo il posto da primo ministro che il vecchio Presidente pensava di riavere già in pugno. Le sue accuse gli si ritorcono contro ed è la sua fine.
Ma Sarkozy è ben più giovane di Beaufort, in salute, ha un bellissima moglie, una professione alle spalle, una posizione sociale di tutto rispetto e certo non finirà come il protagonista simenoniano. 
Al cinema Le President ha avuto la faccia del grande Jean Gabin, in un bel film portato sullo schermo dal regista Henri Verneuil nel 1961 e dove Bernard Blier interpretava il suo ex-delfino, quello che poi che diventerà Il Presidente.
Ecco come ce lo raffigura Simenon nell'incipit "Da oltre un'ora sedeva immobile, appoggiato allo schienale pressoché diritto della vecchia poltrona Luigi Filippo, di pelle nera ormai logora, che per quarant'anni lo aveva seguito da un ministero all'altro, tanto da diventare leggendaria.
Quando rimaneva così, con le palpebre chiuse, limitandosi di tanto in tanto a sollevarne una per lasciar filtrare un rapido sguardo, si poteva pensare che dormisse. 
Invece, non solo non dormiva, ma conservava una precisa consapevolezza del suo aspetto esteriore: il busto un po' rigido nella giacca nera troppo ampia, simile a una redingote, il mento sostenuto dall'alto colletto inamidato che appariva in tutte le sue fotografie e che indossava come un'uniforme sin dal mattino...".

sabato 21 aprile 2012

SIMENON... O L'ALTRO SIMENON ?

Simenon & Rai. L'abinamento di queste due parole ne porta immediatamente altre due: commissario Maigret. Giusto, ma non sempre vero.
Infatti troppe volte viene dienticato che la Rai produsse e mandò in onda nel 1979 delle riduzioni televisive di alcuni romanzi di Simenon sotto il titolo L'altro Simenon. Niente Maigret, quindi. La produzione puntò sui cosiddetti romans-durs.
Si trattò di quattro sceneggiati andati in onda tra settembre e ottobre di quell'anno. Il primo è Antoine e Julie, un romanzo scritto alla fine del 1952 a Shadow Rock Farm, l'abitazione di Simenon nel Connecticut (Usa). La riduzione televisiva fu diretta da Mario Landi (lo stesso regista di tutti i Maigret di Cervi) ed ebbe come interpreti Renato De Carmine, Piera Degli Esposti e Ida di Benedetto. Il secondo fu Il grande Bob (Le grand Bob - 1954) sempre da un romanzo del periodo americano che vedeva tra i protagonisti una giovane Marisa Laurito, Virginio Gazzolo e Renzo Rossi. La regia fu affidata a Nanni Fabbri. Ai primi di ottobre andò in onda. Il signor Cardineau (Le fils Cardineau - scritto nel 1941 ma pubblicato da Gallimard nel 1944) interpretato da Teresa Ricci, Gianfranco Barra e Winnie Riva. Regia di Enzo Tarquini. Nell'ultimo episodio ritroviamo qualche nome più conosciuto. Il romanzo da cui è tratto s'intitola Il borgomastro di Furnes, scritto da Simenon nel 1938 e venne portato sul piccolo schermo da José Quaglio, interpretato da Adolfo Celi, Alida Valli e dallo stesso Josè Quaglio.
L'altro Simenon non ebbe la fortuna dei Maigret, ma nemmeno un relativo successo di pubblico.
Poco impegno produttivo da parte della Rai? Come si direbbe oggi, una produzione low-budget? La difficoltà anche per registi come Landi di rendere in una riduzione televisiva dei romanzi soprattutto psicologici e d'ambientazione nei tempi e nella dimensione televisiva.
Difficile fare un'analisi, probabilmente non erano tematiche che interessavano un pubblico vasto che in quegli anni vede nascere e segue con una notevole audience programmi come Domenica in..., 90° minuto, Il Rischiatutto di Mike Bongiorno e Portobello di Enzo Tortora e talk show di Maurizio Costanzo. Insomma si gettavano la base della tv come intrattenimento leggero, alla ricerca del maggior ascolto cui era legata la pubblicità. Non a caso negli anni '70 finiva Carosello e iniziava l'invasione della pubblicità...

