martedì 22 novembre 2011

SIMENON. INIZIARE DAL TITOLO

Spesso si dice che, pur essendo il primo impatto che un romanzo ha con il lettore, il titolo è l'ultima cosa che si scrive. Soprattutto per gli scrittori che, come Simenon, vogliono raccontare una storia, ma all'inizio non sanno ancora come si svilupperà e come si concluderà perché hanno un'ispirazione che li guida, perchè scrivono in una sorta di trance o perchè è il progressivo svolgimento della storia che ne determina la direzione. Per Simenon sembra che alcuni titoli fossero quasi un elemento di ispirazione. La parola giusta evocava già degli scenari e delle sensazioni da cui sarebbero scaturitii avvenimenti e personaggi. Ma non era una prassi vincolante. Già nel periodo della letteratura popolare aveva imparato a cambiare un titolo in corsa, talvolta all'utlimo minuto. Un titolo che poteva essere buono per l'idea iniziale, si rivelava inadeguato per il romanzo ormai completato.
Ma sui titoli in genere ci sarebbe da scrivere un libro (e qualcuno ci pare l'abbia fatto). Per quelli di Simenon possiamo perderci tra le infinite motivazioni. E poi un titolo deve funzionare non solo per chi scrive, ma soprattuto per chi legge. Ovviamente lo scrittore ne era ben consapevole tanto da testare il suoi, con le persone più disparate. Ad esempio L'Affaire Saint-Fiacre (1932) divenne tale solo dopo un test fatto tra gente di Cap D'Antibes, dove il romanzo fu scritto e il cui titolo originario era La Messe à Saint-Fiacre.
Altre volte Simenon si diverte ad utilizzare modi di dire o espressioni gergali che saranno chiarite solo dopo un certo numero di pagine. Ad esempio per capire Turiste de bananes (1938) occorre leggere una ventina di pagine per sapere che "... è una nostra espressione per identificare certi passeggeri che partono per le isole con l'idea di poter vivere una vita al naturale, lontano dal modo, senza preoccupazioni di soldi, mangiando banane e noci di cocco...".
Bisogna addirittura arrivare a metà romanzo e leggere la frase che fà capire il titolo La Main (1968) "...sapete che la notte che abbiamo dormito per terra, su dei materassi, ero ipnotizzato dalla vostra mano che era poggiata sul parquet?...Avevo una voglia folle di toccarla, di sentirla...Se l'avessi fatto, mi chiedo cosa sarebbe successo...".
E poi anche per i romans-romans si registrano diversi cambiamenti dell'ultimo momento. Qualche esempio? L'Horoleger d'Everton si chiamava La cause de tout. Invece Un petit voyou era il titolo del romanzo che sarebbe stato pubblicato come Cour d'assises. Il famosissimo La neige était sale all'inizio s'intitolava Mr Host. Tre esempi di quasi una ventina di titoli di cui si ha conoscenza.
Poi c'era il titolo già utilizzato. Qualche volta nel catalogo dell'editore esisteva già un titolo del genere e ovviamente andava cambiato. Ma non fu sempre così. Nel caso di Au bout de rouleau era già in catalogo da Gallimard. Simenon s'impuntò: o così o niente. Il romanzo fu pubblicato nel '46 da Presses de La Cité. A proposito, l'autore che aveva già quel titolo era Joseph Conrad...

