giovedì 15 marzo 2018

SIMENON SIMENON. “THE YELLOW DOG”

On a short story and a book with the exact same title

SIMENON SIMENON. “LE CHIEN JAUNE” 
propos d'une nouvelle et d'un roman qui ont exactement le même titre 
SIMENON SIMENON. "IL CANE GIALLO"
Un racconto e un romanzo che hanno esattamente lo stesso titolo

Having recently examined the matter of two Simenon stories with the exact same title (http://www.simenon-simenon.com/2018/03/simenon-simenon-layover-at-buenaventura.html), looking at another exact title coupling seems appropriate. The Yellow Dog is a short story written (by Georges Sim) in the winter 1928-
1929, first published in 1929 in a periodical, and subsequently incorporated into The 13 Enigmas in 1932. A novel with the yellow dog title appeared almost contemporaneously, written and published in March 1931 and April 1931 respectively.
Why the identical titles? My best guess is that Simenon recognized a captivating concept in his dog in the initial, short 7-page story and simply capitalized on it in the subsequent, much longer 182-page novel. Note the n
umber of Simenon works that take advantage of the ‘brand name’ Maigret in their titles. Maigret and the Little Pigs without Tails is a prime example of this approach! Granted identical titles confuse, but this is probably only seriously significant for librarians and online searchers.
Yet, in The Yellow Dog works, this curious creature does play a central role as common phrasing and descriptions confirm: the first and an important similarity is, precisely that, the similarity of the two dogs. Perhaps it is not an identifiable breed, but notably the author’s pet dog during the time he wrote both was a Great Dane named Olaf. 
In the short story, the dog is physically “big” and yellow” with a “bristly coat” and “phosphorescent eyes” that give it a “shining look.” Activity-wise, it “accompanies the nocturnal intruder like a shadow” and stands out by being “so human” with its recurrent “howling” in a “manlike voice.” Figuratively, it becomes an “extraordinary” canine that evokes a “supernatural mystery. 
So too in the novel, the dog is physically a “big yellow beast,” an “ugly animal” with a “bristly coat.” Activity-wise, it lives with “a vagabond who could be its owner,” and stands out for its “growling” and being anthropomorphically aggressive” and “astonished” and “grateful.” Figuratively, it becomes an ”extraordinary” and “vulgar” canine that evokes a “supernatural creature.” 
As wellin both works, the dog serves a primary, similar function: to incite and excite fear. It rapidly becomes more important as an imagined symbol than a physical presence. Indeed, its dramatic effect is vastly greater than its short descriptions and minimal activity within the texts. 
A striking similarity lies in the number of its appearances. In the short story, the dog is reported as being present at each of the four crimes. In the novel, the dog shows up four times as well. 
Another similarity in both works lies in the fact that, despite their great difference in length, the action transpires in four days. 
Finally, both works are similar for the way they display how the writer gets many miles out of a few words. They are early examples of how Simenon would succeed with his ‘limited’ vocabulary and “short’ texts in his Maigrets and romans durs 

David P Simmons 

mercoledì 14 marzo 2018

SIMENON SIMENON. IL POTERE DELLA RIPETIZIONE IN SIMENON

Alcune riflessioni leggendo "Maigret e il cliente del sabato" 

SIMENON SIMENON. LE POUVOIR DE LA REPETITION CHEZ SIMENON 
Quelques réflexions à la lecture de "Maigret et le client du samedi" 

SIMENON SIMENON. THE POWER OF REPETITION IN SIMENON 
Some thoughts while reading "Maigret and the Saturday Caller" 

