"...in realtà sono rimasto a settant'anni il fanciullo e l'adolescente che sono stato, e continuo a pensare, a sentire e a intendere come un ragazzino. L'ho fatto per tutta la mia vita, senza rendermene conto...".
Queste sono le parole di Simenon scritte nel suo primo Dictée, nel 1973, parole che ci sono venute in mente quando leggemmo Il pleut bergére....
Quello dell'adolescenza, o dei ricordi dell'infanzia, è un tema trattato in diverse opere del romanziere. Soprattutto, come afferma lui stesso, ripensando a persone, luoghi e avvenimenti con la mentalità e la sensibilità di un bambino.
Già, se riflettiamo bene, Simenon andava alla ricerca dell'uomo nudo, spoglio dei condizionamenti sociali e delle sovastrutture culturali, ed era facile che trovasse nei bambini i soggetti più naturali, più spontanei, capaci ancora di stupori e di scoperte, ma anche di reazioni non ancora condizionate, o non del tutto, dalle regole della società, della religione, della famiglia...
Tornando a Il pleut, bèrgere... (tradotto in Italia nel '48 in Biblioteca Moderna Mondadori - "Piove, pastorella" - edizione Adelphi 2002 "Pioggia nera") il bambino è il simbolo di un occhio ancora puro che si muove in una realtà e tra personaggi che sono incattiviti dalla vita, dalle ideologie, dalle necessità. Gente della sua famiglia e gente del suo villaggio che sembra prigioniera di certi ruoli e certe abitudini, nel bene e nel male. Ma questo fanciullo guarda tutti dall'alto della finestra del suo soppalco, come fosse uno spettatore estraneo a quel mondo, che giudica con una logica e con un metro che non è quello degli altri. Un metro umano, per il quale considera suo amico un bambino, con cui non ha mai parlato e che vede solo da finestra a finestra. E anche quando viene a sapere che il padre è un terrorista e scopre prima di tutti che si nasconde proprio nella casa davanti a lui, non dà giudizi, per lui conta solo quel platonico legame con il suo amico delle finestre di fronte. E fà tutto quel che può per proteggere quel segreto, il suo amico e il suo padre. Alla fine del romanzo si viene a sapere che tutto il racconto è un ricordo, il ricordo di un uomo ormai adulto che rivede quei giorni e quei fatti ancora con gli occhi e l'animo di un bambino.
Ed è proprio quello che diceva Simenon in un'intervista a Le Monde nel '65.
"... ho utilizzato il modo in cui i ricordi si sono impressi in me. Quello che conservo della mia infanzia sono delle immagini molto colorate, delle sensazioni. Quando mi ricordo un fatto, posso dirvi che tempo faceva, da dove soffiava il vento, se avevo caldo..."
Proprio come il protagonista de Il pleut bèrgere... tanto che Simenon dette come titolo a questo romanzo le parole iniziali di una antica filastrocca da bambini.
" Il pleut, bergère…"venne scritto nel settembre /ottobre 1939 e pubblicato da gallimard per la prima volta nel giugno 1941
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