venerdì 24 giugno 2016

SIMENON SIMENON. SIMENON E LA SCRITTURA/2 - COME NASCE LO STILE NELLE REVISIONI


Seconda parte sul rapporto tra scrittura e correzioni. Scopriamo come nasce lo "stile Simenon"



SIMENON SIMENON. SIMENON ET L'ECRITURE/2 – COMMENT NAIT UN STYLE DANS LES REVISIONS

Deuxième partie sur le rapport entre écriture et corrections. Découvrons comment naît le "style Simenon"

SIMENON SIMENON. SIMENON AND WRITING 2 – HOW HIS STYLE IS BORN IN THE REVISIONS
A second piece on the relationship between writing and correctiions. We find out how “Simenon’s style” is born
Come sa ben chi fa quel mestiere, finito un romanzo inizia la revisione. E rileggendolo (di solito prima l'autore, poi l'editor della casa editrice e poi di nuovo l'autore) si va a caccia di errori grammaticali, sintattici, di battitura... ma anche di quelle incongruenze, che non rendono plausibile la vicenda. Un personaggio che cambia nome, un azione intrapresa da una persona e finita da un'altra, una vicenda che parte in un luogo per continuare in tutt' altra parte. Insomma quelle sviste logiche che spesso, nella foga della scrittura, sfuggono a chi scrive.
Simenon, come abbiamo visto nel post di domenica scorsa "Quante correzioni nella prosa del romanziere?" , non amava molto mettersi lì a rileggere e correggere quanto aveva scritto. Si dice che le sue revisioni non durassero più di tre giorni..."... la settimana prossima inizierò la revisione di "Train". Sicuramente comincerà anche la piccola angoscia all'inizio di ogni revisione - scrive Simenon nel 1961 - Il romanzo mi sembra sempre brutto. Io cambio. Cancello. Poi poco a poco entro nello spirito. E spero che sia così anche questa volta...".
Quindi non è vero che, dopo quei sette/dieci giorni di scrittura forsennata, i romanzi uscissero belli e conclusi. Simenon ci faticava ancora sopra e, a quanto sembra, era la fatica maggiore, la più sofferta. Ma forse era il momento dove lo stile, che sicuramente già nasceva insieme alla stesura del romananzo, veniva affinato e reso più... simenoniano!
"...cancello aggettivi, avverbi e tutte le parole che sono là solo per fare effetto. E ogni frase che sta lì solo per la frase stessa - racconta Simenon  in un'intervista a Carven Collins nel '60 - Quando trovate una bella frase, tagliatela. Ogni volta che trovo qualcosa di questo tipo in uno dei miei romanzi, la devo  eliminare...".
E' un modo di vedere la scrittura. Scarna, essenziale, sintetica, ma non per questo povera e arida. Ricordiamo che Simenon affermava di utilizzare nei suoi romanzi solamente duemila vocaboli e sceglieva quelle che lui chiamava mots-matière, cioè parole concrete ed evitava accuratamente le mots-d'auteur, cioè quelle che rappresentavano una sorta d'intrusione dell'autore nella dinamica dei personaggi del romanzo.
Da tutto ciò ne deriva un prosa asciutta, diretta, immediata, ma capace di rendere appieno la complessità delle interazioni psicologiche tra personaggi e anche creare quelle atmosfere che non sono descritte con cascate di parole, ma solo con poche, brevi, essenziali frasi (che altrimenti non sarebbero lì!). 
E questa idea di stile era così connaturata in Simenon che anche quando leggeva scritti di altri aveva l'impulso di correggerli. "...persino quando leggo i giornali, mi viene voglia di prendere la matita e di cancellare tutti gli aggettivi e tutti i superlativi che indeboliscono la frase invece di rinforzarla - conclude Simenon in un intervista dell'82 - E' folle il numero di parole inutili che si scrivono...". (m.t.)

giovedì 23 giugno 2016

SIMENON SIMENON. HIS LAST “ROMAN DUR”

A discussion of a great book that came at the very end of the series.