Leggendo un caso di Maigret come 'Il cliente del sabato', si ha subito l'impressione che Simenon in alcuni dei romanzi o intrattenimenti riguardanti il Commissario più celebre di Francia, si avvalga in maniera plateale di un espediente di cui egli è maestro indiscusso: la ripetizione. 
Questo appare come uno strumento per scavare sotto la maschera delle 'persone perbene', di certa ipocrisia tutta piccolo borghese e di un ostinato mantenimento delle apparenze che, in caso di reato, ci mette tempo ma pian piano vacilla, come un bicchiere d'acqua sul bordo d'un tavolo: prima una crepa, che pian piano si allarga, fino a sfociare in un fiume in piena, un rombo, un boato, uno scrocchio assordante sul pavimento. 
Che il tema della storia sia ribadito più volte, sempre uguale e sempre in maniera un po' diversa, appare evidente, e ciò ci aiuta a capire anche il metodo di Maigret: l'assorbimento lento dei dettagli della realtà esistente. Per molte pagine nulla cambia, il tema viene solamente ribadito con lo stesso tono, con la stessa minuzia di particolari, sempre aggiungendo una virgola o un'intonazione peculiare, diversa, che ne arricchisce la visione. E Maigret si ritrova a parlare con se stesso, borbottando, proprio come il potenziale assassino, sempre lo stesso mantra, lo stesso soggetto, un dato di fatto che forse, se ripetuto, acquisisce maggior valore, maggior significato, una litania rivelatrice: "Da circa due mesi, il sabato pomeriggio, un uomo rispondente ai suoi connotati veniva a chiedere di me al Quai des Orfèvres, ma spariva prima che avessi modo di riceverlo...»." 
Se lo dice e se lo ridice, Maigret: un uomo dal labbro leporino è venuto a confessarsi. Già lo sa, è un dato di fatto acquisito, ma forse non del tutto: è davvero venuto a confessarsi? Perché? Cosa sta veramente cercando da Maigret? 
Lo stesso fanno gli interrogati, i sospetti, le numerose comparse della truce storia d'amore e morte: rispondono le stesse cose, ribadendo il concetto, sempre uguale e sempre un po' diverso, una tiritera che sembrerebbe quasi imparata a memoria, un disco rotto. 
E lo stesso disco rotto è rappresentato da Planchon, il Cliente del sabato, che ripete a se stesso di essere un perdente, un poveraccio, da sobrio, da ubriaco, mentre tenta di risolvere la situazione, magari con un duplice omicidio. Eppure quel ribadirsi di essere un poveraccio, uno che non farebbe male ad una mosca, ancora lo trattiene, lo tiene incollato alla razza degli umani, della gente sana, che ancora non ha lasciato le rive dell'umanità per dedicarsi alla morte altrui. 
Planchon è un poveraccio, se lo ripete, se lo dice più volte; lo ribadisce pure la moglie, il suo amante... lo pensa anche Maigret più volte, e quasi se ne pente, pur sapendo che è la crudele verità. Eppure Maigret ha quell'umanità necessaria a capire il perché di quella miseria. Tutto il contrario dei due amanti, forti e sicuri di se stessi. Soprattutto Renèe, la moglie di Planchon, l'esatto opposto di Planchon. "La moglie di Planchon faceva pensare più a una femmina che a una donna. Una femmina che si avvinghia al suo maschio e che, se necessario, lo difende con le unghie e con i denti." 
E anche questo concetto è ribadito più volte da Maigret, che cerca di capire, di esaminare anche le proprie virgole di pensiero. Eppure Maigret è cosciente che –  in quel ripetersi un migliaio di volte la stessa cosa – riuscirà sì a chiarire il concetto, ma mai fino in fondo a raggiungere l'essenza della tragedia, il fondo del grottesco. 
Maigret lo sa, ed è forse questa sua consapevolezza di rappresentare egli stesso il perdente, nelle numerose vittorie, che lo fa entrare in empatia con i vinti, sin dall'inizio, già dal primo incontro. Maigret già dal principio è avvolto da quella nebbiosa malinconia, che è quella del fallimento innegabile nella comprensione dell'essere umano. Non può farci niente, così, sin dalle prime pagine si dichiara sconfitto: 
"Aveva un po’ l’impressione di aver tradito l’uomo dal labbro leporino, le cui ultime parole al telefono erano state: «La ringrazio...»."  

Fabio Cardetta 

martedì 13 marzo 2018

SIMENON SIMENON. UNE ENQUETE SUR UNE ENQUETE

Quelques questions à propos du roman "Maigret se fâche" 

SIMENON SIMENON. UN'INCHIESTA SU UN'INCHIESTA 
Alcune domande a proposito del romanzo "La furia di Maigret" 
SIMENON SIMENON. AN INVESTIGATION INTO AN INVESTIGATION 
Some questions about the novel "Maigret Gets Angry"