venerdì 20 aprile 2012

SIMENON, LINEA D'OMBRA/2

                                              
Continua l'intervento di ieri dell' "attaché" Antonio Carnicella. Se volete partecipare con post o illustrazioni a vostra firma, scrivete a simenon.simenon@temateam.com
                                                                           
Romadal nostro attaché Antonio Carnicella (... continua) -  Il post di ieri Simenon, linea d’ombra/1 segnalava la comunanza della  tematica del passaggio all'età adulta  in Simenon e Joseph Conrad. Nel  corpus letterario simenoniano essa torna più volte, ma in questa sede  vogliamo sottolineare tre casi esemplari.Una delle possibili vie è quella che scelgono Franck, il protagonista de La neve era sporca (1951). Questi ragazzi spingono all'eccesso la loro ribellione e lo loro smania di vita, fino a porsi fuori dal contesto sociale. Ma superare i limiti, andare contro il destino assegnato dalle Moire ad ogni essere umano, come sapevano bene i greci, non è un crimine che possa restare impunito ed è Nemesi, la dea della giustizia, che essi troveranno al termine del loro percorso. Non va meglio ad Oscar Donadieu, il Turista di banane (1936). Segnato da un disastro familiare, il giovane parte per i tropici in cerca di fortuna. Una volta lì, però, si dimostra incapace di aprirsi al mondo circostante, che trova ostile ed indifferente, e finisce per essere schiacciato dal peso della solitudine. Anche Alain, il protagonista de Il destino dei Malou (1947), l'ultimo romanzo pubblicato da Adelphi, trova sulla sua strada tutti i presupposti per deragliare. Dopo il drammatico suicidio del padre e la conseguente rovina della famiglia, il ragazzo ha tuttavia la forza di lasciarsi alle spalle la soffocante falsità dell’ambiente che lo circonda ed aprirsi alla vita. Senza disdegnare l’aiuto disinteressato che gli viene offerto dalla “petites gens”, Alain fa suo il lascito testamentario del genitore appena scomparso, che non è il tesoro tanto desiderato dalla madre, dalla sorella e dal fratellastro, ma l’ideale cui è rimasto fedele per tutta la sua sfortunata esistenza: essere un uomo. L’uomo qui predicato dal verbo essere non rimanda ad una identità specifica, ad un tipo, ad una di quelle figure in cui secondo Sartre si rappresenta la malafede, come quella di colui che “si sente” e non “fa” il cameriere, ma, al contrario, presuppone la piena assunzione delle proprie responsabilità e l'accettazione della vulnerabilità umana.
Ne Il destino dei Malou, Simenon sembra concordare con questa prospettiva, sembra dire che l’essere uomo non è una fuga, né tanto meno libero sfogo dell'hybris. Se dovesse esserci una via “autentica” nella costruzione dell'identità, questa è quella che percorre Alain, e ciò lo rende una voce fuori dal coro nella galleria degli sconfitti proposta da Sìmenon, nella cui figura salda le tematiche fondamentali della sua opera: la ricerca dell’uomo nudo e la concezione del destino. In questo ragazzo, non ancora corrotto dai propri desideri e dalla società, trova l'incarnazione quell'uomo al di là delle determinazioni culturali che l'autore ha sempre cercato. Egli accetta il destino come ciò che accade fatalmente, senza ribellione o rassegnazione, pronto ad affrontarlo qualunque esso sia. Magari diventando medico, la professione sognata anche da Maigret e propria di chi accomoda, senza eroismo, i destini altrui.

giovedì 19 aprile 2012

SIMENON E LA LINEA D'OMBRA/1

Oggi l'intervento di un nuovo "attaché" al Bureau Simenon Simenon, Antonio Carnicella. Se volete partecipare, editare post o illustrazioni a vostra firma, scrivete a simenon.simenon@temateam.com