SIMENON SIMENON. SON DERNIER ROMAN DUR
Une discussion sur un grand livre qui a apparu à la toute fin de la série. 
SIMENON SIMENON. IL SUO ULTIMO ROMAN DUR
Una discussione su una grande opera che è alla reale fine della serie

The recent process of comparing Pascal Garnier and Georges Simenon uncovered two works with common central threads: a husband loses his wife in a vehicular homicide, only to subsequently discover she was leading a separate life unbeknownst to him. In Garnier’s The Front Seat Passenger/La Place du mort, Fabien Delorme’s wife dies in a car accident, and in Simenon’s The Innocents/Les Innocents, Georges Célerin’s wife dies in a truck accident. It turns out, however, that discovering their unexpected secret lives triggers an entirely different reaction from the two protagonists in a sort of bad guy-good guy dichotomy.
Célerin lives “in his own kingdom” of happiness. He is totally content making jewelry in his workshop or being at home with his wife, children, and housekeeper. “Nothing dramatic had ever happened to them as a family” until his wife’s sudden death raises a somber question: “Was his own life not over too?” Because he feels so “empty,” but also feels “very calm,” Célerin begins to rebuild Annette in his heart and mind by reliving their twenty years together. In fact, through this step-by-step recall of the past, his wife becomes “closer to him than she had been when she was alive.”
At the same time, because he “needed to understand,” he analyses his recollections, finally realizing that “in all their twenty years together he had never really known her.” Many questions torment him: “Had he really succeeded in making her happy?” Why didn’t she talk to him? Why didn’t she like being at home? Was her working “a means of escape?” Was her workplace a “refuge?”
To find the answers, Célerin first goes to the office from which Annette’s social service cases originated, where he confirms that, every day and all-day long, she devoted herself exclusively to her clients in a compact poor section of Paris. Next, he goes to the fatal accident scene, which is quite oddly located on a street in a well-to-do neighborhood. A knock on the door of the luxurious house from which Annette had run to her death summons a typical all-seeing, all-knowing French concierge. She reveals more than Célerin wants to know: Annette had been leading an unabashed life there for the last eighteen years in the company of another man.
Confusion dominates his brain: hate, jealousy, rage, and depression. Murder, suicide, or resignation? After days of suffering, Célerin concludes he has “to learn to think and behave differently.” He reasons that, since he had made himself “a stranger” to his wife, “it was on his account that Annette had been forced to live a lie.” Indeed, because of his actions alone, Annette had “died twice over.” As a result, Célerin accepts his fate, with full knowledge he will not be able to reconstruct his prior “state of almost childlike euphoria.”
According to Kirkus Reviews, Simenon studies “big white lies in little grey lives” in his long line of romans durs. At the ending of this book, the last of the series in 1972, one senses a somewhat silver lining exists in the dreary cloud above Célerin. This ordinary but good man will take up his “harmless, uneventful life” again―even if destined to never be truly happy. 

David P Simmons

mercoledì 22 giugno 2016

SIMENON SIMENON. LA DECISIONE DI SMETTERE DI SCRIVERE

Perché, come e quando lo scrittore non compose più romanzi

SIMENON SIMENON. LA DECISION D'ARRETER D'ECRIRE
Pourquoi, comment et quand le romancier ne compose plus de romans
SIMENON SIMENON. THE DECISION TO STOP WRITNG 
Why, how, and when the novelist does not compose any more novels 
Perchè Simenon decise improvvisamente di smettere di scrivere? Una risposta la si trova in un'intervista contenuta su Paris Match (numero 1241 del 17 febbraio 1973). Queste, tradotte in italiano, le parole di Simenon: “Ho deciso di non scrivere più romanzi. E' la prima volta che ne parlo. Ormai sul passaporto io risulto “senza professione”. Va ricordato che Simenon in precedenza aveva dichiarato di sentirsi romanziere, semplicemente, anzichè scrittore. Vediamo ora cosa successe nello specifico, sempre riportando le dichiarazioni del maestro belga: “Ecco come si sono svolte le cose. Dal novembre del 1971 soffro abbastanza frequentemente di vertigini. E' molto doloroso e volevo sapere se queste vertigini erano guaribili. Per questa ragione sono entrato in clinica.Si sono potute ridurre le vertigini a cinque minuti, considerando che prima duravano un'ora circa. Però per scrivere i miei romanzi bisogna che io sia in piena forma, al cento per cento. Va considerato soprattutto che i miei romanzi diventano sempre più duri. Quindi ho preso la decisione di smettere, ”Maigret et M. Charles” scritto nel febbraio '72 sarà il mio ultimo romanzo, penso che questa decisione sia stata presa nello stesso tempo in cui mi liberavo della mia casa..”.(Per la precisione il 20 settembre '72 Simenon abbandonò la stesura del romanzo Victor e contemporaneamente disse alla sua segretaria di mettere in vendita la lussuosa villa di Épalinges, comune svizzero del Canton Vaud, situato nel distretto di Losanna ). Dunque addio a quel fastidioso malessere, all'ispirazione, al conosciuto “état de roman”, agli appunti sulle buste gialle, ai lunghi elenchi di nomi e cognomi... e potremo continuare con i rituali che precedevano la stesura di un romanzo di Simenon. Ma ve ne è uno che seguiva tutto il romanzo e ne fissava per così dire concretamente la stesura. Si tratta delle croci, una per ogni giorno in cui lo scrittore scriveva il romanzo di turno, che lui segnava sul calendario (famoso quello della compagnia aerea americana TWA). In realtà Simenon scriverà poi ancora, sempre per l'editore Presses de la Cité, anche se sarebbe più corretto dire che lasciò le sue impressione ed i suoi ricordi al magnetofono, infatti dal 1973 al 1979 furono pubblicati 21 Dictées e due opere ben più rilevanti vale a dire Lettre à ma mère nel 1974 (Lettera a mia madre, Adelphi 1985) ed il monumentale Mémoire intimes nel 1981(Memorie intime, Adelphi 2003). Romanzi, purtroppo per tutti i suoi lettori, in effetti non ne scrisse più. 