lunedì 21 novembre 2011

SIMENON. MAIGRET E I QUATTRO... MOSCHETTIERI

"... Non era la prima vota che faceva una di quelle entrate, più da collega che da superiore.
Apriva la porta dell'ufficio degli ispettori e, spingendo il cappello sulla nuca, andava a sedersi sull'angolo del tavolo, vuotava la sua pipa sul pavimento, battendola contro il tacco, prima di ricaricarla di nuovo. Li guardava uno dopo l'altro ognuno occupati nei loro diversi compiti, con l'espressione di un padre di famiglia che, tornando a casa, era contento di rivedere i suoi..." (Maigret chez le ministre -1954).
Questo passo è assai significaivo del rapporto tra la squadra di ispettori e il loro capo, commissario divisionario della brigata omicidi. Erano i suoi uomini e lui il loro capo indiscusso, ma il loro rapporto era cameratesco, tranne quando, magari per una litigata con il giudice Comelieu, Maigret era su di giri, e arrivava facendo quattro urlacci ai quattro venti e poi si chiudeva nel suo ufficio.
Ma i suoi ispettori chi erano? Intanto almeno tre lavorano da sempre con Maigret. Lucas è quello vanta l'anzianità maggiore, una sorta di suo braccio destro che lo sostituisce quando è in viaggio per indagare fuori Parigi. E ovviamente è quello destinato a succedergli sulla poltrona di commissario. Ben piazzato, più basso e più giovane di Maigret, baffetti alla Charlot, Lucas cerca di imitare il suo capo che ammira incondizionatamente e con il quale per intendersi basta un colpo d'occhio. E' meticoloso e non ha l'aria da poiziotto. E' una colonna portante della squadra.
Janvier invece alto magro, è entrato molto giovane nella polizia, e Maigret ha una sorta di predilezione verso di lui, insomma è un po' il suo cocco (almeno finché non arriverà il piccolo Lapointe) e per questo gli perdona gli errori che commette per inesperienza. Ma per il capo rimane sempre il suo "rpetit Janvier" (in contrapposizione con "mon vieux Lucas") cui perdona tutto, forse anche perché gli ricorda sé stesso agli esordi.
Corpulento, imponente e pesante, Torrence può essere definto il Porthos di questi quattro... moschettieri. E' della vecchia guardia, ma il meno brillante della squadra, quello che si vede affidare gli incarichi più noiosi o di secondo piano. E' lui che guida la macchina, insomma più indicato per sbrigare le faccende pratiche che non per scoprire un idizio in un'indagine. Gigante buono, con l'ostinazione necessaria in certi casi, fuma anche lui la pipa, come il capo e come il capo ha una notevole inclinazione per il mangiare e per il bere.
 Lapointe. E' l'ultimo arrivato nella squadra, ed anche il più giovane. Con lui Maigret ha davvero un atteggiamente paterno, lo protegge, può insegnargli le cose che gli altri tre già sanno. Lo tratta come il figlio che non ha avuto e che fa parte di questa speciale famiglia a Quai des Orfévres con cui si dividono rischi, nottate, appostamenti, interrogatori e qualche bisbocciata alla brasserie Dauphine.
Insomma Simenon ha costruito intorno al commissario un'equipe che, chi per un lato e chi per un altro, rispecchia il suo carattere, il suo modo d'indagare e le sue inclinazioni e che si intendono senza tante parole. Basta un cenno, un'occhiata e... via!

domenica 20 novembre 2011

SIMENON E IL CASO DEL "QUATTRO"

Si dice numerologia lo studio dei probabili rapporti, non scientificamente provati, tra certe cifre, dati, situazioni, avvenimenti e fatti che interessano una persona. In breve significa che alcuni danno un significato, a loro dire, rilevatore di qualcosa sul fatto che  un numero ricorra più volte nella vita di una persona.
Noi l'abbiamo presa come una curiosità, o se volete come un gioco, e siamo andati a vedere qual era il numero ricorrente per Georges Simenon. E abbiamo scoperto, con l'aiuto di una nostra amica che si diletta di corrispondenze numeriche, che questa cifra è il quattro.
Iniziamo dal principio. Simenon nasce il 13 febbraio 1903, dove per il giorno 1+3 = 4 e per l'anno 1+9+0+3 = 13 e 1+3 = 4. (lei sostiene che andrebbe considerato anche il civico di dove è nato, rue Leopold, allora 26, dove 2+6 = 8 e che 8 che è il doppio preciso di 4. Ma questo lo riportiamo solo per scrupolo di cronaca).
Secondo la versione dell'autore, il personaggio del commissario Maigret viene concepito in Olanda a Delfzijl, nell'anno 1930. Ancora un volta 1+9+3+0 = 13 e 1+3 = 4.
Ma 4 sono anche i paesi in cui ha trascorso la sua vita, il Belgio fino al '22, la Francia fino al '45, gli Stati Uniti fino al 1955 e ultima e quarta la Svizzera fino alla sua scomparsa.
Ma se ci pensate bene anche il numero delle compagne importanti nella vita di Simenon è sempre 4, per la precisione due mogli (Tigy e Denyse), un femme de chambre-maitresse (la Boule)  e un'altra femme de chambre, poi divenuta sua compagna (Teresa).
Se rimaniamo nell'ambito, per così dire familiare, va ricordato che Simenon ha avuto 4 figli: Marc, John, Marie-Jo e Nicolas.
E se passiamo sul fronte della sua opera narrativa sappiamo che è comunemente divisa in 4 periodi: la letteratura popolare, il periodo Maigret, i romans-romans e infine, nella vecchiaia, la quarta, quella dei Dictées. E ancora. Gli ispettori che formano la squadra fissa con il commissario sono ancora 4: Janvier, Torrence, Lucas e Lapointe.
Passiamo alle interviste sia fatte che concesse. Sappiamo che oltre al periodo de La Gazzette de Liége le interviste che gli sono state commissionate come giornalista e quelle che, una volta scrittore famoso, ha dato a giornali, radio e televisioni sono innumerevoli. Ma tra tutte queste spiccano alcune che per l'eccezionalità del personaggio, o per i contenuti, o per la loro singolarità sono ricordate e molto conosciute. La prima quella che realizzò in esclusiva per Paris-Soir a Lev Trotskji (1933), la seconda concessa ad un equipe di psicologi e psicoanalisti della rivista Médicine et Hygiène nel 1968, terza quella fatta per conto de L'Express nel 1977 a Fellini, in cui dichiarò di aver avuto diecimila donne, la quarta è quella televisiva nell''81, sulla rete francese ORTF nella trasmissione Apostrophe in cui interrogato dal giornalista Bernard Pivot sul suicidio della figlia Marie-Jo, piangendo raccontò quella tragedia.
E siamo alla fine. Lo scrittore morì nel 1989 a settembre... il giorno 4.

