martedì 20 gennaio 2015

SIMENON SIMENON. ROMANZI DELLA CUVEE' FAYARD, GALLIMARD O PRESSES DE LA CITE'? / I


Quando un personaggio letterario diventa protagonista di numerosi romanzi e quando il loro numero é abbastanza consistente da costituitre una "saga", è grande la tentazione di cercare dei presupposti creativi, di rintracciare un'evoluzione sia nello stile in cui è scritta, sia nei rapporti tra l'autore e il suo personaggio.
Fino ad oggi abbiamo seguito l'abitudine di caratterizzare il "corpus" dei Maigret secondo tre periodi, in funzione dei tre editori che si sono succeduti (Fayard, Gallimard e Presses de La Cité), anche se questa divisione é molto relativa perchè si potrebbe guardare al "corpus" delle opere come un continuum, senza soluzione di continuità. Dopotutto non c'è stato un periodo veramente lungo in cui Simenon abbia abbandonato il suo personaggio: l'ultimo Maigret scritto per Fayard data 1934; il primo per Gallimard è scritto nel 1939, e nel frattempo il romanziere scriveva una serie di racconti che mettevano in scena il commissario; l'ultimo Maigret per Gallimard è stato scritto nel 1939 e il primo per Presses de la Cité nel 1945. Fino alla fine Simenon continuerà a scrivere dei Maigret, contemporaneamente ai romans-durs, terminando la sua attività letteraria (opere biografiche a parte) proprio con un romanzo dei Maigret.
Questi tre periodi del "corpus" possono essere considerati secondo alcune caratteristiche particolari: il periodo Fayard contraddistingue un commissario massiccio, abbastanza stilizzato, spesso visto con un sguardo superficiale e quasi divertito da parte di un giovane autore che ha creato un uomo già maturo, e in tutti i casi più anziano di lui. 
Se sono già presenti gli elementi che faranno di Maigret un personaggio a parte nella letteratura, si è ancora relativamente vicini alle fonti d'ispirazione del romanzo poliziesco dell'epoca (anche se l'autore ha già saputo prenderne le distanze). Il periodo Gallimard è quello della transizione: i romanzi di Maigret di questo periodo sono un modo di evadere dal difficile contesto della guerra e ai guai fisici del romanziere. Rivelano, nell'insieme, un tono più leggero. Con il ritorno di Maigret, nel periodo Presses de La Cité, Simenon va stabilendo un altro rapporto con il suo personaggio, dotandolo di maggior spessore psicologico, dandogli un passato, circondandolo di un entourage affettivo più importante, (non solo M.me Maigret, ma anche i suoi ispettori prendono più peso nei romanzi ed inizia ad apparire qualche relazione d'amicizia come quella con il dottor Pardon), e i Maigret si avvicinano sempre più ai romans-durs. Come riassume molto bene Francis Lacassine: "Maigret non è mai stato semplicemente una macchina per risolvere un enigma o acciuffare un colpevole. Basta quindi all'autore qualche ritocco e alcuni dettagli per fare di lui, come Simenon nei non-Maigret, un esploratore delle coscienze, dimenticando la sua missione repressiva, per comprendere gli altri. Gli amanti dei romanzi prettamente polizieschi non si sbagliano: dovendo scegliere, preferiscono i Maigret della cuvée Fayard. Gli amanti di Simenon preferiscono la cuvée Presses de La Cité". 
Ciò detto, ci si può tranquillamente divertirsi a proporre un'altra suddivisione di romanzi del corpo maigrettiano, secono altri criteri, o se si vuole, gurdandoli da un altro punto di vista. Tutto questo, beninteso, non è altro che un modo di giocare con il "corpus" per il piacere di rituffarcisi una volta di più...
(continua)