Andrea Franco

martedì 21 giugno 2016

SIMENON SIMENON. LA DELIVRANCE D'UN ROMANCIER

A propos de la fondation du Fonds Simenon 

SIMENON SIMENON. THE RELEASE OF A NOVELIST 
On the foundation of the Fonds Simenon 
SIMENON SIMENON. "LA LIBERAZIONE"DI UN ROMANZIERE 
Si parla della fondazione del Fonds Simenon 

Le 8 juin 1976, Simenon signait un contrat, par devant notaire, avec le professeur Maurice Piron, de l'Université de Liège, contrat par lequel le romancier faisait la donation d'une importante quantité de documents de ses archives: manuscrits de romans, cassettes de ses Dictées, correspondances diverses, enregistrements d'interviews radiophoniques et télévisées, thèses et ouvrages sur son œuvre, traductions de romans, etc. La donation se faisait à la condition que l'Université crée un "Centre d'Etudes Georges Simenon", ayant la charge de conserver les documents en question, et de les mettre à la disposition des étudiants et des chercheurs. Les documents furent rassemblés en un "Fonds Simenon", d'abord installé à la Bibliothèque de l'Université, avant d'être déménagé au château de Colonster.  
C'est en 1972 que le professeur Piron, en charge de la chaire de philologie et littérature françaises, avait décidé de consacrer quatre cours à l'étude de l'œuvre simenonienne. Dans la foulée, on décerna, le 22 mai 1973, le titre de docteur honoris causa à Simenon. Piron rendit visite à Simenon en août 1973, et c'est là que s'ébaucha l'idée de créer un centre de recherches et de documentation sur le romancier. Une correspondance s'échangea entre Simenon et Piron, dans laquelle le premier se montrait enthousiaste à cette idée, et "assez ému", comme il le dit dans une de ses lettres. Cet enthousiasme et cette émotion transparaissent aussi dans les textes des Dictées rédigés à ce moment-là. 
Ainsi, le 14 avril 1976, dans les premières lignes qui ouvrent la Dictée Tant que je suis vivant, Simenon écrit: "Il me semble qu'en avançant en âge, on éprouve le besoin de se dépouiller de ce qui n'est pas l'essentiel.", et il parle d'un "dépouillement littéraire": "Toujours est-il que je m'assure […] que mon œuvre ne sera pas galvaudée, que mes manuscrits, tout ce qui concerne ma vie littéraire et même ma vie tout court, ne sera pas mis aux enchères publiques. J'en conçois une légèreté d'esprit que je n'avais pas connue depuis longtemps." 
Une forme de "libération", en quelque sorte, pour l'homme qui a cessé d'écrire des romans, mais qui attache cependant de l'importance à ce qui fut son œuvre… 
Le 7 juin 1976, autrement dit la veille de la signature de l'acte de donation, Simenon dictait, dans Tant que je suis vivant: "J'attends la délivrance. Car ce sera pour moi une délivrance de me dépouiller définitivement, globalement, alors que pendant tant d'années je ne suis dépouillé par petits bouts. 
Ce "dépouillement", Simenon l'a effectivement commencé depuis plusieurs années, d'abord lorsqu'il a quitté la grande maison d'Epalinges en 1972, devenue vide après le départ de la plupart de ses enfants, et symbole de sa vie de romancier passée, après l'échec du roman Victor; puis, lorsqu'en 1973, il fait supprimer la mention de "romancier" sur son passeport, redevenant, du moins veut-il le croire, un "homme comme un autre"… Puis, en 1974, lorsqu'il rejoint sa "petite maison rose", concentrant sa vie sur quelques pièces, loin des fastes passés… 
Et, le 10 juin, donc après cette signature, le romancier revient sur cet état de "délivrance": "Cela a été pour moi un soulagement de me dépouiller de la sorte de ce qui a été moi-même en des temps révolus. Je n'ai plus besoin de ces livres, de ces documents. Au contraire, leur vue provoquait chez moi une certaine irritation. […] Je venais de tirer un trait sur mon passé littéraire." 
Enfin, en date du 3 décembre 1978, dans Les libertés qu'il nous reste, Simenon revient encore une fois sur le sujet: "A cause du legs que j'ai fait à l'Université de Liège […], j'ai eu l'occasion de jeter un coup d'œil sur les listes des titres des ouvrages que j'ai écrits. J'ose à peine avouer ma réaction. […] Au lieu de me réjouir des milliers et des milliers de pages écrites pendant cinquante ans, j'en ai été presque effrayé. […] Cela en valait-il la peine ? J'aime mieux ne pas me poser la question car j'aurais peur de devoir lui donner une réponse négative. Peu importe, d'ailleurs. Ces manuscrits, ces livres, c'est presque la plus grande partie de ce que j'ai vécu et je ne le regrette donc pas. 
Sincérité, sérénité de l'homme devenu vieux, en attendant la "délivrance finale"… ?  Il ne le sait pas encore, mais, un peu plus d'un an plus tard, il reprendra son "métier" pour écrire ses volumineuses Mémoires intimes… auxquelles chacun est libre, d'ailleurs, de préférer son œuvre fictionnelle…  