Roma - dal nostro attachè  Antonio Carnicella - La linea d'ombra, sostiene Joseph Conrad nella prefazione al suo omonimo romanzo, corrisponde al passaggio dalla giovinezza, noncurante e fervida, al periodo più consapevole e più tormentoso dell'età matura. Questo romanzo, breve e intenso, uscì nel 1917 durante la Grande Guerra, che sottrasse all'Europa milioni di giovani vite che proprio quell'età stavano attraversando, praticamente un'intera generazione. In quel periodo il quattordicenne Georges Simenon viveva a Liegi, città ridotta in sofferenza dall'occupazione delle truppe tedesche. Malgrado la fame si facesse sentire, il giovane Georges era un accanito lettore e Joseph Conrad uno dei suoi scrittori preferiti. Non è detto che La linea d'ombra abbia avuto su di lui un qualche influsso, ma certo è che quel passaggio della vita lasciò su di lui segni profondi. Simenon lo visse in maniera intensa, spinto da un’insaziabile fame di vita che lo condusse verso esperienze controverse, come testimoniano L'impiccato di Saint Pholien (1931) e I tre crimini dei miei amici (1938), ma subì la perdita del padre, una vera tragedia sul piano personale. Se la guerra gli aveva fatto conoscere la privazione, (dopo la quale, come ricorderà in un Maigret, si diventa terribilmente avari o prodighi), la morte di Desiré lo mise di fronte alla fragilità umana. Senza la copertura e il conforto dell'amato genitore, che resterà per sempre una figura di riferimento, Simenon prese in un breve spazio di tempo le decisioni che indirizzarono il suo futuro: diventare scrittore, sposare Tigy e partire per Parigi alla conquista del mondo. Era il 1922 ed aveva soli diciannove anni.
La descrizione sul passaggio all'età adulta tornerà più volte nei suoi romanzi e in alcuni casi esemplari i protagonisti sono chiamati a percorrere le stesse vicende biografiche dell'autore. Questo significa che per molto tempo egli ha continuato a riflettere su quel periodo della vita, di importanza fondamentale per il suo prosieguo. Non essendo un filosofo o uno psicologo, Simenon non azzarda una teoria e neppure esprime giudizi di valore. Piuttosto, propone una serie di casi, una fenomenologia tratta dall'esperienza in cui sono messi al bando percorsi e ruoli già confezionati, omologazione e conformismo. Tuttavia, nello sguardo scettico e disincantato che rivolge alla condizione umana, ma nello stesso tempo accondiscendente nei confronti delle sue debolezze, si può intravedere l'indicazione di un percorso per varcare illesi la linea d'ombra... (continua)