sabato 19 novembre 2011

SIMENON. LE CHAT, LA GUERRA DEI BOUIN

Come già successo con altri titoli (per ultimo ricordiamo Betty ) pubblichiamo la recensione di una nostra amica appassionata di Simenon, che ormai possiamo considerare una collaboratrice di Simenon Simenon. Stiamo parlando di Paola Cerana, giornalista che si occupa di cultura per varie testate, e che stavolta ci regala un piccolo, ma sfizioso "saggio" su Le Chat, scritto da Simenon nella seconda metà degli anni '60, una decina d'anni dopo anche un film di successo, e che ci presenta un altro tipo di "passaggio della linea". I due protagonisti Marguerite e Emile l'hanno passata entrambe.


Ogni storia narrata da Georges Simenon ha una sua stagione, con un suo colore e un suo odore. E’ come se l’atmosfera esteriore riflettesse lo stato d’animo dei personaggi e, probabilmente, dell’autore stesso. Simenon ha scritto Le Chat nella prima settimana d’ottobre del 1966, a Epalinges, nella sua grande villa presso Losanna. In quel periodo era rimasto quasi solo, con i suoi sessant’anni ma ancora tanta voglia di vivere e di scrivere. Denyse, la sua seconda moglie, l’aveva lasciato definitivamente da qualche anno e i figli, ormai grandi, avevano preso ognuno la propria strada, a parte il più piccolo, Nicolas. Lontano, dunque, dalla grande famiglia e dalle abituali femmes de chambre, lo scrittore sembra aver voluto trarre ispirazione proprio da questo clima intimo di profonda meditazione e d’isolamento psicologico per scrivere questo romanzo. Il trascorrere del tempo in un’apparente immobilità, i ricordi della giovinezza e i sentimenti di un’età adulta volta verso la vecchiaia si mescolano nel racconto con tale intensità da ispirare una sceneggiatura, poco dopo la prima pubblicazione del libro. Nel 1971, il romanzo diventa, infatti, una pellicola cinematografica con l’omonimo titolo, sotto la regia di Pierre Granier-Deferre e con l’interpretazione di Simone Signoret e Jean Gabin.
Il Gatto, ripubblicato di recente da Adelphi, si svolge in novembre e racconta la grottesca relazione di due anziani coniugi, Marguerite e Emile Bouin. La coppia vive in un appartamento di Parigi in cui tutto pare immobile e ovattato come in una fotografia ed è solo l’orologio a pendolo, con il fremito titubante delle sue lancette nere, a ricordare ogni mezz’ora che il tempo passa. Fuori, il ticchettio della pioggia si confonde allo zampillio della fontana di marmo, dove un amorino di bronzo sorregge un pesce che sputa acqua. Solo quando la betoniera del cantiere di fronte si spegne e il frastuono di ferraglia cede il passo alla quiete della sera, si può percepire bene il lamento della pioggia sotto la luce tremula dei lampioni.
Ma non è sempre tutto uggioso e statico nella vita dell’anziana coppia. Anche il loro autunno ha un colore e un odore, frutto dei ricordi e dei rimpianti, che Simenon pennella qua e là nel libro come fosse la tela d’un pittore. Il color malva aleggia soffice come uno spruzzo di primavera tra la pioggia. E’ il colore del tailleur che Marguerite Bouin indossa nelle giornate di sole, anche in quelle autunnali, insieme a un cappellino bianco che potrebbe dare alla donna un aspetto adolescenziale. In realtà, Marguerite ha settantuno anni e della sua giovinezza ha conservato solo l’eccessiva magrezza, il pallore etereo e un sorriso mellifluo ormai avvizzito. Sferruzza a maglia con religiosa minuzia, tutti i giorni, seduta accanto al camino acceso davanti a una televisione inascoltata, combattuta tra i rosei ricordi del suo passato e la piatta quotidianità senza orizzonti. I bagliori di una famiglia dell’alta borghesia poi caduta in rovina e l’affetto per l’ex marito musicista defunto sono ciò che di più caro conserva nel cuore, per consolarsi del grigio presente.
