sabato 15 settembre 2012

SIMENON, COSA SCRIVEVA DI JOSEPHINE BAKER

Una tempesta che sconquassò gli ormoni di tutti i maschi parigini dall'ottobre del 1925. Per carità, gli uomini di Parigi non erano certo disabituati alle bellezze che esibivano le loro intime grazie a partire dal Moulin Rouge, giù giù alle sale di varietà più modeste. Ma quando arrivò da Saint-Louis questa creola dai capelli corti e avara di vestiti, che di muoveva sulle note del jazz  di Sidney Bechet (un clarinettista famoso, per altro bianco), che alle loro orecchie rievocavano ritmi tribali africani, tutti impazzirono. Fu tutto uno scandalo: quel suo abito di scena, il gonnellino di banane divenatato poi famosissimo, quei suoi capelli alla "maschietta", quella mancanza di pudore sul palcoscenico e quella sensualità ferina che sprizzava da tutti i suoi pori. Insomma fu un ondata che tramortì gli uomini (ma sedusse anche le donne) e alla quale non scappò neanche il giovane Georges Sim, allora ventiduenne, che fu accalappiato dalle spire sensuali di quella irresistibile ventenne.
La storia d'amore tra i due l'abbiamo già raccontanta (vedi Un uragano chiamato Josephine Baker). Oggi vogliamo proporvi invece quello che Simenon scriveva di lei, ma non in un suo segreto diario, o in un epistolario. No, negli articoli che allora pubblicava sui giornali popolari, in cui scriveva della Baker in modo estasiato, incantato, incurante di dimostrare così il suo trasporto nei suoi confronti.
Inziamo dalla sua presentazione: "... è senza dubbio il sedere più celebre del mondo e anche il più desiderato.... è un sedere fotogenico. Lo schermo riproduce i suoi contorni precisi e dolci , i suoi fremiti lascivi e movimenti più selvaggi..:". Non c'è dubbio che il cosiddetto lato "B" è quello che ha più colpito il giovane giornalista e da lì inizia a parlarne, senza metafore, né termini allusivi.
E così continua. "... l'abbiamo vista con l'aureola di banane, dai caldi riflessi d'oro. L'abbiamo vista contornata da piume rosa dai toni delicati che facevano risaltare il bronzeo della sua pelle. L'abbiamo vista nuda... Abbiamo soprattutto visto questo sedere talmente teso e talmente lontano dal busto... che costituiva un essere a parte, vivo di vita propria, lontano, molto lontano dal volto della Baker sul quale, burlescamente, gli occhi si riempivano di stupore..."
Abbiamo letto, scene si sesso nei romanzi di Simenon, ma uno stile così esplicito e crudo. Evidentemente il fuoco dei vent'anni e quello che chiedevano i giornali rosa per cui scriveva concorrevano entrambe a coniare questo linguaggio.
Ma poi dice che "... lei ride...e fa vedere tutti i suoi denti. Ride sprattutto con gli occhi, quei grandi occhi che hanno dei  riflessi così luminosi come quelli dei suoi lucidi capelli. Occhi con un bianco inverosimile in cui due carboni neri ruotano sia insieme che fissando due punti diversi...".
L'attrazione fisica, i vent'anni, l'essere del tutto disinibiti, li fecero uno per l'altro, in una storia di sesso e di attrazione tanto intensa quanto breve.

venerdì 14 settembre 2012

SIMENON. GEORGES E IL CASO "DENYSE"