Murielle Wenger

lunedì 20 giugno 2016

SIMENON SIMENON. THE GREEN FLASH

On Giancarlo Malagutti, Jules Maigret, Georges Simenon, and Jules Verne. 

SIMENON SIMENON. LE RAYON VERT 
A propos de Giancarlo Malagutti, Jules Maigret, Georges Simenon, and Jules Verne.
SIMENON SIMENON. IL RAGGIO VERDE
A proposito di Giancarlo Malagutti, Jules Maigret, Georges Simenon e Jules Verne
Giancarlo Malagutti’s Sunday drawing of Maigret watching the sun go down evokes a single, specific passage in Maigret and the Old Lady by Georges Simenon:Maigret obeyed that kind of excitation that drives city people, when they are seaside, to go and watch the sun going to bed  [and] be on the lookout for the famous green flash that would spring up from the waves at the precise instant the red ball plunged below the horizon.” Furthermore, Murielle Wenger points out in a Maigret of the Month for Steve Trussel’s forum (http://www.trussel.com/maig/momdam.htm) how the Chief Inspector “perseveres in watching, in vain no less, for the green flash up to the point he made his eyes hurt 
Simenon’s fleeting but powerful reference to the green flash brings to mind Jules Verne’s 1882 novel Le Rayon vert/The Green Ray. Verne’s story involves an oft-thwarted quest to observe the celebrated spectacle that culminates at last in this passage: Finally, there was no more than a thin slice of the sphere’s top at the ocean’s surface. ‘The Green Ray; the Green Ray!’ cried the Brothers Melville, Bess, and Partridge in unison as, for one quarter of a second, that incomparable tinge of liquid jade suffused their faces.” 
This tale is more than just a delightful, romantic adventure story. It also may represent the first time a reference to the green flash phenomenon was made in literature. Indeed, one commentator reports that the book stimulated great scientific interest in the subject as demonstrated by the large number of technical articles appearing shortly after the publication of the fictional work. 
Jules Verne stands out as a remarkably prophetic science fiction writer (20,000 Leagues Under the Sea and Journey to the Center of the Earth, in particular, are of this genre). However, The Green Ray is a direct contrast, for dramatic but seldom seen green flashes, which occur as the sun disappears from sight beneath the horizon as magnified images due to atmospheric refraction and dispersion effects, were actually observed long before Verne wrote his novel. 
An old Scottish dicton proclaims the green flash is a sign of good weather: “Glimpse you ever the green ray. Count tomorrow a fine day.” Of more pertinence to this discussion, a Scottish legend promises that, once seen, the green flash protects one from all of life’s disappointments thanks to the magic power it grants to see clearly into one’s own heart and that of others. The hope of gaining this sort of heightened perception is what sent Verne’s characters traipsing off to Scotland. Perhaps, the same hope kept Jules Maigret out there on that terrace in Etretat, waiting for the flash, until his eyes ached. 
 
David P Simmons