venerdì 15 marzo 2013

SIMENON E MAIGRET IN MANO AGLI PSICHIATRI


"... respingerli, estrometterli, privarli della sicurezza di appartenere ad una comunità, di essere uno come gli altri. E' quindi l'alienato, l'intoccabile, l'appestato...
- E' esattamente, quello che ammiriamo in Maigret, che consente al criminale di essere reinserito nella comunità rendendogli il rispetto di lui stesso. Maigret che rappresenta la società, poiché appartiene al corpo della polizia, può identificarsi in lui, comprenderlo e amarlo..."
Questo botta e risposta avviene ad Epalinges nel 1968 tra Siemenon che pronuncia le prime parole e un gruppo di cinque medici e psichiatri che gli rispondono. Nella fattispecie sono i redattori della pubblicazione scientifica svizzera Médecine et Hygiéne la quale, in occasione del proprio venticinquennale, decide di sottoporre lo scrittore ad una sorta di seduta psicoanalitica, che sarebbe stata poi pubblicata, e Simenon, dal canto suo, si presta di buon grado. I medici sono il dottor Rentchnik, professore associato di medicina interna a Ginevra, lo psichiatra Charles Durand, l'internista Samuel Cruchaud, lo psichiatra dottor Kaech e il dottor Burgermeister, attaché alla clinica universitaria di psichiatria a Ginevra. Tra i cinque ce ne sono due che Simenon conosce bene (e quindi legati al segreto professionale): il dottor Durand psichiatra della famiglia Simenon (dello scrittore di sua moglie Denyse e della figlia Marie-Jo) e il suo medico personale, il dottor Cruchaud.
Uno dei temi toccati riguarda evidentemente il rapporto tra lo scrittore e la sua creatura più famosa, il commissario Maigret. I medici stessi dichiarano il loro interesse per "... il meccanismo psicologico che porta all'azione e il passaggio all'azione stessa... Questo passaggio in Maigret è lo sforzo di comprensione fenomenologica che conduce spesso dalla comprensione alla simpatia e che poi conferisce all'insieme del processo, nel momento del dialogo o dell'incontro,  quasi un aspetto psicoterapeutico che potrebbe riassumersi così: Io so tutto del vostro passato, delle vostre ombre delle vostre luci, e anche la vostra verità; io so quello che avete fatto e perché l'avete fatto e continuo a capirvi e ad amarvi; io non vi ripudio, non vi giudico, vi accetto per quello che siete... E' evidente che i medici si riconoscono facilmente in Maigret...".
Il rapporto tra il romanziere e il suo commissario è quindi un snodo fondamentale (anche se non il solo) per comprendere l'atteggiamento psicologico di Simenon, quel suo mettersi nella pelle dell'altro e il suo metodo, più unico che raro, di creare personaggi, vicende e ambientazioni. E tutto questo aldilà del suo valore letterario e della qualità della sua scrittura.
E su questo punto tra gli specialisti e lo scrittore c'è una analogia di vedute:
"... Maigret è pagato dalla società per arrestare dei criminali che non giudica mai..."
Insomma il comportamento di Maigret diventa un po' il simbolo di quello che una volta individuato il colpevole, occorrerebbe fare. E nonostante il dottor Rentchnik, promotore di questo incontro, ammette quanto sia stato difficile, se non a volte impossibile, spingere Simenon ad aprirsi completamente e senza riserve, la relazione conclusiva di questo incontro è quanto mai lusignhgiera per il romanziere "...se noi, medici specializzati, abbiamo la possibilità di raggiungere questo tipo di relazione con un criminale, lo dobbiamo a voi, monsieur Simenon, e quindi vi dobbiamo molto. E' grazie a voi che abbiamo capito quello che può passare nella mente di un criminale e che abbiamo potuto demistificare il personaggio del criminale. Meglio di qualsiasi trattato di psichiatria, meglio di quanto qualsiasi esperienza vissuta abbia potuto mostrarci, è la relazione Maigret-malato, che abbiamo potuto trasporre in quella del medico con il suo paziente ed è ciò che ci permette di dirvi che il personaggio del medico, nella vostra opera, è Maigret".