mercoledì 18 aprile 2012

SIMENON. BETTY, CASO UMANO ANCHE SUL GRANDE SCHERMO

Vent'anni fa' il famoso regista Claude Chabrol, uno dei padri della nouvelle-vague, uscì nelle sale con un film tratto da uno dei più famosi romanzi di Simenon: Betty. La tormentata storia di questa donna, che Simenon scrisse nel 1960, viene interpretata sullo schermo da un'altrettanto tormentata attrice, Marie Tritignant (figlia del famoso attore Jean Louis). Una donna sensibile dal fragile equilibrio. Ad esempio da piccola, alla morte della neonata sorella, cadde in un periodo di mutismo di orgine psicosomatica. E poi fu sempre timida e introversa al limite della patologia. Questo non le impedì di avere una vita molto movimentata e per certi versi disordinata. Vedi i quattro figli avuti da quattro compagni diversi, insomma una donna fuori dagli schemi, libera, ribelle, contestatrice, ma anche fragile. E la sua vita finirà in modo drammatico, uccisa dalle percosse del suo compagno sotto l'effetto della droga.
Qualcuno ha criticato questo film di Chabrol, imputandogli di aver realizzato una pellicola troppo contorta, ma l'interpretazione di Marie Tritignant è stata invece generalemente molto apprezzata.
Forse Betty e Marie avevano qualcosa o più di qualcosa in comune. C'è chi la definirebbe una sorta di tendenza all'autodistruzione. Come scrisse Roberto Escobar all'uscita del film "...per tutta la vita Betty ha rincorso un fantasma, un oggetto oscuro del desiderio. Lei stessa lo chiama la sua “ferita”. Il significato psicoanalitico di questo nome è evidente, ovvio: Betty vive la femminilità come privazione traumatica. Ma Claude Chabrol non è autore che ami l’ovvietà (non lo è neppure Georges Simenon, dal cui romanzo Betty il film è tratto). Quel fantasma e quella ferita vanno ben al di là di un qualunque luogo comune pseudofreudiano. Alludono piuttosto a una dimensione dell’anima, a una oscura, terribile dimensione dell’anima...". Chi può dire che queste parole non si attaglino anche alla Tritignant? Certo nel romanzo Betty trova alla fine la sua salvezza, grazie al suo uomo, Piero; nella realtà Marie troverà invece la sua fine a causa del suo compagno. Eppure la febbrile recitazione dell'attrice, già dieci anni prima della propria fine, rendeva molto bene il personaggio del romanzo di Simenon.

martedì 17 aprile 2012

SIMENON: LIEGI-PARIGI SOLO ANDATA

Un viaggio di sola andata. Sia per quanto riguarda quello del 10 dicembre 1922, sia per quanto riguarda la sua vita. Un Simenon non ancora ventenne, lascia la casa, la madre, la promessa sposa e il giornale in cui lavora. Non tornerà mai più a vivere in Belgio, nonostante si stabilirà in numerose abitazioni in diverse parti del mondo. 
Ma torniamo alla partenza da Liegi. Simenon ha più volte raccontato di essere partito dalla città belga con il treno notturno delle unidici e di essere arrivato a Parigi, a la Gare du Nord, alle sette del mattino successivo. Come sarà stata quella notte? Quanti sogni e quanti rimpianti si saranno rincorsi nella sua mente? Già, perché un conto erano i sogni di gloria che coltivava nei confronti della possibilità di diventare uno scrittore e altro è la cruda realtà che scopriva alle prime ore del mattino, quando il treno entrava nella squallida periferia parigina.
"... enormi mura con delle piccole finestre dietro le quali la gente si muoveva, si alzava, faceva colazione... le strade ancora deserte con qualche furtiva ombra che s'affrettava per recarsi al lavoro e infine la Gare du Nord che per me è la cosa più brutta di Parigi, ero disperato...". La prima impressione del giovane giornalista belga è quella di una Parigi fredda e inospitale, dove tutti corrono verso una meta senza guardare gli altri, con dei flussi di persone che, lì davanti alla stazione, lo urtano e lo spingono come se lui non esistesse. 
Racconta in un'intervista a Roger Stephane"... ho camminato, camminato lungo i boulevards di Montmartre, poi sono arrivato a place Clichy, ho voltato per les Batignoles e in una stradina ho trovato un piccolo albergo, l'Hotel de la Bertha. Esiste ancora. Era ben messo fino al quinto piano, con dei tappeti rossi sulle scale, questo mi piaceva, ma la camera che mi era stata assegnata, per il prezzo che avevo concordato, era ancora più in alto, era la mansarda...".
Poi sappiamo che i primi due anni furono duri perchè i racconti che riusciva a pubblicare erano pochi e pagati davvero poco.
Pensò mai di tornare a Liegi? Crediamo di no. La sua determinazione era notevole e dopo aver stretto la cinta per due anni, le cose inziarono ad andar meglio. Poi arrivò il successo economico con i racconti popolari e quindi il boom di Maigret. Simenon allora lasciò Parigi e visse per una decina d'anni in Vandea (sia pur cambiando più volte residenza). Poi ci fuorno i dieci anni in America. Quando tornò in Europa, non gli venne in mente nemmeno per un attimo di ristabilirsi in Belgio. E infatti, dopo un anno passato in varie zone nella Francia del sud, decise per la Svizzera e quella fu la sua ultima scelta, anche se continuò anche lì a cambiare di casa molto spesso.
Tornò in Belgio più volte, per farvi nascere Marc il primogenito, per ritirare premi e onoreficenze, per andare a trovare la vecchia madre. Ma non ebbe mai una casa in Belgio. Non aveva qualcosa contro il suo Paese, ma certo non ebbe mai voglia di tornare a vivere nella sua città natale. E questo doveva quindi significare qualcosa, anche se va considerato un altro fatto importante. Simenon rifiutò sempre di cambiare la propria nazionalità. Gli fu offerto dalla Francia, dagli Stati Uniti, dalla Svizzera, ma lui volle sempre rimanere un belga. In realtà, come ebbe a spiegare più volte, lui si sentiva un po' apolide e po' cittadino del mondo. Ma, partito da Liegi, non vi tornò più.