Murielle Wenger

lunedì 19 gennaio 2015

SIMENON SIMENON. IL VERO DOTTOR PAUL E QUELLO MAIGRETTIANO

Uno dei personaggi che, nella serie delle inchieste di Maigret, trova nella considerazione del commissario, un posto di rilevo è il dottor Paul, il medico legale di Quais des Orfévres, che offre a Maigret delle prove che talvolta danno un svolta alle indagini. Non siamo certo ancora a C.S.I., in cui senza analisi scientifiche, spettrometri di massa, ricostruzioni virtuali della dinamica delle ferite, la soluzione non potrebbe uscir fuori, ma la scienza inizia a mettere a disposizione i propri strumenti anche alla polizia giudiziaria.
Questo dottore lo troviamo citato in diverse inchieste del commissario Maigret, ma quello che non forse tutti sanno è che si tratta di un medico legale realmente esistito, che si chiamava proprio Charles Paul, non a caso amico dello scrittore, che quindi lo ha preso di peso dalla realtà e lo ha calato nella squadra di uno dei serial di letteratura poliziesca più famoso e più venduto al mondo.
La sua carriera inizia nel 1905 al Tribunale de la Seine a Parigi, dove presterà servizio per oltre cinquant'anni, fino alla sua scomparsa nel 1960.
Insomma un personaggio di un certo spicco e anche di una certa fama, dovuta non solo alle decine di migliaia di autopsie effettuate nella sua carriera. Una sorta di Simenon delle autopsie... perché anche qui siamo di fronte a numeri impressionanti.
Secondo i calcoli di qualcuno dovrebbe aver dissezionato circa 160.000 cadaveri, al ritmo dunque di nove autopsie al giorno!
Leggenda o realtà? Sta di fatto che era soprannominato "l'uomo delle centomila autopsie". Ma la sua vita non si esauriva sul tavolo settorio, era un amante della... vita e dei suoi piaceri.
Dal personaggio reale a quello letterario, ricordiamo un racconto maigrettiano in cui Simenon mette in scena il dottor Paul con un ruolo particolarmente importante, La Péniche aux deux pendus (scritto nel 1936 e pubblicato ne "Les nouvelles enquêtes de Maigret" - 1944 da Gallimard).
Il settimanale "Detective" nel 1938 gli consacrò un numero speciale intitolato Mes 73.332 autopsies par le Docteur Paul".

domenica 18 gennaio 2015

sabato 17 gennaio 2015

SIMENON SIMENON. IL GRANDE IMBROGLIO DI TUTTE LE RELIGIONI


"...<voi ora siete cattivi, ma poi andrete a cantare Osanna, tra gli angeli>. Questo è stato il più grande imbroglio delle religioni. Di tutte le religioni: è sempre la stessa cosa! Non c'è nulla che ci comanda, siamo una piccola parte dell'evoluzione dell'uomo. L'uomo è in evoluzione da 20 miliardi d'anni e lo sarà per altri 20 miliardi d'anni...."
A pronunciare queste parole è Georges Simenon durante una chiacchierata con il suo amico Federico Fellini, poi riportata da L'Express nel 1977.
Un'affermazione da laico che ci dà l'idea di quale opinione avesse lo scrittore delle religioni e anche sulla loro organizzazioni terrena.
Di tutte le religioni, ribaadisce lo scrittore.
E' un argomento che, dopo i fatti di Parigi e le polemiche sull'Islam, è molto d'attualità.
Simenon aveva l'uomo come interesse primario nelle sue opere e non solo. Simenon aveva un grande interesse per le scienze che indagano la psiche, le sue dinamiche e l'incoscio dell'individuo.
Simenon aveva anche una percezione molto netta di questo destino, inteso quasi come una predestinazione, che una volta afferrato un uomo non lo molla finchè non lo ha portato fino alle estreme conseguenze. In questo può essere intravista una mano divina o quanto meno una volontà superiore? Lui, nelle parole sopra riportate dice chiaramente "non c'è nulla che ci comanda". Ma allora questo destino cos'è?
Certo visto che il romanziere  parla di grande imbroglio di tutte le religioni, ci verrebbe da pensare che la sua è ben più di una diffidenza nella fede e nell'aldilà e che quindi il destino di cui parla, e che fa da protagonista nei suoi romanzi, è al limite più identificabile con quella grande evoluzione cui accenna e che comunque una forza sovrumana ma naturale allo stesso tempo. E' un qualcosa al di sopra della volontà umana, ma un elemento che Simenon accetta, ma non come accezzione religiosa
"... nella religione il lavaggio del cervello inizia con il battesimo, il catechismo la prima comunione, etc. Quando ci si sveglia, a tavola, prima e dopo i pasti, a mezzogiorno, di sera...
- Io sono colpevole.
Perché nato uomo, io sono colpevole ogni giorno e a ogni ora... Partorire nel dolore... Guadagnare il pane con il sudore della propria fornte... Le fiamme eterne dell'inferno dopo le sofferenze dell'agonia... - scrive duramente Simenon nel 1940 in "Quand jétais vieux" - Un meccanismo messo mirabilmente a punto per non lasciare mai ai fedeli il tempo di riprendersi, nemmeno quello per vivere...".