Anche Emile Bouin, suo marito, siede abitualmente nella propria poltrona accanto al camino, apparentemente immerso nella lettura di un quotidiano sgualcito. In realtà, è anche lui rapito da rancorose memorie e languidi ricordi. Anch’egli è vedovo, di una donna allegra e polposa, tutto l’opposto di Marguerite che gli evoca piuttosto un uccellino lezioso e petulante. Come si sia potuto invaghire di Marguerite al punto da risposarsi in tarda età non lo capirà mai! Tuttavia, Emile non si è rassegnato ai suoi settantaquattro anni, né alla promessa fedeltà coniugale, ancora animato da quel temperamento sanguigno che solo gli operai delle balieu ostinate come la sua possono vantare. E’ un abitudinario, tanto che nemmeno s’è accorto d’invecchiare, così rapito dalla ritualità di gesti che da anni replica identici a se stessi. Col tempo è diventato insensibile a tante cose, tra cui gli odori, a parte quello della cera per il parquet. Emile lo trova talmente buono da voler pulire il pavimento di casa Bouin una volta la settimana, non per far piacere alla moglie ma solo per goderne gli effluvi.
Le giornate trascorse insieme si susseguono identiche, da anni. Nell’umido, caldo silenzio del salotto, Emile dalla sua poltrona ogni tanto appallottola un foglietto di carta su cui scrive qualcosa e lo lancia in grembo a Marguerite che, con soppesata lentezza, lo srotola e lo legge, prima di gettarlo nel camino con un sorriso spento. “IL GATTO”, di solito c’è scritto. Al che, Marguerite con tutta calma s’arma di un altro foglietto di carta e di una matita, rilanciando in faccia al marito le solite due parole in risposta: “IL PAPPAGALLO”. Ecco, così sono pari!
A volte i messaggi sono più articolati ma la storia è praticamente sempre la stessa. I coniugi Bouin comunicano così, attraverso brevi frasi scritte senza mai parlare, da quattro anni. Esattamente, da quando Emile ha accusato Marguerite di aver assassinato il povero gatto che lui amava e lei non sopportava, e perciò s’è vendicato spennando a sangue il bel pappagallo a lei tanto caro. Quattro anni di reciproche accuse in assoluto silenzio, scandito da sguardi feroci e battute di carta, in una sfida claustrofobica e maniacale. Nessuno dei due può deporre le armi, questo gioco è diventato la loro vita ed è fonte di un segreto e malato piacere: mandarsi biglietti velenosi è per loro naturale e necessario come per gli amanti è scambiarsi baci e carezze. La parola ‘gioco’, in effetti, evoca erroneamente una nota di fanciullesca allegria. In realtà, Marguerite ed Emile sono due anziani logorati da un odio rancoroso che li ha uniti indissolubilmente, consumandoli giorno dopo giorno in una grottesca asfissia. Tutto si svolge in modo lento e cadenzato nelle loro vite, due esistenze intrecciate e allo stesso tempo separate da un sentimento puro, senza ombre e contaminazioni, di cui nessuno dei due può fare a meno, perché quello è diventato l’unico antidoto contro la morte.
“Chi di noi due se ne andrà per primo?” E’ questo l’unico pensiero che tiene in vita i coniugi Bouin, ognuno scommettendo tra sé e sé su chi sopravvivrà all’altro. Tuttavia, quando alla fine uno dei due si troverà realmente solo, l’odio tutt’a un tratto sfumerà insieme ai rancori e all’amaro piacere della vendetta, per lasciar posto all’unica certezza della vita. Perché si arriva sempre goffi e nudi di fronte alla morte. In un lampo, si riaccenderà nell’anima di chi resta l’affetto per le cose semplici e belle fino a quell’istante condivise: il ticchettio della pioggia nelle sere d’autunno, lo svolazzante tailleur color malva sotto il sole pallido e l’odore buono di cera passato sul parquet di un appartamento luccicante solo d’inutili ricordi.
Il gioco dei coniugi Bouin finisce quando uno dei due perde per sempre. Resta vivo, invece, il piacere della lettura di questo romanzo di Georges Simenon che sembra invitarci a sedere accanto a sé, alla macchina da scrivere, nella sua casa vuota di Epalinges. E con la sua profonda levità, mette a nudo anche la nostra anima, accompagnandoci attraverso l’ineluttabilità del tempo e della vecchiezza che, paradossalmente, sembra diventare l’ultima stagione per tornare ancora una volta bambini.
Paola Cerana

venerdì 18 novembre 2011

SIMENON. NOVITA' DALLA FRANCIA "TOUT MAIGRET"