Nella sua vita Georges Simenon ebbe almeno due occasioni di confrontarsi con casi di depressione e le conseguenze su persone che gli erano molto vicino. La seconda moglie Denyse e la figlia Marie-Jo. Certo cause diverse, depressioni diverse, modi di reagire e di distruggersi differenti. Oggi ci occupiamo della moglie canadese che probabilmente era sempre stata un po' instabile, con dei complessi di inferiorità e, quando entrò nella sfera affettiva di Georges, non si accontentò di essere la sua compagna. Il pretesto con cui era entrata in casa Simenon era quella di fare la segretaria-traduttrice allo scrittore, anche se l'amore tra i due era la vera natura di questa convivenza (vedi La calda stagione di Denyse e Georges). Ma Denyse prese alla lettera anche il suo incarico e anzi allargò le sue attività a mansioni che non sarebbero state di sua competenza. Questo placava il suo senso di insicurezza e Georges lasciava correre, anche se era consapevole che in certi ambiti i risultati del lavoro della consorte non erano positivi. Ma la comprendeva ed era disposto anche ad andare incontro a dei problemi, pur di vederla gratificata. Ma lei, una volta messe le mani sugli affari, continuava a patire le incertezze di una donna che vive in un (relativo) incognito la sua situazione sentimentale. Anche se ormai il matrimonio tra Georges e Tigy da tempo non poteva più chiamarsi tale, lei durante cinque anni non fu ufficialmente né la compagna dello scrittore, né tantomeno la signora Simenon. Anche quando, a fine settembre del '49, mise al mondo il secondo figlio dello scrittore, Johnny, e nemmeno un anno, dopo il divorzio di Georges da Tigy, con il matrimonio era diventata ufficialmente la moglie dello scrittore, madre di suo figlio, la situazione non cambiò.
Entrava infatti in scena il complesso d'inferiorità che si palesava soprattutto nelle (poche in verità) occasioni mondane o di lavoro che Simenon doveva presenziare. In quei frangenti le attenzioni dei vip, quella dei giornalisti, dei fotografi, erano ovviamente tutte per lo scrittore. La consorte era spesso lasciata in disparte, fuori da quel cono di luce che invece si accendeva sul marito. Lei faceva di tutto per essere una moglie al livello della situazione: vestiti da diva, costosi gioielli, toilette interminabili, la fisima di arrivare ultima e inscenare la sua éntrée al braccio del famoso marito. Ma tutto questo non serviva, lei rimaneva sempre nell'ombra. L'esempio culminante fu quello di quando Simenon fu chiamato a fare il presidente della giuria del Festival del Cinema di Cannes nel 1960. Tra la popolarità del marito, il suo importante ruolo e tutte le famosissime star che giravano per il festival, la sua era una lotta impari. Per quanto facesse era sempre mortificata (vedi Spese pazze per M.me Denyse per il Festival di Cannes).
E a tutte queste difficoltà Denyse reagiva bevendo sempre più, sfogandosi con il marito in violente e furibonde litigate, trattava male la servitù. Sbalzi di umore, l'instabilità mentale e la depressione avevano una conseguenza anche su lavoro che svolgeva. Al punto che al ritorno in Europa, con la scusa che la conoscenza della lingua inglese non era più importante, Georges le tolse tutto il lavoro per affidarlo ad un'efficiente e capace giovane, M.me Aitken, che poi seguirà per sempre il lavoro dello scrittore. Questo fu un altro colpo. Ormai la situazione per lei era fuori controllo e nonostante la coppia avesse avuto altri due figli Marie-Jo e Pierre, la convivenza diventava ogni giorno sempre più difficile. Denyse giunse a prendersela anche con i figli e soprattuttto con Marie-Jo che era molto attacata al padre, e sembra che ci sia stato un episodio allimite dell'incestuoso tra madre e figlia che segnò pesantemente Marie-Jo, che di per sè aveva già mostrato dei problemi.
Nel corso degli anni Denyse era stata in cura da diversi medici, ma con scarsi risultati, ci furono anche dei periodi passati in case di cura, finchè nell'aprile del 1964 fu ricoverata in una casa di cura a Neuil, ma fu una partenza definitiva, un punto di non ritorno. (vedi Denyse, il declino e la separazione) Denyse passò da un clinica all'altra e infine andò a vivere per suo conto, alimentando un risentimento fortissimo nei confronti di quello che legalmente rimaneva suo marito (i due non divorziarono mai). Voleva distruggerlo, mostrare alla gente come, a suo avviso, era in realtà. Scrisse aiutata da un giornalista un libro Un oiseau pour le chat (vedi Denyse e la vendetta nero su bianco) dove metteva a nudo il proprio rapporto con lo scrittore e tutte le pretese "mostruosità" di Georges.