venerdì 16 gennaio 2015

SIMENON SIMENON. LE CONFIDENZE DELLA SIGNORA MAIGRET

Oggi concludiamo la settimana lavorativa con un racconto che vede protagonista M.me Maigret, che ci viene proposto da uno dei nostri collaboratori, Paolo Secondini. E' un... gustoso incontro tra  la moglie del commissario e Georges Simenon . Tutto da leggere.



«Signor Simenon, cosa vuole che ancora le dica di Maigret che lei già non sappia? Nei suoi romanzi e racconti lo ha descritto così bene e minuziosamente da sembrare, quasi, che lei lo conosca meglio di me che sono sua moglie.»
«Non dimentichi, cara signora, che la gran parte di quello che ho appreso, del carattere e delle abitudini del commissario, lo devo a lei.»
«Già! E spero che Maigret non scopra le confidenze che le ho fatto: non dico che s’arrabbierebbe, questo no!, ma sicuramente ci resterebbe un po’ male, per averle riferito alcuni particolari della sua vita che, volentieri, avrebbe voluto tener nascosti.»
«Per esempio?»
«Per esempio… il suo debole per la buona cucina, per certe pietanze appetitose, specialmente per quelle che il dottor Pardon, nostro carissimo amico, gli ha sempre raccomandato di evitare.»
«Che lei ricordi, signora, è sempre stato ghiotto di cibi saporiti e bevande gustose?»
«Oh, sì, sempre! Fin da quando ci siamo conosciuti, tanti anni fa. Si può dire che i nostri appuntamenti e le mète finali delle nostre passeggiate erano, oltreché i giardini pubblici e i cinematografi, i ristoranti… Ne ricordo uno, in particolare, piuttosto piccolo, ma molto grazioso e accogliente. Si trovava – e si trova tuttora, per quanto i proprietari non siano più gli stessi di una volta – in Boulevard Montparnasse. Maigret amava moltissimo quel ristorante, sia per la sua atmosfera intima, raccolta, la quale, come diceva, gli incuteva un senso di dolce tranquillità, sia, ovviamente, per i suoi piatti speciali, sebbene fossero un po’ – come dire? – pesanti. Ma Maigret non si è mai preoccupato di questo: quando una pietanza gli piace, la mangia volentieri e in abbondanza, che sia digeribile oppure indigesta, a dispetto di tutte le raccomandazioni di Pardon.»
«Non ricorda qual era il suo piatto preferito in quel ristorante di Boulevard Montparnasse?»
«Perfettamente! Perché ha sempre preteso, in seguito, che anch’io lo cucinassi.»
«E cioè?»
«Spezzatino al ragù di montone, accompagnato con qualche bicchiere di beaujolais… Ma la pietanza che più di ogni altra lo fa veramente andare in visibilio è, senza dubbio, il pollo al vino.»
«E in quale ristorante o trattoria lo mangia abitualmente?»
«Be’, signor Simenon, credo che il pollo al vino sia stata una delle mie armi di conquista. E posso dirlo con orgoglio.»
«Davvero?»
«Mi raccomando, però, non lo scriva… non scriva che Maigret ha rinunciato al suo celibato anche per la prelibatezza del mio pollo al vino… Credo che un po’ si vergognerebbe.»

