"...Ho sempre avuto orrore della parola "riflessione" e della parola "pensiero".
Io non sono un essere che pensa. Sono uno che annusa e che sente. Credo alla meditazione e al sognare, cosa molto diversa. Non credo al pensiero. Credo piuttosto all'intuizione che all'intelligenza. E gli psicologi moderni iniziano ad ammetterlo...".
Certo, che Simenon fosse più sensitivo che riflessivo, questo è ormai risaputo, anche se bisognerebbe capire meglio cosa intendesse quando parlava di riflessione e di meditazione. Ad esempio la definizione che di "meditazione" dà un dizionario della lingua italiana (il Devoto-Oli), è duplice: 1) "Prolungata ed intensa applicazione delle facoltà sprituali o intellettive, su un argomento o un problema". 2) "Pratica ascetica, consistente in un'attività di preghiera mentale o anche di predicazione, destinata ad aumentare le possibilità del credente, mediante la riflessione o la contemplazione".
Come si vede, i legami tra meditazione e riflessione, nella seconda accezione, sono confermati. Se andiamo a leggere la voce "riflessione" troviamo quanto segue "Considerazione attenta, espressione di maturità e consapevolezza nell'esercizio del pensiero". Nell'accezione filosofica per riflessione s'intende l'aspetto funzionale della coscienza in quanto autocoscienza.
Ciò detto, a nostro avviso, valgono forse più gli esempi che troviamo nell'opera letteraria simenoniana (soprattutto se crediamo in quella sua creatività in stato di trance) in cui i personaggi generalmente seguono il proprio destino, le proprie sensazioni più che ragionare sul proprio stato e razionalizzare i propri comportamenti. Anzi, in alcuni casi li troviamo in balìa di questo benedetto e maledetto destino e senza nessun ragionamento o riflessione che possa cambiare il corso della loro esistenza. Siamo al limite della predestinazione. L'uomo che nasce con un percorso imperscrutabile, una vita che segue le strade più impensate in cui anche il più piccolo ed apparentemente insignificante avvenimento è capace di mettere in moto una concatenzione di eventi che possono travolgere l'individuo (il famoso "passaggio della linea").
Ovviamente le dichiarazioni di Simenon riguardano in primis la propria vita, il proprio modo di creare letteratura... questo subconscio che agisce quasi prendendolo per mano e portandolo a scrivere qualcosa che, come lui stesso ha più volte affermato, non sa mai dove lo condurrà e gli tiene nascosto anche come la sua opera si concluderà.
E crediamo che, da questa angolazione, la figura di Maigret rappresenti una delle chiavi per aprire le porte del "caso Simenon" e capire l'universo del romanziere. Può darsi che questa funzione di passepartout sia stata addirittura sottovalutata nell'analisi complessiva dell'opera dello scrittore. Maigret da questo punto di vista almeno, è molto più Simenon di quanto l'autore stesso vorrebbe far crederci (o se volete, Simenon è molto più Maigret di quanto non voglia ammettere). E le dichiarazioni rilasciate a Le Monde crediamo che portino proprio in questa direzione. Voi che ne dite?