mercoledì 13 marzo 2013

SIMENON A... "NUDO" DI FRONTE AI FIGLI

Foto del settimanale "Le Soir Illustré" tratta da www.trussel.com
 Come ormai tutti sanno, Mémoires intimes è un'autobiografia scritta da Simenon negli ultimi anni della sua vita e in buona parte rivolta ai propri figli (nella realtà a tre dei suoi figli, perché Marie-Jo, la sua unica femmina, a quell'epoca si era già suicidata), per raccontar loro, se non tutta la sua vita, almeno i fatti salienti. Ma quello che preoccupa Simenon non è dare una buona immagine di sè ma, almeno nelle intenzioni, raccontare loro la realtà, anche quando questa non è magari edificante. A questo proposito ci sono dei brani molto esplicativi. Eccone uno.
"... nei miei figli c'è anche una piccola parte di me, e dunque hanno tutto il diritto di conoscermi ... i miei figli non hanno bisogno di avere un'immagine lusinghiera del loro padre e dei loro antenati. Hanno bisogno di sapere, per esempio, che anch'io ho avuto gli stessi difetti e le stesse debolezze di cui loro stessi si vergognano e di cui non devono, di conseguenza, arrossire. Hanno bisogno di conoscermi. Come sono, come sono stato nei diversi periodi della mia vita e non come mi vedono forse nei loro ricordi da bambini. E hanno il diritto di conoscere gli errori che posso aver commesso guidandoli più o meno maldestramente negli anni della loro giovinezza...".
E quindi rivolto direttamente a loro conclude "... non ho niente da insegnarvi. Ho imparato più io da voi quattro che voi da me. Siamo simili e diversi, voi ed io, e siete così anche tra voi...".
Qui si nota che si rivolge ai suoi "quattro figli", come se Marie-Jo fosse ancora viva. E in parte questo è vero. Quella figlia che aveva sempre contato molto per lui (ma anche lui aveva contato moltissimo per Marie-Jo, forse troppo... lei aveva fatto un'investimento affettivo su di lui ben aldilà di quello che una figlia è bene faccia sul proprio padre). Quando Simenon scrive le sue memorie, Marie-Jo è morta da quasi tre anni, ma per lui rimane una presenza costante, quotidiana, quasi fisica. E non a caso proprio Mémoires intimes uscì comprendendo anche il cosiddetto Livre de Marie-Jo, dove sono raccolti scritti, lettere, poesie testi di canzoni, riflessioni e sfoghi della giovane che, sopratutto negli ultimi anni, stentava a trovare un suo equilibrio psichico.
E a questo proposito è illuminante una frase apparsa in un'intervista su Le Monde:
"...ho iniziato queste Mémoires il 16 febbraio 1980, per mia figlia... E' stato duro. Molto duro... Mentre scrivevo, piangevo...".