giovedì 13 settembre 2012

SIMENON, PROTAGONISTA A "GRADO GIALLO"

Giunto alla sua quinta edizione, Grado Giallo, un festival letterario che si svolge da 5 al 7 ottobre prossimi nella cittadina adriatica, ad una cinquantina di chilometri da Trieste, dedica, come di consueto, una parte del suo programma alla rievocazione di uno scrittore italiano e di uno straniero. Per questa edizioneil primo sarà Antonio Tabucchi e l'altro Georges Simenon.
Al romanziere francese verrà dedicata la mattinata di sabato 6 nella sezione Spazio noir.  Al professore e saggista Graziano Benelli verrà affidato il tema "Simenon: dal romanzo d'immaginazione al romanzo puro". Poi seguirà un'intervista di Loris Rambelli, scrittore che, sollecitato dalle domande di Renzo Cremante, parlerà di "Ezio D'Errico: il Simenon d'Italia" (scrittore e drammaturgo del '900, autore dei gialli con il commissario Emilio Richard, ambientati in Francia).
E infine anche noi di Simenon-Simenon siamo stati invitati per un intervento sul tema "Gli italiani e Simenon (o La fortuna di Simenon in Italia)".
Ma l'attenzionedi Grado Giallo per Simenon con Delitti sullo Schermo, una rassegna cinematografica che venerdi 5, alle 21.00, vedrà la proiezione di Maigret a Pigalle, l'unico film diretto da Gino Landi e interpretato da Gino Cervi che ripropose sul grande schermo la coppia vincente dei famosissimi sceneggiati televisivi della Rai degli anni '60/'70.

mercoledì 12 settembre 2012

SIMENON. E SE MAIGRET SI FOSSE FERMATO NEL 1934?


Questa volta la nostra attachèe Murielle Wenger ci pone un interrogativo fondato su un'ipotesi nient'affatto improbabile e che suscita una serie di riflessioni