lunedì 16 aprile 2012

SIMENON. IL RITORNO DI BOULE

Primavera del 1947. Simenon è da un paio d'anno in America e in quell'anno si sta trasferendo da Bradenton Beach (Florida) a Tucson in Arizona. E' il momento in cui Boule riesce finalmente a raggiungere la famiglia. Quando lui, Tigy e Marc erano partiti per Londra, da dove poi dopo quache mese si sarebbero imbarcati per il nuovo continente, per Boule non c'era stato nulla da fare, non si riusciva ad ottenere il visto per gli Usa. Simenon ne era davvero dispiaciuto, sia pur con tutte le preoccupazioni che gli dava il Fronte di Liberazione Nazionale francese per quelle sue collaborazioni con la casa cinematografica nazista, la Continental, durantee gli anni dell'occupazione tedesca. Eppure partire lasciando Boule a place des Vosges, per lui era un pensiero. E infatti in Mémoires intimes (1981) racconta che una volta in America si rammaricava "... Penso a Boule, che non ha ancora otenuto il visto e non ha troppa speranza di ottenerlo a Parigi per via delle quote. Sono così numerosi gli stranieri che da utto il mondo vorrebbero trasferirsi qui, in questo Bnegosi, a indurre il governo americano a fissare delle quote. Questo significa che ogni paese ha diritto ad un tot di immigrati all'anno; la cifra varia a seconda della politica degli Stati di prvenienza e a seconda della razza...."
Simenon viene però a scoprire che tutto sarebbe più facile se la persona fosse già in un paese confinante. E' per questo che si spinsero verso il Messico, dove la Boule era arrivata e aspettava solo che "son petit Sim" l'andasse a prendere.
I due in quel perido di separazione si erano scritti regolaremente e questo dà l'idea di quanto lo scrittore tennesse alla sua femme de chambre/maitresse che ormai era considerata a pieno diritto una di famiglia.
Ormai la carovana è completa. Lo seguono in una macchina Tigy, sulla carta ancora la signora Simenon, il figlio Marc, Boule e l'istitutrice di turno. Nell'altra lui e la sua ex-segretaria perosnale, Denyse, ormai ufficiosamente la sua compagana che di lì a poco (nel giugno del '49) gli darà il suo secondo figlio, Johnny.
Questa  famiglia è ben strana soprattutto agli occhi degli americani degli stati del sud. Simenon non vive né a New York, né a Los Angeles. L'America più puritana e meno permissiva, soprattutto in campo sessuale, non capisce quelle femmine che ruotano intorno a Georges, una moglie di fatto non più tale, un'amante ufficiale e una femme de chambre che con lui ha una confidenza  che ha poco da invidiare alle altre due. Insomma è vito come una specie di... "trigamo".
E infatti quando Boule si ricongiunse alla famiglia, la relazione con Georges ritornò quella di un tempo, dal loro affetto reciproco ai loro rapporti sessuali quotidiani. Il ritorno di Boule sicuramente riconsegnò allo scrittore un senso di completezza dell'idea che lui aveva della sua famiglia allargata.