martedì 12 marzo 2013

SIMENON. SU "LA STAMPA" I LUOGHI DI MAIGRET... MA DOPO DIECI ANNI

Su La Stampa di oggi viene publicato un corposo articolo che riguarda i luoghi di Parigi, quelli che Simenon utilizzava come scenari delle inchieste del suo commissario. Nel titolo si parla di 120 luoghi della capitale francese che concorrono a costuire quell'atmosfera parigina in bilico tra gli anni '30 e i decenni successivi, ma che hanno impresso nell'immaginario collettivo la fotografia di una città unica, romantica e culla della cultura mondiale del '900.
L'analisi e la rievocazione di quella Parigi però non sono frutto dell'autore dell'articolo, Alberto Mattioli, ma tratte dalla citazione di un prezioso (per i cultori simenoniani) di Michel Carly, Maigret - Traversées de Paris, edito dalla Omnibus nell'aprile del 2003.
Perchè un quotidiano, che di solito insegue l'attualità, gli anniversari e le ricorrenze, abbia voluto a dieci anni dell'uscita del libro tornarci sopra, non viene spiegato  (non ci risulta che sia ora o sia in vista un traduzione italiana di quel libro). Noi siamo comunque felici, che le pagine della cultura di un grande quotidiano se ne occupino, dal momento che, a nostro avviso, ogni occasione è buona per raccontare Simenon attraverso i suoi presonaggi e soprattutto attraverso quello più famoso e popolare.
Vorremmo però fare qualche precisazione in merito alle affermazioni che l'articolista fa a margine della presentazione del libro.
Per esempio Simenon non ha vissuto così a lungo a Parigi. Ma si può dire che l'abbia amata? Certo non quando nel dicembre del '22, scendendo nella fredda e inospitale Gare du Nord si ritrovò in una città che non gli spalancò le braccia e che poi gli fece fare un dura gavetta (e nei primi momenti addirittura la fame). Ma per lui quella città costituiva un trampolino di lancio. Il fermento culturale che vi regnava all'epoca, era l'ambiente giusto per tentare la fortuna. O meglio per mettere in atto il suo piano ben preciso: dedicarsi prima ad un periodo di apprendistato, dandosi da fare con i racconti sui giornali, romanzi brevi commissionati da editori popolari (a quell'epoca la letteratura di quel genere, tra feuilletton e livre de poche, significava vendite di milioni di copie a settimana). Finito quello stadio si sarebbe dedicato alla narrativa semi-letteraria, non più commissionata, ma creata e decisa da lui, con personaggi, vicende e ambientazioni che iniziassero ad avere un loro specifico letterario (saranno poi le inchieste del commissario Maigret). Terza ed ultima fase, quella della letteratura tout-court, quella che lo stesso Simenon avrebbe poi chiamato dei romans-durs. Parigi quindi era soprattutto un mezzo per raggiungere tutto ciò. E la prova è nel fatto che, una volta diventato famoso con il commissario Maigret (1931-1934) e una volta entrato nelle edizioni Gallimard (1933) lo scrittore allentò i legami con Parigi e nel 1938 si trasferì in Vandea, dove rimase fino al '45, anno in cui partì per l'America. Da allora, pur tornandoci di frequente, non abitò più a Parigi e, tornato dagli States, decise di stabilirsi in Svizzera, nei pressi di Losanna.
Altra affermazione di Simenon che si sente ripetere e si vede scritta più volte è quella secondo cui Gino Cervi fosse il miglior attore che avesse interpretato Maigret. Che Simenon abbia apprezzato l'interpretazione dell'attore italiano non c'è dubbio, ma il Maigret che aveva nel cuore e nella testa era quello del suo amico Jean Gabin. Certo, possiamo dire che uno è la faccia televisiva e l'altro quella cinematografica. Ma rimangono famose le parole di Simenon dopo che per tre volte l'attore francese aveva interpretato il commissario sul grande schermo "... adesso ogni volta che mi siedo a scrivere un Maigret me lo immagino con la faccia di Gabin... non vorrei che prima o poi mi venisse a chiedere i diritti di immagine!...".
Un'ultimissima e piccola precisazione. E' vero, gli esterni degli sceneggiati Rai non vennero girati a Parigi (e soprattuto oggi ce se ne accorge subito). Ma la sigla invece sì. 

lunedì 11 marzo 2013

SIMENON. LE CLASSIFICHE INIZIANO DA UN DIECI E LODE

Già, dieci e lode. Un traguardo da scuola elementare, dirà qualcuno. Un traguardo irrangiungibile e irragiunto ricorderà qualcun altro. Il voto di cui parliamo oggi è quello che, nella sua rubrica settimanale La Pagella, Antonio d'Orrico ha assegnato ad un libro in classifica su La Lettura del Corriere della Sera. Il romanzo in oggetto è Le singorine di Concarneau e il voto, come abbiamo detto, è stato il massimo possibile.
Il titolo dell'articolo è esemplicativo. "Semplicità: la prima legge del racconto" e l'incipit è altrettanto esplicito: "...La perfezione è di questo mondo ed è di questo breve romanzo di Georges Simenon...".
E conclude D'Orrico "... La prima legge della narrativa di Georges Simenon, quella principale, quella da cui discendono tutte le altre, dice che se piove basta scrivere che piove: non che il cielo piange o che scendono gocce grandi o piccole. Basta dire semplicemente che piove. Basta dire che Georges Simenon semplicente scrive ed è la semplicà della perfezione. Ma non c'è cosa più difficile dell'essere semplici...".
Chapeau D'Orrico. Siamo perfettamente d'accordo. Non c'è bisogno di alcun commento.
Nella classifica proposta ieri da La Lettura, Simenon con le sue signorine è dato al settimo posto della "Narrativa straniera".
Sabato anche La Stampa lo dava alla settima posizione dei romanzi oltreconfine.
Per i titoli venduti  sul web la classifica di I.B.S assegna a Le signorine di Concarneau il 16° posto, mentre Amazon il 33° nella sezione "Bestseller".

sabato 9 marzo 2013

SIMENON. LE PENTOLE DELLA SIGNORA JUSTINE


Questa settimana la short-story di sabato viene presentata da Paolo Secondini, un nostro affezionato e attento amico, che questa volta ha deciso di volerla far precedere da una dedica: A Murielle. Sì proprio Murielle Wenger, la nostra specialista (tra l'altro anche attachées del Bureau Simenon-Simenon). Un tributo alla sua competenza? Una dedica all'indomani della "Festa della Donna"? Sicuramente un riconscimento alla sua "autorevolezza" maigrettiana e simenoniana.
Ecco a voi quindi il commissario Legros, almeno qui ben più espansivo del taciturno Maigret...