Un'iniziativa che forse sa un po' di periodo pre-natalizio, ma che non può non far gola ai magrettiani che leggono le inchieste del commissario in francese. La casa editrice parigina Omnibus ha appena presentato un super-cofanetto con ben dieci volumi. Il titolo dice tutto. Coffret Tout Maigret, infatti comprende l'intera produzione simenoniana sul commissario, dai romanzi ai racconti. Il prezzo è di 245 euro e considerando che si tratta dell'opera omnia sul commissario crediamo che per gli appassionati sia un bel regalo da farsi. 
Quasi contemporaneamente è uscito anche il volume de Les Essentiels de Maigret che sono stati curati da Benoît Denis, direttore del Centre d’études Georges Simenon de l'Université de Liège, che propone di scoprire e riscoprire (in questo volume undici inchieste, il meglio dei Maigret dal debutto fino alla sua ultima  débuts jusqu’à sa dernière enquête en 1972 (Le Charretier de la Providence - La Tête d'un homme - Liberty Bar - Félicie est là - La Première Enquête de Maigret - Maigret en meublé - Maigret se trompe - Maigret et les Vieillards - Maigret et le Clochard - Maigret à Vichy - Maigret et Monsieur Charles). Qui il prezzo è decisamente da edizione econmica, 28 euro.

• Chi fosse interessato all'acquisto di queste novità via internet potrà farlo ordinandoli direttamente
  - per Coffret Tout Maigret in questa pagina 
  - per Les Essentiels de Maigret in questa pagina 

giovedì 17 novembre 2011

SIMENON: ATTUALITA' DELL'EPOPEA DEI FALLITI

Negli anni successivi alla crisi del 1929 di Wall Street, i problemi economici arrivarono anche in Europa. Con un scarto di tempo maggiore di quanto non sia avvenuto in questi ultimi anni, ma anche allora le economie del nuovo e del vecchio erano legate talmente che la crisi americana non poteva avere conseguenze serie nei paesi europei. E ovviamente anche in Francia, proprio quando c'era Simenon.
Abbiamo ricordato questo avvenimento economico perché, a nostro avviso, spiega in buona parte il motivo delle critiche che spesso sono state mosse ai suoi romanzi. Cioè quello di parlare troppo spesso di poveri falliti, di povera gente o gente comune caduta, per un motivo o per l'altro, in disgrazia.  L'altra motivazione riguarda invece la sua infanzia. Simenon viene da una famiglia non povera, ma molto modesta che poi scivolerà nella povertà quando il padre si ammalerà e non sarà più in grado di lavorare. Evento che costringerà il futuro scrittore a lasciare la scuola ad appena quindici anni e tentare di lavorare da apprendista in una pasticceria prima e come commesso in una libreria poi.
L'esperienza a Liegi e l'osservazione della gente che vedeva intorno a lui erano insieme un forte condizionamento e una constatazione quotidiana delle conseguenze di una situazione economica che colpiva duramente.
Simenon, personalemente, in quei primi anni trenta era già benestante. Era partita con gran successo la sua serie dei Maigret, ormai faceva parte della scuderia degli autori Gallimard. Insomma era approdato a quella letteratura che gli consentiva di scrivere i suoi romanzi come gli paerva e piaceva, non più su commissione e non più legato a quelle regole cui doveva sottostare un "giallo" pur atipico come il suo Maigret. Ora era libero di scrivere quello che voleva, quello che lo ispirava, seguendo solo quel famoso état de roman che s'impossessava di lui per una decina di giorni e guidava la sua mente e la sua mano.
A questo punto come poteva sottrarsi a quello che l'aveva marchiato nell'adolescenza e a quello che vedeva attorno a sé?
Non ci pare affatto strano che in gran parte dei romanzi di Simenon (ma anche in alcuni Maigret) i protagonisti siano dei falliti o che si parli del famoso passaggio della linea dove rispettabili e benestanti cittadini cadono in disgrazia.
Ma bisogna far attenzione a non generalizzare, anche se la sua letteratura non si può definire di quelle a lieto fine. Questo gli serviva anche per a mettere a nudo l'uomo, quando nella sua discesa nell'inferno non si preoccupava di tenere un contegno, di coprirsi con una maschera e darsi un tono. I protagonisti dei romanzi simenoniani non si pongono problemi filosofici, ma la loro storia e il loro comportamento li pongono ai lettori. Il bene, il male, il destino che colpisce senza distinzioni e che non fa sconti a nessuno, la legge e la giustizia che molto spesso non coincidono (ed ecco il Maigret riparatore di destini) le ingiustizie sociali. Non fa nemeno della sociologia, non va a scavare il perché e il come si sono verificate certe situazione che poi spingono o provocano certi comportamenti dell'uomo.  A lui interessa l'uomo in sé e su di ui concenra la sua attenzione e la sua narrazione. Insomma Simenon racconta, ma racconta realtà, non favole e la realtà è nuda e cruda. In più lo fa con uno stile scarno ed essenziale.
Non è questa la grandezza di Simenon che ancora oggi lo rende attuale e ce lo fà ancora apprezzare?