Et si tout s'était arrêté en 1934 ? - 19 janvier 1934. Les lecteurs du quotidien Le Jour peuvent découvrir une annonce sur la parution prochaine (soit pour le 20 février), d'une nouvelle enquête de Maigret. L'annonce est accompagnée d'un texte de Simenon, dans lequel il s'explique sur la reprise de son personnage, qu'il pensait avoir abandonné avec sa mise à la retraite dans L'Ecluse no 1. Sollicité par le rédacteur du quotidien, et par de nombreuses lettres de lecteurs déçus par la mise au rencart du commissaire à la pipe, l'auteur a accepté de faire revivre une nouvelle aventure à son personnage, mais ce sera la dernière, dit-il, en en faisant le serment.
Et si Simenon avait tenu parole ? Voilà une question qui peut sembler quelque peu oiseuse, mais je m'amuse à la poser, comme point de départ à quelques réflexions.
Et si donc Maigret n'avait connu que les enquêtes de la période Fayard, que serait-il advenu ? Qu'y aurait-on perdu ? Et qui y aurait perdu ?
Simenon lui-même ? Certes, le romancier avait assez de ressources – et il l'a prouvé par la suite – pour écrire autre chose que des romans policiers. Sa notoriété aurait très bien se passer de Maigret pour s'établir sur ses autres écrits. Tout au plus y aurait-il perdu une sorte de "compagnon de vie", à qui il a pu donner certaines de ses propres aspirations, de ses propres ressentis, et s'il a gardé le personnage, c'est peut-être, comme il l'a dit, pour écrire des "romans délassants", entre deux romans durs. Mais c'est aussi pour faire passer à travers un roman de Maigret des sujets qu'il n'arrivait pas aborder dans les autres romans. C'est sa relation au personnage lui-même qui explique pourquoi il ne l'a jamais lâché: au départ, Maigret est un monsieur d'environ 45 ans, décrit par un jeune homme dans la trentaine, avec une certaine distance, mais où on sent déjà poindre un attachement pour le personnage. Mais à ce moment-là, rien n'est joué, et le romancier a en réserve d'autres héros, qu'il mettra au devant de la scène si nécessaire... Ce n'est qu'une fois le succès établi qu'il se décide pour Maigret, et encore... Il faut attendre les Presses de la Cité (nous reparlerons de l'intermède Gallimard plus loin) pour voir l'auteur se rapprocher de son personnage: il faut dire que Simenon a atteint, lui aussi, la quarantaine, et que pour décrire Maigret, il peut s'appuyer sur sa propre expérience de vie. C'est donc avec un autre point de vue qu'il peut considérer son commissaire, et lui donner plus de choses de lui-même: son affection pour les "petites gens", son appétit de la vie, de la bonne chère et de la lumière du petit matin parisien...
Et Maigret lui-même, y aurait-il perdu de s'arrêter de vivre en 1934 ? Et, par devers lui, les lecteurs ? Certainement. D'abord, le personnage serait resté ce bloc monolithique qu'il était dans la période Fayard. Attachant certes, atypique déjà, et suffisamment passionnant pour connaître dès lors le succès après ces dix-neuf romans. Dans ces romans d'avant-guerre, est déjà contenu ce qui fait l'essentiel du personnage: sa façon de mener une enquête, son empathie, mais il manque encore bon nombre de détails qui vont l'affiner, au propre et au figuré, qui vont lui donner de la profondeur, de l'humanité: d'une part, ses caractéristiques propres: sa façon de "humer" la vie, de jouir de toutes les sensations, odeurs et couleurs; d'autre part, son entourage: c'est Mme Maigret qui va prendre une place de plus en plus importante, surtout dans le cycle Presses de la Cité; mais c'est aussi la relation avec ses inspecteurs, et avec d'autres personnages (comme le Dr Pardon, par exemple), qui prennent du corps, et tout cela fait que les lecteurs vont de plus en plus s'attacher à ce personnage, qui semble jaillir du papier pour devenir un être de chair...
Et si Simenon avait définitivement abandonné son personnage en 1934, les lecteurs n'auraient pas connu les six romans de la période Gallimard, cette période intermédiaire, mais néanmoins essentielle pour la vie du commissaire: d'abord, cette étape a sans doute été nécessaire pour le romancier dans sa relation à son personnage, pour l'incliner à reprendre celui-ci après son serment de ne plus y toucher... Certes, il y a eu les nouvelles, commandées par divers journaux d'avant-guerre, mais celles-ci ressemblaient plus à un jeu, à un amusement auquel Simenon se livrait entre deux romans destinés à la sérieuse maison Gallimard. Mais le romancier aurait tout aussi bien peu en rester là. On a dit que c'est Gaston Gallimard lui-même qui a poussé Simenon à reprendre son personnage, dont, en éditeur avisé, il connaissait le potentiel en terme de rentrées financières. Simenon aurait tout aussi bien pu refuser: il a toujours su ce qu'il voulait et imposer ses conditions... On a l'impression, en lisant les six romans de la période Fayard, que la vision que l'auteur a de son personnage est en train de changer: ces romans ont un certain ton de légèreté, une dose d'humour bien plus marquée que dans la période Fayard, et Simenon regarde Maigret d'un œil différent, réjoui, et bientôt c'est une certaine tendresse qui va prendre le devant avec la période Presses de la Cité... Peut-être faut-il voir aussi, dans ces romans, un reflet de la période historique traversée par le romancier à ce moment-là: cette étape intermédiaire, entre le massif commissaire bougon des années 1930 et l'empathique "raccommodeur de destinées" des années 1950 à 1970, est à l'image de la période d'écriture: entre la période mouvementée de la fin des années folles et de la crise des années 30, et celle des bouleversements socio-économiques d'après-guerre, les années 40 sont marquées par l'Histoire, mais sont en même temps comme une étape, de "mise en veilleuse", d'attente de jours meilleurs, et peut-être Maigret a-t-il été pour Simenon, à ce moment-là, une sorte d'"échappée lumineuse", de refuge, une forme de légèreté dans un monde gris et glauque pris dans un conflit dont personne n'est sorti indemne... (Murielle Wenger)