A Murielle 

LE PENTOLE DELLA SIGNORA JUSTINE
di Paolo Secondini


Le otto del mattino.
«Buona giornata, Isidore. Stai attento, mi raccomando… Bada che non t’accada qualcosa di…»
«Cosa vuoi che mi accada, Justine? Ho mai commesso imprudenze in vita mia?»
«No, no… non dico questo… Ma ogni volta che esci di casa, per recarti al Quai des Orfèvres, io… io…»
«Sta’ tranquilla, mia cara,» rispose, sorridendo, suo marito. «Non farò un passo, un movimento, se prima non ripenso, almeno due volte, alle tue raccomandazioni.» Si batté la mano sul petto e ve la trattenne. «Lo prometto solennemente.»
«Sono contenta,» concluse la signora Justine, e baciò il marito con molta dolcezza.
Si trovavano sul pianerottolo del loro modesto appartamento in Rue de la Roquette.
Isidore scese le scale canticchiando. Era allegro, quella mattina, per nessuna ragione particolare, forse perché la vita è semplicemente meravigliosa.
La signora Justine chiuse pian piano la porta e, a passi decisi, si diresse verso la cucina. Quando fu sull’uscio, si fermò un momento a osservare i fornelli, l’acquaio, il tavolo, le pentole di rame appese in bell’ordine alla parete.
Era, quello, il suo luogo abituale di lavoro, dove trascorreva gran parte del giorno a impastare la farina, a capare legumi e verdure, soprattutto a preparare, per quel golosone del marito, raffinati e squisiti manicaretti.
Entrando in cucina, si sentì soddisfatta di se stessa, come tale doveva sentirsi Isidore nel mettere piede, ogni volta, nel suo ufficio al Quai des Orfèvres.
In fondo, pensava Justine, anche la sua attività di massaia esigeva continuamente le stesse premure che suo marito, il commissario Legros della Polizia Giudiziaria, profondeva nelle indagini.
Non indagava anche lei, nel quartiere, per scoprire quale pizzicagnolo offrisse il prosciutto migliore a buon mercato? O chi, ogni mattina, disponesse sopra il bancone soltanto le uova di giornata? O chi fosse più onesto nel pesare la carne, la frutta o gli ortaggi? O chi vendesse olio genuino di oliva anziché la solita, pessima mistificazione?
Piccole cose, piccoli accorgimenti, piccole attenzioni, di cui la signora Justine andava fiera. E quale soddisfazione per lei quando il marito, a tavola, le diceva:
«La bistecca di vitello, quest’oggi, è molto tenera.»
Oppure:
«I tortellini nel brodo di gallina… quelli acquistati da Nicola l’italiano… sono stati squisiti.»
O anche:
 «Ho mangiato una pera matura al punto giusto. Brava! Hai saputo sceglierle bene… Sono orgoglioso di te, Justine.»
«Ma… ma…» rispondeva sua moglie, come sempre confusa da quei complimenti, «non credo abbia fatto qualcosa di speciale.»
«Oh sì, invece! Sì, sì!» esclamava il marito e si chinava in avanti, il sorriso sulle labbra, a baciarle la mano.
E la brava signora Justine osservava quel gesto  col cuore che traboccava di gioia.
Era davvero felice in quei momenti, soprattutto perché sentiva che era felice il suo Isidore, per quel che di semplice e buono sapeva offrirgli.

venerdì 8 marzo 2013

SIMENON SI SERVIVA DI GOSTH WRITER?