mercoledì 16 novembre 2011

SIMENON. CONOSCERE L'UOMO PER CAPIRE LO SCRITTORE

Siamo alla solita fatidica domanda. Si può scindere l'uomo dallo scrittore? Secondo noi, no. Anzi siamo convinti che saperne di più sulla sua persona ci consenta di capire e forse apprezzare meglio i suoi scritti.
Non che sia impossibile il contrario. Ma quante volte, dopo aver letto un libro che vi è piaciuto moltissimo di uno scrittore che non conoscevate, vi è venuta voglia di saperne di più? Chi era? Come ha vissuto? Cosa ha fatto nella vita? Quello che ha scritto é frutto di fantasia o elaborazione di esperienze vissute?
Qualcuno dirà: ma fà davvero la differenza? Se il libro  ti è piaciuto,  ti è piaciuto e basta. Se poi è una cronaca reale o un mucchio di sogni, non conta o conta molto relativamente.
Beh secondo noi, molti, almeno i lettori curiosi, non si accontentano e vogliono saperne di più sull'autore. E in fondo crediamo che si tratti dello stesso tipo di curiosità che ci spinge a sapere se quello scrittore ha scritto anche un altro libro e poi ad acquistarlo e a leggerlo
Simenon, stando ai numeri, è uno di quei romanzieri che suscita una notevole curiosità, anche perché la sua vita ricca e interessante, si intreccia con la sua produzione letteraria. Come amava ripetere spesso, entrava nella pelle dei suoi personaggi, ma questi erano tratti dalle sue conoscenze, dai suoi viaggi, delle sue esperienze di vita in vari paesi e in diversi periodi della sua vita. E poi Simenon era uno che si metteva abbastanza in vetrina.
Basta pensare alle opere più strettamente autobiografiche, come, tra gli altri, Je me souvien (1940), Pedigree (1943), Mémoires intimes (1981), ma anche ai romanzi tratti dalle sue esperienze personali come  Trois chambres à Manhattan (1945) o Le Chat (1967). Conoscere la vita di Simenon con i problemi della sua infanzia, la sagra della sua famiglia, l'incontro travolgente con la sua seconda moglie o i problemi di convivenza sia dei propri genitori che quelli propri con la sua Denyse, non ci danno solo un quadro di riferimento. Ci permettono di arrivare all'opera attraverso quella trama costituita da fatti reali e vissuti, che reggono il romanzo, che ne determinano il taglio tendenzialmente pessimistico e a volte tragico delle sue storie, in cui, come tanto piaceva dire a Simenon, i personaggi arrivano fino alle estremene conseguenze dei loro atti o del loro destino.
E il sito che state leggendo, questo Simenon-Simenon che a fine mese compirà un anno, è nato principalmente proprio sotto questa spinta. Scandagliare un po' tutti gli aspetti di questo personaggio cercando di darne, come si dice oggi, una visione in 3D: tentando di far luce  sulle ombre, portando a galla le contraddizioni, svelando aspetti a prima vista meno rilevanti ma non per questo  marginali, occupadoci del contesto in cui ha vissuto, operato e scritto, cercando di conoscere meglio le persone che gli sono state vicino e quelle che gli hanno ruotato attorno.
Come abbiamo detto, crediamo che tutto questo non solo possa migliorare la conoscenza di uno specifico autore, ma farci entrare nei meccanismi  della sua scrittura, del suo stile del metodo di lavoro che inevitabilemente sono una simbiosi tra la sua creatività, la sua essenza e le sue esperienze.
Ovvimante siamo aperti alle vostre critiche e speriamo nei vostri consigli per cercare di fare di Simenon-Simenon uno strumento sempre più utile.
 

martedì 15 novembre 2011

SIMENON. MA NON SAREBBE ORA DI UN NUOVO MAIGRET?