                                  19 gennaio 1934. I lettori del quotidiano Le Jour possono leggere l'annuncio sulla prossima pubblicazione (per il 20 febbraio successivo) di un racconto di Maigret. L'annuncio è accompagnato da una nota di Simenon il quale spiega il ritorno del suo commissario, che aveva pensato di abbandonare in occasione della sua andata in pensione, nell'indagine L'Ecluse n°1.
Sollecitato dal direttore del quotidiano e da numerosi messaggi di lettori, delusi per l'accantonamento e del commissario con la pipa, l'autore aveva accettato di far rivivere una nuova avventura al suo personaggio, ma questa volta sarebbe stata l'ultima, facendone di ciò una sorta di giuramento.
E se Simenon avesse tenuto fede a quella promessa? Forse questa può sembrare una domanda un po' oziosa, ma mi piace porla come punto di partenza per una serie di riflessioni.
E se quindi Maigret non avesse conosciuto altro che il periodo delle edizioni Fayard, cosa sarebbe successo? Cosa ci saremmo persi? E chi avrebbe perso?
Simenon in prima persona? Certo il romanziere era dotato di sufficienti risorse - e l'ha poi ampiamente dimostrato - per scrivere altre cose che romanzi polizieschi. La sua notorietà avrebbe tranquillamente fatto a meno dei Maigret e per arrivare da altre opere. Tutt'al più avrebbe perduto un "compagno di strada" al quale ha potuto trasferire alcune delle proprie aspirazioni, delle proprie considerazioni, e se ha voluto conservare questo personaggio può darsi, come lui stesso ha detto, sia stato "...per scrivere dei romanzi rilassanti tra due romans-durs...". Ma anche per comunicare attraverso un romanzo di Maigret degli argomenti che non avrebbe potuto toccare negli altri romanzi. E' il suo rapporto con il personaggio, stesso che spiega il perchè: all'inizio Maigret era un signore di circa 45 anni, descritto da un giovane uomo sulla trentina, quindi con una certa distanza, ma già si sente nascere un certo attaccamento per il personaggio. Ma in quel momento nulla è ancora deciso, il romanziere ha come riserva altri personaggi che potrebbe mettere in scena, se fosse necessario... E' soltanto al momento del sucesso di Maigret che arriva la decisione e ancora... Occorre attendere la Presses de La Cité (parleremo dell'intermezzo di Gallimard più avanti), per vedere l'autore riavvicinarsi al suo personaggio. A questo punto va ricordato che anche Simenon a quel momento ha raggiunto la quarantina e per descrivere Maigret può avvalersi delle esperienze della propria vita. E' dunque con un altro punto di vista che può considerare il suo commissario e può dargli qualcosa di sé stesso: il suo affetto per la "povera gente", il suo appetito per le vita, per il buon cibo e per la prima luce dell'alba parigina.
E lo stesso Maigret ci avrebbe perduto a fermare la sua avventura nel 1934? E all'inverso, i suoi letori? Sicuramente. Prima di tutto questo personaggio sarebbe rimasto prigioniero di questo blocco monolitico che fu il periodo Fayard.  Attraente certo, già atipico, e sufficientemente appassionante per conoscere fin da allora il successo, dopo questi diciannove romanzi. Nei romanzi dell'ante-guerra c'è già tutto quello d'essenziale che definisce il personaggio: il suo modo di condurre un'inchiesta, la sua empatia, ma manca ancora un buon numero di dettagli che andranno a definirlo meglio, che gli confriranno più spessore e più umanità. Da un parte le sue caratteristiche originali: il modo di "respirare la vita", di gioire con tutti i sensi, per gli odori, per i colori; d'altra parte il suo entourage, c'è M.me Maigret che assumerà un ruolo sempre più importante, soprattutto nel ciclo di Presses de La Cité; ma anche il rapporto con i suoi ispettori  e anche con altri personaggi (come il dottor Pardon, per esempio), che prendono corpo e tutto questo spinge sempre più i lettori ad affezionarsi al personaggio che sembra così uscire dalle pagine dei libri per divenire un essere in carne ed ossa...
E se Simenon avesse definitivamente abbandonato il suo personaggio nel 1934, i lettori non avrebbero mai conosciuto i sei romanzi del periodo Gallimard, un intervallo di tempo intermedio, per altro nondimeno essenziale per la vita del commissario: inannzitutto questa tappa è stata necessaria al romanziere nel suo rapporto con il suo personaggio, per poterlo riprendere di traverso dopo il suo "giuramento" di non scriverne più... Certo ci sono i racconti, commissionati da diversi giornali ante-guerra, ma quelli sembrano più un gioco e un divertimento che Simenon si concedeva tra due romanzi destinata alla prestigiosa maison Gallimard. Ma il romanziere avrebbe potuto continuare a scrivere per questa. Si è detto che è stato Gaston Gallimard in persona a fare pressioni affinchè Simenon riprendesse a scrivere le inchieste del commissario di cui, da editore esperto, sapeva le potenzialità in termini di guadagno. E Simenon avrebbe poto benissimo rifiutare. Ha sempre saputo cosa voleva ed è sempre riuscito ad imporre le sue condizioni... Leggendo i sei romanzi del periodo Gallimard, si ha l'impressione che la visione dell'autore nei confronti del prorio personaggio vada cambiando: questi romanzi hanno un tono di leggerezza, una dose di humor molto più evidenti di quelli publicati da Fayard e Simenon guarda Maigret con un occhio diverso, rinnovato e con una certa tenerezza che ritroveremo anche nel periodo Presses de La Cité... Forse si può intravedere in questi romanzi il riflesso del periodo storico attraversato dal romanziere in quel momento, un tappa intermedia tra il massiccio commissario burbero degli anni '30 e l'empatico "accomodatore dei destini" degli anni '50 e '70. La scrittura come specchio del tempo: dal periodo movimentato tra la fine degli anni folli e la crisi degli anni '30 e quello dei rivoluzionamenti socio-economici del dopo-guerra, gli anni 40 sono caratterizzati dalla Storia, ma sono al contempo come una "sospensione temporale" in attesa di giorni migliori e forse per Maigret, ma può valere anche per Simenon, costituire una sorta di rifugio, una forma di leggerezza in un mondo grigio e oscuro, vittima di un conflitto da cui nessuno è uscito indenne.(Murielle Wenger)