Il y a plus de 80 ans aujourd'hui que Simenon faisait paraître ses premiers romans Maigret chez Fayard, et plus de 40 ans qu'il cessait sa production romanesque, avant de se consacrer à des récits autobiographiques. Depuis lors, simenoniens, érudits et amateurs, ont bâti un empire d'études et d'analyses en tout genre sur le romancier. On s'est rendu sur ses lieux de vie, on a fouillé les documents, et, à part la publication de sa volumineuse correspondance, on pourrait croire que depuis tout ce temps, tout a été dit et découvert sur l'œuvre. Mais le continent simenonien est loin d'être complètement exploré, et il reste quelques mystères éditoriaux non résolus, et donc, bien des os à ronger pour les chercheurs de tout poil… 
On sait que c'est surtout pour les romans écrits avant guerre qu'il y a encore plusieurs inconnues, parce qu'à cette époque, Simenon n'avait pas inauguré le système perfectionné qui fut le sien par la suite, avec datation précise des périodes de rédaction (les fameux calendriers marqués de croix rouges et bleues). Aujourd'hui, nous allons nous pencher sur le cas de Maigret se fâche 
Toutes les bio-bibliographies les plus actuelles mentionnent une rédaction de ce roman en août 1945, lorsque Simenon, en attente du départ vers les Amériques, passe quelques jours sur les lieux qui ont vu la naissance de plusieurs romans de la saga maigretienne, soit Morsang et ses environs. C'est Claude Menguy – et à sa suite Michel Carly, qui s'appuie sur les découvertes de ce dernier – qui propose cette date et ce lieu de rédaction, corroborés par ce que Simenon écrit dans ses Mémoires intimes: "J'ai rencontré Pierre Lazareff […]. Il a quitté Prouvost, avec qui il dirigeait France-Soir et il est maintenant à la tête d'un nouveau journal: Libération, pour lequel il me demande un roman. Il reste un mois avant le départ, et nous allons près de Morsang, où l'Ostrogoth a été longtemps amarré. J'écris en hâte le roman pour Lazareff avec qui j'ai débuté à Paris."  
Notons que le mémorialiste ne précise pas le titre du roman en question, mais les simenoniens, par recoupement, ont admis qu'il ne pouvait s'agir que de Maigret se fâche, qui paraîtra en effet dans le journal France-Soir (et non dans Libération…), que Pierre Lazareff a rejoint en septembre 1944, quand ce journal s'appelait encore Défense de la France (fondé en juillet 1941, il prend en novembre 1944 le titre de France-Soir, en gardant en sous-titre Défense de la France).  
Ceci dit, il reste quand même un mystère non élucidé. D'après Simenon, Lazareff lui a demandé un texte pour son journal, et ce texte aurait été écrit en août 1945. En admettant que ce texte ait été remis à Lazareff avant le départ du romancier pour l'Amérique (qui a lieu en octobre), pourquoi diable ce roman ne paraît-il qu'en mars 1946, soit plus de six mois plus tard ? Faut-il évoquer un retard dû aux convulsions de la fin de la guerre ? Nous n'avons évidemment pas la réponse, et probablement nous manque-t-il des informations qu'on pourrait trouver dans la correspondance du romancier 
Mais il y a encore mieux: Pierre Assouline, dans sa biographie, écrit que Lazareff a signé avec Simenon un contrat de "trois ans en vertu duquel son journal a l'exclusivité de ses Maigret pour la presse." On peut admettre que ce contrat ait été signé vers 1945. Or, en y regardant de plus près, on constate que, des trois romans Maigret qui paraissent en pré-originale dans des journaux de ces années-là, seul Maigret se fâche est publié par France-SoirMaigret à New York paraît en feuilleton dans le journal L'Aurore dès juin 1946, et Les vacances de Maigret dans Ici Paris Hebdo dès février 1948… Un mystère de plus à ajouter… 
Enfin, un dernier point retiendra notre attention pour ce billet d'aujourd'hui. Le site des archives en ligne de la Bibliothèque Nationale de France (gallica.bnf.fr) propose les numéros de France-Soir correspondant aux dates où Maigret se fâche paraît en feuilleton. Ce qui nous a permis de constater, en comparant le texte du feuilleton et le texte du roman paru aux Presses de la Cité, quelques divergences. Certaines portent sur des détails (un mot changé, une différence dans la ponctuation), d'autres sur des éléments plus importants, dont le fait que le texte du feuilleton est plus court que celui du roman; en effet, on trouve dans celui-ci des paragraphes entiers qui manquent dans la version du journal. Est-ce le texte original écrit par Simenon qui a été raccourci pour des raisons d'économie de place dans le journal ? Ou est-ce le romancier lui-même qui a revu son texte après coup, en le complétant et en le corrigeant avant de le donner à Sven Nielsen pour en faire un volume avec La pipe de Maigret, premier de la série à paraître aux Presses de la Cité ? La réponse est d'autant plus difficile à trouver que le manuscrit a disparu… 
En outre, nous avons pu constater que le texte paru en feuilleton (en 38 livraisons) n'est pas, contrairement au roman, chapitré. Dans le roman, on trouve huit chapitres titrés, tandis que chaque livraison du feuilleton porte elle-même un titrecertains des titres du feuilleton ont été réutilisés pour les titres des chapitres du roman (nous faisons appel ici aux collectionneurs, car les numéros des 29 et 30 mars ne sont pas en ligne sur Gallica, et nous aimerions bien connaître les deux titres manquants). Et ainsi apparaît le dernier mystère qui entoure Maigret se fâche: qui a proposé les titres du feuilleton ? Est-ce Simenon lui-même ? Qui a proposé les titres du roman ? Et ceux-ci existaient-ils déjà sur le manuscrit ? 
Décidément, l'œuvre simenonienne est loin d'avoir livré tous ses secrets… 

Murielle Wenger