Ovviamente il Maigret cui ci riferiamo nel titolo è l'interpretazione cinematografica o televisiva del comissario simenoniano. In Italia ci hanno provato nel 2004 a far partire una serie, quella su una tv Mediaset e con Castellitto protatagonista. Ma è andata come è andata (se non sbagliamo furono trasmesse solo due puntate... e pensare che la produzione ne aveva opzionate venti, trattando con gli eredi di Simenon).  Non ce la sentiamo di aggiungere anche un nostro severo commento, alle numerose critiche già tanto taglienti e  rinvagare i magri risultati in termine di audience, non foss'altro per la stima che abbiamo di Casellitto che però, come succede nella carriere dei migliori attori, in quel caso fece una scelta sbagliata, anche perchè sceneggiatura, realizzazione e regia affondarono definitivamente il progetto davvero molto rapidamente.
Non so a voi, ma a noi é rimasta la voglia di rivedere una nuova serie, anche breve, o un bel prodotto cinematografico che non siano più i dvd del Maigret di Cervi, Fabbri e Landi, oppure le repliche dei francesi Jean Richard o Bruno Cremer.
Qualche giorno fa, il 27 ottobre in Siemenon. Una nuova faccia per un nuovo Maigret? alla fine del post vi proponevamo: scegliete tra gli attori d'oggi il vostro Maigret ideale (segnalatecelo in un commento o all'indirizzo di posta simenon-simenon@temateam.com). Noi in un prossimo post cercheremo di fare altrettanto...  vediamo cosa esce fuori!
Bene, ci siamo. La foto che vedete all'inizio di questo testo, molto sommariamente ritoccata, ha trasformato un attore contemporaneo in un Maigret. L'attore non è di primo pelo e ha avuto esperienze al cinema e a teatro.
E' di lingua francese. Ha le fisique du role. Crediamo che potrebbe funzionare. Certo il protagonista non è tutto, ma questo sarebbe, riteniamo noi, un buon primo passo. 
Cinema o tv? La nostra scelta si è orientata nei confronti di un attore essenzialmente cinematografico, ma ormai anche in Europa, come da tempo è successo in America, produzioni, regie e qualche volta anche interpreti si dividono indifferentemente tra i programmi televisivi come i serial e i prodotti per il grande schermo. Potrebbe essere anche un mini-serie tv.
Certo, l'impresa, visto ad esempio in Italia il successo del Maigret di Cervi, sarebbe un confronto continuo, anche se sono passati quasi quarant'anni e il modo di recitare, di tradurre un romanzo in sceneggiatura sono completamenti cambiati. Sono mutati i ritmi, il tipo di montaggio e la stessa recitazione. Ma non significa che gli errori fatti da Mediaset  debbano pesare come un macigno e spaventare i produttori con la paura di un analogo flop.
Comunque questo è un gioco da appassionati. Chi vuole partecipare è atteso con entusiasmo e con curiosità. Indicateci un attore italiano o straniero... truccato o no da Maigret, e diteci perché secondo voi sarebbe adatto per questo ruolo...
A proposito, avete sicuramente riconosciuto l'attore che abbiamo un po' goffamente travestito per il nostro esempio. No?... Ma come un nome così famoso... Provate a rispondere. E poi chissà che le vostre proposte non mettano una mosca nell'orecchio di qualche produttore? Tra due o tre giorni vi diremo chi è... ma sicuramente ci arriverete prima da soli.







lunedì 14 novembre 2011

SIMENON, QUAL E' LA PARIGI DI MAIGRET?

Una veduta di Parigi nel  1930 - L'ippodromo
La Parigi degli anni '30-'40? Sì. Diciamocelo, è quella in cui, nel nostro immaginario collettivo, vediamo muoversi Maigret, anche se ad esempio la serie televisiva inglese (con Rupert Davies  dal '60 al '63) e quella italiana (ma poi vedremo anche quelle francesi) presentavano un'ambientazione in periodi contemporanei ai nostri. Anche Gino Cervi, del resto aveva debuttato sulla Rai con il suo Maigret nel '64, quando Simenon era ancora in piena attività. L'ultima inchiesta che scrisse fu infatti Maigret et Monsieur Charles nel 1972.  E quindi la Parigi in cui si muove Maigret parte sì dagli anni '30 con i tram con la piattaforma aperta (dove il commissario fumava la sua amata pipa... beato lui!) ma arriva poi  agli anni '70 e in casa Maigret troviamo la televisione e sotto, in boulvard Richard Lenoir, é parcheggiata la loro autovettura (che per altro era la moglie a guidare). Insomma Simenon nei quarant'anni in cui scrisse le inchieste adottò una serie di cambiamenti, forse i medesimi che viveva lui stesso e i suoi lettori.
Non poteva o non gli era congeniale rimanere inchiodato ad un'epoca... L'unica cosa che un po' lo irritava è che anche il commissario invecchiava, ma molto, molto più lentamente di lui.
Nel 1930 a Parigi iniziavano ad installare i primi semafori perchè era ormai una metropoli di circa cinque milioni di abitanti (dove la metrò funzionava gia da trent'anni!), mentre negli anni '70 si superavano oramai gli otto milioni.  Era la città in cui nel '30  si era appena costruito uno stadio per il tennis, il Roland-Garros e negli anni '70 si demolivano simboli storici come il famosissimo mercato de Les Halles. Insomma la vità era cambiata non poco e per di più di mezzo c'era stata la seconda guerra mondiale con gli orrori del nazismo, poi l'immigrazione dalle colonie...
Invece Maigret e le sue storie tutto sommato non sono cambiate granchè, o forse sì, ma quasi non ce se ne accorge.
Parigi 1930 - Un tratto della metro aerea
In quei quarant'anni il mondo si era rivoluzionato, le tecniche scientifiche d'indagine si era raffinate e i mezzi per combattere la malavita e risolvere i casi erano molto più sofisticati. Maigret, però, continuava con il suo metodo, anche a rischio di apparire antiquato, sorpassato, ormai buono per la pensione. E che la sua Pairigi, e i parigini, fossero enormemente cambiati, non pesa sulle sue inchieste. Forse è lo stesso motivo per cui i giapponesi lontani anni luce per cultura e mentalità da Simenon, ne apprezzano i romanzi, i Maigret e hanno prodotto addirittura una serie televisiva dedicata a lui. E' evidentemente un personaggio che va dritto al cuore degli uomini, al di là del tempo e dello spazio. E alla Parigi di Simenon succede lo stesso.
Anche i francesi si abituarono con due serie televisive, prima quella con Jean Richard dal '67 al '90 e poi con quella con Bruno Cremer dal 1991 al 2005, a vedere sul piccolo schermo una Parigi contemporanea, con le strade piene di traffico, telefoni moderni, e un Maigret senza lo "chapeau melon" e il pesante cappotto dal collo di velluto. Immutabili come la sua pipa, solo Quai des Orfévres (che però tra un po' non sarà più la sede della polizia giudiziaria), la Senna che scorre sotto le sue finestre, la Tour Eifel...