Paolo Secondini

giovedì 15 gennaio 2015

SIMENON SIMENON. L'INQUILINO CHE VIENE DA ISTANBUL

Dopo lungo digiuno, gli appassionati di Simenon, sembra porprio che tra meno di quindi giorni potranno trovare in libreria un roman-dur da divorare voracemnte. Si tratta de Il pensionante, Le Locataire, uno del primo periodo, iniziato nel 1932, quindi appena dopo il lancio fortunato del commissario Maigret, ma poi pubblicato soltanto un paio di anni dopo. Fu il primo a uscire per i tipi del NRF di Gallimard. Un Simenon giovane concepisce un romanzo che ruota attorno ad una trama poliziesca-amorosa, ma che s'intreccia con una situazione di notevole interesse psicologico che tocca i temi della rapina, della fuga e del nascondersi tra gente sconosciuta. 
I protagonisti sono un maldestro commerciante di tappeti turco che arriva a Bruxelles da Istanbul e la sua amante incontrata sul treno. La donna sta con lui per amore o per interesse? Lo sapremo alla fine della vicenda.
Lui sembra ricco, ma ben presto gli affari precipitano e allora ecco la soluzione brutale e banale: l'omicidio di un uomo ricco, per rapinarlo di tutti i suoi soldi. A cose fatte il bottino viene spartito dai due amanti. Ma siccome lui è ricercato dalla polizia, la donna gli offre rifugio a Charleroi, dove la madre tiene un pensionato per studenti. L'uomo affitta una camera lì, con la speranza di confondersi tra gli altri, ma...
A nostro avviso la parte più riuscita é il momento in cui il protagonista si nasconde nel pensionato e cerca di mimetizzarsi il più possibile iniziando a prendere le abitudini e i ritmi degli altri pensionanti. L'atmosfera di sospetto su di lui si allarga a  macchia d'olio... la dinamica psicologica all'interno di questo universo di pensionanti si articola di fronte al dubbio che l'uomo sia in realtà quello che i giornali indicano come l'assassino ricercato dalla polizia. 
La tensione generata in queste condizioni, tra la finzione del ricercato e i sospetti di chi lo circonda, sono un esempio di analisi psicologica che un Simenon appena trentenne manovra in modo magistrale. Possiamo dire che è uno dei primissimi romans-durs (il terzo in ordine di tempo) in cui l'autore dimostra tutte le sue capacità e fà intravedere lquale sarà la qualità dei romanzi che scriverà nei successivi quarant'anni. 
Per la cronaca, dal film fu tratto nel 1982 un film, L'Étoile du Nord, per la regia di Pierre Granier-Deferre interpretato da Philippe Noiret e Simone Signoret.

mercoledì 14 gennaio 2015

SIMENON SIMENON. L'IMPRESCINDIBILE STUPORE DI UN GEORGES... BAMBINO?