martedì 11 settembre 2012

SIMENON. REPORTAGE DAL CAPEZZALE DELL'EUROPA

Nel 1933 Simenon, iniseme alla prima moglie Tigy, partì da La Richardiére per un giro nei paesi europei che avrebbe fornito materiale per diverse riviste. La prima tapa fu la Germania, Dusseldorf, Colonia, Francoforte e quindi Berlino, scossa dalle prime manifestazione dei nazisti (è qui che Simenon si trovò nell'ascensore del hotel Adlon a faccia a faccia con Hitler). Poi fu la volta della Polonia e quindi dei paesi dell'Est Europa: Cecoslovacchia, Ungheria, Romania dei quli crisse diversi articoli come "Popoli che hanno fame", prevedendo una sorta poco felice per il continente. Non per nulla la serie di articoli erano stati chiamati "il dr. Simenon si reca al capezzale di un Europa malata". Del viaggio fece un reportage, Europe 33,  su Voilà, un settimanale su cui aveva già pubblicato degli articoli dopo il suo viaggio in Africa del 1932. Qui scrisse frasi poco prevveggenti, facendo intendere che  era proprio quello che sarebbe diventato il Fuhrer che aveva messo rimedio al disordine e alla confusione, anche ideologica, della Germania della repubblica di Weimar.
"... Hitler li ha rimessi in riga... facendo loro ritrovare la fierezza e la gioia di essere nati cittadini della grande Germania..." . Questo a suo avviso era un medicina amara che i tedeschi dovevano pagare "... voi mi parlate di ebrei, di comunisti di eccessi, di atrocità.... vi ricordo quello che dicevate all'inizio: gli spari sui tram... i milioni di marchi nelle tasche e portavivande vuoti...".
Parole molto forti e a proposito delle quali, ogni volta che gli venivano ricordate, si trincerava dietro la sua rinuncia ad essere pubblicato in Germania dopo l'ascesa di Hitler.

lunedì 10 settembre 2012

SIMENON: MA MAIGRET E' UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO O... GRANDE?