domenica 13 novembre 2011

SIMENON: CLOCHARD, TIMORE O ATTRAZIONE?

"Il clochard, il cugino degenerato dell'eremita". Così nel 1955 Simenon definiva il clochard. Questo personaggio lo affascinava da un lato, ma lo atterriva dall'altro. Se lo consideriamo come l'ultimo gradino della scala sociale, quell'estremo più basso raggiunto da chi ha compiuto il famoso "passaggio della linea", capiamo come Simenon ne fosse atterito, dal momento che secondo lui non ci voleva tanto a varcare il famoso confine. Bastava un fatto accidentale, a volte nemmeno grave, ma che scatenava tutta una serie di eventi che si collegavano uno all'altro in una spirale involutiva che privava il malcapitato del proprio posto nella società, del denaro guadagnato in anni di lavoro, del rispetto degli altri conquistato giorno per giorno. E lo scrittore non escludeva che potesse capitare anche a lui, per quanto fosse ricco e famoso. Lui la chiamava "la vertige du clochard".
"...Sapete quanti ce ne sono sotto i ponti che sono stati professori unversitari, medici, dottori in legge - spiegava Simenon in un'intervista a Roger Stéphan nel '63 - E' una realtà. Sareste stupito nel vedere la vita di questi clochards...". Ma l'obiezione che veniva da più parti è che, almeno allora, spesso diventare clochard era una scelta lucida e consapevole, una rinuncia a tutto in piena libertà.
Simenon lo sapeva benissimo "... ne ho conosciuti tre, uno era professore a Strasburgo, uno direttore di una società e il terzo era un vecchio libraio...", e forse è proprio questo che lo affascinava della gente che aveva avuto il coraggio di fare questo passo, tanto che gli sorgeva un dubbio "... Chi vive sotto i ponti, il clochard, è forse colui che arriva più vicino possibile alla dignità umana. Non ha bisogno di nessuno. Non ha bisogno di rassicurarsi. Non ha bisogno di un vestito cucito da un sarto per credersi una persona importante. Non ha bisogno di titoli né di altro. Si sdraia sotto i ponti con il suo litro di vino ed è tutto. E' lui che invidio di più...".
Ecco la fascinazione, l'altro lato del Simenon mondano, famoso, ricco con una vita piena di impegni soddisfazioni, ma anche di obblighi e  convenzioni. Il clochard è vicinissimo a quell'uomo nudo, che lui tanto cerca con la sua opera. Non ha sovrastrutture, non deve interpretare ruoli, non ha una reputazione da difendere. E' lui, lui stesso, senza schermi, maschere o filtri. E' così com'è.
"...spesso desidero realizzare questo sogno di libertà, sacrificando tutto quello che possiedo enon sarei più infelice di ritrovarmo in Place Saint-Francois senza un soldo. Ma di fronte ai miei figli, evidentemente, non ho il diritto di farlo...". Senso di responsabilità? Certo. Ma la suddetta "vertige du clochard" rimane lì sempre in agguato.