Tutto nasce dalle ottanta pagine al giorno che era capace di scrivere. Tutto nasce della media di cinque romanzi all'anno che è riuscito a tenere per oltre quarant'anni. Tutto nasce dagli oltre quattrocento titoli che costituiscono il corpus della sua opera dai romanzi popolari ai racconti, dai Maigret ai romans-durs.
E, se la vogliamo dirla tutta, tutto nasce dall'invidia.
Già perchè in ballo non c'è solo una rilevante quantità di titoli, ma anche un qualità media piuttosto alta (pure nel periodo della letteratura popolare ci sono opere godibili).
Stiamo parlando dell'accusa (o per alcuni addirittura l'assodata convinzione) che Simenon si servisse di gosth writer che gli permettessero una produzione così ricca e ad un ritmo così sostenuto.
Conseguenza di questo era una critica "ufficiale", che si era pressoché disinteressata alla sua produzione nel periodo della letteratura popolare. Periodo per altro contraddistinto da quasi un ventina di pseudonimi, cosa che quindi,  non solo non lo rendeva ben identificabile come singolo autore, ma dava adito al sospetto che dietro a tutti quei nomi l'autore non fosse sempre lo stesso.
Ma l'accusa di essere un "industriale" della letteratura e non un letterato vero e proprio, magari con degli impiegati della letteratura alle sue dipendenze, prese corpo quando Simenon passò ai Maigret e cioè a quella che lui definiva semi-letteratura. Lì venne a galla il suo passato di estensore di testi commissionati, romanzi brevi o racconti, da editori di romanzi popolari come Tallandier, Ferenczi, Prima, Fayard... e  si poneva sempre l'accento sulla velocità di scrittura: in una decina d'anni circa duecento titoli! Questo non piaceva alla critica. Come non piacque che, passato ai Maigret e con il suo vero nome, Simenon sfornasse nel primo anno della serie poliziesca ben nove volumi (considerando che il lancio avvenne a fine febbraio, quasi un libro al mese). Poteva essere quella letteratura degna dell'attenzione benevola dei critici più paludati? No. Ne erano piene le pagine dei settimanali, da quelli femminili a quelli d'attualità, le cronache mondane dei quotidiani (soprattutto per il modo in cui era stato lanciato).
E questo inarcare il ciglio da parte della critica letteraria, si registra soprattutto all'inizio, vuoi perchè si trattava di letteratura di genere, vuoi per il ritmo delle uscite, troppo più simili a quelle dei periodici, che non a quelle delle opere dei grandi scrittori.
Da qui le illazioni e le voci che Simenon si servisse di quelli che oggi chiamiamo gosth-writers.
Ma del fatto non ce n'è traccia in nessuna biografia, in alcuna testimonianza di chi ha vissuto con lui e di chi lo conosceva bene. Non ne fa cenno nemmeno chi aveva motivi di vendetta, come ad esempio la seconda moglie Denyse, che quando uscì dalla vita di Simenon ne disse (e ne scrisse) di tutti i colori, mischiando verità e menzogne... Eppure l'accusa di essersi servito di gosth writers non venne mai fuori.
Ma se non bastasse l'assenza di prove, c'è da considerare la psicologia di Simenon. Per lui la letteratura era tutto. Per riuscire in questa, aveva lasciato a diciotto anni Liegi, un posto da giornalista ben remunerato con una promettente carriera, la promessa sposa Régine, la casa materna... A Parigi fece a fame, poi si adattò a fare modesti lavori di segreteria, quindi iniziò con umilità a scrivere qualsiasi cosa gli venisse chiesto, dell'argomento e della lunghezza commissionati. E lui, sentendosi come un qualunque artigiano, finiva il più presto possibile ed era sempre puntuale a consegnare la sua "merce". Un periodo massacrante in cui non diceva mai di no a nessuno e arrivava a scrivere le famose ottanta pagine al giorno.
Questo atteggiamento rispetto alla scrittura e quel programma che aveva così chiaro in mente fin da quando pose piede a Parigi (letteratura popolare, poi la semi-letteratura ed infine i romans-durs), sono le migliori smentite al fatto che Simenon abbia fatto ricorso a qualche gosth-writer. Ve lo immaginate come sarebbe stato sapendo che i destini dei suoi protagonisti e le inchieste del suo amato commissario erano nelle mani e dipendevano dalla penna di qualcun'altro?
No. Noi non crediamo a questa favola dei gosth writer.
Ma perchè proprio oggi questo post così battagliero proprio su questo argomento?
Perché ci è capitato sotto mano un vecchio post del giornalista Luca Telese (ultimamente fondatore e direttore del quotidiano "Pubblico", pubblicato per circa quattro mesi) in cui parlando del fenomeno (?) Fabio Volo, scriveva a proposito di gosth-writers "... li aveva anche Simenon, ma nessuno lo sminuisce per questo, anche sceglierseli è un talento...".
Così, en passant, dandolo per scontato... Anche se è roba vecchia (fine dicembre 2011) non potevamo lasciarla passare... così.