Simenon era abile. Assai abile. Ad esempio, nel costruire il personaggio più famoso della sua opera, ha scelto un borghese. Uno di quelli che, se non fosse stato per il tipo di mestiere che esercitava, sarebbe stato un uomo tutto casa e ufficio, accudito e pasciuto da una premurosa mogliettina. Un funzionario scrupoloso, onesto, ma non brillante, soprattutto se la sua occupazione fosse stato di tipo burocratico. Simenon lo ha detto chiaro e tondo: Maigret non è intelligente, è intuitivo.
E per un commissario di polizia giudiziaria può essere un dote straordinaria, ma per un impiegato, anche di buon livello, l'intuizione non serve.
La scelta del borghese può apparire di primo acchito un po' in contrapposizione con le idee che Simenon aveva della piccola borghesia, attacata alle tradizioni, alle loro piccole gratificazioni, con un'attitudine più ad apparire che ad essere.
E nei suoi romanzi non ha avuto remore nel raccontare di questi piccoli personaggi, gretti, un po' ristretti nelle loro vedute, nella loro vita piccola piccola invidiosi dei successi o delle ricchezze dei loro pari, dandone ovviamente un giudizio negativo per il comportamento che teneva conto delle convenienze sociali, che indossava una maschera che a volte li opprimeva a tal punto che poi bastava un nonnulla per compiere il passaggio della linea. Liberatisi dalle convenzioni e dai vincoli borghesi e ptevano darsi liberamente ad una vita sregolata, dominata solo da piacere e dal caso. Questo voleva dire essere ripudiati dal consesso sociale e non di rado imboccare prima o poi un cirrcolo vizioso che li avrebbe portati alle estreme conseguenze, spesso al carcere quando non addirittura alla alla morte.
Maigret allora è una mosca bianca. Infatti molte delle caratteristiche che abbiamo elencato sono ache le sue, ma... C'è un ma. Maigret stona in mezzo a questo grigiume borghese se non altro per una sua caratteristica, la sua famosa convinzione "meglio capire che giudicare". Questo gli fornisce un modo di vedere il mondo che va lontano, che non si ferma alle apparenze, che scava tra la psicologia e che si addentra tra le esperienze concrete della gente, che ne studia l'ambiente e le relazioni interpersonali, per coglierne l'essenza e quindi compredere il perchè di certi comportamenti e i motivi che potrebbero averlo spinto o mano a compire quel reato.
Questo basta per fare di Maigret, borghese con una statura e una caratura che nulla aveva a che fare con i borghesi piccoli piccoli dei romanzi di Simenon. Poi la sua giovinezza a contatto con i contadini, nel fondo amministrato dal padre, gli anni di università a medicina e soprattutto la carriera che lo aveva portato ad essere, non solo un commissario divisionale della polizia giudiziaria di Parigi, ma anche un personaggio noto alle cronache, dal momento che nei casi più clamorosi i quotidiani parlavano spesso e volentieri di lui.
E di qui anche le sue, forzate e sia pur esigue, relazioni con un mondo di personaggi che andavano dal giudice Comelieu, in su che forzavano la sua natura che rimaneva essenzialmente borghese. Potremmo dire il lato buono della borghesia? Forse Simenon pensava al padre Desiré, impegato d'assicurazioni, ma senza velleità di carriera? D'altronde anche Maigret, quando gli fu offerta, rifutò la Direzione Generale di tutta la polizia parigina. A lui bastava restare commissario.