Lo stupore. L'atto di meravigliarsi davanti alle cose, alle persone, alle vicende. E' una dote dei bambini che scoprono il mondo. Ma è anche la disposizione d'animo di quelli definiti ingenui, che appunto si stupiscono di fronte a quasi tutto.
Ma esiste un'altro tipo di stupore. E' quello di chi è creativo e vede le cose che lo circondano in un modo sempre diverso, ogni volta come se fosse la prima. E' una caratteristica tipica di chi ha un sensibilità molto accentuata e un capacità di empatia non comune.
A nostro avviso anche Georges Simenon guardava al mondo che lo circondava con questo stupore, che è poi la chiave per rimanere affascinati e quindi per capire meglio gli individui, le situazioni, le vicende senza preconcetti, senza condizionamenti. E d'altronde, quando il romanziere entrava in ètat de roman, si consegnava mani e piedi a quella sorta di trance creativa che, come diceva lui stesso, lo portava in territori narrativi a lui sconosciuti, tanto che non avrebbe saputo dire come si sarebbe conclusa la vicenda e cosa sarebbe successo ai protagonisti. Se era davvero così (e abbiamo troppi elementi per non crederci), doveva avere davvero un atteggiamento di stupore nei confronti di quelle storie e delle relazioni-reazioni dei personaggi che gli crescevano tra le mani. Era il primo lettore del romanzo, un lettore del Simenon che scriveva in ètat de roman... O per lo meno lo era quando rileggeva il suo testo per la veloce revisione che ne faceva.
E tra l'altro non dobbiamo dimenticare che il titolo di uno dei suoi Dictées non a caso s'intitolava Je suis restè un enfant de choeur.
E c'è chi da una spiegazione molto psicoanalitica di questo stupo da piccolo bambino.
"... Il mito del piccolo bambino con la sua nostaglia di un paradiso perduto, svolge una funzione fondamentale nell'opera di Simenon, attraverso la sicurezza che offre un sentimento relativo all'onnipotenza, permette di esplorare in profondità la sofferenza psichica degli individui, attraverso la messa in scena narrativa dei personaggi del romanzo. - questo argomentava Paul Mercier - Dietro il paravanto dell'indagine giudiziaria, Simenon nega, oltrepassa e conserva qualcosa dell'oggetto perduto in un assunto di tipo hegeliano. Voltando la pagina de "l'enfant de choeur", si apre ad una presa di coscienza della vita reale, alla difficoltà di vivere e di iconvivere con gli altri..." (Psychanalyse et récit: stratégies narratives et processus thérapeutiques - Presses Universitaires de Franche-Comté - 1998).
Lo stupore del bambino e il realismo dell'adulto... questi i due poli tra cui oscilla magistralmente l'opera di Simenon.

martedì 13 gennaio 2015

SIMENON SIMENON. L'INCREDIBILE STANDARD DEI ROMANZI SIMENONIANI... RACCONTATO DALL'AUTORE



Quello riportato di seguito é un brano tratto da un incontro con André Parinaud (Radiodiffusion Française, ottobre-novembre 1955, testo pubblicato in « Simenon », di Bernard de Fallois - Collection Tel - Gallimard). Ecco alcune delle affermazioni  che riguardano la diffusione della sua opera.

« Quando un romanzo è terminato, quando ho finito di scriverlo, non lo considero come

completo. La rilettura lo conferma, non è ancora finito. Anche quando lo sembrerebbe. Ci vogliono due anni affinchè un romanzo possa considerarsi maturo. Dapprima è necessario che il publico l’abbia letto, che la critica ne abbia parlato. Occorre inoltre che sia stato tradotto in diverse lingue, perché io non scrivo per i lettori di un solo paese.

Mi sforzo di scrivere per il mondo intero. Detto in altre parole, voglio che un libro abbia la stessa risonanza a New York come a Londra, a Liverpool come a Parigi. Finché un romanzo non ha compiuto  tutti questi passaggi, minimo in sei o sette anni, ai miei occhi non ha terminato di nascere. Resta comunque incompleto, io non posso aggiungere nulla, né cambiare una parola, una virgola ».

Questa ricerca di universalità senza dubbio si traduce per lo scrittore nello « stile di scrittura » che ha adottato : riduzione a livello di vocabolario e richezza d’evocazione per le notazioni che riguardano le sensazioni. Interessante è soprattutto questa sua attenzione per le traduzioni e quindi per la diffusione dei suoi romanzi. E la prova del loro successo non si ha soltanto contando il numero delle parecchie traduzioni (a memoria ricordiamo che per i Maigret sono state censite 52 diverse lingue), ma  anche per la loro diffusione durante gli anni.

Più di ottanta anni dopo la pubblicazione dei primi romanzi sotto suo nome, le riedizioni continuano a susseguirsi, la sua opera ha superato brillantemente anche la virata dell’era digitale (gli ebook), senza parlare delle riduzioni cinematografiche più recenti.

La visione di Simenon era esatta : i suoi romanzi continuano a vivere, maturano decisamente bene, come un buon vino, e la diffusione "planetaria" va aggiunta a quella temporale : si continua a leggere Simenon malgrado (o forse proprio per questo…) sia un autore del secolo scorso. Si è detto spesso che nessuno meglio di lui abbia descritto le angosce dell’uomo del ventesimo secolo, ma forse bisognerebbe aggiungere che nessuno meglio di lui ha saputo raccontare l’universalità e l’atemporalità dell’animo umano…



Murielle Wenger - Illustrazione su base di un disegno di Giancarlo Malagutti

lunedì 12 gennaio 2015

SIMENON SIMENON. CANNES 1960: ANITA, FEDERICO E GEORGES... LA VITA E' DOLCE


Seconda metà del 2014 inizio 2015 la vità è invece stata amara per il cinema. Da Robin Willliams, a Virna Lisi, da Lauren Bacall a Mike Nichols, da Virna Lisi a Francesco Rosi, a Anita Ekberg... sono scomparsi miti e stelle del cinema che avevano alimentato sogni ed emozioni nell'immaginario collettivo.
Già, L'Anitona, come la chiamava Fellini... bei tempi... I due scatti qui sopra sono stati realizzati nella dolce primavera del maggio in costa Azzurra. A Cannes, nel 1960, al festival internazionale del cinema. Quindici giorni dorati, con le più affascinanti attrici dell'epoca (per altro allora giovani e bellissime) tra cui Monica Vitti, Catherine Spaak, Jeanne Moreau, Anita Ekberg, Melina Mercouri, Catherine Deneuve...
Ma toriniamo alle foto. La coppia Ekberg-Fellini rispettivamente attrice protagonista e regista del film che si aggiudicò la Palma d'Oro, La dolce Vita. L'altra coppia, Federico Fellini-Georges Simenon, vincitore del festival l'uno e presidente della giuria di quella tredicesima edizione, l'altro. Già, anche la giuria era degna di nota. Oltre al nostro amato romanziere nelle vesti di presidente, vogliamo ricordare, lo scrittore Henry Miller, il regista Marc Allegrét, lo scrittore Diego Fabbri ( che dal '64 avrebbe sceneggiato la fortunata serie Rai di Maigret con Gino Cervi interprete e Mario Landi regista),  Maurice Leroux musicista compositore, l'attrice Simon Renant...
Insomma un ambiente di grande charme, brillante, sfarzoso e affollato anche di registi fondamentali  per la storia del cinema (tra gli altri ricordiamo Michelangelo Antonioni, Jacques Becker, Ingmar Bergman, Peter Brook, Louis Buñuel, Vicente Minelli, Nichols Ray, Carlos Saura, William Wyler fuori concorso con "Ben-Hur",...).
E Fellini, la Ekberg e Simenon... legati da un sottile filo. Il regista italiano che dette fama internazionale all'attrice svedese, anche grazie alla vittoria lì a Cannes, e poi al successo, de La Dolce Vita, che fu proprio Simenon a volere, combattendo anche con la direzione del festival e suscitando addirittura aspre polemiche. Fellini, regista sognatore e visionario, sarebbe diventato non solo uno dei più grandi amici di Simenon, ma tra i due nacque un idem sentire che li portò sempre più vicini e sempre più ammiratori uno dell'altro. Fedrico, una sorta di pigmalione della carriera della sua "Anitona".
Anita si è spenta ieri e con lei un'altro puzzle del cinema delle star degli anni '60 se n'è andato. La Francia che la incoronò più di cinquant'anni fa', i giorni scorsi ha vissuto ben altre atmosfere, violente, cupe e dense di tristezza. 

domenica 11 gennaio 2015